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    LEONE XIV: TELEFONATA DI PUTIN - MUSARRA E ISRAELE - MORTO GIUSEPPE PARLATO

    LEONE XIV: TELEFONATA DI PUTIN – MUSARRA E ISRAELE – MORTO GIUSEPPE PARLATO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 9 giugno 2025

    Papa Leone XIV: la sconcertante parabola dei lavoratori a giornata e la telefonata di Putin. Lo storico Antonio Musarra: riflessioni tormentate dopo la visione di ‘No Other Land’ sulla situazione in Cisgiordania– La morte dello storico Giuseppe Parlato.

     

    PAPA LEONE XIV: DALL’UDIENZA GENERALE DEL 4 GIUGNO 2025 (piazza San Pietro )- LA SCONCERTANTE PARABOLA DEI LAVORATORI A GIORNATA

    (La parabola dei lavoratori a giornata (MT, 20-1-16), pagati sempre un denaro indipendentemente dalle ore lavorate, sconcerta e lascia sempre interdetti coloro che ragionano secondo i canoni della giustizia retributiva umana. E’ la parabola che si conclude con “Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”. Ecco l’interpretazione che ne ha fatto papa Leone XIV, attualizzandola.

    . Desidero fermarmi ancora su una parabola di Gesù. Anche in questo caso si tratta di un racconto che nutre la nostra speranza. A volte infatti abbiamo l’impressione di non riuscire a trovare un senso per la nostra vita: ci sentiamo inutili, inadeguati, proprio come degli operai che aspettano sulla piazza del mercato, in attesa che qualcuno li prenda a lavorare. Ma a volte il tempo passa, la vita scorre e non ci sentiamo riconosciuti o apprezzati. Forse non siamo arrivati in tempo, altri si sono presentati prima di noi, oppure le preoccupazioni ci hanno trattenuto altrove.

    . La metafora della piazza del mercato è molto adatta anche per i nostri tempi, perché il mercato è il luogo degli affari, dove purtroppo si compra e si vendono anche l’affetto e la dignità, cercando di guadagnarci qualcosa. E quando non ci si sente apprezzati, riconosciuti, si rischia persino di svendersi al primo offerente. Il Signore ci ricorda invece che la nostra vita vale, e il suo desiderio è di aiutarci a scoprirlo.

    . Anche nella parabola che oggi commentiamo ci sono degli operai in attesa di qualcuno che li prenda a giornata. Siamo nel capitolo 20 del Vangelo di Matteo e anche qui troviamo un personaggio che ha un comportamento insolito, che stupisce e interroga. È il padrone di una vigna, il quale esce di persona per andare a cercare i suoi operai. Evidentemente vuole stabilire con loro un rapporto personale.

    . Come dicevo, si tratta di una parabola che dà speranza, perché ci dice che questo padrone esce più volte per andare a cercare chi aspetta di dare un senso alla sua vita. Il padrone esce subito all’alba e poi, ogni tre ore, torna a cercare operai da mandare nella sua vigna. Seguendo questa scansione, dopo essere uscito alle tre del pomeriggio, non ci sarebbe più ragione di uscire ancora, perché la giornata lavorativa terminava alle sei.

    . Questo padrone instancabile, che vuole a tutti i costi dare valore alla vita di ciascuno di noi, esce invece anche alle cinque. Gli operai che erano rimasti sulla piazza del mercato avevano probabilmente perso ogni speranza. Quella giornata era andata a vuoto. E invece qualcuno ha creduto ancora in loro. Che senso ha prendere degli operai solo per l’ultima ora della giornata di lavoro? Che senso ha andare a lavorare solo per un’ora? Eppure, anche quando ci sembra di poter fare poco nella vita, ne vale sempre la pena. C’è sempre la possibilità di trovare un senso, perché Dio ama la nostra vita.

    . Ed ecco che l’originalità di questo padrone si vede anche alla fine della giornata, al momento della paga. Con i primi operai, quelli che vanno nella vigna all’alba, il padrone si era accordato per un denaro, che era il costo tipico di una giornata di lavoro. Agli altri dice che darà loro quello che è giusto. Ed è proprio qui che la parabola torna a provocarci: che cosa è giusto? Per il padrone della vigna, cioè per Dio, è giusto che ognuno abbia ciò che è necessario per vivere. Lui ha chiamato i lavoratori personalmente, conosce la loro dignità e in base ad essa vuole pagarli. E dà a tutti un denaro.

    . Il racconto dice che gli operai della prima ora rimangono delusi: non riescono a vedere la bellezza del gesto del padrone, che non è stato ingiusto, ma semplicemente generoso, non ha guardato solo al merito, ma anche al bisogno. Dio vuole dare a tutti il suo Regno, cioè la vita piena, eterna e felice. E così fa Gesù con noi: non fa graduatorie, a chi gli apre il cuore dona tutto Sé stesso.

    . Alla luce di questa parabola, il cristiano di oggi potrebbe essere preso dalla tentazione di pensare: “Perché cominciare a lavorare subito? Se la remunerazione è la stessa, perché lavorare di più?”. A questi dubbi Sant’Agostino rispondeva così: «Perché dunque ritardi a seguire chi ti chiama, mentre sei sicuro del compenso ma incerto del giorno? Bada di non togliere a te stesso, a causa del tuo differire, ciò ch’egli ti darà in base alla sua promessa».

    . Vorrei dire, specialmente ai giovani, di non aspettare, ma di rispondere con entusiasmo al Signore che ci chiama a lavorare nella sua vigna. Non rimandare, rimboccati le maniche, perché il Signore è generoso e non sarai deluso! Lavorando nella sua vigna, troverai una risposta a quella domanda profonda che porti dentro di te: che senso ha la mia vita?

     

    PAPA LEONE XIV: UNA PRIMA CHIAMATA TELEFONICA DA VLADIMIR PUTIN (4 giugno 2025)  

    Nel pomeriggio del 4 giugno Vladimir Putin ha telefonato a papa Leone. Una ‘prima’ tra il presidente russo e il nuovo pontefice romano, dopo che negli ultimi anni – in particolare dal febbraio 2022, quando l’Ucraina è  stata invasa dall’esercito russo -  il primo aveva evitato di rispondere agli appelli e ai gesti di Papa Francesco.

    Ricordiamo che il pontefice argentino e Putin si erano incontrati in Vaticano nel novembre 2013, nel giugno 2015 e nel luglio 2019 e nel corso dei colloqui la questione ucraina aveva assunto un’importanza sempre maggiore. In mezzo, il 12 febbraio 2016, all’aeroporto di L’Avana, il primo storico incontro tra un papa e il patriarca di tutte le Russie, con la firma di un documento congiunto Francesco-Kirill al cui punto 26 si deplorava “lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime”. (vedi anche  https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/627-dichiarazione-francesco-kirill-precisazioni-cattoliche-e-ortodosse.html ).

     L’aggravarsi della tensione tra Russia e Ucraina, sulle cui cause si potrebbe discutere a lungo, sfociava poi nell’invasione russa del 24 febbraio 2022. Il giorno seguente papa Francesco si recava all’ambasciata russa presso la Santa Sede a via della Conciliazione per un tentativo disperato di messaggio a Putin. Senza esito. Il 15 marzo 2022 ecco l’incontro in videoconferenza tra Francesco e Kirill, ma anche qui senza conseguenze positive. Poi, ufficialmente, è calato il silenzio, rotto solo dalla missione del cardinale Matteo Maria Zuppi inviato dal Papa per ragioni umanitarie a Mosca nel giugno 2023 e nell’ottobre 2024 (oltre che a Kiev, Washington e Pechino): in tali occasioni il presidente della Cei (e porporato di Sant’Egidio) aveva incontrato sia il patriarca Kirill che il ministro degli esteri russo Lavrov.

    Qualche giorno fa il contatto telefonico, originato ufficialmente dal proclamato desiderio di Putin di fare gli auguri al nuovo Pontefice (molto sensibile alla questione ucraina, evocata in diverse occasioni – assieme con quella di Gaza – nelle prime settimane di pontificato). Che cosa si sono detti Putin e Prevost? Il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni ha evidenziato subito che “il Papa ha fatto un appello affinché la Russia faccia un gesto che favorisca la pace”, rilevando che “nel corso della telefonata, oltre alle questioni di mutuo interesse è stata prestata particolare attenzione alla situazione in Ucraina e alla pace”. Leone XIV ha “sottolineato l’importanza del dialogo per la realizzazione di contatti positivi tra le parti e cercare soluzioni al conflitto” (chiaro il riferimento anche allo sforzo diplomatico della Santa Sede – attraverso la Segreteria di Stato – che si è detta disponibile come sede dei negoziati per il cessate il fuoco). Il Papa ha anche ricordato gli aspetti umanitari della crisi (vedi in particolare lo scambio di prigionieri) e “il lavoro che in questo senso svolge il cardinale Zuppi”. Kirill è stato ringraziato da Leone XIV per gli auguri di inizio pontificato, con la speranza che “i comuni valori cristiani possano essere una luce che aiuti a cercare la pace, difendere la vita e cercare un’autentica libertà religiosa”.

    Mosca, in una nota, ha comunicato che “la conversazione è stata costruttiva” e che “ambedue le parti hanno auspicato la prosecuzione dei contatti”. Vladimir Putin “ha espresso gratitudine” a Papa Leone XIV, per la sua “disponibilità a fornire assistenza nella risoluzione della crisi ucraina, in particolare per la partecipazione del Vaticano, su base depoliticizzata, alla risoluzione di urgenti questioni umanitarie”.

    Entrando nei dettagli nella nota si legge che Vladimir Putin “ha confermato il suo interesse a raggiungere la pace in Ucraina attraverso mezzi politici e diplomatici e ha sottolineato che per una risoluzione definitiva, equa e globale della crisi, è necessario eliminarne le cause profonde”. Per il presidente russo "il regime di Kiev sta puntando sull'escalation del conflitto e sta attuando sabotaggi contro infrastrutture civili sul territorio russo" (ricordati gli attentati ai treni passeggeri). Si legge ancora nella nota del Cremlino che Putin ha evidenziato “come la parte russa stia adottando tutte le misure possibili per il ricongiungimento dei bambini con i loro familiari”. Infine, ma non certo tema di minore importanza, Putin ha espresso la speranza che la Santa Sede faccia di più per difendere la libertà di culto in Ucraina, dove la Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca è sottoposta a misure vessatorie. Il riferimento fatto da Leone XIV alla “libertà religiosa” va probabilmente inteso anche nel senso ricordato dal presidente russo.

     

    CISGIORDANIA, GAZA: UNA RIFLESSIONE TORMENTATA DELLO STORICO ANTONIO MUSARRA SUSCITATA DAL FILM-DOCUMENTARIO 'NO OTHER LAND'

    Martedì 3 giugno 2025 abbiamo visto al Cinema delle Provincie di Roma (legato alla parrocchia di Sant’Ippolito, zona Piazza Bologna) un film-documentario che prometteva di essere di grande interesse, “No Other Land” (miglior documentario ai premi Oscar 2025) sulla situazione in Cisgiordania. Una proiezione non casuale, dato che in questi giorni – e fino a lunedì 16 giugno – il gruppo scout di Sant’Ippolito ospita 29 capi-scout proveniente dalla parrocchia gemellata di Zababdeh (villaggio cisgiordano in gran parte cristiano vicino a Jenin, vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1170-parrocchia-gaza-dolore-e-indignazione-ancora-riccardi-a-sant-ippolito.html ).

    Eravamo in duecentocinquanta a gremire la sala (molti i giovani). Soprattutto la serata è stata caratterizzata dalla grande attenzione con cui il pubblico ha seguito i tanti episodi drammatici evocati sullo schermo. E, alla fine, ne è scaturito un silenzio da mettere i brividi durato per più minuti. Nessuno osava parlare. La proiezione di “No Other Land “ ha dato occasione allo storico Antonio Musarra (collega nel Gruppo Cultura di Sant’Ippolito, docente alla Sapienza e collaboratore di ‘Avvenire’) di elaborare una riflessione tutt’altro che banale di cui proponiamo ampi stralci a chi ci legge.

    . La sala era gremita, ma ciò che colpiva era il silenzio. Un silenzio fitto, corale, come se tutti – per una volta – stessimo davvero ascoltando. Sullo schermo, la storia delle comunità palestinesi di Masafer Yatta, cancellate nella Cisgiordania occupata. A raccontarla, Basel Adra e Yuval Abraham: palestinese, l’uno; israeliano, l’altro. Coetanei, diversi per destino, uniti da una sola fedeltà: quella alla verità. Un film senza retorica, senza eroi. Soltanto volti, voci, rovine. Una delle immagini più laceranti mostra Harun Abu Aram, un attivista palestinese, colpito e paralizzato da un soldato dell’IDF mentre tenta di impedire la confisca di un generatore. Poco dopo, la madre, tra le macerie d’una casa demolita, sussurra: “Non abbiamo altra terra”. Quel titolo – "No Other Land" – non è una metafora: è un atto d’accusa e una diagnosi storica. La forza del film non sta solo nel dolore che documenta, ma nel coraggio con cui lo si nomina. Yuval non tace. Interroga. Chiama per nome le contraddizioni del proprio Paese, e nel farlo ci mette davanti a una domanda che ci riguarda tutti: qual è il nostro grado di responsabilità morale?

    . C’è una parola, nella tradizione ebraica, che può aiutarci a pensarla: teshuvà, che significa “ritorno”, ma anche “risposta”. È il nome del cammino che la coscienza intraprende quando decide di non ignorare il male compiuto. Non si tratta solo di colpa, ma di consapevolezza, di trasformazione. Teshuvà è conversione nel senso più profondo: non solo religiosa, ma etica. È la decisione di guardarsi dentro, di fare verità, di riparare. L’ebraismo non nega il peccato: lo assume. Non cerca un capro espiatorio: chiede il pentimento. Non invoca l’oblio: custodisce la memoria del male per convertirla in giustizia. (…)

    . Qui nessuno nega il diritto d'Israele d'esistere, nessuno nega gli orrori di Hamas, nessuno cancella la complessità di un conflitto radicato nella storia e nel sangue. Ma c'è un fatto. La teshuvà non si compie con parole solenni, ma con gesti concreti: fermare la colonizzazione, riconoscere l’altro, restituire ciò che è stato tolto. Chi porta un’arma ha sempre una scelta.

    Certo, tra le rovine, appaiono segni importanti. All’alba del primo giorno dell’ʿĪd al-Aḍḥā, mentre migliaia di palestinesi si accalcavano attorno ai luoghi di distribuzione del cibo, migliaia di cittadini israeliani portavano sacchi di farina ai checkpoint. Senza proclami. Solo per dire: “non in mio nome”. Il movimento "Standing Together" ha marciato fino alla barriera di Gaza, unendo ebrei e arabi in una protesta nonviolenta. In un Paese dominato dalla paura e dalla propaganda, questo è già un atto di ritorno: alla coscienza, all’umano (…) .

    . E qui, tuttavia, sorge una nota stridente, che riguarda maggiormente noialtri. Perché così tanti ebrei italiani tacciono? Non per mancanza di coscienza, spero. Né per cecità. Credo - ma posso soltanto immaginarlo -, a causa di una lacerazione profonda, che ha a che fare con la storia. Una paura duplice e fondata: da un lato, quella d’offrire involontariamente argomenti all’antisemitismo, d’esporsi a un’ondata d’odio che in Europa ha sempre trovato pretesti per risorgere; dall’altro, quella di spezzare un vincolo d’identificazione con Israele percepito come unica garanzia di sopravvivenza dopo la Shoah. È una paura che ha radici nel trauma, e che merita rispetto. Ripeto: non ho gli strumenti per capire dall'interno. Posso soltanto immaginare. Certo, se così fosse - e su questo dovremmo aprire la discussione -, si potrebbe obiettare che il trauma non può diventare prigione. Proprio la Shoah impone un compito diverso: non la fedeltà cieca, ma la vigilanza morale. Non l’identificazione incondizionata, ma la distinzione tra vendetta e giustizia. In molte sinagoghe italiane si prega per la pace, ma si tace sul prezzo della guerra. Si teme di apparire infedeli, traditori, ambigui. Ma la vera ambiguità è il silenzio. È credere che la fedeltà consista nell’adesione. Che amare Israele significhi giustificarlo. Nossignori: il vero amico non è chi applaude sempre, ma chi avverte quando il cammino devia. Come fece Natan con Davide. (…)

    . Per questo mi rivolgo a voi, amici ebrei: se non sarete voi a ribellarvi, ad alzare la voce, a chiedere giustizia e non solamente vendetta, Israele si smarrirà. Anzi, forse si è già smarrito. Non per mano dei propri nemici, ma sotto la guida di uomini che hanno smarrito la misura, trascinando con sé l’intera nazione nel peso della propria cecità morale. Il vostro silenzio pesa, pesa il doppio, perché nasce da una coscienza che conosce il dolore. "Kol Yisrael arevim zeh ba-zeh". "Tutto Israele è responsabile l’uno dell’altro". Non c’è identità che valga, se rinuncia a interrogarsi. È tempo di scegliere. Perché "chi ha lottato con Dio" può ancora lottare per l’uomo. E, forse, proprio da questo ritorno – difficile, doloroso, necessario – potrà nascere non la fine, ma un principio.

     

    IN MEMORIA DELLO STORICO GIUSEPPE PARLATO 

    E’ mancata nei giorni scorso, il 2 giugno 2025, una voce indubbiamente importante nel panorama degli storici italiani. Quella del settantatreenne Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice e già rettore dell’Università San Pio V di Roma. L’abbiamo incontrato in più occasioni presso il Liceo classico Giulio Cesare di Roma, invitato per riflettere (sempre con misura) con gli studenti su foibe e esodo istriano-giuliano-dalmata, un argomento cui era molto sensibile (vedi ad esempio

    https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1181-giorno-del-ricordo-al-giulio-cesare-parlato-micich-shoah-a-fiume.html e

    https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/928-27-gennaio-10-febbraio-voci-ebraiche-mattarella-liceo-giulio-cesare.html ).

    Nato nel 1952 a Milano, laureato in Storia a Torino nel 1974, ha avuto una formazione cattolica, membro anche di un gruppo giovanile degli anni Settanta legato a Luigi Gedda. Dopo la tesi sui moti risorgimentali del 1821-22 (che lo fece bollare come ‘reazionario’) trovò difficoltà a inserirsi nel mondo universitario (non era neofascista, ma si era a Torino negli Anni Settanta…); nel 1977, trasferitosi a Roma, fu chiamato tra gli assistenti dello storico De Felice, biografo di Mussolini. Da subito si occupò anche di quella che sarebbe divenuta la Fondazione Ugo Spirito (cui proprio Parlato – divenutone presidente - volle fosse aggiunto il nome di Renzo De Felice). Parlato, lasciato il Risorgimento, si occupò dapprima di sindacalismo fascista (in particolare della ‘sinistra fascista’), poi ampiamente del neofascismo italiano nella Seconda Repubblica. Lo fece con rigore di ricerca e serenità di giudizio, ma ciò non bastò a facilitargli la carriera in un mondo accademico di impronta sinistra o conformista, poco incline ad accogliere voci dissonanti.

    Così, subito dopo la morte, lo ha ricordato il Corriere della Sera: “L’opera dello storico Giuseppe Parlato (…) è un punto di riferimento per chiunque si sia occupato del neofascismo. A lui si devono ricerche sulle origini del MSI e sulla fase cruciale degli anni Settanta, svolte sulla base di un vaglio attento della documentazione disponibile, distante sia dalla vulgata apologetica dell’ambiente nostalgico, sia dall’impostazione militante di alcuni autori antifascisti”. Omaggio postumo da parte del Corrierone e molto significativo. Come quello di Avvenire per la penna di Giovanni Tassani (“Se anche le destre italiane in età postfascista hanno potuto cominciare a contare su un’attenzione storica e archivistica, ed il loro patrimonio non è andato disperso in mille rivoli, lo si deve in parte rilevante all’impegno di uno storico colto e attento come Giuseppe Parlato”). Mentre su La Verità il ricordo commosso di Claudio Siniscalchi appare sotto il titolo “Addio al maestro rigoroso e sornione che alla carriera preferì la libertà”.   

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