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    TERRASANTA/RIARMO: PAPA, PAROLIN, PIZZABALLA, MORLACCHI, MUSARRA

    TERRASANTA/RIARMO: PAPA, PAROLIN, PIZZABALLA, MORLACCHI, MUSARRA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 27 giugno 2025

    Altre parole di papa Leone XIV da meditare su riarmo, pace, guerra, Medio Oriente. Contro il riarmo “mobilitazione” per il card. Parolin. Il card. Pizzaballa sulla questione palestinese e i cristiani di Terrasanta. Testimonianza di don Filippo Morlacchi a Sant’Ippolito davanti a oltre duecento persone. Lo storico Antonio Musarra invita a riflettere su che cosa è la guerra, grande affare per il ‘necrocapitalismo’.

    PAPA LEONE XIV: APPELLO PER IL MEDIO ORIENTE (DALL’UDIENZA GENERALE del 25 GIUGNO 2025 (piazza San Pietro)

    . Domenica scorsa è stato compiuto un vile attentato terroristico contro la comunità greco-ortodossa nella chiesa di Mar Elias a Damasco. Affidiamo le vittime alla misericordia di Dio ed eleviamo le nostre preghiere per i feriti e i familiari. Ai cristiani del Medio Oriente dico: vi sono vicino! Tutta la Chiesa vi è vicina!

    Questo tragico avvenimento richiama la profonda fragilità che ancora segna la Siria, dopo anni di conflitti e di instabilità. È quindi fondamentale che la comunità internazionale non distolga lo sguardo da questo Paese, ma continui a offrirgli sostegno attraverso gesti di solidarietà e con un rinnovato impegno per la pace e la riconciliazione.

    . Continuiamo a seguire con attenzione e con speranza gli sviluppi della situazione in Iran, Israele e Palestina. Le parole del profeta Isaia risuonano più che mai urgenti: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4). Si ascolti questa voce, che viene dall’Altissimo! Si curino le lacerazioni provocate dalle sanguinose azioni degli ultimi giorni. Si respinga ogni logica di prepotenza e di vendetta e si scelga con determinazione la via del dialogo, della diplomazia e della pace.

    PAPA LEONE XIV: RIARMO, FAKE NEWS, DIRITTO INTERNAZIONALE, PACE E GUERRA – DAL DISCORSO ALLA ROACO (Sala Clementina, 26 giugno 2025) – (ALTRO CHE ‘SI VIS PACEM, PARA BELLUM’)

    (L’occasione è stata data dall’assemblea plenaria della ROACO, Opere per l’aiuto alle Chiese orientali)

    . La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima. Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news.

    . È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti! (NdR: altro che ‘si vis pacem, para bellum’, motto atto a normalizzare nell’opinione pubblica il ricorso alla forza delle armi per dirimere una vertenza, sdoganando le parole del linguaggio bellicista!)

    . (…) C’è la testimonianza. È la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. È imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile. Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione.

     

    CARD. PAROLIN SUL RIARMO (21 giugno 2025)

    A margine di un incontro sul “debito ecologico” svoltosi in Campidoglio il 21 giugno 2025, rispondendo a domande dei giornalisti ha detto il cardinale Parolin, Segretario di Stato, a proposito di quella che molti giudicano una folle, assurda (salvo che per le tasche dei mercanti d’armi, dei governanti loro servi e dei turiferari mediatici d’ordinanza) corsa al riarmo: “E’ bene che ci sia una mobilitazione in generale per evitare la corsa al riarmo”, richiamando poi l’invito di papa Francesco a utilizzare “i fondi impiegati per le armi per risolvere i problemi della fame”.

     

    CARD. PIZZABALLA SULLA QUESTIONE PALESTINESE, SU GAZA E CISGIORDANIA (da un’intervista a Francesca Caferri di ‘Repubblica’, apparsa il 25 giugno 2025)

    . (sul cessate il fuoco tra Israele e Iran): Ogni speranza di pace sarà fragile e instabile finché non si affronterà la questione palestinese. (…) Fino a quando non si affronterà in maniera seria e radicale la questione palestinese, qualsiasi futuro assetto regionale – e chissà se sarà necessario avere un nuovo assetto – resterà incompleto. (…)

    . (cristiani): Noi siamo pochi. Inutile dire che la nostra preoccupazione principale ora è per la piccola comunità di Gaza (…) Sono grato della testimonianza che danno, perché sono in condizioni estremamente difficili, ma continuano a vivere nella fede. Ma la situazione è molto complicata anche in Cisgiordania: c’è un continuo deterioramento delle condizioni di vita, posti di blocco, permessi di lavoro cancellati, villaggi sottoposti alla violenza dei coloni senza che nessuno intervenga. E’ difficile avere una vita normale, lavorare, andare in ospedale, spostarsi: e non si capisce fino a quando durerà, se e come finirà. Tutto questo crea un senso di insicurezza, di sfiducia, di disorientamento, complesso da descrivere. Si parla molto della fame di Gaza: ma anche in Cisgiordania c’è fame, perché la gente non ha soldi per comprare da mangiare. Pensi solo alle famiglie, e sono migliaia, che dipendevano dall’industria del turismo.

    . (futuro) Io credo che in mezzo a questa guerra atroce, a questa situazione assolutamente drammatica, quello che dobbiamo fare è resistere: ma non in maniera passiva. Va molto di moda la parola ‘resilienza’ oggi: non la userò direttamente, ma voglio dire che il nostro sforzo è continuare a fare di tutto per esserci. E anche per parlare: noi di fronte al male abbiamo il dovere di dire qualcosa. Le immagini di Gaza sono immagini che toccano l’umanità: e in un contesto in cui c’è la tendenza a deumanizzare l’altro, credo che sia importante tutto questo desiderio di solidarietà che vediamo verso la gente di Gaza. Noi, come Chiesa, a parte i pochi aiuti monetari che possiamo dare, abbiamo solo un’arma: la parola. E dunque, continueremo a parlare. Senza vergogna e senza paura. Anche se l’attenzione del mondo andrà da un’altra parte”.

     

    DON FILIPPO MORLACCHI A SANT’IPPOLITO: RIFLESSIONI SULLA SITUAZIONE IN TERRASANTA

    Chi ci legge conosce il cinquantacinquenne don Filippo Morlacchi che - già direttore dell’Ufficio diocesano di Roma per la pastorale scolastica e dell’insegnamento della religione cattolica oltre che collaboratore (dal 2003) della parrocchia di Sant’Ippolito martire a piazza Bologna – nel settembre 2018 ha raggiunto Gerusalemme come sacerdote fidei donum della diocesi del Papa (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/807-parla-don-filippo-morlacchi-da-roma-a-gerusalemme.html ). In questi anni abbiamo riprodotto più volte le sue riflessioni dalla Terrasanta, soprattutto in materia di dialogo tra cattolici ed ebrei, ultimamente in relazione al conflitto israelo-palestinese (vedi ad esempio https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1218-dialogo-tra-cattolici-ed-ebrei-parole-di-verita-da-don-morlacchi.html).

    Era previsto che don Morlacchi tornasse per alcuni giorni in questo mese di giugno a Roma. Dopo un viaggio un po’ avventuroso date le circostanze, c’è riuscito (sempre ripromettendosi in ogni caso di tornare a breve a Gerusalemme, per continuare a condividere la testimonianza quotidiana con i cristiani locali) ed è così approdato lunedì sera 23 giugno 2025 anche a Sant’Ippolito (cinema delle Provincie) per riflettere ad alta voce su quanto sta accadendo nella terra di Gesù.

    La parrocchia di Sant’Ippolito da tempo si dimostra molto sensibile alla sorte dei cristiani palestinesi, con aiuti finanziari e con il gemellaggio – insieme con la diocesi di Verona - con la parrocchia di Zababdeh in Cisgiordania (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1170-parrocchia-gaza-dolore-e-indignazione-ancora-riccardi-a-sant-ippolito.html ). Dal 6 al 16 giugno (in realtà, date le contingenze, per diversi giorni in più) 27 capi scout di Zababdeh, aderenti all’Associazione degli scout cattolici di San Giovanni Battista, sono stati ospiti della parrocchia romana (in particolare del gruppo scout Roma 62 e delle relative famiglie). Un’esperienza che, a quanto ci si dice, ha permesso di consolidare i rapporti tra le parti e di incrementare la conoscenza reciproca.

    La testimonianza di don Filippo si è dunque inserita in un humus parrocchiale già predisposto all’ascolto. Dopo la santa messa solenne, condecorata dal coro parrocchiale diretto da Micol Fontana (nell’omelia un appello alla conversione dei cuori per evitare di ripetere gli errori già condannati dalla storia), don Filippo ha dunque intrattenuto per un’ora e mezzo un pubblico desideroso di riflettere sulla situazione tanto complessa quanto tragica che si registra in Israele e Palestina.

    Dalle considerazioni – di certo pacate, equilibrate e frutto anche dell’esperienza diretta - di don Morlacchi (cui la sala ha posto alcune domande finali) ne estrapoliamo alcune che sembrano particolarmente interessanti per chi ci legge.

    La prima considerazione riguarda le sofferenze recenti legate agli ultimi sviluppi di un conflitto che dura in realtà da un secolo (ancor prima della nascita dello Stato di Israele).

    Sofferenze palestinesi: a Gaza e in Cisgiordania. A Gaza, ha detto don Morlacchi la situazione è tragica. Quasi tutto è stato raso al suolo, da missili, bombardamenti o ruspe. Queste ultime continuano il loro lavoro per cancellare ogni traccia di presenza palestinese. La gente non ha più una casa. I bambini da oltre due anni non possono più andare a scuola. In ambito sanitario non è più possibile praticare l’anestesia e le operazioni chirurgiche si fanno su carne viva. La fame è una tristissima realtà e, per sperare di riuscire ad avere un po’ di cibo, dal nord della Striscia si devono fare chilometri verso sud su strade sterrate, sotto il sole per raggiungere i centri di distribuzione vicini alla frontiera con l’Egitto. In ogni caso con il rischio all’arrivo di essere vittima degli spari dell’esercito israeliano. Evidente il tentativo di Israele di costringere i palestinesi ad andarsene da Gaza. In Cisgiordania è palese il tentativo analogo di sbarazzarsi dei palestinesi, concretizzando il disegno di una Grande Israele “dal fiume al mare” già auspicato nel 1923 (e di cui il partito di maggioranza, il Likud, è figlio). Vessazioni continue, ruspe al lavoro, mentre si moltiplicano i nuovi insediamenti dei coloni israeliani ultraortodossi.

    Sofferenze israeliane: non bisogna sottovalutare, ha evidenziato don Morlacchi, anche il trauma dolorosissimo provocato in molti israeliani sia dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 che dalla guerra contro l’Iran incominciata il 13 giugno 2025. A differenza dei palestinesi gli israeliani non erano abituati a soffrire, certi di abitare in un Paese-fortezza quasi invincibile, in ogni caso a prova di distruzione. Invece il 7 ottobre si sono sbriciolate molte sicurezze e il 13 giugno forse ancora peggio: vedere nel cuore delle proprie città edifici sventrati dai missili balistici iraniani ha richiamato immediatamente altre immagini cui gli israeliani erano abituati, quelle della distruzione di Gaza. Con effetti devastanti sulla psiche e, come ha rilevato don Morlacchi, con gli psicoterapeuti subissati di richieste di aiuto.

    Le due sofferenze “immense”, quella israeliana e quella palestinese, sono purtroppo incapaci di comprendersi reciprocamente, ha annotato don Morlacchi. E ciò impedisce a breve e medio termine la conversione dei cuori.

    Una seconda considerazione di don Morlacchi riguarda la situazione dei cristiani in Terrasanta. A Gaza è nota ed esemplare nella sua testimonianza la vicenda della parrocchia della Sacra Famiglia retta dal sacerdote argentino del Verbo Incarnato don Gabriel Romanelli (papa Francesco gli telefonava ogni giorno). Vi vivono 131 cattolici, cui si aggiungono alcune centinaia di ortodossi affluiti dalla parrocchia di San Porfirio, oggetto tempo fa di un bombardamento israeliano che provocò 18 morti. Del resto anche la Sacra Famiglia ha contato i suoi morti, due donne uccise da un cecchino israeliano mentre andavano al bagno; e ha avuto le sue distruzioni, come quella della scuola demolita da Israele in nome del “loro (Hamas) ci lanciano i missili e voi pagate”. I cristiani di Gaza hanno perso tutto, ha evidenziato don Morlacchi, però non odiano. Vivono la loro giornata tra preghiere e pasti miseri, constatando quotidianamente che “oggi siamo vivi e siamo riusciti a mangiare”.

    Dappertutto in Cisgiordania i cristiani soffrono. Divieto di entrare in Israele (dove lavorava la maggior parte), crollo del turismo religioso (in particolare a Betlemme), lotta quotidiana per mangiare. La tentazione per i cristiani è grande: andarsene, per cercare un futuro migliore per i figli. Non è facile resistere, anche se – ha qui rilevato il parroco don Manlio Asta – gli scout di Zababdeh hanno detto di voler restare in Cisgiordania per dare una forte e indispensabile testimonianza di fedeltà alla Parola del Vangelo, scongiurando una Terrasanta priva di cristiani. Il cristiano, ha sottolineato don Morlacchi, sa che in Terrasanta è a casa sua da due millenni, “mentre lo Stato di Israele è nato solo nel 1948”.

    Una terza considerazione di don Morlacchi attiene alle possibilità di pace nella regione. Non esistono al momento movimenti significativi di popolo verso tale obiettivo. In Israele gli ebrei pacifisti sono una minoranza, magari culturalmente elevata, ma de facto incapace di incidere nella vita pubblica, in cui deve confrontarsi con un politico tanto spregiudicato quanto abile come Netanyahu che, attaccando l’Iran, è riuscito da una parte a distogliere l’attenzione da Gaza e dall’altra a ricompattare o quasi una nazione. Anche tra i palestinesi i sentimenti pacifisti non prevalgono certo, schiacciati dal dolore per le tante sofferenze subite anche di questi tempi. Si arriverà mai, ha osservato don Morlacchi, a gridare “Mai più la Shoah!” e insieme “Mai più Gaza!” ?. Per l’ebraismo la memoria è sacrosanta… però bisogna anche riuscire a perdonare e dimenticare. Se si insiste nel pretendere un equilibrio di giustizia (“Tu mi mandi un missile? E io te ne mando un altro”) non si giungerà mai alla pace. Che, contrariamente a quanto pensa la grande maggioranza di israeliani e palestinesi, non si può costruire con la forza, con la violenza delle armi.

     

    ANTONIO MUSARRA: DAL ‘PENSIERO’ DI DOMENICA 22 GIUGNO 2025 (‘NECROCAPITALISMO. L’ECONOMIA DELLA DISTRUZIONE’)

    . La guerra è sempre un investimento. È l’espressione compiuta di un sistema che incorpora la distruzione come funzione produttiva. Un sistema in cui la morte non è uno scandalo, ma uno strumento: si uccide per aprire mercati, si devasta per controllare risorse, si semina terrore per ridisegnare bilanci. Si chiama necrocapitalismo: l’economia politica della morte messa a reddito. I civili non sono più vittime, ma statistiche; le città rase al suolo diventano report; i bambini sotto le macerie non interrompono il ciclo delle decisioni. L’opinione pubblica, fino a ieri indignata, si volta dall’altra parte. Il “lavoro sporco” viene compiuto, e il mondo dei benpensanti applaude. Come se nulla fosse accaduto. Il problema, allora, non è solo politico o militare: è morale. Possiamo dirci “diversi” mentre riproduciamo lo stesso cinismo che attribuiamo ai regimi che diciamo di combattere? Se la guerra diventa prassi, se il massacro viene razionalizzato, se le responsabilità si diluiscono fino a sparire, il problema non è più chi comanda. È chi tace.

    . C’è un passo famoso de ‘Il Signore degli Anelli’ che mi viene in mente spesso, specie in tempi come questi. Parlando di Gollum, Frodo esclama: “Che peccato che Bilbo non abbia pugnalato quella vile creatura quando ne ha avuto la possibilità”. E Gandalf: “Peccato? È stata la pietà a trattenere la sua mano. Pietà e misericordia: non colpire senza necessità (...). Molti di quelli che vivono meritano la morte. E alcuni di quelli che muoiono meritano la vita. Puoi tu darla loro? Allora non essere troppo ansioso di infliggere la morte in giudizio. Perché nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze”. Ecco: se davvero vogliamo essere “diversi”, ricominciamo da qui. Dalla pietà. Dalla sospensione del giudizio sommario. Dalla resistenza morale al terrorismo di Stato.

    Perché non c’è pace, non c’è sicurezza, non c’è progresso, non c’è civiltà possibile in un mondo dove il potere si misura sul numero di morti che può permettersi.

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