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    LA VIDA NUEVA DEL PAPA - LA TURCHIA DI ANSALDO - UN TESTO DI LISA BILLIG

    LA VIDA NUEVA DEL PAPA – LA TURCHIA DI ANSALDO – UN TESTO DI LISA BILLIG – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 agosto 2023

    Qualche spunto dall’intervista che il Papa ha rilasciato alla redazione del settimanale spagnolo ‘Vida nuova’ prima di partire per il Portogallo e la GMG di Lisbona. Qualcosa anche sul cardinale Omella y Omella e sul canto di  ‘Cara al sol’ di un gruppo di giovani spagnoli.  Un libro di Marco Ansaldo sulla Turchia in marcia. Un testo di Lisa Palmieri-Billig sul dialogo interreligioso.

     

    Si è conclusa domenica 6 agosto la 37ma edizione della Giornata mondiale della Gioventù, svoltasi a Lisbona con la presenza di papa Francesco. Indubbiamente, a vedere e ascoltare le testimonianze, un appuntamento complessivamente molto ben riuscito: oltre un milione i giovani convenuti che, a detta dei portoghesi, non solo si sono comportati civilmente, ma hanno portato un supplemento sia di allegria che di spiritualità alla capitale lusitana, fornendo nel contempo al mondo l’immagine (non scontata) di una Chiesa cattolica ancora ben radicata, forse con un futuro ragionevolmente non così compromesso. Del tema parleremo ampiamente in una delle prossime edizioni di www.rossoporpora.org .

    In questa sede proponiamo invece alcuni spunti tratti da un’ampia intervista che Jorge Mario Bergoglio ha rilasciato poco prima di partire per Lisbona a un’intera redazione, quella del settimanale spagnolo Vida Nueva (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1147-spagna-cattolici-cifre-voto-del-23-j-martiri-ungheria-romania.html ), coordinata per l’occasione dal collega don Antonio Pelayo (vaticanista collaudato tra l’altro della stessa Vida Nueva e di Antena 3, consigliere ecclesiastico dell’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede). Nell’intervista al settimanale (che di certo non simpatizza con i cattolici ‘di destra’) Francesco tocca tanti argomenti, un po’ come è stato per le interviste rilasciate per il decennale ad alcuni media argentini. E dà il meglio e forse anche il peggio di sé.

    Tra i temi la ‘missione’ vaticana intesa a preparare il terreno per scambi umanitari consistenti e per una prima attenuazione dell’insensata guerra in Ucraina (di cui sono pesantemente corresponsabili Stati Uniti e la loro propaggine Nato anche con il continuo e osceno invio di armi, tra cui le famigerate bombe a grappolo), i seminaristi che Bergoglio chiama ‘rigidi’, i giovani che si lasciano influenzare da ideologie ‘di destra’.

    SU ‘MISSIONI’ VATICANE E GUERRA IN UCRAINA:

    “Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, sta lavorando in maniera approfondita come responsabile dei colloqui. È già andato a Kiev, e lì persiste l'idea della vittoria senza spazio per la mediazione. È stato anche a Mosca, dove ha riscontrato un atteggiamento che potremmo definire diplomatico da parte della Russia. Il progresso più significativo che si è guadagnato concerne il ritorno dei bambini ucraini nel loro Paese. Stiamo facendo tutto ciò che è in nostro potere per garantire che ogni membro della famiglia che chiede il ritorno dei propri figli possa ottenerlo.
    Per questo (NdR: cioè per gli scambi umanitari), sto pensando di nominare un rappresentante permanente che faccia da ponte tra le autorità russe e ucraine. Per me, in mezzo al dolore della guerra, è un grande passo. Dopo la visita del cardinale Zuppi a Washington, la prossima tappa prevista è Pechino, perché entrambi detengono anche la chiave per abbassare la tensione del conflitto. Tutte queste iniziative sono ciò che io definisco "un'offensiva per la pace". Inoltre, per novembre, prima che si tenga a Dubai il vertice sul clima delle Nazioni Unite, stiamo organizzando un incontro di pace con i leader religiosi ad Abu Dhabi. Il cardinale Pietro Parolin sta coordinando questa iniziativa (NdR: da notare qui il ‘recupero’ della Segreteria di Stato), che intende non a caso svolgersi fuori dal Vaticano, in un territorio neutrale che invita all'incontro tra tutti.

    SUI SEMINARISTI ‘RIGIDI’ DA RIEDUCARE: UN VERO E PROPRIO ACCANIMENTO PAPALE (CHE FERISCE) CONTRO TANTI GIOVANI CHE VOGLIONO SOLO ESSERE FEDELI ALLA CHIESA.

    1.     I ‘rigidi’ sono dei paurosi e spesso nascondono ‘gravi vizi’ (NdR: una generalizzazione che merita l’aggettivo di ‘assurda’)

    “Questa rigidità è di persone buone che vogliono servire il Signore. Reagiscono così perché hanno paura del tempo di insicurezza che stiamo vivendo, e questa paura non permette loro di camminare. Dobbiamo rimuovere questa paura e aiutarli. D’altra parte, questa armatura nasconde molto marcio. Ho già dovuto intervenire in alcune diocesi di diversi Paesi con parametri simili. Dietro questo tradizionalismo, abbiamo scoperto problemi morali e gravi vizi, doppie vite. Sappiamo tutti di vescovi che, avendo bisogno di sacerdoti, hanno utilizzato persone che avevano cacciato da altri seminari per immoralità.

    Non mi piace la rigidità perché è un cattivo sintomo di vita interiore. Il pastore non può permettersi di essere rigido. Il pastore deve essere pronto ad affrontare qualsiasi cosa gli capiti a tiro”.

    2.     Irigidi’ non sono ‘normali, non giocano a calcio, vanno a ‘dogmatizzare’ nei quartieri (NdR: che si può fare… se non scuotere la testa?)

    “Qualcuno mi ha detto recentemente che la rigidità dei giovani sacerdoti nasce perché sono stanchi del relativismo attuale, ma non è sempre così. Chiedo ai vescovi di guardarsi da questa deriva e di essere chiari sul fatto che non sono solo i “beati Imelda” (NdR: bolognese, morì tredicenne in estasi dopo aver ricevuto la santa Comunione) a fare i preti migliori. Se uno vi fa la faccia da “santo” e alza gli occhi al cielo, diffidate. Abbiamo bisogno di seminaristi normali, con i loro problemi, che giochino a calcio, che non vadano nei quartieri a dogmatizzare… Mi è servito chiedere rapporti alle donne delle parrocchie, ai curati e ai fratelli dove i seminaristi andavano…”

    3.     I ‘rigidi vanno rieducati dai preti post-sessantottini (NdR: fategli leggere ad alta voce ed imparare a memoria ad esempio i testi del noto gesuita James Martin, oltre ai discorsi del noto invitato speciale al Sinodo sulla sinodalità Luca Casarini. Se del caso anche della ‘grande italiana’ Emma Bonino...)

    “C’è bisogno di quei pastori di polso, di quei sacerdoti che sono vivi e hanno superato la mezza età. Hanno l’esperienza e la pazienza per accompagnarli. Lentamente, li stanno “ammorbidendo”. Quando vedono che l’accoglienza del Concilio non è una minaccia per il magistero, si “ammorbidiscono”. Ma non è facile, perché il clericalismo è sempre presente.

    Ci sono persone che vivono intrappolate in un manuale di teologia, incapaci di entrare nei problemi e di far progredire la teologia. La teologia stagnante mi ricorda che l’acqua stagnante è la prima a corrompersi, e la teologia stagnante crea corruzione”.  

    MAMMA, LI GIOVANI INTELLETTUALI DI DESTRA! POI: IL CARDINALE OMELLA Y OMELLA, QUE TE VOTE TXAPOTE E CARA AL SOL

    “Oggi come oggi, ho una gran paura dei gruppi giovanili intellettuali, quelli che attraggono i giovani per riflettere e poi riempirli di idee bislacche (ideas raras). In questo momento i più pericolosi sono forse i gruppi legati per qualche verso a ideologie di destra. Data la situazione mondiale, quelli di sinistra sono un po’ in ribasso”.

    Idee bislacche… Mah…. E per fortuna quel politologo di papa Francesco l’intervista a Vida Nueva l’ha data prima di partire per il Portogallo. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo di slogan e canti di “diversi gruppi” (cardinale Juan José Omella y Omella, presidente della Conferenza episcopale spagnola) di giovani spagnoli giunti a Lisbona per la GMG. In mezzi pubblici di trasporto è risuonato vigoroso lo slogan anti-sanchista diffusissimo presso gli elettori di centro-destra e destra durante la recente, aspra campagna elettorale: “Qué te vote Txapote” (pronuncia: Chapote , nome di uno spietato terrorista basco dell’Eta- sta scontando 152 anni di carcere – e slogan riferito agli accordi di Sanchez con i nazionalisti baschi). All’aperto poi un nutrito gruppo di altri giovani spagnoli ha intonato con allegria baldanzosa addirittura Cara al sol, con la camisa nueva, que tu bordaste en rojo ayer , l’inno falangista per eccellenza. In conferenza-stampa il cardinale Omella y Omella ha da una parte minimizzato, parlando di episodi “piccoli e sporadici”, dall’altra caricato il cannone definendoli comunque – da perfetto esponente della cosiddetta ‘Chiesa inclusiva’, “per tutti, tutti, tutti” - un’espressione “non di cristianesimo, ma di fondamentalismo”. Ma com’è misericordioso il cardinale Omella y Omella… e com’è bravo in storia! Gli storici hanno accertato che il numero dei cattolici assassinati in quanto tali poco prima e durante la Guerra civile spagnola si eleva a circa 10mila persone, di cui quasi 7mila consacrati (oltre duemila i beatificati da Santa Romana Chiesa). E non furono uccisi da chi cantava Cara al sol. Ma è cosciente il cardinale Omella y Omella che la Chiesa spagnola deve la vita a Francisco Franco (con le sue virtù e i suoi difetti)?  

    Che facciamo allora per premiare degnamente uno storico eminente come Omella y Omella? Gli resuscitiamo il Premio Stalin? Escludendo nel contempo dal Cristianesimo a causa del suo ‘fondamentalismo’ anche papa Pio XII che il 16 aprile 1939, finita la Guerra civile, in un Radiomessaggio ai cattolici spagnoli disse: Con immensa gioia Ci rivolgiamo a voi, figli direttissimi della Cattolica Spagna, per esprimervi la Nostra paterna felicitazione per il dono della pace e della vittoria con il quale Dio si è degnato di coronare l’eroismo cristiano della vostra fede e carità, provato da tante e così generose sofferenze (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/84-intervista-sulla-guerra-di-spagna-a-carcel-orti.html ).

     

    MARCO ANSALDO: LA MARCIA TURCA – ISTANBUL CROCEVIA DEL MONDO (MARSILIO EDITORI)

     

    Il 28 luglio scorso Italia e Turchia hanno chiesto di organizzare insieme gli europei di calcio del 2032. Una notizia non banale, considerato come negli ultimi vent’anni i rapporti tra i due Paesi siano stati molto altalenanti. Tanto per ricordare due episodi clamorosi, se nel 2003 Berlusconi fu invitato come testimone al matrimonio di uno dei figli di Recep Tayyip Erdoğan (il quale ha ricordato l’amico in una lettera-necrologia pubblicata da Il Messaggero del 17 giugno 2023), il 7 aprile 2021 Mario Draghi aveva definito così il presidente turco: “Con questi dittatori – chiamiamoli per quello che sono – di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve anche essere pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese”. Giusto che siamo in tema rileviamo anche che, rispondendo a una nostra domanda, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, il 17 settembre 2004, in un incontro con operatori pastorali della diocesi di Velletri-Segni, enumerò le ragioni per cui riteneva improponibile accogliere la domanda di adesione della Turchia all’Unione europea (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/80-il-card-ratzinger-su-turchia-e-ue.html ).

    Turchia problematica, ma Turchia che un passo dopo l’altro sta riprendendosi un posto in prima fila nella geopolitica mondiale. Grazie soprattutto a Recep Tayyp Erdoğan, rieletto presidente al secondo turno il 28 maggio 2023 (dopo che nel primo turno era arrivato al 49,5%). E’ questa la sensazione prevalente anche dopo aver letto “La marcia turca” (Marsilio editori) del collega Marco Ansaldo, già vaticanista di Repubblica (oggi per Die Zeit ), analista di politica internazionale, in particolare di quella che si muove attorno al Bosforo. Ansaldo del resto personalmente ama molto la Turchia e non riesce a nascondere una profonda ammirazione per l’abilità politica di Erdoğan, cui pure non fa sconti a proposito di repressione (anche spietata) del libero pensiero. Par di capire che per Ansaldo Erdoğan sia un po’ una riedizione ad alto livello della personalità del duca Valentino, il Borgia di machiavellica memoria, il Principe ideale di grande intelligenza e duttilità e nel contempo di palese cinismo, indispensabile – così il duca riteneva -  per concretizzare i fini prefissati. 

    L’incipit del libro di Ansaldo (che consigliamo vivamente di leggere) è già di per sé tutto un programma con la rievocazione della “Marcia turca” di Mozart del 1783, terzo movimento della Sonata per pianoforte in La maggiore K 331. Un gioiello musicale che accarezzava un orientaleggiare diffuso nell’alta società dell’epoca. Ancora oggi, annota Ansaldo, par di sentireil tipico suono battente dato dalle percussioni militari degli ottomani – la grancassa, i piatti, i pifferi, i campanelli, i tamburi, il triangolo” (NdR: da notare la voluta precisione dell’autore), considerato che “la Turchia, erede diretta di un impero che ha governato il mondo per più di sei secoli, è tornata prepotentemente alla ribalta con le sue incursioni di conquista”. Insomma, prosegue Ansaldo,“la Turchia attuale è il nuovo protagonista sulla scena internazionale, un interlocutore fondamentale, imprescindibile anzi, per tutti. E Istanbul un luogo cruciale per guardare e gestire le crisi del mondo contemporaneo”.  Non a caso, aggiungiamo noi, Erdoğan (che è anche amico di Zelenskyi) accoglierà Putin in Turchia a fine mese per proporgli una ripresa dei colloqui di pace così da anticipare il cessate il fuoco in Ucraina.

    Naturalmente l’autore, nei nove capitoli (più introduzione e conclusioni) e nelle 160 pagine del libro (agili alla lettura) cerca di giustificare le sue affermazioni iniziali. Ne forniremo tra poco qualche esempio.

    Prima ci sembra non irrilevante evidenziare un sentimento generale colto da Ansaldo e diffuso a Istanbul: quello dell’attesa piena di inquietudine di un “nuovo, fantomatico terremoto” (dopo l’ultimo catastrofico del 6 febbraio 2023 nella Turchia meridionale e nella Siria settentrionale, con 52mila morti), previsto dagli esperti attorno al 2030. A Istanbulla gente si sta attrezzando”. Infatti “molti hanno già acquistato fischietti colorati, utili con i loro decibel a farsi individuare con facilità sotto le macerie”; esi dorme con la bottiglietta d’acqua sul comodino, per garantirsi un minimo di sopravvivenza. Con il telefono cellulare vicino, da portar via anche prima di soldi, documenti e chiavi dell’auto. Ci si assopisce con il cordino della luce a batteria infilato al collo dopo aver messo il pigiama, perché l’illuminazione degli edifici è la prima cosa a saltare”. Si vive insomma nell’incertezza del futuro. La certezza è una sola: Erdoğan non molla e la ricerca di una soluzione dei problemi passa da lui.

    E’ Istanbul (ricordata da Ansaldo anche nel sottotitolo del libro come “crocevia del mondo”) la città faro del cammino turco. Lo ènel commercio, nella finanza, nelle arti e nella cultura di questo terzo millennio”. Lo è di un Paese, osserva l’autore, che si caratterizza peruna decisa tendenza militare”, che  “è vocazione dei turchi”, i qualitraggono nutrimento e ispirazione dal loro passato, proiettandosi con lo stesso piglio impetuoso e sicuro verso il futuro”. Avverte Ansaldo: “Non comprendere questa attitudine, molto spiccata ed evidente, peraltro, significa non capire che cos’è la Turchia e come rapportarsi con la sua gente”.

    Un capitolo (“Metamorfosi di un leader”) ricostruisce la carriera politica di Erdoğan, concludendo chea dispetto di tutto e di tutti, ‘Tayyp bey’ è oggi il politico più scaltro, l’inventore di una diplomazia multipla che tratta con amici e nemici, incurante delle critiche e della accuse, capace di volgere a suo vantaggio i golpe e le tante crisi internazionali, resistendo fino a superare i trent’anni al potere”.

    Ansaldo tratta poi dellascoperta dell’acqua”, dellapatria bluturca. In sintesi:La Turchia neo-ottomana, già in sostanziale espansione sul fronte esterno, non intende affermarsi solo a terra, affondando gli stivali dei soldati nelle zolle turche dell’Iraq e della Siria o lanciando droni via cielo sulla Libia e l’Armenia. Ma, con lo scopo (o la scusa) di difendersi, aggredisce i mari esercitandosi su un quadruplice fronte: il Mediterraneo, l’Egeo, proiettandosi persino nell’Oceano indiano e aggiungendo, dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina, il quarto, quello oggi caldissimo e imprescindibile del mar Nero”.

    Capitoli di notevole interesse sono quelli riguardanti i “maestri del negoziato” e il ‘tiro alla fune’ con Finlandia e Svezia per la loro entrata nella Nato. Tutto da scoprire (ma non è un bel vedere)  il capitolo 9, intitolato “La magia dei droni, letali ‘gioielli di famiglia’ “, conseguenza del fatto che la Turchiafa dell’export militare una delle chiavi del suo attivismo sul palcoscenico internazionale”. Non proprio un affascinante biglietto da visita l’essere trafficanti di armi per il Paese che solo un paio di mesi fa ha ridato fiducia all’equivalente del duca Valentino, nelle virtù politiche e nella spietatezza umana. Con cui in ogni caso l’Europa comunitaria (e non solo) deve fare i conti.

     

    UN TESTO DI LISA PALMIERI -BILLIG SUL DIALOGO INTERRELIGIOSO

     

    Pubblichiamo volentieri un testo sui progressi del dialogo interreligioso, scritto dalla collega Lisa Palmieri-Billig – già corrispondente del Jerusalem Post e oggi rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’Alleanza ebraica mondiale – e letto il 20 luglio scorso in Senato, nella sala capitolare di Santa Maria sopra Minerva, in occasione del Convegno “Dialogo tra le fedi per la promozione della pace”, patrocinato dal senatore Lucio Malan e moderato dal collega Luca Caruso.

    1. Vorrei ricordare quanta strada abbiamo fatto dalla dichiarazione Nostra Aetate in poi. Un percorso che non era certo prevedibile nel 1965, quando alla fine dello storico Concilio ecumenico vaticano II è stato promulgato quel documento dopo una lunga discussione dei padri conciliari e la forte opposizione di una minoranza. Sono testimone di ciò, perché in quegli anni lavoravo presso l’Ufficio del Congresso mondiale ebraico a Roma ed ero anche corrispondente del Jerusalem Post. E poi, 17 anni dopo, ho aiutato a fondare sia la prima Amicizia Ebraica di Roma sia la Sezione italiana di Religioni per la Pace, che allora si chiamava World Conference of Religions for Peace.

    Posso solo dire che ancora negli Anni Ottanta e Novanta le religioni avevano grande difficoltà a superare i pregiudizi sopravvissuti dopo anni di insegnamento discutibile che spiava la strada al disprezzo reciproco, all’odio, alla violenza, ai pogrom, ai genocidi, alle due grandi guerre e alla Shoah. Ma dopo tanti anni di sofferenza il Bene che dà forza vitale a tante anime ha portato alla vittoria del Bene sul Male Assoluto della Seconda Guerra Mondiale.

    Le religioni oggi sono in dialogo ovunque; ci sembra così naturale, ma per apprezzare questo dono dei nostri tempi, dobbiamo sempre ricordare i due millenni in cui le religioni erano spesso causa di soprusi e conflitti violenti. Come dice sempre il mio mentore, il rabbino David Rosen, la religione può essere un veleno oppure un balsamo che fa parte di una dolce cura salvavita. Sta a noi interpretarla e viverla nel modo giusto, Oggi, in tanti casi, i rappresentanti delle religioni sono diventati ambasciatori di pace anche se, come tutti sappiamo, la battaglia continua. Le guerre, i genocidi, le dittature stanno ancora in mezzo a noi. E’ chiaro che il bene e il male continuano a convivere e il circolo vizioso non si è estinto nemmeno oggi.

    2. Ma oggi, come testimonia questo stesso incontro odierno, crediamo fermamente nel potere e nella forza di quella sacra scintilla che esiste nell’anima di ogni essere umano (come si può leggere in Nostra Aetate ) e che possiamo, con volontà e con le nostre voci unite, batterci per la giustizia e la pace. Il moltiplicarsi di tantissime iniziative locali e internazionali ne è la prova. In questo momento torna a Roma l’inviato speciale di papa Francesco, il cardinale Zuppi, dopo aver partecipato agli incontri al vertice di Kiev, Mosca e Washington, forgiando un sentiero di speranza; c’è la ‘Casa di Abramo’ a Abu Dhabi, dove tre bellissime case di preghiera e incontro, una chiesa, una sinagoga e una moschea, bellissime, tutte della stessa altezza, si riempiono di un numero di fedeli sempre maggiore. Il Rabbino David Rosen, uno dei presidenti internazionali di Religions for peace, già Rabbino Capo di Irlanda e da due decenni direttore dei rapporti interreligiosi per l’American Jewish Committee/AJC, è tra i consiglieri nominati della ‘Casa di Abramo’. Gli “accordi di Abramo’, che coinvolgono tutte le religioni monoteiste e non, offrono la possibilità di collaborazione tra persone di fede e di buona volontà, così da impegnarsi di più per la pace in Medio Oriente. Ben venga poi una casa di tutte le religioni, inclusiva anche di chi non ha una fede tradizionale, ma sente la chiamata a un impegno maggiore per la costruzione di un mondo migliore. La ‘diplomazia’ interreligiosa è informale e la sua forza sta nell’unità di intenti per la pace e la giustizia.

    3. Una parola finale di ammonimento. La fede non deve diventare fanatismo: dev’essere fortificata dalla ragione dalla conoscenza, dall’istruzione, dalla cultura, dall’amore. Bruciare pubblicamente – o anche solo calpestare un libro oppure distruggere un’opera d’arte, siano essi considerati sacri o no – è sempre un segno pericoloso di inciviltà, di non tolleranza, che storicamente ha portato troppe volte a spirali ascendenti di violenza, alla tortura, all’assassinio, alle inquisizioni, alle guerre. Gli esempi riempiono tragicamente la memoria storica, da Giordano bruno ai Buddha di Bamiyan distrutti dai talebani nel 2001, con migliaia di altri casi simili. Come disse il grande poeta Heinrich Heine “Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”.

    Non si risolvono le deviazioni perverse della religione con la restrizione della libertà di parola e di pensiero. La censura non è una cura, è un atto di repressione, talvolta perfino di vendetta. Invece la conoscenza e l’insegnamento dei valori fondamentali, l’empatia e l’amore possono diventare la cura. I fanatismi, le vendette, la repressione, la mancanza di libertà portano solo a nuove sofferenze, ribellioni violente e totalitarismi. La nostra battaglia unita dev’essere solo in chiave positiva, tutti insieme in accordo per la costruzione di un mondo migliore, un tikkun olam secondo la visione ebraica, che si fonda sulla speranza di ‘far guarire il mondo’.

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