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    SINODI E CONCLAVI - GUERRE/ L'IMPOTENZA ONU: UN DISCORSO CRUDO

    SINODI E CONCLAVI  - GUERRE/ L’IMPOTENZA ONU: UN DISCORSO CRUDO - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 novembre 2023

     

    Indiscrezioni di robusta verosimiglianza – raccolte da due media statunitensi – confermano lo studio dell’estensione alle procedure di elezione del Papa del progetto di riforma in profondità della Chiesa promosso da papa Francesco. La situazione drammatica in Terrasanta e l’impotenza delle Nazioni Unite: un discorso crudo al Consiglio di Sicurezza di Filippo Grandi, Alto Commissario dell’ONU per i rifugiati.

     

    IL PAPA ELETTO DA UN CONCLAVE DI CARDINALI E DI NON CARDINALI?

    Scrivevamo il 12 ottobre 2023 ( vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1158-zuppi-a-sant-ippolito-don-morlacchi-da-gerusalemme-casarini.html ) a proposito della presenza del noto no-global e taxista del mare (ben remunerato) Luca Casarini al Sinodo dei vescovi e dei non vescovi in qualità di ‘Invitato speciale’: C’è qualche maligno che osi mettere in dubbio l’autorevolezza di Casarini – del resto già beatificato sfrontatamente dai media turiferari vaticani e dalla galassia turiferaria italiana - in materia di sinodalità, di comunione, partecipazione e missione ecclesiale? Se ci fosse, diamogli subito una risposta forte: modifichiamo con un blitz, dopo le norme riguardanti il Sinodo dei vescovi (divenuto dei vescovi e dei non vescovi), anche quelle concernenti il conclave. Rendiamolo insomma “Conclave di cardinali e di non cardinali”. E allora forse Casarini ce la farà anche a diventare papa di cattolici e non cattolici…. sempre che lo Spirito Santo non ci metta una pezza”.

    Questo scrivevamo… ma non pensavamo di trovare una conferma dei nostri timori in così poco tempo. Sì, perché sabato sera 4 novembre 2023 due media cattolici conservatori statunitensi, The Pillar e The Remnant (quest’ultimo per mano di una collega rigorosa e credibile come Diane Montagna) hanno pubblicato indiscrezioni non banali su una possibile riforma del conclave.

    Fondandosi su bozze elaborate sull’argomento, i due media (ripresi poi subito in Italia dal blog Messainlatino.it ) sostengono che in Vaticano si sta pensando seriamente a novità clamorose sia a livello delle Congregazioni generali che precedono il Conclave che a livello del Conclave stesso. Per le Congregazioni generali si prospettano l’esclusione dei porporati ultraottantenni (solitamente preziosi per la loro esperienza nel contesto delle discussioni sullo stato della Chiesa, utili anche per focalizzare possibili papabili) e l’eliminazione o drastica riduzione delle riunioni plenarie per far posto a conversazioni a una serie di tavolini di lavoro (un po’ come è capitato al Sinodo dei vescovi e dei non vescovi). Per il Conclave poi si prefigura la presenza (e dunque il voto) di un 75% di cardinali e di un 25% di non cardinali (laici compresi, nominati dal Papa). Si dirà: sì… ma nessuna rivoluzione…se si pensa che per secoli l’elezione del Papa è stata in balia ad esempio di famiglie nobili romane e di ogni altra sorta di poteri politici ben terreni… vero, ciò però non toglie che la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis (Giovanni Paolo II, 1996) dichiara solennemente che “ in base a una prassi millenaria sancita da specifiche norme canoniche e confermata da un’esplicita disposizione del vigente Codice di Diritto Canonico (canone 349)” l’organo che elegge il Papa “ è costituito dal Collegio cardinalizio di Santa Romana Chiesa”. Non è un dogma di fede, ma è pur sempre una norma collaudata che – specie nell’ultimo secolo – ha dato buona prova di sé.

    Non abbiamo ragionevole motivo di pensare che The Pillar e The Remnant si siano inventati tutto. Considerato quanto è successo per il Sinodo dei vescovi (trasformato in Sinodo dei vescovi e dei non vescovi, di molto dubbia validità canonica), è senz’altro verosimile che si stia pensando a qualcosa di analogo anche per la procedura di elezione papale. E allora…. Luca Casarini in Conclave e … magari non la prima volta, lo si potrà ritrovare affacciato alla Loggia delle Benedizioni: Buonasera, compagni! (giù il sipario).

     

    FILIPPO GRANDI: UN DISCORSO CRUDO AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

    Non si spegne il crepitio delle armi in Terrasanta: sempre più morti, sempre più distruzioni, sempre più sfollati. E’ una situazione questa che risale molto indietro nel tempo: già da un secolo – con l’affermarsi concreto e numerico del ‘ritorno a Sion’ –si è sviluppata nella regione in modo sempre più drammatico l’ostilità tra i nuovi arrivati e la popolazione araba residente: i primi a rivendicare il diritto di ricostituire l’antica terra di elezione, la seconda a difendere quella ritenuta la patria esclusiva.

    Una complessa situazione geopolitica che la neonata Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dopo lunghe e contrastate discussioni, cercò di risolvere con la decisione del 29 novembre 1947 (Risoluzione 181) che prevedeva l’istituzione di due Stati, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Sappiamo quel che successe poi: il rifiuto  di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele (che de facto persiste ancora oggi nel cuore di tanti arabi) portò allo scoppio della prima guerra del maggio 1948, seguita da altre due, poi dal manifestarsi a più riprese dell’Intifada, infine sfociata nel feroce attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

    In tutti questi decenni che ruolo ha avuto l’ONU, istituita nel 1945 proprio per evitare in primo luogo i conflitti militari in ogni parte del mondo?  

    Il discorso che Filippo Grandi, Alto Commissario dell’ONU per i rifugiati, ha tenuto il 31 ottobre scorso davanti al Consiglio di Sicurezza, dà una lettura cruda – e purtroppo vera – dell’impotenza che l’organizzazione ha dimostrato e dimostra non solo nel caso del conflitto arabo-israeliano, ma anche a riguardo di tante guerre grandi e piccole in corso nel mondo, una sorta di Terza Guerra mondiale a pezzetti, come evidenzia sempre il Papa.

    Del discorso riproponiamo ampi stralci.

    (…) Le persone costrette a fuggire sono una diretta conseguenza del fallimento nel garantire pace e sicurezza, e i conflitti brutali continuano ad esserne la causa principale. Le ultime tre settimane hanno provato in maniera devastante come l’inosservanza delle regole fondamentali di guerra e del diritto internazionale umanitario stia diventando sempre più la norma e non l’eccezione, a fronte di un numero senza precedenti di civili innocenti uccisi: gli attacchi di Hamas contro i civili israeliani e l’uccisione di civili palestinesi e la massiccia distruzione di infrastrutture causata dall’operazione militare israeliana in corso. Mentre parliamo, e come ormai sapete, oltre due milioni di cittadini di Gaza, metà dei quali bambini, stanno vivendo quello che il mio collega Philippe Lazzarini ha definito “l’inferno in terra”. Un cessate il fuoco umanitario, unito ovviamente a una sostanziale fornitura di aiuti umanitari all’interno di Gaza, può almeno fermare questa spirale di morte e spero per questo che possiate superare le vostre divisioni ed esercitare la vostra autorità per chiederlo: il mondo sta aspettando che voi lo facciate.

    Ma vogliamo sperare che il cessate il fuoco sia il primo passo per intraprendere ancora una volta – finalmente! – il cammino verso una soluzione. Per molti anni, compresi quelli in cui ho diretto l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi  nel Vicino Oriente (UNRWA), mi sono reso conto di come la soluzione del conflitto israelo-palestinese sia sempre stata descritta come “sfuggente”: ma non è stata sfuggente: è stata ripetutamente e deliberatamente trascurata, messa da parte come qualcosa di non più necessario, e quasi ridicolizzata. Affrontare la cronica recrudescenza della violenza, seguita da cessate il fuoco temporanei, è stato ritenuto più conveniente che concentrarsi su una vera pace, in grado di dare a israeliani e palestinesi i diritti, il riconoscimento, la sicurezza e la statualità che meritano. Spero che ora, tra gli orrori della guerra, si possa almeno capire quanto sia stato grave l’errore di valutazione. Non ci sarà pace nella regione e nel mondo senza una giusta soluzione al conflitto israeliano e palestinese, compresa la fine dell’occupazione israeliana. Spero che le osservazioni del Segretario Generale qui in Consiglio la scorsa settimana aiutino tutti a riflettere sulla necessità di voltare questa cupa pagina, per quanto difficile possa essere: perché è vitale. 

    E il contrario è profondamente preoccupante. Sebbene l’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) non abbia il mandato di operare nei Territori palestinesi occupati (e permettetemi di rendere omaggio soprattutto all’UNRWA, la mia ex organizzazione, e ad altri operatori umanitari per il loro eroico lavoro, ed esprimere le mie più sentite condoglianze per i 67 colleghi uccisi), è chiaro che quest’ultima e più letale fase di conflitto violento rischia di contagiare l’intera regione e non solo, con conseguenze catastrofiche, anche in luoghi in cui c’è una forte presenza dell’UNHCR e dove lavoriamo per proteggere e assistere gli sfollati e cambiare la loro condizione.  

    Signor Presidente, il conflitto a Gaza è l’ultimo – e forse il più grande – tassello di un pericolosissimo puzzle di guerre che si stanno rapidamente chiudendo intorno a noi. 

    Ma noi – voi – abbiamo la responsabilità di ricordare che non è l’unico. 

    Pensate al Sudan: solo sei mesi fa i governi e i media erano molto concentrati su questa situazione, mentre i cittadini di questo Paese venivano sradicati a causa di un conflitto esploso senza alcun preavviso e che ha trasformato le loro case dove vivevano in pace, in cimiteri. Ora, i combattimenti aumentano in portata e brutalità, colpendo la popolazione del Sudan, e il mondo è scandalosamente silenzioso, nonostante le continue violazioni del diritto internazionale umanitario persistano impunemente. (…)  

    Pensate al Libano, che sta soffrendo per il collasso economico di un Paese in cui una persona su quattro è un rifugiato palestinese o siriano, concreto segnale di non uno ma ben due conflitti irrisolti ai confini di questo piccolo Paese. 

    Pensate alla regione del Sahel centrale, dove, in contesti di grave instabilità politica, la violenza brutale, che per anni ha terrorizzato i civili, sta di nuovo aumentando, costringendo sempre più persone a fuggire verso gli Stati costieri dell’Africa, che sono giustamente molto preoccupati, sullo sfondo di un’emergenza climatica che sta inesorabilmente devastando i Paesi più poveri. 

    Pensate alla Repubblica Democratica del Congo, dove uno dei peggiori effetti dei conflitti recenti – l’orribile violenza contro le donne – è talmente diffuso come strumento di guerra da rendere il mondo quasi insensibile alle notizie ricevute ogni giorno sul numero sempre in crescita di donne e bambini violentati, sfruttati e uccisi – una violenza, questa, che spinge ogni giorno le persone ad abbandonare le loro case e fuggire. 

    Basti pensare all’Armenia, dove 100.000 rifugiati sono fuggiti da Karabakh nel giro di pochi giorni; il risultato di un altro conflitto irrisolto che è stato lasciato ribollire per decenni. 

    Guardiamo a luoghi come l’America Centrale e altrove, dove vediamo sempre più uno schema per cui crisi irrisolte si aggravano a causa della criminalità, incluse le gang criminali, che costringono le persone alla fuga – e dove complessi flussi di popolazione ora comprendono anche molti arrivi dall’Africa e oltre – a testimonianza della globalità di questo fenomeno e la disperazione. 

    Ogni nuova crisi sembra spingere le precedenti in un pericoloso oblio. Ma queste continuano ad esistere. Pensate all’Ucraina, dove (…) non solo persiste la condizione di tutti i civili, più di 11 milioni di persone, costretti ad abbandonare le proprie case in seguito all’invasione, ma è particolarmente acuta ora, con l’arrivo dell’inverno. La loro sofferenza non deve essere dimenticata e anche questo conflitto deve essere risolto con una giusta pace per il popolo ucraino.  

    Signor Presidente, pensi a tutte queste crisi, e lasci che questo operatore umanitario da ormai una vita le dica che abbiamo bisogno della sua voce per affrontarle tutte. Non le vostre voci. La vostra voce. La vostra voce forte e unita dell’autorità che la Carta affida a questo Consiglio, ma che il mondo non sente più, affogato com’è da rivalità e divisioni. Dal mio punto di vista, questo è diventato difficile da capire. Come sostenitore del multilateralismo e del ruolo delle Nazioni Unite, non posso accettarlo. (…)

    Signor Presidente, la gravità di questo momento non può essere sottovalutata. Le scelte che voi 15 farete – o non farete – segneranno tutti noi, e per le generazioni a venire. Lascerete che questo puzzle di conflitti si completi di atti aggressivi a causa della vostra disgregazione o di semplice negligenza? 
    O sarete coraggiosi e intraprenderete i passi necessari per far ritorno dagli abissi?

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