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    LUPUS A RIPOSO, LUBICH/CAPOTONDI, SAN PATRIGNANO E RICORDI SVIZZERI

    LUPUS A RIPOSO, LUBICH/CAPOTONDI, SAN PATRIGNANO E RICORDI SVIZZERI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 5 gennaio 2021

     

    Dal 2 gennaio 2021 il ‘Lupus’ di Avvenire (Gianni Gennari) si è infrattato. Ma Gennari continuerà settimanalmente con ‘Confratelli d’Italia’. Il 3 gennaio 2021 Chiara Lubich interpretata da Cristiana Capotondi sugli schermi di Rai 1. San Patrignano e le nuove polemiche: ricordi degli Anni Novanta, di Muccioli e di Svizzera. Un pamphlet di Giorgio Gandola sulla storia della Comunità.

     

    IL LUPUS DI AVVENIRE VA A MERITATO RIPOSO, SOSTITUITO DA PRESS PARTY  DI UMBERTO FOLENA. NUOVA RUBRICA SETTIMANALE PER GIANNI GENNARI: “CONFRATELLI D’ITALIA”.

    Da sabato 2 gennaio 2021 è venuto a mancare uno dei nostri appuntamenti fissi di lettori: Gianni Gennari ha deciso che, dopo circa 7mila puntate a partire dal 1996, per il suo Lupus in pagina era venuto il tempo della quiescenza. Che abbia perso i denti lupini? Piuttosto pensiamo che la lettura attenta e quotidiana di una ventina di giornali e la conseguente zampata su carta avveniristica sia ormai fisiologicamente e dunque comprensibilmente faticosa per chi ha già raggiunto la soglia degli ottanta. E in vita fin qui ha sempre combattuto con convinzione, con puntiglio e senza risparmio le sue battaglie ecclesiali (in certi momenti anche politiche) ‘progressiste’.

    Ora, deposta la pelle del lupo, Gennari si dedicherà alla stesura settimanale del ritratto di preti italiani del passato (ne ha già pronti oltre cento), che – pur se magari semisconosciuti o del tutto dimenticati – hanno dato lustro secondo lui  alla storia ecclesiale nazionale. Ogni ritratto apparirà sempre su Avvenire (a partire dal 9 gennaio 2021), ma nelle pagine di Catholica, sotto il titolo “Confratelli d’Italia” (“con ovvia attenzione a non dividere la prima parola”… beh… chi mai potrebbe immaginare colui che era etichettato come il prete rosso piantare le tende  nel castrum di Giorgia Meloni? ).

    Chi volesse sapere qualcosa in più su Gianni Gennari, legga su Rossoporpora.org “Gianni Gennari e il 7 ottobre 1977: Berlinguer risponde a mons. Bettazzi” (vedi  https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/525-gianni-gennari-e-il-7-ottobre-1977-berlinguer-risponde-a-mons-bettazzi.html ) e “L’umanità di Angelini e Casaroli nei ricordi di Gianni Gennari” (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/454-l-umanita-di-angelini-e-casaroli-nei-ricordi-di-gianni-gennari.html ). Nelle due interviste, che riguardano anni da lui vissuti con grande intensità anche emotiva e tra molte traversie politiche e ecclesiali, Gennari ripesca dal gigantesco armadio della sua memoria diversi episodi significativi del momento nella Chiesa romana, italiana e curiale.

     

    CHIARA LUBICH SU RAI 1: UN MESSAGGIO POSITIVO - INTENSA E CREDIBILE L’INTERPRETAZIONE DI CRISTIANA CAPOTONDI

    Domenica 3 gennaio 2021 Rai 1 ha trasmesso la fiction “Chiara Lubich – L’amore vince tutto”, in occasione del centenario della nascita della fondatrice del Movimento dei Focolari. Diretto da Giacomo Campiotti, il film ha ripercorso gli inizi focolarini di carattere umanitario nella Trento del 1943-45 occupata dai tedeschi e bombardata dagli Alleati, con un fil rouge costituito dalla ricostruzione del processo canonico cui Chiara Lubich fu sottoposta davanti al Sant’Uffizio dagli inizi degli Anni Cinquanta: il Movimento fu autorizzato, ma alla Fondatrice fu chiesto di dimettersi. Ciò che fece de jure, pur se de facto continuava ad essere l’anima dei Focolari. Fu Paolo VI nel 1964 a richiamarla alla presidenza del Movimento, nel frattempo diffusosi in tutto il mondo.

    Per Chiara Lubich è in corso un processo di beatificazione, chiuso nella fase diocesana il 10 novembre 2019 e approdato alla Congregazione delle Cause dei Santi (guidata oggi dal card. Semeraro, che ha sostituito il card. Becciu, porporato d’area focolarina). Si ricorderà che la beatificazione di Chiara Lubich non è incontestata, dato che permangono da diverse parti certe riserve sia sulla solidità teologica dei Focolari che su un rimproverato ‘culto della personalità’ di cui alcuni ritengono fosse oggetto all’interno del Movimento. In ogni caso i Focolari sono anche molto impegnati nella ricerca del dialogo e dell’incontro con l’umanità intera, fondandosi sulle parole di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni (17, 21-23) “Che tutti siano uno”: (Gv 17, 21): “Per queste parole siamo nati, per l’unità, per contribuire a realizzarla nel mondo”, osservava Chiara Lubich.

    A interpretare la figura di Chiara Lubich negli Anni Quaranta-inizio Anni Cinquanta Cristiana Capotondi, già di per sé cresciuta in una famiglia con padre cattolico praticante e madre ebrea, dunque già aperta alla quotidianità di una convivenza tra fedi diverse (vedi su Rossoporpora.org “Intervista all’attrice Cristiana Capotondi - https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/63-intervista-all-attrice-cristiana-capotondi.html ).

    A nostro parere (non di specialisti in materia), l’attrice romana (milanese e toscana d’adozione) nella fiction diretta da Giacomo Campiotti ha saputo impersonare Chiara Lubich con una intensità e una credibilità non certo scontate considerata la caratura del personaggio interpretato. Ha saputo ridare di conseguenza ai telespettatori la gioia missionaria dell’allora ventitreenne maestrina fresca di lettura dei Vangeli, impegnata anche a dirimere i conflitti interpersonali e a valorizzare con incrollabile tenacia (contro la mentalità dell’epoca) l’apporto della donna quale motore di fratellanza evangelica dapprima locale e poi universale. 

    Due ore ben spese dunque davanti al piccolo schermo. Il film ha incuriosito ed è stato verosimilmente apprezzato da una vasta platea, di gran lunga la più numerosa della serata televisiva: oltre cinque milioni e mezzo i fruitori di una fiction priva di lustrini, eminentemente religiosa (ma in cui il religioso non è stato il pretesto – come capita sovente – per canovacci ludici un po’ frou frou), quasi un telespettatore su quattro sintonizzato sul programma.

     

    SAN PATRIGNANO – NETFLIX, VINCENZO MUCCIOLI, RICORDI SVIZZERI E UNA VISITA ALLA COMUNITA' 

    E’ di questi giorni una forte polemica sui contenuti di una serie di Netflix in cinque puntate, intitolata “SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano”. La Comunità, per bocca del suo attuale presidente Alessandro Rodino Dal Pozzo, ha reagito duramente: “Si tratta di un racconto sbilanciato, che si ferma al 1995 e che ha voluto spettacolarizzare alcuni episodi drammatici che non raccontano la nostra storia. Ed è dannoso riassumerla così’, dimenticando di raccontare cosa ha significato questa esperienza che se non fosse stata così fondamentale per l’Italia, non sarebbe in piedi ancora oggi”.

    Come lettori (fin dal primo numero, quello del 25 giugno 1974) de Il Giornale fondato e diretto da Indro Montanelli, conoscevamo l’esistenza della comunità di San Patrignano e ne avevamo seguito lo sviluppo e anche le traversie degli Anni Ottanta (come il famoso ‘processo delle catene’, che si concluse con l’assoluzione di Vincenzo Muccioli).

    Quando all’inizio del decennio successivo – essendo a Berna come giornalisti parlamentari del Corriere del Ticino – in Svizzera si incominciò a parlare di una nuova politica della droga (leggi: “sperimentazioni con eroina” per gruppi di tossicodipendenti soprattutto nelle grandi città svizzero-tedesche, pensammo subito al contro-modello della cittadella sulle colline riminesi. Mentre a Zurigo ci si drogava all’aperto nelle aree tristemente famose prima del Platzspitz ( un vero ‘inferno’ che visitammo scortati dalla polizia) poi del Letten e a Berna addirittura dietro Palazzo federale, a San Patrignano si cercava di restituire a migliaia di tossicodipendenti la propria dignità attraverso l’apprendimento di un lavoro. Se a Zurigo, mirando a togliere dalla pubblica vista le scene del Platzspitz e del Letten, si chiedeva che lo Stato fornisse esso stesso ai drogati il veleno in dose ‘controllata’, a San Patrignano si era imboccata la via dell’astinenza, della solidarietà, della valorizzazione dei talenti di ognuno.

    E’ allora che, mentre il dibattito nel Paese si faceva acceso, proponemmo nel 1992 alla Commissione Sanità del Consiglio nazionale (Camera dei deputati) una visita proprio a San Patrignano. In nove risposero di sì (quasi tutti svizzero-tedeschi, compreso il pastore evangelico Sieber, che lui stesso voleva creare una comunità); così partimmo in pullmino da Berna e, dopo un viaggio di nove ore, fummo accolti all’ingresso da un servizio d’ordine molto efficiente (c’era anche il figlio di Bobby Solo), che ci portò nel grande refettorio. Lì ci attendeva un omone con i baffi, un romagnolo tipico dai modi spontaneamente cordiali: Vincenzo Muccioli. Che era provvisto di un’oratoria fluente: praticamente non conosceva pause… né virgole, né punti. A noi toccò il compito di tradurlo in tedesco, per un’ora e mezzo, senza respiro. La faticaccia venne poi abbondantemente ripagata da una cena ricca di tante squisitezze che gli ospiti di San Patrignano già producevano con quella passione e con quell’attenzione che li allontanava ogni giorno di più dalla schiavitù della droga.

    Sempre nel 1992, il 6 maggio, pubblicammo su un’intera pagina del Corriere del Ticino un’intervista a Vincenzo Muccioli, in cui veniva illustrato l’approccio di San Patrignano al problema della droga e in cui il fondatore della Comunità si pronunciava in maniera tanto critica quanto argomentata sull’avvio di “sperimentazioni con eroina” nelle grandi città svizzero-tedesche.

    Il 6 maggio era il giorno della seduta settimanale (sempre di mercoledì) in cui il Consiglio federale (Governo) avrebbe dovuto prendere la decisione. Ma non fu così, poiché il consigliere federale romando Jean-Pascal Delamuraz, un fiero avversario della ‘legalizzazione’, si presentò in sala sventolando l’intervista e dicendo al collega ticinese Flavio Cotti (allora ministro dell’Interno e dunque, in Svizzera, anche della Sanità): “Guarda, Flavio, che cosa scrivono i tuoi!”. La discussione si protrasse per  ben tre sedute settimanali e, alla fine del mese, con 4 voti contro 3 il governo approvò l’avvio delle famigerate “sperimentazioni”. Flavio Cotti (scomparso il 16 dicembre scorso) ci disse che aveva dovuto cedere alle pressioni di Zurigo, Berna, Basilea.

    Incominciammo anche a collaborare con il mensile della Comunità, Il Giornale di San Patrignano, inviando articoli incentrati sugli sviluppi della politica della droga in Svizzera.

    A San Patrignano intanto era scoppiato il caso Maranzano, un ragazzo pestato a morte nella macelleria, il cui corpo era stato ritrovato vicino a Napoli. Anche questa volta, come già un decennio prima, la bufera investì Vincenzo Muccioli, che fu assolto dall’accusa di omicidio colposo e condannato in primo grado a otto mesi per favoreggiamento, con l’attenuante di “aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale”. Non fece in tempo a ricorrere in Appello, perché morì il 19 settembre 1995. Le redini di San Patrignano furono prese dal figlio Andrea Muccioli (vedi su Rossoporpora.org https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/104-intervista-ad-andrea-muccioli.html ) fino al 2011, mentre Gian Marco e Letizia Moratti restavano sempre vicinissimi alla Comunità, in cui credevano fermamente e per la quale erano (e sono) finanziariamente decisivi.

    Negli Anni Ottanta e Novanta San Patrignano era vista come il fumo negli occhi sia dalla sinistra comunista e radicalchic che da buona parte della Chiesa. Questione di concorrenza? Risultati (molto) migliori rispetto ad altre comunità e agli enti statali? Chissà. Certo è che i rapporti tra Muccioli e l’ufficialità cattolica vengono ricuciti grazie in particolare all’allora monsignor Ersilio Tonini (poi cardinale), notoriamente provvisto in abbondanza di buon senso.

    Al centro dell’aspro dibattito di quegli anni una domanda: è lecito (e in quale misura) comprimere gli spazi della libertà individuale per salvare dall’inferno della droga? Non è facile rispondere. Ma le cifre parlano chiaro: grazie a San Patrignano e ai suoi metodi in questi 42 anni sono state salvate 26mila vite, sono stati restituiti alla vita 26mila giovani incamminati verso l’abisso dell’autodistruzione, decine di  migliaia di genitori e fratelli hanno potuto ricominciare a vivere una quotidianità serena senza le orribili angosce notturne.

     

    UN RECENTISSIMO PAMPHLET  DI GIORGIO GANDOLA SULLA STORIA DI SAN PATRIGNANO, INTITOLATO “TUTTO IN UN ABBRACCIO” (EDIZIONI PANORAMA)

    . dalla prefazione di Giovanni Minoli:Fu Vincenzo Muccioli ad avere le due intuizioni decisive che anche oggi caratterizzano San Patrignano. La prima fu creare un percorso di recupero per questi ragazzi perduti, riempiendolo non solo di affetto ma di regole ferree, di studio e di lavoro. Perché – come usava dire –‘ la dignità del lavoro è la migliore medicina’. (…) La seconda intuizione fu affiancare ai tossicodipendenti ragazzi come loro, che avevano attraversato lo stesso deserto, e conoscendone le insidie potevano aiutarli a non sbagliare ancora, a non tornare dentro il tunnel nero della dipendenza”.

    . pag. 21 (Vincenzo Muccioli):  “Questa non è né un’oasi di pace né un luogo avulso dal mondo né una clinica per tossicodipendenti. E’ semplicemente un’isola, non felice, ma in cui crediamo di ristrutturare quei valori che, vissuti nella nostra piccola società, ci temprano in maniera tale da poter reggere l’impatto futuro con la grande società”.

    . pag 48 (Antonio Boschini, direttore sanitario di San Patrignano): “Noi che siamo arrivati tra il 1980 e il 1995 abbiamo storie in fotocopia, la trafila era quella: marijuana o hashish, Lsd, eroina. Oggi a farla da padrone è la cocaina. Allora c’era il drogato che chiedeva le cento lire in stazione, con la maglietta da drogato, i jeans da drogato, la postura da drogato. Oggi non distingui più il tossico dalla persona normale. Loro stessi hanno una minore percezione d’essere preda di una grave emarginazione (…) Oggi i ragazzi sembrano del tutto normali, ma dietro a quel ‘sembrano’ ci sono devastazioni psicologiche più complicate da guarire”.

    .pag. 49 (Antonio Boschini):Sono contrario a ogni legalizzazione: 98 ragazzi su 100 passati all’eroina o alla cocaina hanno cominciato con la cannabis. Senza contare le patologie psichiatriche derivanti da quello che qualcuno definisce un passatempo, e gli incidenti stradali. Poi c’è la degenerazione culturale: se una droga è legale significa che non fa male. Bel messaggio per gli adolescenti, i più fragili ed esposti”.

    . pag. 61 (Giuseppe Giannasi, educatore di San Patrignano): “La paura della droga e quella dell’esclusione sociale non esistono più. Oggi, con i nonni che si fanno le canne, ai nipoti viene trasmessa una percezione distorta. Non si fa abbastanza per denunciare il problema, sembra perfino che gli spinelli vadano bene a tre quarti dei politici. Molti credono che hashish e marijuana non diano dipendenza. Eppure la cannetta che rilassa è un messaggio devastante”.

     

     

     

     

     

     

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