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    PIZZABALLA/PACE, CRITICITA' - PAROLIN/GUARDIE SVIZZERE, ABORTO UE - DALI'

    PIZZABALLA/PACE, CRITICITA’- PAROLIN/GUARDIE SVIZZERE, ABORTO UE – DALI’ -  di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 9 maggio 2024

    Spunti non banali dalla ‘lectio magistralis’ del cardinale patriarca Pizzaballa alla Lateranense – Omelia di spessore del cardinale Parolin durante la messa in San Pietro per il Giuramento della Guardia Svizzera Pontificia – Una risposta da evidenziare del Segretario di Stato vaticano in un’intervista a Avvenire – Grande arte e fede per il Giubileo a San Marcello al Corso: Dalì e san Giovanni della Croce

     

    IL CRISTO DI PORT LLIGAT DI DALI’ E L’INCHIOSTRO DEL CRISTO CROCIFISSO DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE ESPOSTI A SAN MARCELLO AL CORSO

    Nell’ambito del programma culturale del Giubileo 2025, in San Marcello al Corso (vicino a piazza Venezia), dal tardo pomeriggio del 13 maggio al 23 giugno 2024 romani e pellegrini avranno la possibilità di ammirare e commuoversi davanti a due opere d’arte dal forte connotato religioso, esposte insieme per la prima volta: il celebre olio su tela (1951) di Salvador Dalì intitolato “Il Cristo di san Giovanni della Croce (detto “di Port Lligat”) e l’inchiostro che l’ha ispirato, quello del ‘Cristo Crocifisso” dello stesso san Giovanni della Croce, un disegno che il cofondatore dei Carmelitani scalzi schizzò ad Avila tra il 1572 e il 1577, secondo la tradizione dopo una rivelazione mistica. Il Dalì è conservato in museo a Glasgow, mentre lo schizzo è custodito nel reliquiario del Monasterio de la Encarnacion di Avila. L’iniziativa è promossa dal Dicastero per l’evangelizzazione (pro-prefetto arcivescovo Rino Fisichella, curatore don Alessio Geretti) ed è testimonianza di amore per la bellezza associata a una fede retta e chiara, ben evidente. Per lunedì 13 maggio alle 18.00 è prevista l’inaugurazione (entrata libera fino a esaurimento posti); successivamente la mostra giubilare sarà visitabile gratuitamente ogni giorno dalle 8.00 alle 20.00 (fino al 23 giugno). Da notare che la scelta di san Marcello al Corso non è casuale: essa ospita un famoso Crocifisso, invocato contro le epidemie (anche papa Francesco ha pregato in tal senso davanti a lui e all’icona della Salus populi romani il 27 marzo 2020 in piazza San Pietro)

     

    IL CARDINALE PIZZABALLA ALLA LATERANENSE: CRITERI DI UNA PASTORALE DELLA PACE IN TERRASANTA – CRITICITA’ DIALOGO INTERRELIGIOSO,  ACCORDI DI PACE, ONU - PERDONO, VERITA’ E GIUSTIZIA - CHIESA SI RIFERISCA SOLO AL VANGELO

     “Caratteri e criteri di una pastorale della pace”: questo il titolo della sostanziosa lectio magistralis che il cardinale patriarca Pierbattista Pizzaballa ha tenuto giovedì 2 maggio 2024 presso l’Università Lateranense.  Promossa dall’Istituto pastorale Redemptor hominis, la prolusione è stata introdotta dal rettore arcivescovo Alfonso Amarante e dal preside Paolo Asolan, commentata da Giulio Alfano (coordinatore del ciclo di studi in Scienze della pace), mentre ha funto da moderatore il giornalista Daniele Rocchi.

    La lectio, suddivisa in tre parti principali (“Guardare il volto di Dio”, “Guardare il volto dell’altro”, “La missione della Chiesa”) con introduzione e conclusione,  si è fondata soprattutto sull’esperienza di pastore maturata in Terrasanta da Pizzaballa in più di un trentennio (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/1155-neo-cardinali-pierbattista-pizzaballa-intervista-a-passo-di-carica.html ). Ci sembra utile offrire a chi ci legge alcuni spunti di riflessione in materia forniti da alcuni passi scelti nel testo di tredici pagine.

    . DALL’INTRODUZIONE: Quanto sta avvenendo in Terra Santa è una tragedia senza precedenti. Oltre alla gravità del contesto militare e politico, sempre più deteriorato, si sta deteriorando anche il contesto religioso e sociale. Il solco di divisione tra comunità, i pochi ma importanti contesti di convivenza interreligiosa e civile si stanno poco alla volta disgregando, con un atteggiamento di sfiducia che invece cresce ogni giorno di più. Un panorama desolante. Non mancano certo elementi di speranza, tra le tante persone che ancora oggi, nonostante tutto, vogliono lavorare per la riconciliazione e la pace. Ma dobbiamo realisticamente riconoscere che si tratta di realtà di nicchia e che il quadro generale resta molto preoccupante.

    . DA “LA MISSIONE DELLA CHIESA” (“Dialogo interreligioso”, 1): Il dialogo interreligioso ha prodotto documenti molto belli sulla fraternità umana, sull’essere tutti figli di Dio, sulla necessità di lavorare insieme per il rispetto dei diritti della persona… Sono tutti frutti di un’attività che considero spirituale, soprattutto l’ultima, che per ovvie ragioni, mi è più vicina.

    Eppure, in questo nostro attuale contesto di guerra, tutto questo in Terra Santa sembra oggi essere lettera morta

    Vi è un grande assente in questa guerra: la parola dei leader religiosi. Con poche eccezioni, non si sono sentite in questi mesi da parte della leadership religiosa discorsi, riflessioni, preghiere diverse da qualsiasi altro leader politico o sociale. Spero di essere smentito, ma si ha l’impressione che ciascuno si esprima esclusivamente all’interno della prospettiva della propria comunità.

    Rapporti di carattere interreligioso che sembravano consolidati sembrano oggi spazzati via da un pericoloso sentimento si sfiducia. Ciascuno si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto.

    Mi sono chiesto più volte, in questi mesi, se la fede in Dio sia davvero all’origine del pensiero e della formazione della coscienza personale, creando così tra noi credenti una comprensione comune almeno su alcune questioni centrali della vita sociale, oppure se il nostro pensiero si formi e si basi su altro.

    . DA “LA MISSIONE DELLA CHIESA” (“Dialogo interreligioso”, 2) Questa guerra è uno spartiacque nel dialogo interreligioso, che non potrà essere più come prima, almeno tra cristiani, musulmani ed ebrei.

    Il mondo ebraico non si è sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara, in particolare in Italia. I Cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati, e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre… insomma dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro. È per me, personalmente, un grande dolore, ma anche una grande lezione.

    Partendo da questa esperienza, dovremo ripartire, coscienti che le religioni hanno un ruolo centrale anche nell’orientare, e che il dialogo tra noi dovrà forse fare un passaggio importante, e partire dalle attuali incomprensioni, dalle nostre differenze, dalle nostre ferite. Non potrà essere più un dialogo solo tra appartenenti alla cultura occidentale, c come è stato fino ad oggi, ma dovrà tenere in conto le varie sensibilità, i vari approcci culturali non solo europei, ma innanzitutto locali. È molto più difficile, ma da lì si dovrà ripartire.

    E si dovrà farlo, non per bisogno o necessità, ma per amore.

    . DA “LA MISSIONE DELLA CHIESA” (“Il perdono”): La Chiesa, insieme alle altre comunità di fede, ha un ruolo fondamentale nella educazione alla riconciliazione, nel creare il contesto per un approccio al perdono, ma non lo può imporre. È necessario dare tempo e rispettare il dolore di chi soffre, aiutandolo però anche a rileggere la propria storia, permettendo che le ferite guariscano. Spesso in Terra Santa si tratta di sapere attendere. Non sempre il cuore delle persone e delle comunità è pronto e libero per parlare di perdono. Il dolore è ancora troppo forte. Spesso è più facile avere a che fare con rabbia più che con desiderio di perdono. Bisogna, perciò, sapere attendere, ma allo stesso tempo proporre senza stancarsi la via cristiana della pace.

    Tutti gli accordi di pace in Terra Santa, finora, sono di fatto falliti, perché erano spesso accordi teorici, che presumevano di risolvere anni di tragedie senza tenere in considerazione l’enorme carico di ferite, dolore, rancore, rabbia che ancora covava e che in questi mesi è esploso in maniera estremamente violenta. Non si è tenuto conto, inoltre, del contesto culturale e soprattutto religioso, che invece parlava una lingua esattamente contraria (a cominciare dai leader religiosi locali) da quella di chi parlava di pace.

    . DA “LA MISSIONE DELLA CHIESA” (“Verità e giustizia”, 1): Il perdono, come dicevo, è un tema centrale per la pastorale della pace. Ma nel nostro contesto, il perdono non può essere disgiunto da due altre parole: verità e giustizia.  La sofferenza, il dolore, le ferite che questo conflitto ha causato sono conosciute. (…) Da decenni in Terra Santa sussiste l’occupazione israeliana dei territori della Cisgiordania, con tutte le sue drammatiche conseguenze sulla vita dei palestinesi e anche degli israeliani. La prima conseguenza e la più visibile di questa situazione politica è la condizione di ingiustizia, di non riconoscimento di diritti basilari, di sofferenza nella quale vive la popolazione palestinese in Cisgiordania. È un’oggettiva situazione di ingiustizia.

    Come ho detto poc’anzi, per la nostra Chiesa il conflitto con le sue conseguenze, è parte integrante della vita ordinaria, ed è inevitabilmente parte del pensiero e della riflessione di tutta la comunità. Non di rado, come in questo periodo, si tratta di una riflessione e di una discussione dura e dolorosa. Mantenere la comunione tra i cattolici palestinesi e israeliani, in questo contesto lacerato e polarizzato, è quanto mai arduo.

    Non si può, quindi, parlare di perdono, senza allo stesso tempo parlare di verità e giustizia. Non dire una parola di verità sulla vita di un palestinese, la cui vita da decenni è in attesa che gli sia riconosciuta giustizia e dignità, significherebbe giustificare una oggettiva situazione ingiustizia.

    . DA “LA MISSIONE DELLA CHIESA” (“Verità e giustizia”, 2): Come Patriarca latino di Gerusalemme, mi sono trovato, fin dall’inizio di questo conflitto, in una situazione che richiede una scelta, una presa di posizione chiara e precisa. (…) Più concretamente, mi si chiede spesso: “Come posso pensare di perdonare l’israeliano che mi opprime, finché sono sotto oppressione? Non significherebbe dargliela vinta, lasciargli campo libero senza difendere i miei diritti? Prima di parlare di perdono non è forse necessario che si faccia giustizia?”. L’israeliano, a sua volta, potrà aggiungere: “Come posso perdonare chi uccide la mia gente in maniera così barbara?” Sono domande dietro alle quali vi è un dolore reale, sincero, da rispettare.

    Non so se sia possibile rispondere a queste domande, ma non si può evitare di porsele.

    .  DALLA CONCLUSIONE: Permettetemi di aggiungere una piccola riflessione. In Terra Santa assistiamo dolorosamente alla crisi crescente degli organismi multilaterali, come ad esempio l’ONU, sempre più impotente e, per molti, ostaggio delle grandi potenze (basti pensare i vari poteri di veto). La comunità internazionale è sempre più debole, e così i vari altri organismi internazionali.

    In breve, quanti a livello internazionale sono deputati al mantenimento e alla promozione della pace, alla difesa dei diritti, alla costruzione di modelli di società dignitosi, hanno mostrato tutta la loro debolezza. La leadership locale è ancora più in difficoltà, di ogni genere. Realtà purtroppo a tutti assai nota. (…)

    In questo contesto così desolante, gli operatori pastorali, i pastori, la Chiesa, devono fare attenzione a non cadere in una facile tentazione: quella di sostituirsi a quegli organismi, e di entrare in dinamiche politiche di negoziazioni politiche che per loro stessa natura sono soggette a mai facili compromessi, spesso anzi dolorosi e controversi. La tentazione di colmare il vuoto lasciato dalla politica è facile, e anche la richiesta da parte di molti di colmare quel vuoto è sempre insistente.

    Ma non è questo il compito della Chiesa, che - come dicevo - deve rimanere chiesa, comunità di fede, che non significa essere avulsi dalla realtà, ma anzi essere sempre disposti ad impegnarsi con chiunque per costruire la pace, per facilitare la creazione di contesti che aiutino a costruire prospettive politiche, ma rimanendo se stessa, senza entrare in dinamiche politiche che non le appartengono, e che per loro natura sono spesso estranee alle logiche del Vangelo.

    La pastorale della pace ha solo il Vangelo come riferimento. 


    . Dai presenti sono poi state poste al patriarca di Gerusalemme dei Latini diverse domande. Tra le risposte: (risonanza appelli) "Calci e schiaffi ne ho presi dagli uni e dagli altri. Ciò significa che perlomeno mi hanno ascoltato. Alcune relazioni personali sono state ferite, altre ne sono nate". (silenzi interreligiosi): Sarebbe utile avere una voce comune... sarebbe facile sottoscrivere 'Ci spiace per quello che sta accadendo' " (arruolamenti): "In questo periodo ci vogliono tutti arruolati. Non possiamo certo essere neutrali, ma costruttivi sì. Però non è molto facile. Le persone che ci chiedono di schierarci partono da un dolore reale, che deve esserfe rispettato". (parrocchia di Zababdeh, legata a Sant'Ippolito martire a Roma): "E' in una zona molto calda della Cisgiordania, dopo il 7 ottobre tutti i permessi di lavoro sono stati cancellati, nonostante tutto per il momento riesce a resistere".

     

     

    CARDINALE PAROLIN/GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA - UN’OMELIA DI SPESSORE: VERITA’, MENZOGNA, TESTIMONIANZA

    Come tradizione, anche il 6 maggio di quest’anno la Guardia Svizzera Pontificia ha commemorato i 147 soldati morti nel 1527 durante il ‘Sacco di Roma’ per difendere papa Clemente VII e nel contempo ha accolto solennemente nelle sue file, tramite il rito del Giuramento in San Damaso 34 nuove reclute (16 tedescofone, 16 francofone, 2 italofone). Ora l’effettivo delle Guardie in servizio agli ordini del colonnello Christoph Graf è al completo: 135. Presente come sempre una folta delegazione elvetica guidata stavolta dalla presidente della Confederazione Viola Amherd, dai presidenti delle due Camere Eric Nussbaumer e Brigitte Eva Herzog, dal presidente della Conferenza episcopale svizzera Félix Gmür. Cantone ospitante: Basilea-campagna. Tra i diversi momenti che scandiscono la festa è secondo noi di importanza particolare la santa messa celebrata di primo mattino in San Pietro il 6 maggio: una messa che, come abbiamo evidenziato più volte in questo nostro sito (vedi ad esempio  https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/374-giuramento-guardie-svizzera-che-si-ritrova-ormai-solo-a-roma.html ), suscita sempre profonde  emozioni per suoni, luci, colori, per il raccoglimento dei presenti e per quell’alternanza di lingue (concretizzata ad esempio nel canto dell’inno nazionale) che anche in patria si ritrova sempre più raramente.  

    A presiedere il rito il cardinale Pietro Parolin, la cui omelia – di cui ridiamo alcuni sapori – ha tratto spunto in particolare dal Vangelo secondo Giovanni 15,26 – 16, 4a, che qui riproduciamo: “In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: ‘Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della Verità che procede dal Padre, egli sarà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando verrò la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto”. Insomma un brano bello tosto di Vangelo, che il Segretario di Stato vaticano ha commentato davanti alle Guardie svizzere puntando all’essenziale e dunque senza fronzoli.    

    Nell’omelia Pietro Parolin ha evidenziato tre richiami contenuti nel Vangelo:  Paraclito come “Spirito di Verità”, il compito del rendere “testimonianza di Cristo”, il “prezzo” della testimonianza cristiana.

    . Lo Spirito Santo, come “Spirito di Verità” contrasta lo “spirito dell’errore”, arma con cui il “padre della menzogna” avvelena il mondo. Perciò “discernere tra la verità e l’errore per rimanere nella verità e operare in essa è una sfida essenziale dei discepoli di Cristo”. Il porporato vicentino ha qui ricordato la “meditazione sulle due bandiere” di sant’Ignazio di Loyola, che ci suggerisce così di vedere “il mondo diviso in due campi di battaglia, uno con il vessillo di Gesù e l’altro con il vessillo di Satana”. Ciò rimanda a san Paolo che si rivolge agli Efesini: “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo”.

    . Uno dei “compiti specifici” dello Spirito Santo è di rendere testimonianza di Cristo. Infatti “senza lo Spirito Santo il Vangelo resterebbe solo un’informazione bellissima, ma non un annuncio che può realmente cambiare la vita”. Rivolgendosi alla Guardie il cardinale Parolin ha citato gli articoli 73 e 75 del Regolamento di servizio: ‘Le Guardie Svizzere devono dimostrarsi in tutte le circostanze buoni cristiani e soldati esemplari’, rifuggendo ‘quanto contrasta con la fede, la morale cristiana e i doveri del proprio stato’. Sono queste “indicazioni concrete per continuare a dare testimonianza a Gesù”.

    . Il “prezzo” della testimonianza cristiana: “Se Gesù ci parla apertamente delle asperità e delle persecuzioni è perché, invece di perdere tempo a meravigliarcene o a scandalizzarci, possiamo crescere nella nostra fiducia in Lui”. Così da non disperarci o vendicarci, ma per “sperimentare quanto sia rasserenante rifugiarsi e confidare in Dio”. E’ vero che “agli occhi del mondo” tale atteggiamento “suscita disprezzo”, ma in realtà “esso esprime la fortezza, la più ‘combattiva’ delle virtù”. Perché “la fortezza cristiana è forza nel sacrificio, coraggio nella lotta, fedeltà nella costanza (…) Essa deve costituire la nota di fondo del nostro essere cristiani nell’ordinarietà dell’esistenza e perciò abbiamo bisogno di chiederla continuamente come dono da. Dio. E’ la virtù dei santi e dei martiri, è la virtù che rifulse in grado eminente in Colei che rimase fedele e coraggiosa ai piedi della croce”.

     

    ANCORA SUL CARDINALE PAROLIN: UN’INTERVISTA A AVVENIRE E UNA RISPOSTA DA NOTARE

    Domenica 28 aprile 2024 Avvenire ha pubblicato – sotto il titolo: “Parolin: la diplomazia della Santa Sede pronta ovunque al servizio della pace” - un’ampia intervista di Mimmo Muolo al Segretario di Stato vaticano. Ci sembra interessante evidenziarne una risposta, legata a un argomento di indubbia e bruciante attualità.

    La domanda riguardava la richiesta di inserire il cosiddetto ‘diritto di aborto’ tra i principi fondamentali della Carta europea. Il cardinale Parolin ha risposto così: “Quando si attacca in maniera così radicale la vita, c’è veramente da chiedersi che futuro vogliamo costruire. Sento nel cuore una grande tristezza, non ho neanche le parole per esprimerla adeguatamente. Ma, lo ripeto, mi sento estremamente triste di fronte a questo modo di approcciare la situazione. Come possiamo pensare che l’aborto sia un diritto? Che assicuri un futuro alla nostra società? Non capisco. Davvero non capisco”.  Avranno letto tale risposta i gesuiti de La Civiltà cattolica e i vescovi della Cei e della Comece, che hanno sfornato nei giorni scorsi articolate e poderose riflessioni sul prossimo voto europeo (a dire il vero un tantino sbilanciate, a leggerle in profondità – anche nelle sfumature - al di là della patina di apparente e clericalissima imparzialità)?  

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