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    TRE LIBRI/VESCOVI D'EUROPA, RAPPORTI ROMANIA-SANTA SEDE, DRIA PAOLA

    TRE LIBRI/ VESCOVI D’EUROPA, RAPPORTI ROMANIA-SANTA SEDE, DRIA PAOLA - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 1 febbraio 2022

     

    Il libro di Andrea Gagliarducci sui 50 anni del CCEE – A un secolo dall’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Romania e Santa Sede (a cura dell’ambasciatore Liviu-Petru Zăpârţan) – La biografia di Giancarlo Cocco su Dria Paola, l’attrice che del passaggio dal film muto al sonoro.

     

    CINQUANT’ANNI DEL CCEE NELLA RICOSTRUZIONE DI ANDREA GAGLIARDUCCI (“CRISTO, SPERANZA DELL’EUROPA”, ED. CITTA’ NUOVA)

     

    Che cos’è il CCEE? E’ il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa, che comprende i presidenti di 33 conferenze nazionali, cui si aggiungono gli arcivescovi di Lussemburgo, Principato di Monaco, di Cipro (maronita) e vescovi di Moldavia, Ucraina ed Estonia (complessivamente i membri rappresentano 45 Paesi diversi). Va distinto dalla COMECE, che invece comprende le 26 conferenze episcopali cattoliche all’interno dell’Unione europea.

    Il CCEE è presieduto da pochi mesi dall’arcivescovo di Vilnius Gintaras Grušas, che ha avuto predecessori di gran nome, quasi tutti porporati: da Etchegaray a Hume, da Martini a Vlk, da Erdö a Bagnasco, oltre all’allora presidente dei vescovi svizzeri, Amédée Grab.

    Che cosa ha spinto Andrea Gagliarducci a scrivere “Cristo, speranza dell’Europa” (ed. Città nuova)? Un anniversario di quelli che in partenza non sono mai scontati per organismi non solo ecclesiali: i 50 anni da quel marzo 1971 in cui il CCEE nacque ufficialmente, a sei anni di distanza da una “nota” a firma dell’allora segretario della conferenza episcopale francese (proprio Etchegaray) in cui si auspicava una collaborazione strutturata tra i vescovi europei, sotto il segno della collaborazione pastorale preconizzata dal Vaticano II.

    Il libro di Gagliarducci, come osserva nella prefazione il cardinale Bagnasco, non solo “ripercorre le tappe di cinquant’anni di storia, ma è anche un’appassionata rilettura di un cammino che vive nel contesto europeo come l’anima vive nel suo corpo”. Certo è chiaro l’obiettivo del neonato CCEEE: “risvegliare l’anima cristiana dell’Europa, laddove è posta la radice della sua unità e del suo volto”.

    Nella prima metà del libro (un primo capitolo molto ampio) l’autore rievoca i momenti fondamentali del mezzo secolo di vita. Successivamente viene evidenziata l’importanza del percorso ecumenico imboccato, tra accelerazioni e rallentamenti. Nel terzo capitolo (nel quarto e ultimo – prima delle conclusioni - ci si china più specificamente sul futuro della Chiesa in Europa) si esaminano i rapporti tra il CCEE e l’Unione europea nelle sue diverse manifestazioni e propaggini. “Che tipo di Unione europea – annota Gagliarducci – è quella con cui devono fare i conti i vescovi? Di certo, un’Europa che non ha remore a sostenere i cosiddetti ‘nuovi diritti’ “. Per il CCEE la sfida è “grandissima” e non priva oggettivamente di enormi difficoltà. L’autore ha sentito a tale proposito diversi membri dell’organismo. Ecco le sue conclusioni: “Quella che viene fuori non è di certo un’Europa rassegnata. Non è un’Europa post-cristiana, sebbene molti la definiscano come tale, ma è un’Europa in cui i cristiani sembrano essere stati messi da parte, o essersi messi da parte. Di certo, oltre al problema dei nuovi linguaggi con cui parlare ai contemporanei, si avverte in modo evidente il bisogno di un ritorno alla fede”.

    A proposito di nuovi linguaggi – e con questo concludiamo – Gagliarducci ha sentito anche il cardinale Silvano Maria Tomasi, che dal 2003 al 2016 è stato osservatore della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra. Sostiene il porporato scalabriniano che è dalla fine del mondo diviso in blocchi che si rarefanno le parole del vocabolario giudaico-cristiano, come “verità, morale, coscienza, ragione, terra, volontà, genitori, sposi, madre, padre, figlio, castità, natura”. Al loro posto “parole-chiave come globalizzazione umana, sviluppo sostenibile, buon governo, etica mondiale, diversità culturale, dialogo tra civiltà, qualità di vita, gender, pari opportunità, omofobia, orientamento sessuale, aborto sicuro, diritti delle future generazioni, diritti sessuali e riproduttivi, diritto di scelta”. Insomma – osserva Gagliarducci –“ un mix quasi esplosivo per la Chiesa cattolica, alle prese prima di tutto con una forte crisi di identità”. Tanto che l’autore si chiede: “In un mondo che non parla più il suo linguaggio, messa alla berlina per gli scandali veri o presunti, può la Chiesa avere ancora voce?”   

     

    UN SECOLO DI RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA ROMANIA E SANTA SEDE (“ROMANIA-SANTA SEDE, 100 ANNI DI RELAZIONI DIPLOMATICHE”, A CURA DI LIVIU-PETRU ZAPARTAN, EDITURA SCOALA ARDELEANA)

     

    Nominato a novembre 2016, Liviu-Petru Zăpârţan ha operato a Roma come ambasciatore rumeno presso la Santa Sede e il Sovrano Militare Ordine di Malta fino a maggio 2021. Ritornando in patria il settantaquattrenne storico e filosofo ha voluto offrire come dono di congedo un volume di gran pregio (anche per l’imponente e spesso inedito apparato iconografico, con riproduzioni fotostatiche di documenti degli Archivi vaticani): “Romania-Santa Sede: 100 anni di relazioni diplomatiche” (Editura Scoala Ardeleana, Cluj-Napoca). Del volume, che contiene diversi saggi specifici in materia ed è pubblicato sotto l’egida dell’Ambasciata di Romania e dell’Accademia romena di Bucarest, Zapartan è stato il curatore.

    Di centenari di rapporti diplomatici ci siamo occupati non molto tempo fa a proposito del ristabilimento (imperfetto) delle relazioni tra Svizzera e Santa Sede (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/1001-svizzera-libri-nascita-canton-ticino-rapporti-elveto-vaticani.html ), relazioni queste ultime che negli ultimi mesi hanno conosciuto un ulteriore perfezionamento con l’annuncio della decisione elvetica di nominare un ambasciatore presso il Vaticano residente a Roma.

    Tra Romania e Santa Sede le relazioni diplomatiche sono invece state instaurate nel 1920 e il secolo che è trascorso da allora è stato contrassegnato da momenti di difficoltà (soprattutto agli inizi degli Anni Quaranta) per le gravi tensioni tra la Romania e l’Ungheria del reggente Horthy (che occupò militarmente larga parte della Transilvania) e da decenni di rottura per volontà del regime comunista (tra il 1950 e il 1990). Caduto il Muro di Berlino, ristabiliti i rapporti diplomatici, essi “hanno conosciuto da allora “un continuo sviluppo e approfondimento” – come scrive nel saluto introduttivo il presidente rumeno Klaus Werner Iohannis. Ne è manifestazione testimonianza ben palese anche il viaggio apostolico di due Pontefici: Giovanni Paolo II nel 1999 e papa Francesco vent’anni dopo.

    Nell’altro saluto, quello del cardinale Pietro Parolin, si evidenzia come “i reciproci legami abbiano origini più antiche e vadano ben oltre gli ultimi cent’anni”. Infatti – annota il Segretario di Stato vaticano – “il ‘sigillo di Roma’, come affermato dallo storico Nicolae Iorga, si trova sull’atto stesso di nascita del popolo romeno: la lingua neolatina e il nome stesso della Nazione sono testimonianze evidenti dello stretto legame che unisce la Romania con Roma”. C’è un altro passo che ci sembra rilevante nel testo di Parolin,quando prende spunto dal Concordato rumeno-vaticano del 1927: “E’ significativo che ben venti accordi bilaterali vennero sottoscritti sotto il pontificato di papa Ratti, la cui azione fu ispirata dalla volontà di costituire un legame durevole tra le Nazioni e la Santa Sede. Oso pensare che, nell’epoca buia dei totalitarismi, tali accordi abbiano verosimilmente scongiurato il soffocamento completo della voce della Santa Sede, nell’intento di squalificare la sua opera in difesa della dignità e dei diritti dell’uomo”.

    Nel volume quattro sono i contributi specifici di Liviu-Petru Zăpârţan. Il secondo in particolare tratta delle relazioni tra Santa Sede e Chiesa greco-cattolica rumena durante la Seconda Guerra mondiale: sono anni molto difficili per i rumeni residenti nella Transilvania settentrionale che soffrono la durezza dell’occupazione ungherese. Della situazione, ricorda Zăpârţan, la Santa Sede era a piena conoscenza: in un telegramma del 9 novembre 1940 indirizzato al nunzio apostolico a Budapest Angelo Rotta, il segretario di Stato cardinale Luigi Maglione scrive “che il Santo Padre domanda che il nunzio continui a insistere presso il governo ungherese per chiedere il ritorno dei preti rumeni, espulsi dalla Transilvania, al fianco dei propri fedeli privati dell’assistenza spirituale”. Molto interessante anche il terzo contributo dell’ambasciatore (in collaborazione con mons. Johan Ickx, direttore dell’Archivio storico presso la Segreteria di Stato)  che attiene al periodo 1948-90 contrassegnato dalla persecuzione comunista: “Un vero terrore si installa in Romania per schiacciare lo spirito di libertà e di rispetto per la dignità umana”.

    Nel volume emerge – scorrendo il contributo del nunzio apostolico emerito Francisco-Javier Lozano – la figura di un suo predecessore, il nunzio Andrea Cassulo, in Romania dal 1936 al 1947 (quando fu espulso). Non certo a caso si ritrova oggi insieme con gli altri “Giusti tra le nazioni”: infatti coraggiosa, intensa e incisiva fu la sua azione in favore della minoranza ebraica nel Paese, che a partire dal luglio 1940 fu oggetto delle prime misure discriminatorie. Scrive Lozano: “Un momento drammatico è rappresentato dal programma di deportazione degli ebrei provenienti dal sud della Transilvania e dell’Antico Regno a Belzec, un campo di sterminio in Polonia. Di comune accordo le autorità germaniche di Bucarest hanno preparato il treno della morte, ma proprio la notte prima della partenza , il maresciallo Antonescu ha ricevuto la visita del Nunzio apostolico. Di conseguenza l’ordine di deportazione è stato sospeso e rinviato poi all’anno successivo. Ciò è stato frutto della perseveranza di diversi ambasciatori, ma quella del nunzio è stata decisiva”.

    Molto vi sarebbe ancora da dire sul volume, arricchito da tanti altri contributi di spessore, tra i quali quelli di Roberto Regoli (la politica concordataria) e ancora di Johan Ickx (la serie Romania del Fondo Affari ecclesiastici straordinari). Per gli interessati all’argomento… una vera manna!

     

    GIANCARLO COCCO: DRIA PAOLA, LA PRIMA DIVA ITALIANA DEL CINEMA SONORO (“STORIA DI ETRA PITTEO, IN ARTE DRIA PAOLA”, ED. FUORI COMMERCIO)

     

    Non siamo critici cinematografici. Tra i film che ci hanno impressionato da bambini e adolescenti, da giovani adulti troviamo Roma città aperta e L’assedio dell’Alcazar, ambedue proiettati all’oratorio di Giubiasco. Tra le attrici ricordiamo in particolare Anna Magnani, poi a fine Anni Sessanta Julie Christie, un po’ più tardi Sophie Marceau (che abbiamo anche intervistato, vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/645-intervista-all-attrice-francese-sophie-marceau.html ).

    Mai, fino a qualche tempo fa, avevamo sentito parlare di Etra Pitteo, in arte Dria Paola. Costei è – come annota Giancarlo Cocco, il collega che ce ne ha ampiamente riferito – “la donna che ha dato la parola al cinema italiano”. Cocco lo sa bene: Dria Paola era sua cugina acquisita e lui in questi ultimi anni ne ha voluto ricostruire accuratamente la biografia. Che ha riversato in “Storia di Etra Pitteo, in arte Dria Paola” (edizione fuori commercio), un testo – corredato di numerose foto d’epoca – in cui si approfondisce il passaggio in Italia dal film muto al sonoro e lo sviluppo impetuoso di quest’ultimo negli Anni Trenta e Quaranta. La diva di quel periodo era proprio Dria Paola, grazie alla fama acquisita come protagonista  della prima pellicola sonora italiana distribuita nelle sale, “La canzone dell’amore”, tratta da una novella di Pirandello. Nel film – alla cui ‘prima’ (7 ottobre 1930) vollero assistere sia Mussolini che Bottai – Dria Paola interpreta il ruolo di Lucia e l’allora celeberrima canzone “Solo per te, Lucia” fu scritta e messa in musica per lei da Cherubini e Bixio. Si noterà, per essere precisi, che la prima pellicola sonora italiana girata fu Resurrectio di Alessandro Blasetti, ma per ragioni commerciali la precedenza fu data al film diretto da Gennaro Righelli.

    Si diceva della presenza di Mussolini e Bottai, a testimonianza dell’interesse che il regime fascista – come ogni regime totalitario – aveva per i nuovi strumenti di comunicazione di massa, con l’intenzione di trasformarli in megafoni di propaganda. In quegli anni, come osserva Cocco, lo slogan fascista “La cinematografia è l’arma più forte” si concretizzò certo a Villa Torlonia (residenza di Mussolini) che possedeva due sale di proiezione, ma anche nella società intera. Non solo si diede avvio alla Mostra del Cinema di Venezia (1932) e non solo fu costruita Cinecittà (inaugurata nel 1937 da Mussolini) dopo l’incendio che aveva distrutto gli stabilimenti cinematografici Pittaluga vicino a San Giovanni in Laterano. La produzione di film italiani, incentivata dal regime per contenere i film stranieri, raggiunse quota 31 nel 1937, 83 nel 1940, 119 nel 1942. Fu quest’ultimo l’anno in cui Dria Paola si ritirò dalla scene, dopo aver interpretato una trentina di film, con ruoli molto popolari di – scrive l’autore – “ragazze indifese, fidanzate lacrimose, in melodrammi sospirosi” (riceveva centinaia di lettere dagli ammiratori del tempo).

    Accanto a lei recitarono diversi attori (oltre a Ettore Petrolini) che poi divennero famosi: Macario, De Sica, Nazzari, pure la Magnani. E l’esordiente Alberto Sordi, non ancora Marchese del Grillo né medico della mutua. Nel libro di Cocco (aperto da una prefazione di Luca Caruso) troviamo poi una breve biografia di alcuni degli attori co-protagonisti e dei registi, sceneggiatori, fotografi che lavorarono con Dria Paola. In evidenza anche le schede sintetiche dei film interpretati, dai primi film muti (è del 1926 “Gli ultimi giorni di Pompei”) a quelli sonori (fino a “Cuori nella tormenta” del 1940 e a “La pantera nera” del 1942).

    Nel 1945 Dria Paola convolò a nozze con Luigi Filippini (cugino di primo grado di Giancarlo Cocco). Poi il suo nome cadde progressivamente nell’oblio. Si spense nel 1993 ed è sepolta al Verano.

     

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