LEONE XIV: CHI BEN INCOMINCIA… (GAZA, EBREI, CHIESE ORIENTE, UNITA’ ) - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org - 20 maggio 2025
Parole chiare nei primi discorsi, tutti molto impegnativi, di papa Leone XIV riguardanti le Chiese orientali, giovani e educazione, la politica internazionale, la dottrina sociale della Chiesa, il dialogo ecumenico e interreligioso. L’appello all’unità nell’omelia della Messa di inizio Pontificato. L’evidenza data alla terribile situazione di Gaza nel ‘Regina Coeli’ alla fine della stessa Messa. I rapporti con l’ebraismo.
*** La prima impressione dopo alcuni giorni di Pontificato? E’ un Papa che è ben cosciente di esserlo, consapevole degli onori e degli oneri, conseguente nelle parole, nei gesti, nella postura, nei comportamenti ***
PAPA LEONE XIV: DAL ‘REGINA COELI’ (18 maggio 2025, Piazza San Pietro) E DAL DISCORSO ALLE DELEGAZIONI ECUMENICHE E INTERRELIGIOSE (19 maggio, Sala Clementina) - GAZA, EBREI
(dal ‘Regina Coeli’)
. Nella gioia della fede e della comunione non possiamo dimenticare i fratelli e le sorelle che soffrono a causa delle guerre. A Gaza i bambini, le famiglie, gli anziani sopravvissuti sono ridotti alla fame. Nel Myanmar nuove ostilità hanno spezzato giovani vite innocenti. La martoriata Ucraina attende finalmente negoziati per una pace giusta e duratura
NdR: da notare la citazione al primo posto della situazione a Gaza. E’ una fotografia nuda e cruda degli effetti terribili e intollerabili di scelte adottate dai decisori politico-militari responsabili, ma non in quanto membri di una comunità religiosa. Leone XIV è ben consapevole che le scelte sono operate da un governo e non da una comunità religiosa, verso la quale resta un’attenzione partecipe e con la quale bisogna continuare a dialogare intensamente nonostante innegabili difficoltà.
Da notare anche la mancata citazione del dramma degli ostaggi, che pure era stato ricordato nel primo ‘Regina Coeli’ dell’11 maggio 2025. La mancata citazione è stata notata criticamente da buona parte del mondo ebraico. Tuttavia si può pensare che il Papa abbia voluto evidenziare l’enormità di una situazione, quella di Gaza, che tocca dolorosamente tutto un popolo, compromettendone anche il futuro.
(dal Discorso alle Delegazioni ecumeniche e interreligiose)
. Desidero rivolgere un saluto particolare ai fratelli e alle sorelle ebrei e musulmani. A motivo delle radici ebraiche del cristianesimo, tutti i cristiani hanno una relazione particolare con l’ebraismo. La Dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4) sottolinea la grandezza del patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei, incoraggiando alla mutua conoscenza e stima. Il dialogo teologico tra cristiani ed ebrei rimane sempre importante e mi sta molto a cuore. Anche in questi tempi difficili, segnati da conflitti e malintesi, è necessario continuare con slancio questo nostro dialogo così prezioso.
NdR: da notare che papa Leone XIV, subito dopo l’elezione al Pontificato, aveva inviato a diversi responsabili dell’ebraismo italiano (e anche al rabbino Noam Marans, direttore degli Affari interreligiosi dell’American Jewish Committee/AJC) un messaggio in cui così si esprimeva: “Confidando nell’assistenza dell’Onnipotente, mi impegno a continuare e a rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione ‘Nostra Aetate’ del Concilio Vaticano secondo”. Il messaggio era stato accolto con “soddisfazione e gratitudine” dalla Comunità ebraica di Roma, che aveva annunciato la propria partecipazione alla Messa di inizio Pontificato nella persona del Rabbino Capo Riccardo Di Segni. Il rabbino Marans aveva dichiarato: “Siamo profondamente commossi che papa Leone XIV, così presto nel suo Pontificato, abbia ribadito il suo impegno per le relazioni cattoliche-ebraiche”. All’insediamento aveva inoltre assistito tra gli altri anche il presidente dello Stato di Israele Isaac Herzog.
In occasione dell’incontro di lunedì 19 maggio, infine, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane Milo Hasbani ha donato a papa Prevost una spilla con il fiocco giallo della campagna per la liberazione degli ostaggi. Lo stesso Hasbani, pur valutando positivamente i primi passi di Leone XIV in materia di rapporti con l’ebraismo, ha commentato criticamente l’assenza di un riferimento agli ostaggi nel ‘Regina Coeli’ del giorno precedente.
PAPA LEONE XIV: DAL DISCORSO (DI GRANDE SOSTANZA, RICCO DI STIMOLI PER UNA RIFLESSIONE APPROFONDITA SU SPIRITUALITA’, SPERANZA, PACE) AI PARTECIPANTI AL GIUBILEO DELLE CHIESE ORIENTALI, 14 maggio 2025, Aula Paolo VI
. Benvenuti a Roma! Sono felice di incontrarvi e di dedicare ai fedeli orientali uno dei primi incontri del mio pontificato.
. Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono. E vorrei ribadire quanto delle Chiese Orientali disse Papa Francesco: “Sono Chiese che vanno amate: custodiscono tradizioni spirituali e sapienziali uniche, e hanno tanto da dirci sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia; pensiamo ai padri antichi, ai Concili, al monachesimo: tesori inestimabili per la Chiesa” (Discorso ai partecipanti all’Assemblea della ROACO, 27 giugno 2024).
. Sì, avete “un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente” (S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 5). È significativo che alcune delle vostre Liturgie – in questi giorni le state celebrando solennemente a Roma secondo le varie tradizioni – utilizzano ancora la lingua del Signore Gesù. (…) Papa Leone XIII espresse un accorato appello affinché la “legittima varietà di liturgia e di disciplina orientale […] ridondi a […] grande decoro e utilità della Chiesa” (Lett. ap. Orientalium dignitas). La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali.
. La Chiesa ha bisogno di voi. Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana! (NdR: il neretto è nostro). E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia (NdR: educazione all’approfondimento della fede vissuta), dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista.
. Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti.
. Chi dunque, più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che Papa Francesco chiamò le vostre Chiese ‘martiriali’ ? È vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza! E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del Papa, ma di Cristo, che ripete: ‘Pace a voi!’ (Gv 20,19.21.26). E specifica: ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi’ (Gv 14,27). La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare.
. Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi.
. La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani – orientali e latini – che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. (NdR: da notare l’affermazione, netta e inequivoca). Vi prego, ci si impegni per questo!
PAPA LEONE XIV: DAL DISCORSO (GIOVANI ED EDUCAZIONE) AI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE, 15 maggio 2025, Sala Clementina
. Quali sono, nel mondo giovanile dei nostri giorni, le sfide più urgenti da affrontare? Quali i valori da promuovere? Quali le risorse su cui contare?
. I giovani del nostro tempo, come quelli di ogni epoca, sono un vulcano di vita, di energie, di sentimenti, di idee. Lo si vede dalle cose meravigliose che sanno fare, in tanti campi. Hanno però anche loro bisogno di aiuto, per far crescere in armonia tanta ricchezza e per superare ciò che, pur in modo diverso rispetto al passato, ne può ancora impedire il sano sviluppo.
. Se, ad esempio, nel diciassettesimo secolo l’uso della lingua latina era per molti una barriera comunicativa insuperabile, oggi ci sono altri ostacoli da affrontare. Pensiamo all’isolamento che provocano dilaganti modelli relazionali sempre più improntati a superficialità, individualismo e instabilità affettiva; alla diffusione di schemi di pensiero indeboliti dal relativismo; al prevalere di ritmi e stili di vita in cui non c’è abbastanza posto per l’ascolto, la riflessione e il dialogo, a scuola, in famiglia, a volte tra gli stessi coetanei, con la solitudine che ne deriva.
. Si tratta di sfide impegnative, di cui però anche noi, come San Giovanni Battista de La Salle, possiamo fare altrettanti trampolini di lancio per esplorare vie, elaborare strumenti e adottare linguaggi nuovi, con cui continuare a toccare il cuore degli allievi, aiutandoli e spronandoli ad affrontare con coraggio ogni ostacolo per dare nella vita il meglio di sé, secondo i disegni di Dio. È lodevole, in questo senso, l’attenzione che ponete, nelle vostre scuole, alla formazione dei docenti e alla realizzazione di comunità educanti in cui lo sforzo didattico è arricchito dall’apporto di tutti. Vi incoraggio a continuare su queste strade.
PAPA LEONE XIV: DAL DISCORSO AI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO, 16 maggio 2025, Sala Clementina
. Oltre che ad essere il segno concreto dell’attenzione dei vostri Paesi per la Sede Apostolica, la vostra presenza oggi è per me un dono, che consente di rinnovarvi l’aspirazione della Chiesa – e mia personale – di raggiungere e abbracciare ogni popolo e ogni singola persona di questa terra, desiderosa e bisognosa di verità, di giustizia e di pace! In un certo senso, la mia stessa esperienza di vita, sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa, è rappresentativa di questa aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse (NdR: ecco un aspetto molto importante dell’identità di papa Prevost)
. Tramite il costante e paziente lavoro della Segreteria di Stato (NdR: da notare l’accenno, certo voluto, all’indispensabile attività della Segreteria di Stato, cui è restituita giusta centralità, sovente negata mediante aggiramento durante il precedente Pontificato) intendo consolidare la conoscenza e il dialogo con voi e con i vostri Paesi, molti dei quali ho avuto già la grazia di visitare nel corso della mia vita, specialmente quando ero Priore Generale degli Agostiniani ( NdR: nuovo richiamo all’esperienza personale).
. Nel nostro dialogo vorrei che tenessimo presente tre parole- chiave, che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede.
. La prima parola è pace. Troppe volte la consideriamo una parola “negativa”, ossia come mera assenza di guerra e di conflitto, poiché la contrapposizione è parte della natura umana e ci accompagna sempre, spingendoci troppo spesso a vivere in un costante “stato di conflitto”: in casa, al lavoro, nella società. La pace allora sembra una semplice tregua, un momento di riposo tra una contesa e l’altra, poiché, per quanto ci si sforzi, le tensioni sono sempre presenti, un po’ come la brace che cova sotto la cenere, pronta a riaccendersi in ogni momento.
Nella prospettiva cristiana – come anche in quella di altre esperienze religiose – la pace è anzitutto un dono: il primo dono di Cristo: «Vi do la mia pace» (Gv 14,27). Essa è però un dono attivo, coinvolgente, che interessa e impegna ciascuno di noi, indipendentemente dalla provenienza culturale e dall’appartenenza religiosa, e che esige anzitutto un lavoro su sé stessi. La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi.
. Certo, occorre anche la volontà di smettere di produrre strumenti di distruzione e di morte, poiché, come ricordava Papa Francesco nel suo ultimo Messaggio Urbi et Orbi, “nessuna pace è possibile senza un vero disarmo [e] l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo»”
. La seconda parola è giustizia. Perseguire la pace esige di praticare la giustizia. Come ho già avuto modo di accennare, ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum (NdR: anche qui un’annotazione personale). Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre peraltro adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società.
. È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate. Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, “società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società” (NdR: dalla ‘Rerum novarum’ di Leone XIII). Inoltre, nessuno può esimersi dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato (NdR: chiarezza di parola, dove non c’è posto per il se e il ma, per concetti non così scontati nel nostro mondo)
. La mia stessa storia è quella di un cittadino, discendente di immigrati, a sua volta emigrato. Ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio (NdR: stessa chiarezza di prima e comunicazione senza equivoci)
. La terza parola è verità. Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale, senza verità. Laddove le parole assumono connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione.
Da parte sua, la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione. La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna.
PAPA LEONE XIV: DAL DISCORSO AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE, 17 maggio 2025, Sala Clementina (la Centesimus Annus è un’enciclica sociale pubblicata nel 1991 da Giovanni Paolo II, a un secolo dalla ‘Rerum Novarum’)
. Già il Papa Leone XIII – vissuto in un periodo storico di epocali e dirompenti trasformazioni – aveva mirato a contribuire alla pace stimolando il dialogo sociale, tra il capitale e il lavoro, tra le tecnologie e l’intelligenza umana, tra le diverse culture politiche, tra le Nazioni. Papa Francesco ha usato il termine “policrisi” per evocare la drammaticità della congiuntura storica che stiamo vivendo, in cui convergono guerre, cambiamenti climatici, crescenti disuguaglianze, migrazioni forzate e contrastate, povertà stigmatizzata, innovazioni tecnologiche dirompenti, precarietà del lavoro e dei diritti. Su questioni di tanto rilievo la Dottrina Sociale della Chiesa è chiamata a fornire chiavi interpretative che pongano in dialogo scienza e coscienza, dando così un contributo fondamentale alla conoscenza, alla speranza e alla pace.
. Abbiamo qui un aspetto fondamentale per la costruzione della “cultura dell’incontro” attraverso il dialogo e l’amicizia sociale. Per la sensibilità di molti nostri contemporanei la parola “dialogo” e la parola “dottrina” suonano opposte, e incompatibili. Forse quando sentiamo la parola “dottrina” ci viene in mente la definizione classica: un insieme di idee proprie di una religione. E con questa definizione ci sentiamo poco liberi di riflettere, di mettere in discussione o di cercare nuove alternative.
. Si fa urgente, allora, il compito di mostrare attraverso la Dottrina Sociale della Chiesa che esiste un significato altro, e promettente, dell’espressione “dottrina”, senza il quale anche il dialogo si svuota. I suoi sinonimi possono essere “scienza”, “disciplina”, o “sapere”. Così intesa, ogni dottrina si riconosce frutto di ricerca e quindi di ipotesi, di voci, di avanzamenti e insuccessi, attraverso i quali cerca di trasmettere una conoscenza affidabile, ordinata e sistematica su una determinata questione. In questo modo una dottrina non equivale a un’opinione, ma a un cammino comune, corale e persino multidisciplinare verso la verità.
. L’indottrinamento è immorale, impedisce il giudizio critico, attenta alla sacra libertà del rispetto della propria coscienza – anche se erronea – e si chiude a nuove riflessioni perché rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee di fronte a nuovi problemi. Al contrario, la dottrina in quanto riflessione seria, serena e rigorosa, intende insegnarci, in primo luogo, a saperci avvicinare alle situazioni e prima ancora alle persone. Inoltre, ci aiuta nella formulazione del giudizio prudenziale. Sono la serietà, il rigore, la serenità ciò che dobbiamo imparare da ogni dottrina, anche dalla Dottrina Sociale.
. Nel contesto della rivoluzione digitale in corso, il mandato di educare al senso critico va riscoperto, esplicitato e coltivato, contrastando le tentazioni opposte, che possono attraversare anche il corpo ecclesiale. C’è poco dialogo attorno a noi, e prevalgono le parole gridate, non di rado le fake news e le tesi irrazionali di pochi prepotenti. Fondamentali dunque sono l’approfondimento e lo studio, e ugualmente l’incontro e l’ascolto dei poveri, tesoro della Chiesa e dell’umanità, portatori di punti di vista scartati, ma indispensabili a vedere il mondo con gli occhi di Dio.
PAPA LEONE XIV, DALL’OMELIA DELLA MESSA DI INIZIO DEL M INISTERO PETRINO, 18 maggio 2025, piazza San Pietro (il nuovo Papa, prima dell’inizio della Celebrazione eucaristica era sceso in Basilica al Sepolcro di San Pietro. Sul Sagrato gli è stato imposto il Pallio, consegnato l’Anello del Pescatore – Leone XIV si è commosso – e l’Evangeliario, gli è stata prestata obbedienza da parte del Collegio cardinalizio e di altre figure rappresentative). Alla Messa erano presenti circa 150mila persone, con una forte presenza colorata e gioiosa di membri delle Confraternite accorsi a Roma per il loro Giubileo.
. Fratelli e sorelle, saluto tutti voi, con il cuore colmo di gratitudine, all’inizio del ministero che mi è stato affidato. Scriveva Sant’Agostino: “Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (Le Confessioni, 1, 1.1). (NdR: In Leone XIV, agostiniano, la citazione del pensiero di Sant’Agostino è ricorrente)
. In questi ultimi giorni, abbiamo vissuto un tempo particolarmente intenso. La morte di Papa Francesco ha riempito di tristezza il nostro cuore e, in quelle ore difficili, ci siamo sentiti come quelle folle di cui il Vangelo dice che erano «come pecore senza pastore» (Mt 9,36). Proprio nel giorno di Pasqua, però, abbiamo ricevuto la sua ultima benedizione e, nella luce della Risurrezione, abbiamo affrontato questo momento nella certezza che il Signore non abbandona mai il suo popolo, lo raduna quando è disperso e “lo custodisce come un pastore il suo gregge” (Ger 31,10).
. In questo spirito di fede, il Collegio dei Cardinali si è riunito per il Conclave; arrivando da storie e strade diverse, abbiamo posto nelle mani di Dio il desiderio di eleggere il nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi. Accompagnati dalla vostra preghiera, abbiamo avvertito l’opera dello Spirito Santo, che ha saputo accordare i diversi strumenti musicali, facendo vibrare le corde del nostro cuore in un’unica melodia.
. Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia.
. Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù.
. A Pietro, dunque, è affidato il compito di “amare di più” e di donare la sua vita per il gregge. Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù.
. Lui – afferma lo stesso Apostolo Pietro – “è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo” (At 4,11). E se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate (cfr 1Pt 5,3); al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro
. Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato.
. In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità.