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    PRE-CONCLAVE: CARDINALI ARTIME, ERDOE, GUGEROTTI, REINA, ZUPPI

    PRE-CONCLAVE: CARDINALI ARTIME, ERDOE, GUGEROTTI, REINA, ZUPPI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 6 maggio 2025

    Dopo che nell’ultimo Rossoporpora abbiamo dato spazio ad alcuni passi delle omelie pronunciate, dopo la morte di papa Francesco, dai cardinali Re, Parolin e Zuppi e a alcune dichiarazioni del cardinal Pizzaballa, proponiamo ora altri passi di omelie pre-conclave dei cardinali Artime, Erdö (con premessa su un tweet), Gugerotti, Reina e ancora Zuppi.

    CARD. ANGEL FERNANDEZ ARTIME (vedi anche  https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/1160-neo-cardinali-a-colloquio-con-angel-fernandez-artime-salesiano.html) – Dall’omelia della messa dell’VIII giorno dei Novendiali, Basilica di San Pietro, 3 maggio 2025

    . In questa terza Domenica di Pasqua tutto invita a gioire, a esultare. Il motivo è dato dal Signore Risorto e dalla presenza dello Spirito Santo. Sant’Atanasio afferma che Gesù Cristo risorto fa della vita dell’uomo una festa continua. Ed è per questo che gli Apostoli - e Pietro primo fra loro – non hanno paura del carcere, né delle minacce né di essere nuovamente perseguitati. E infatti dichiarano con coraggio e franchezza: “di queste cose noi siamo testimoni come anche lo Spirito Santo che Dio ha mandato a coloro che gli obbediscono”.

    . Io mi domando – diceva Papa Francesco, in una delle sue catechesi su questo stesso brano – dove trovano i primi discepoli la forza per questa loro testimonianza. Non solo, ma da dove veniva a loro la gioia e il coraggio dell’annuncio malgrado gli ostacoli e le violenze?”.

    . È chiaro che solo la presenza, con loro, del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. La loro fede si basava su una esperienza così forte e personale di Cristo, morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno. “Oggi, come ieri, gli uomini e le donne della presente generazione hanno grande bisogno di incontrare il Signore e il suo liberante messaggio di salvezza” diceva San Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo della Vita Consacrata il 2 febbraio 2000, rivolgendosi ai religiosi e alle religiose di tutto il mondo, e aggiungeva: “Ho potuto rendermi conto del valore della vostra presenza profetica per l’intero popolo cristiano e rendo volentieri atto, anche in questa circostanza, all’esempio di generosa dedizione evangelica offerto da innumerevoli vostri confratelli e consorelle che spesso operano in situazioni disagevoli. Essi si spendono senza riserve nel nome di Cristo al servizio dei poveri, degli emarginati e degli ultimi”.

    . Fratelli e sorelle, è vero che tutti noi, tutta questa assemblea in quanto battezzati, siamo chiamati ad essere testimoni del Signore Gesù, morto e risorto. Ma è altrettanto vero che noi, consacrati e consacrate, abbiamo ricevuto questa vocazione, questa chiamata al discepolato che ci chiede di testimoniare il primato di Dio con tutta la nostra vita. Questa missione è particolarmente importante quando – come oggi in molte parti del mondo – si sperimenta l’assenza di Dio o si dimentica troppo facilmente la sua centralità. Allora possiamo assumere e fare nostro il programma di San Benedetto Abate, sintetizzato nella massima “nulla anteporre all’amore di Cristo”.

    . È stato il Santo Padre Benedetto XVI a sfidarci in questo modo: all’interno del Popolo di Dio le persone consacrate sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia.

    CARD. PETER ERDOE (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/637-ungheria-1956-ricordi-e-valutazioni-del-card-peter-erdoe.html oppure https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/419-sinodo-intervista-al-relatore-generale-card-peter-erdoe.html oppure https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/14-il-card-erdoe-sulla-costituzione-ungherese-e-sul-cardinal-mindszenty.html ) - Dall’omelia della messa presieduta a Roma, in Santa Maria Nuova, il 4 maggio 2025 – In premessa qualche considerazione su un tweet.

    Premessa. Domenica 4 maggio 2025, alle 12.30, l’ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede Eduard Habsburg-Lothringen ha twittato le righe che seguono: Any speculation of a pre-conclave deal between Hungarian Cardinal Peter Erdö and former Vatican Secretary of State Cardinal Pietro Parolin is totally false. Cardinal Erdö has engaged in no such discussions”. Smentite dunque con un tweet non certo scontato qualsivoglia trattative tra il card. Parolin e il card. Erdö in funzione del raggiungimento della richiesta maggioranza dei due terzi in conclave, necessaria per l’elezione del nuovo Papa. E’ un tweet  in inglese e non in italiano. Perché? Le voci sulle trattative in tal senso, si ipotizza, sarebbero sorte in seno ai Sacri Palazzi, in ambienti non necessariamente conservatori (magari con lo scopo di danneggiare il card,. Parolin) e a quel momento potevano essere ritenute tipiche delle manovre con conseguenti colpi bassi  pre-conclave. Quando però le voci hanno attirato l’attenzione di ambienti anglofoni conservatori statunitensi, il loro peso si è fatto assai imbarazzante per il card. Erdoe, sospettato di essere sensibile alla tentazione di svendere il proprio patrimonio ideologico in cambio magari della Segreteria di Stato. Da lì la decisione – non banale -  dell’ambasciatore di Ungheria di pubblicare il tweet in inglese, dato che si voleva che la smentita varcasse l’Atlantico (e non colpisse comunque Parolin, altrimenti il tweet sarebbe stato scritto anche in italiano…).

    . Gesù Cristo è il capo della Chiesa. La Chiesa di oggi deve affrontare prima di tutto la questione della propria missione. Noi, cristiani siamo discepoli di Gesù di Nazareth, crocifisso e risorto. Il rapporto con Lui è la fonte della vita per noi. Tale rapporto è doppio.  

    . Da una parte richiede un collegamento storico. Gesù Cristo, infatti, è una persona storica, anche se trascende i limiti della nostra storia terrestre. Possiamo conoscere la sua vita, il suo insegnamento – anche se non sono stati registrati i suoi discorsi – e tutta la sua opera salvifica. La base principale della nostra conoscenza sul Cristo storico è la Sacra Scrittura, ma anche la tradizione della Chiesa. Tale tradizione non si esaurisce in un racconto storico: essa è testimonianza. Secondo un pensiero attribuito, forse erroneamente, al primo direttore dell’Opera di Budapest, Gustav Mahler, “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.

    . Dall’altra parte il nostro rapporto con Cristo è anche diretto e immediato e si realizza nella vita sacramentale, nella preghiera e nella spiritualità cristiana in generale. Forse costituisce uno dei segni dei tempi la fioritura dei movimenti di spiritualità e delle nuove comunità che sono un regalo per la Chiesa se agiscono secondo la fede autentica, vissuta con equilibrio e mantengono un vivo rapporto con le diocesi e con le parrocchie.

    . Cristo ha dato ai suoi discepoli una grande missione, quella di annunciare il Vangelo e di fare discepoli tutti i popoli, battezzandoli e insegando loro a osservare tutto ciò che Egli ci ha comandato (cfr. Mt 28.19-20). Tale missione è il principio organizzativo della Chiesa stessa. La distribuzione dei principali compiti risale ai tempi apostolici. Il battesimo, la cresima e in modo speciale il sacramento dell’ordine nei suoi diversi gradi comportano la grazia speciale per compiere i servizi loro affidati.

      Preghiamo per il conclave, per il nuovo Papa che sarà eletto nonché per la Chiesa che dovrà compiere la sua missione in una fase drammatica della storia dell’umanità.

    CARD. CLAUDIO GUGEROTTIDall’omelia della messa per il VII giorno dei Novendiali, Basilica di San Pietro, 2 maggio 2025

    . Oggi la liturgia viene animata e partecipata da alcuni dei Padri e dai figli e dalle figlie delle Chiese Orientali cattoliche, presenti insieme con noi per testimoniare la ricchezza della loro esperienza di fede e il grido della loro sofferenza, offerta per il riposo eterno del defunto Pontefice.

    . Ad essi noi diciamo grazie per aver accettato di arricchire la cattolicità della Chiesa con la varietà delle loro esperienze, delle loro culture, ma soprattutto della loro ricchissima spiritualità. Figli degli inizi del cristianesimo, essi hanno portato nel cuore, insieme con i fratelli e le sorelle ortodossi, il sapore della terra del Signore, e alcuni addirittura continuano a parlare la lingua che Gesù Cristo parlò.

    . Attraverso gli sviluppi prodigiosi e dolorosi della loro storia, essi raggiunsero dimensioni importanti ed arricchirono il tesoro della teologia cristiana con un apporto tanto originale quanto, in buona parte, da noi occidentali sconosciuto.

    . Nel passato gli Orientali cattolici hanno accettato di aderire alla piena comunione con il successore dell’apostolo Pietro il cui corpo riposa in questa Basilica. Ed è nel nome di questa unione che hanno testimoniato, spesso col sangue o la persecuzione, la loro fede. In parte ora ridotti, di numero e di forze ma non di fede, proprio dalle guerre e dall’intolleranza, questi nostri fratelli e sorelle rimangono saldamente aggrappati a un senso della cattolicità che non esclude, ma anzi implica, il riconoscimento della loro specificità.

    . Nello scorrere della storia essi furono a volte poco capiti da noi occidentali, che, in alcune epoche, li giudicammo e decidemmo che cosa di quanto essi, discendenti di apostoli e di martiri, credevano era o non era fedele alla teologia autentica (cioè la nostra), mentre i loro fratelli ortodossi, consanguinei e partecipi della stessa cultura, liturgia e modo di sentire l’essere e l’operare di Dio, li consideravano fuggiti di casa, perduti alla propria origine e assimilati a un mondo allora ritenuto reciprocamente incompatibile.

    . Papa Francesco, che ci ha insegnato ad amare la diversità e la ricchezza dell’espressione di tutto ciò che è umano, oggi credo esulti al vederci insieme per la preghiera per lui e per l’intercessione di lui. E noi ancora una volta ci impegniamo, mentre molti di loro sono costretti a lasciare le loro antiche terre, che furono Terra Santa, per salvare la vita e vedere un mondo migliore, a sensibilizzarci, come aveva voluto il nostro Papa, per accoglierli e aiutarli nelle nostre terre a conservare la specificità del loro apporto cristiano, che è parte integrante del nostro essere Chiesa cattolica.

    . Agli occhi e al cuore dei nostri fratelli e sorelle d’Oriente è sempre stato caro custodire l’incredibile paradosso dell’evento cristiano: da una parte la miseria del nostro essere peccato, dall’altra l’infinita misericordia di Dio che ci ha collocati accanto al suo trono a condividere persino il suo essere, mediante quella che con il grande Vescovo e Dottore sant’Atanasio, che la Chiesa ricorda oggi, definiscono “divinizzazione”.

    . La loro liturgia è tutta intessuta di questo stupore. E così, ad esempio, in questo tempo liturgico, la tradizione bizantina ripete senza fine questa esperienza ineffabile, dicendo, cantando e comunicando agli altri: “Cristo è risorto dai morti, calpestando con la morte la morte, e ai morti dei sepolcri ha elargito la vita”. E lo ripetono costantemente, come per farlo entrare nel cuore proprio e degli altri.

    . Questo stesso stupore esprime anche la liturgia armena, nel pregare con le parole di quel San Gregorio di Narek che proprio Papa Francesco volle ascrivere tra i Dottori della Chiesa e che la tradizione ha reso parte integrante dell’eucologia eucaristica: “Noi ti imploriamo, Signore, i nostri peccati siano consumati dal fuoco come quelli del profeta furono consumati dal carbone ardente offertogli con le pinze, così che in tutto la tua misericordia sia proclamata come la dolcezza del Padre fu annunciata attraverso il Figlio di Dio, che condusse il figlio prodigo a tornare all’eredità paterna e guidò le prostitute alla beatitudine dei giusti nel regno dei cieli. Sì, anch’io sono uno di loro: ricevi anche me al pari di loro, come bisognoso del tuo grande amore per l’umanità, io che vivo per le tue grazie”.

    . Ecco solo due esempi della forza vibrante con cui l’emozione del cuore si mescola in oriente alla lucidità della mente per descrivere la nostra immensa povertà salvata dall’infinità dell’amore di Dio.

    CARD. BALDASSARRE REINA - Dall’omelia della messa nel III giorno dei Novendiali, Basilica di San Pietro, 28 aprile 2025

    . La mia esile voce è qui oggi a esprimere la preghiera e il dolore di una porzione di Chiesa, quella di Roma, gravida della responsabilità che la storia le ha assegnato.

    . In questo tempo, mentre il mondo brucia, e pochi hanno il coraggio di proclamare il Vangelo traducendolo in visione di futuro possibile e concreto, l’umanità appare come pecore senza pastore. Questa immagine esce dalla bocca di Gesù poggiando lo sguardo sulle folle che lo seguivano.

    . Come al tempo dei primi discepoli, ci sono risultati e anche fallimenti, stanchezza e timore. La portata è immensa, e si insinuano le tentazioni che velano l’unica cosa che conta: desiderare, cercare, operare in attesa di «un nuovo cielo e di una nuova terra».

    . E non può essere, questo, il tempo di equilibrismi, tattiche, prudenze, il tempo che asseconda l’istinto di tornare indietro, o peggio, di rivalse e di alleanze di potere, ma serve una disposizione radicale a entrare nel sogno di Dio affidato alle nostre povere mani.

    . Mi colpisce in questo momento quanto l’Apocalisse ci dice: «Io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo».

    . Un nuovo cielo, una nuova terra, una nuova Gerusalemme.

    . Di fronte all’annuncio di questa novità non potremmo accondiscendere a quella pigrizia mentale e spirituale che ci lega alle forme dell’esperienza di Dio e di pratiche ecclesiali conosciute nel passato e che desideriamo debbano ripetersi all’infinito, soggiogati dalla paura delle perdite connesse ai cambiamenti necessari.

    . Penso ai molteplici processi di riforma della vita della Chiesa avviati da papa Francesco, e che sconfinano oltre le appartenenze religiose. La gente gli ha riconosciuto di essere stato un pastore universale e la barca di Pietro ha bisogno di questa navigazione larga che sconfina e sorprende.

    . Questa gente porta nel cuore inquietudine e mi pare di scorgervi una domanda: che ne sarà dei processi avviati?

    . Nostro dovere dovrebbe essere discernere e ordinare quello che è incominciato, alla luce di quanto la nostra missione ci richiede, nella direzione di un nuovo cielo e di una nuova terra, adornando la Sposa per lo Sposo. Mentre potremmo cercare di vestire la Sposa secondo convenienze mondane, guidati da pretese ideologiche che lacerano l’unità delle vesti di Cristo.

    . Cercare un pastore, oggi, significa soprattutto cercare una guida che sappia gestire la paura delle perdite di fronte alle esigenze del Vangelo.

    . La compassione di Gesù è quella dei profeti che manifestano la sofferenza di Dio nel vedere il popolo disperso e abusato dai cattivi pastori, dai mercenari che si servono del gregge, e che fuggono quando vedono arrivare il lupo. Ai cattivi pastori non gliene importa nulla delle pecore, le abbandonano nel pericolo, e per questo saranno rapite e disperse.

    . Mentre il pastore buono offre la vita per le sue pecore.

    CARD. MATTEO MARIA ZUPPIDall’omelia della messa in suffragio di papa Francesco, celebrata – come presidente della Cei – il 23 aprile 2025 nella Basilica di San Pietro.

    . Quanta emozione celebrare in questo luogo, che ci riporta al ministero affidato da Gesù a Pietro, primato indispensabile che serve e rappresenta la comunione, antidoto al banale protagonismo, presidenza nella carità di un popolo che dall’oriente all’occidente è radunato dal Signore. Non è scontato, quando nel mondo una cosa sola è l’individuo, non persone diverse ma unite dall’amore. Disse Papa Benedetto: “La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso”.

    . La nostra concreta umanità, la parzialità del nostro amore segnato sempre dalla nostra fragilità, non solo non impedisce questa bellezza, ma la fa risaltare.

    . Papa Francesco con tutta la sua vita si è fatto pellegrino instancabile e credibile nel nome di Gesù, ascoltando e toccando il cuore. Oggi ci chiede ancora di guardare al futuro, di aprire gli occhi per sognare, di non accontentarsi. Come a Firenze, dieci anni fa, nel discorso alla Chiesa italiana, oggi è lui il pellegrino che ci impedisce di cercare nel passato sicurezza, soluzione, protezione. Ha indicato e vissuto la gioia, ha messo al centro le Parole di Gesù, il kerigma, liberandolo da tante glosse, personali e ecclesiastiche, che lo rendevano inefficace, tanto da non parlare più al cuore, quasi da pensare di non avere niente da dire a chi, invece, cercava proprio le parole di vita eterna che solo Lui ha e che ci ha affidato.

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