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    ZUPPI A SANT'IPPOLITO - DON MORLACCHI DA GERUSALEMME - CASARINI

    ZUPPI A SANT’IPPOLITO – DON MORLACCHI DA GERUSALEMME – CASARINI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 ottobre 2023

    Nella premessa l’ascesa ecclesiale dell’astro no-global Luca Casarini – Martedì sera il cardinal Zuppi nella parrocchia romana di Sant’Ippolito a parlare dell’uomo essere sociale, del Male che si riproduce, della necessità di mettersi d’accordo (anche di Terrasanta e Ucraina): 300 i presenti. Una serie di riflessioni di attualità da Gerusalemme proposte ad alcuni amici di Sant’Ippolito da don Filippo Morlacchi.

    PREMESSA: LUCA CASARINI ESIBITO TRIONFALMENTE IN SALA STAMPA… MA LO FARANNO PAPA?

     

    Nell’incontro-stampa sinodale di ieri i presenti hanno potuto godere della vista e dell’ascolto di uno degli otto Invitati Speciali (con le maiuscole, come appare dal Regolamento): Luca Casarini, già scatenato capopolo no-global – rozzo nei modi, triviale nel linguaggio – durante la sommossa di Genova del 2001 e oggi indagato in Italia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina da capo-missione della nave-taxi Mediterranea (in ballo tra l’altro contatti dubbiosi con gli scafisti e, pur non penalmente rilevante, un’intercettazione in cui, rallegrandosi per una grossa somma in denaro incassata, esplode in un “Stasera brindo a champagne!”). Si sa che il no-global Casarini - che rivendica orgogliosamente il proprio passato e non perde occasione di insultare misericordiosamente per il presente il governo Meloni - è di casa a Santa Marta, dove è caro agli occhi di Jorge Mario Bergoglio per il suo impegno, che oggi è fondamentalmente quello di tassista marino.

    E’ un Invitato Speciale… ce ne sono otto a questo Sinodo dei vescovi e dei non vescovi. Si legge all’art. 12 § 2 della Costituzione apostolica Episcopalis communio (2018, ripresa poi nel Regolamento sinodale): “In determinate circostanze possono essere designati, senza diritto di voto, alcuni Invitati Speciali, cui si riconosca una particolare autorevolezza in riferimento al tema dell’Assemblea del Sinodo”. C’è qualche maligno che osi mettere in dubbio l’autorevolezza di Casarini – del resto già beatificato sfrontatamente dai media turiferari vaticani e dalla galassia turiferaria italiana - in materia di sinodalità, di comunione, partecipazione e missione ecclesiale? Se ci fosse, diamogli subito una risposta forte: modifichiamo con un blitz, dopo le norme riguardanti il Sinodo dei vescovi (divenuto dei vescovi e dei non vescovi), anche quelle concernenti il conclave. Rendiamolo insomma “Conclave di cardinali e di non cardinali”. E allora forse Casarini ce la farà anche a diventare papa di cattolici e non cattolici…. sempre che lo Spirito Santo non ci metta una pezza.

    Ancora a proposito di Casarini: chissà come sarà contento il Governo italiano per la tribuna mediatica che la Segreteria del Sinodo dei vescovi e dei non vescovi, utilizzando il Dicastero della comunicazione della Santa Sede, ha voluto offrire all’autorevole Invitato Speciale indagato dalla Giustizia peninsulare…che ne dice la Segreteria di Stato? In ogni caso il discredito è assicurato e a patirne è l’immagine già compromessa del cattolicesimo.  

    Un’altra perla a proposito di Sinodo. Martedì tra i partecipanti all’incontro-stampa emergeva il cardinale Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark (tra i suoi predecessori il noto Theodore Edgar McCarrick, alla cui nidiata ideologica apparteneva). Nel suo intervento aveva parlato di inclusività ed elogiato la sua cattedrale dalle porte aperte per aver accolto la comunità lgbt. A proposito di inclusività…richiesto dalla collega Diane Montagna di enunciare le ragioni dell’emarginazione nella sua diocesi dei cattolici fedeli alla ‘messa in latino’, il porporato ha evidenziato che nella Chiesa anche altri soffrono, come quei fedeli dell’arcidiocesi di Indianapolis cui erano state chiuse le parrocchie costruite lungo una linea ferroviaria soppressa. Insomma: no treno, no messa. Dopo questo paragone perlomeno bizzarro, Tobin ha detto che in ogni caso i fedeli alla ‘messa in latino’ hanno ancora qualche possibilità di seguirla, naturalmente rispettando le nuove norme di Santa Marta che hanno fatto strame del Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007). E così ha aggiunto anche la beffa.

     

    IN TRECENTO AD ASCOLTARE IL CARD. ZUPPI A SANT’IPPOLITO: TRA I TEMI ANCHE LA GUERRA IN TERRASANTA E QUELLA TRA RUSSIA E UCRAINA – IL MALE SI RIPRODUCE, MA NOI NON LO SAPPIAMO PIU’ RICONOSCERE, INEBRIATI DAL NOSTRO EGO: NON E’ VERO CHE ‘VA TUTTO BENE’  – LA NECESSITA’ DI METTERSI D’ACCORDO

     

    Era la prima di otto serate che il Gruppo Cultura della parrocchia romana di Sant’Ippolito martire (presso piazza Bologna) ha previsto per quest’anno pastorale 2023-24. Diciamo subito che l’afflusso di parrocchiani e altri interessati è stato rilevante: circa trecento i presenti a gremire la sala del Cinema delle Provincie. Il filo rosso che lega gli otto appuntamenti previsti è costituito dalla domanda fondamentale: “Di che cosa sei capace, uomo?”. La prima serata in particolare era centrata su “L’uomo essere sociale. La sfida di mettersi d’accordo”. Certo il conferenziere annunciato ha contribuito in misura notevole a popolare la sala: il cardinale Matteo Zuppi è conosciuto poiché, con il suo stile romanesco-colloquiale, riesce generalmente a farsi ascoltare da tutti. E così è stato anche a Sant’Ippolito.

    Presentato dal parroco mons. Manlio Asta, il presidente della Cei ha esposto alcune sue riflessioni sul tema nei primi tre quarti d’ora e nei secondi ha risposto a otto domande poste da un pubblico misto per età.

    Il porporato - figlio di un giornalista de L’Osservatore Romano e di una nipote del cardinale Carlo Confalonieri – ieri 11 ottobre (giorno conciliare per eccellenza) festeggiava il sessantottesimo compleanno: presumiamo che la serata a Sant’Ippolito abbia ben introdotto la ricorrenza.

    Rileviamo che, pur essendo a Roma per il Sinodo, Zuppi non ne ha parlato neanche brevemente. Del resto il tema, a testimonianza del grande interesse suscitato nel popolo cattolico, non ha trovato spazio in nessuna delle domande.

    Cerchiamo adesso di riproporre alcune delle considerazioni rossoporpora ascoltate nella serata.

    . E’ vero che l’uomo è capace di tutto. Perciò è sorprendente che “l’epifania” del Male ancora ci sorprenda.

    . Qui il presidente della Cei ha fatto riferimento (molto trasparente) agli orrori di questi giorni registrati in Israele: “Uccidere mille persone è un atto che va condannato senza se e senza ma. Non è accettabile nessuna giustificazione. Poi si potrà sempre discutere su come si combatte la violenza in prospettiva futura, ma la condanna di questi atti deve essere fermissima”.

    . Purtroppo il Male, ha continuato l’’attuale arcivescovo di Bologna, ha una capacità incredibile di riproduzione e addirittura di creare la convinzione in chi lo compie di essere nel giusto: “Tanti di quelli che hanno ucciso i bambini agivano come ‘i volonterosi carnefici di Hitler’.

    . Noi in genere siamo inebriati, anzi storditi dal benessere, tanto che abbiamo perso la capacità di riconoscere il Male e di combatterlo. Non è vero che “va tutto bene”, slogan irragionevole. Non è vero che “non c’è problema”. Non abbiamo più paura del Giudizio finale, “tanto spiegheremo tutto al Padreterno”. Invece, nella realtà, “il conguaglio arriva prima, già in questa vita, quando siamo costretti a confrontarci con le nostre fragilità e le nostre contraddizioni”.

    . Il fatto grave è che siamo innamorati di noi stessi, centriamo tutto sul nostro ego, non facciamo più figli. Di più: “Siamo riusciti a far credere che il richiamo a uno stile di vita evangelico fa vivere male”. Non parliamo poi dell’idea di sacrificio… “E’ troppo, è eccessivo… e non ci rendiamo conto che il sacrificio è un atto di amore”.

    . La vita è l’arte dell’incontro e dunque ognuno è il mio prossimo. Devo trovare con lui ciò che ci unisce. Tanto più che siamo sulla stessa barca ovvero il condominio è uno solo. Dobbiamo addomesticarci come ha fatto Francesco con il lupo di Gubbio. Il Poverello di Assisi non ha fatto sconti al lupo, gli ha ricordato i suoi peccati, lo ha reso quindi consapevole dei suoi misfatti e non l’ha condannato. L’ha condotto a Gubbio. E, due anni dopo, la sua morte dispiacque anche agli abitanti della città.

    . Tra i temi delle domande del pubblico l’eventualità di un ritorno del ‘partito dei cattolici’ nella politica italiana (“Impensabile”) e la fatica di mettersi d’accordo (a tale proposito Zuppi qui ha citato più volte l’enciclica Fratelli tutti). Una faticaccia, come si riscontra riguardo alla guerra sviluppatasi in Ucraina (e non solo): “Un conflitto scoppiato dopo 8 anni di un accordo non applicato (NdR: quello di Minsk ). E’ però evidente che la Russia ha perso tutte le buone ragioni che aveva invadendo l’Ucraina”. Per il porporato santegidino la situazione è molto difficile. Ci vorrebbe un’autorità sovranazionale che riesca a imporre il negoziato. Ma per le parti oggi accettare tale soluzione avrebbe il sapore di una sconfitta.

    Prossimi appuntamenti con le serate culturali di Sant’Ippolito: martedì 7 novembre 2023 con l’arcivescovo Rino Fisichella  (“L’uomo è capace di Dio?”) e martedì 5 dicembre 2023 con lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio (“L’uomo e la guerra”).

     

    DA GERUSALEMME ALCUNE RIFLESSIONI DI DON FILIPPO MORLACCHI SUGLI ULTIMI E ORRENDI AVVENIMENTI

     

    Lunedì 9 ottobre pomeriggio don Filippo Morlacchi ha condiviso con alcuni amici di Sant’Ippolito alcune riflessioni sulla situazione in Terrasanta caratterizzata nei giorni scorsi dal tanto determinato quanto feroce attacco di Hamas e alleati al popolo di Israele. I lettori di www.rossoporpora.org conoscono don Morlacchi che, da collaboratore parrocchiale di Sant’Ippolito, nel 2018 si è trasferito a Gerusalemme come sacerdote fidei donum della diocesi di Roma presso il Patriarcato latino (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/807-parla-don-filippo-morlacchi-da-roma-a-gerusalemme.html ). Del testo di don Morlacchi proponiamo alcuni passi significativi.

    . Poiché tante persone, preoccupate, mi chiedono notizie su quel che accade in queste ore in Terrasanta, scrivo questa nota per riassumere i fatti, e condividere alcune valutazioni e opinioni personali. (…)  Ciò che è accaduto in Israele all’alba di sabato 7 ottobre 2023 è un evento tragico di portata storica, che non lascerà il mondo come prima. Correttamente osservatori politici parlano dell’ “11 settembre di Israele” e qualcuno l’ ha definita “la giornata più sanguinosa per il popolo ebraico dai tempi della Shoah”. Nonostante la superiore potenza militare israeliana e l’efficienza proverbiale dei suoi famosi servizi di intelligence, il braccio armato di Hamas e alcuni gruppi della Jihad islamica, approfittando di un mattino di shabbat e della conclusione delle feste di Sukkot, dalla Striscia di Gaza sono riusciti a sorpresa a violare i confini e a penetrare nel territorio israeliano. Lo hanno fatto via aria, con dei semplici parapendii a motore; via acqua, con ordinari gommoni; via terra, con pickup, automobili civili e semplici motociclette. Il lancio di oltre 2.000 missili in poche ore ha saturato e reso inefficace il sistema di difesa israeliano Iron dome, provocando vittime e danni, e soprattutto distogliendo l’attenzione delle forze armate israeliane dalla difesa dei confini. Così in breve tempo, nonostante la strumentazione rudimentale a disposizione, molte centinaia di uomini armati hanno aggredito sul territorio israeliano postazioni militari e abitazioni private, civili a passeggio e giovani in festa, uccidendo brutalmente molte centinaia di persone (oltre ottocento quelle registrate al momento  -lunedì 9 alle ore 15 - ma probabilmente molte di più) e deportando nella striscia di Gaza almeno un centinaio di persone, tra prigionieri militari e ostaggi civili. I social media hanno trasmesso video raccapriccianti delle uccisioni a sangue freddo da parte degli uomini di Hamas, delle brutali efferatezze con cui si sono accaniti contro i cadaveri, e delle umiliazioni a cui sottoponevano i prigionieri.

    . La strategia del terrore ha funzionato: gli ebrei, che considerano lo Stato di Israele come “il rifugio sicuro” dalle persecuzioni e dall’odio antisemita, si sono trovati nuovamente vulnerabili e minacciati, stavolta in casa propria. Questo fenomeno avrà un impatto determinante sulle future politiche israeliane. La risposta militare di Israele non è stata tempestiva – e questo ritardo ha innescato vivaci polemiche interne sulle responsabilità della débacle – ma ovviamente non è mancata: massicci bombardamenti a Gaza hanno prodotto in poche ore diverse centinaia di vittime, molte delle quali civili, donne e bambini; numerose unità dell’esercito insieme a decine di carri armati sono state trasferite al confine con la striscia di Gaza, in vista – forse – di un attacco da terra.

    . Ma la presenza dei numerosi prigionieri rende più complessi i bombardamenti, anche quelli mirati, per timore di uccidere connazionali usati come scudi umani: Hamas ha già dichiarato che quattro ostaggi sarebbero morti sotto le bombe. Inoltre la cattura di ostaggi conferisce al governo di Gaza un potere assolutamente nuovo nelle trattative, come “merce di scambio” per ottenere il rilascio dei prigionieri palestinesi.

    . I media israeliani e occidentali definiscono “terroristi” i paramilitari di Hamas e della Jihad, ed è innegabile che lo siano, perché colpiscono brutalmente e deliberatamente civili inermi e soprattutto aspirano alla distruzione totale dello Stato di Israele. D’altronde, per la prima volta con questa efficacia, questi uomini, che si considerano non terroristi, ma una forza armata regolare, hanno colpito anche obiettivi militari israeliani, come caserme e stazioni di polizia. Inoltre ai civili rapiti, che a buon diritto possono definirsi “ostaggi”, si affiancano stavolta anche numerosi “prigionieri di guerra” militari. Questa strategia bellica (…)  è un elemento nuovo. Ed è ciò che ha maggiormente sorpreso tutti. Nel contesto arabo e palestinese, l’operazione viene definita una “vittoria militare contro la potenza occupante”, cioè Israele. Questa descrizione dei fatti è inaccettabile per Israele, che considera l’aggressione un vile atto di terrorismo generato dall’odio antisemita; ma la “narrazione” araba della “vittoria militare” non è priva di ragioni storiche. Mi spiego: ciò che da Israele viene percepito come “una sleale incursione di terroristi” (e certamente si è trattato di un’azione violenta senza previa dichiarazione di guerra, e con eccidio ingiustificabile di civili), riproduce specularmente, dal punto di vista arabo, ciò che i palestinesi sperimentano quando subiscono le sistematiche incursioni dei militari israeliani nei territori occupati per compiere omicidi mirati di sospetti terroristi o per demolire abitazioni: la violazione prepotente dei legittimi confini da parte di ingiusti aggressori. In pratica, Hamas ha voluto far sentire a Israele come ci si sente nel subire aggressioni “dentro casa”. Tuttavia ogni ipotesi di paragone o di corresponsabilità viene respinto con sdegno da parte israeliana, e anche questo punto di vista va compreso. (…)

    . In breve: la situazione è estremamente complessa, e l’equilibrio pressoché impossibile. Tuttavia la doverosa condanna senza appello degli atti terroristici di Hamas e della Jihad islamica, e il riconoscimento dell’indiscutibile diritto alla legittima difesa da parte di Israele, non dovrebbero far dimenticare che la pace si costruisce lentamente, attraverso la giustizia, per tutti, senza esclusioni né distinzioni. In sintesi, in brevissimo tempo si sta creando uno scenario nuovo, ben diverso anche da quello dell’ultima guerra di Gaza (2021). Si temono infatti nuove ondate di attentati da parte palestinese (i rabbini hanno consentito di celebrare i funerali in forma privata per evitare assembramenti), come pure reazioni violente contro “gli arabi” in generale da parte di settlers e civili israeliani, molti dei quali girano armati. (…)

    . Venendo alle “cose di casa”, i pellegrini in Terrasanta stanno completando i loro pellegrinaggi prima di tornare in patria, quando i voli lo consentiranno. Visitano i santuari e cercano di rispettare il programma di viaggio previsto, in cerca di normalità; ma è una normalità fittizia. Le strade di Gerusalemme sono deserte come ai tempi del Covid-19, sia nella parte ebraica che in quella araba, compresa la città vecchia. Sono rimaste aperte le farmacie, i supermercati e alcuni negozi: ma la tensione è palpabile nell’aria. Sono chiusi praticamente tutti i check-point di frontiera con la West Bank. (…)

    . Da parte mia, sono relativamente tranquillo. A Gerusalemme, e in particolare nella zona di Porta di Damasco, dove si trova la Casa Filia Sion in cui abito, non si temono tanto i razzi (che pure hanno raggiunto alcuni sobborghi a sud e ovest della Città santa, con danni e vittime), quanto il possibile scoppio di attentati e violenze. Ieri doveva essere il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Sukkot, ma tutte le scuole – ebraiche, musulmane e cristiane – sono chiuse.

    . Alcuni giovani del Vicariato cattolico di lingua ebraica sono stati richiamati alle armi. L’incertezza è grande, perché non si riesce bene a valutare quali saranno le prossime mosse. È plausibile un prossimo attacco da terra da parte di Israele, ma si ignora quali contro-reazioni potrebbe suscitare da parte palestinese: non tanto nella Striscia di Gaza, che certamente soccomberà alla superiorità militare israeliana, quanto soprattutto in Gerusalemme e Israele. Del resto, l’operazione di Hamas è stata chiamata “diluvio di Al-Aqsa”, fatta cioè per vendicare “le profanazioni” commesse sulla spianata delle moschee.

    . Gerusalemme rimane al centro del conflitto. Domenica scorsa il Salmo responsoriale (Sal 79/80) era di stringente attualità, e nell’omelia l’ ho semplicemente letto e spiegato: “Hai sradicato una vite (il popolo di Israele) dall’Egitto, hai scacciato le genti (i popoli della Palestina) e l’hai trapiantata… Ha esteso i suoi tralci fino al mare (Mediterraneo), arrivavano al fiume (Giordano) i suoi germogli… Perché hai aperto brecce nella sua cinta (i muri di difesa costruiti da Israele)? Dio degli eserciti, ritorna! … Proteggi quello che la tua destra ha piantato…”. Possiamo e dobbiamo pregare per Israele, affinché questa cieca violenza contro il popolo della promessa cessi, unilateralmente e senza tentennamenti. Ma dobbiamo pregare anche per la Terrasanta, perché dalla ritorsione e dalla vendetta non nascerà mai la pace, e i popoli di questa Terra hanno tanto bisogno di giustizia e pace. Invito i confratelli sacerdoti e tutta la Diocesi di Roma a pregare per questa intenzione. Gerusalemme ha bisogno di un nuovo impegno per la costruzione di una pace giusta e per una soluzione durevole del conflitto mediorientale. A noi cristiani, qui stretti nella morsa, rimane il dovere di intercedere, di mediare laddove possibile, di “consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (cfr 2Cor 1,4), di confidare in Dio, l’Unico, giusto e misericordioso, e di insegnare a farlo, anche nel nome di Gesù suo Figlio.

                                                                                

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