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    ABUSI: L'ORRENDO CASO DI GENOVA

    ROSSOPORPORA DI MAGGIO 2011 - 'IL CONSULENTE RE ONLINE'

     

    La vergogna per gli abusi sui minori nelle parole del card. Bagnasco. I cardinali Sziwisz, Bertone, Sodano, Ruini, Scola ricordano Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione. Il card. Ravasi sull'incontro del 2 maggio con i bloggers. 

    Purtroppo il triste e tristo fenomeno della pedofilia ecclesiastica (che è pur sempre solo una parte minima dell’immenso iceberg della pedofilia nel mondo, vedi ad esempio quel che accade con il diffuso e prospero turismo sessuale in Tailandia e America latina) non è sostanzialmente circoscritto a singole aree geografiche, come sembrava fosse dopo i casi americano, irlandese, tedesco. Dopo che venerdì 13 maggio è stato arrestato a Genova il cinquantunenne don Riccardo Seppia, parroco della Parrocchia dello Spirito Santo a Sestri Ponente, l’opinione pubblica  incomincia a ritenere che anche la Chiesa italiana sia toccata dal fenomeno in misura maggiore rispetto a quel che si credeva. Le accuse a don Seppia sono quanto di peggio possa concentrarsi in una persona che si è consacrata a Dio e svolge il suo servizio in mezzo agli uomini: spaccio di cocaina, abusi sessuali su minori, perfino satanismo. Come è potuta diventare prete una tale persona? questa è la prima domanda che si pone l’opinione pubblica tanto addolorata quanto giustamente indignata. E può essere inviato (o mantenuto) in parrocchia, a contatto con i giovani, chi manifesta certe tendenze, certi stili di vita? Di domande la gente se ne pone poi tante altre: è indubbio che casi come quello di don Seppia rischiano purtroppo di vanificare il grande e meritorio servizio reso da tanti sacerdoti alla causa dell’uomo e di squalificare la credibilità della Chiesa agli occhi soprattutto dei più giovani, della generazione del computer e di Facebook, facilmente irretibile (poiché priva di esperienza e di conoscenza della storia) da chi da sempre  - ora con forza rinnovata - combatte il cattolicesimo. 

    La reazione alla notizia da parte del vescovo di don Seppia, cioè il cardinale Bagnasco, è stata – come doveva – immediata. Il porporato sabato 14 maggio ha celebrato la messa vespertina in parrocchia, comunicando nell’omelia ai fedeli quanto avvenuto: “Come da un fulmine a ciel sereno siamo stati colpiti da quanto è accaduto ieri, e che vede al centro don Riccardo”. E poi: “Mentre rinnoviamo la piena fiducia nella Giustizia e nel suo compito di appurare la verità certa delle cose, sono venuto, cari amici, a condividere lo sgomento e il dolore del cuore, insieme alla vergogna e alla totale disapprovazione se le gravi accuse risultassero confermate. Così pure vengo per esprimere la completa vicinanza a quanti, eventualmente, fossero stati colpiti e offesi da comportamenti indegni, perseguibili e ingiustificabili per chiunque, ma tanto più per un sacerdote”.

    Lunedì 16 maggio, giorno in cui è uscito il documento vaticano sulle linee-guida anti-pedofilia, il presidente della Cei è stato ricevuto in udienza dal Papa, gesto consueto prima di ogni Assemblea generale dei vescovi italiani. Intervistato dalla Radio Vaticana, il cardinale Bagnasco, dopo aver premesso di aver chiesto al Santo Padre “una benedizione particolare” per la sua diocesi, ha così spiegato la sua decisione di recarsi subito nella parrocchia di don Seppia: “E’ il vescovo che è il padre e il pastore, quindi il responsabile della propria comunità, sia dei propri sacerdoti che delle singole comunità parrocchiali cristiane”. Perciò “era mio dovere e desiderio forte, immediatamente realizzato, recarmi in quella comunità ferita”.

    Nell’omelia  (Per crucem ad lucem) della messa celebrata giovedì 19 maggio presso il Santuario della Madonna della Guardia nella “Giornata di santificazione sacerdotale”, l’arcivescovo di Genova ha detto ai circa 170 presbiteri presenti: “Noi (…) siamo qui (…) per rinnovare la gioia della nostra consacrazione a Cristo e alla Chiesa, per invocare la sua benedizione sul nostro ministero. Ma non senza aver prima dato voce al nostro dolore per ogni forma di peccato e di male che, se risulterà realmente commesso da un nostro confratello, sfigura la bellezza dell’anima, scandalizza le anime, ferisce il volto della Chiesa”. Ancora: “Il nostro dolore è tanto più sconvolgente in quanto improvviso e inatteso, perché nulla lo faceva presagire ai nostri occhi”.

    Lunedì 23 maggio è poi incominciata in Vaticano l’Assemblea generale della Cei, con la consueta prolusione del suo presidente. Che sul tema ha osservato: “Riconoscendo su questo fronte (quello degli abusi sessuali compiuti da ecclesiastici e religiosi) un’infame emergenza non ancora superata, la quale causa danni incalcolabili a giovani vite e alle loro famiglie – cui non cessiamo di presentare il nostro dolore e la nostra incondizionata solidarietà – vorrei anche assicurare che da oltre un anno, su mandato della Presidenza Cei, è al lavoro un gruppo interdisciplinare di esperti proprio con l’obiettivo con tradurre per il nostro Paese le indicazioni provenienti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede”. Ha continuato così il cardinale Bagnasco: “Ripetiamo però quest’oggi il grido amaro che già è risuonato nell’assemblea dello scorso anno: sull’integrità dei nostri sacerdoti non possiamo transigere, costi quel che costi. Anche un solo caso, in quest’ambito, sarebbe troppo. Quando poi i casi si ripetono, lo strazio è indicibile e l’umiliazione totale”. Tuttavia “le ombre, anche le più gravi e dolorose, non possono oscurare il bene che c’è”. Perciò “ancora una volta noi vescovi confermiamo stima e gratitudine al nostro clero che si prodiga con fedeltà, sacrificio e gioia nella cura delle comunità cristiane” (applauso).

    Restiamo alla prolusione, passando ad altri temi (che il testo propone in abbondanza). Nella sua parte di politica italiana, la prolusione non pecca certo di chiarezza, rilevando a mo’ di cappello che “l’Italia non è solo certa vita pubblica”. Osserva il presidente della Cei, ribadendo con ancora maggiore severità le critiche già espresse in più occasioni: “La politica che ha oggi visibilità è, non raramente, inguardabile, ridotta a litigio perenne, come una recita scontata e – se si può dire – noiosa. E’ il dramma del vaniloquio, dentro – come siamo – alla spirale dell’invettiva che non prevede assunzioni di responsabilità”. Si constata anche come “la gente sia stanca di vivere nella rissa e si stia disamorando sempre di più”. Inoltre “c’è una stampa che appare da una parte troppo fusa con la politica, tesa per lo più ad eccitare le rispettive tifoserie; e dall’altra troppo antagonista, e in altro modo eccitante al disfattismo”. Insomma – annota il cardinale Bagnasco – “dalla crisi oggettiva in cui si trova, il Paese non si salva con le esibizioni di corto respiro, né con le slabbrature dei ruoli o delle funzioni, né col paternalismo variamente vestito, ma solo con un soprassalto diffuso di responsabilità che privilegi il raccordo tra i soggetti diversi e il dialogo costruttivo”. Noi, prosegue l’arcivescovo di Genova, “in quanto vescovi non ci stanchiamo di incoraggiare i gesti di assennatezza che mirano a creare condizioni di pace sociale e di alacre operosità”.

    Più avanti il porporato cita come “urgenti” alcune questioni puntuali che agitano oggi il dibattito pubblico in Italia. La prima è la legge sul fine vita, che – come è noto – da ormai un anno giace alla Camera dei Deputati per le continue manovre ostruzionistiche di laicisti vecchi e nuovi (che sono poi gli stessi che, anche su aborto, famiglia, droga, propugnano tesi che fanno a pugni con la Dottrina sociale della Chiesa… ma questo quei cattolici che si apprestano gioiosamente a votarli nei ballottaggi delle amministrative fingono di esserselo dimenticato! Salvo poi a versare, a delitto compiuto, fiumi di lacrime coccodrillesche quando i loro prescelti concretizzeranno quanto annunciano da sempre in materia di vita e famiglia). Il cardinale Bagnasco auspica “cordialmente” che “il provvedimento – al di là dei tatticismi che finirebbero per dare un’impressione errata di strumentalità – non si imbatta in ulteriori ostacoli, ottenendo piuttosto il consenso più largo da parte del Parlamento”. Sempre in questa parte il presule ha voluto ringraziare esplicitamente il Movimento per la Vita, che da trent’anni svolge “una funzione fondamentale nel tenere sveglia la coscienza degli italiani sul fronte della vita concepita eppure esposta alla scelta sempre tragica dell’aborto”. Tanto che “se nella cultura italiana l’opzione abortiva non è diventata un normale dato di fatto, molto lo si deve all’iniziativa di questo volontariato e dei media che l’hanno costantemente assecondato”. Testimonianza di “un impegno che non potrà certo diradarsi proprio ora” (una frase variamente interpretabile).

    Seconda questione è quella della famiglia. Osserva qui il cardinale Bagnasco: “Crediamo di non andare lontano dal vero se diciamo che sull’analisi delle carenze e delle debolezze che riguardano l’assetto dell’istituto familiare ci sia ormai nel Paese una larga convergenza”. Ora “ciò che serve, ed è quanto mai urgente, è passare alla parte propositiva, agli interventi strutturali efficaci per dare dignità e robustezza a questa esperienza decisiva per la tenuta del Paese e il suo futuro”. Perché dev’essere ben chiaro che “nulla è davvero garantito se a perdere è la famiglia; mentre ogni altra riforma, in modo diretto o indiretto, si avvantaggia se la famiglia prende quota”.

    La terza questione riguarda la drammatica situazione nell’ambito del lavoro. Ha detto qui incisivamente il presidente della Cei: “Il lavoro che manca, o è precario in maniera eccedente ogni ragionevole parametro, è motivo di angoscia per una parte cospicua delle famiglie italiane. Questa angoscia è anche nostra: sappiamo infatti che nel lavoro c’è la ragione della tranquillità delle persone, della progettualità delle famiglie, del futuro dei giovani”. Poi il cardinale Bagnasco ha elencato una serie di desiderata. Ne citiamo alcuni: “Vorremmo che si riabilitasse anche il lavoro manuale, contadino e artigiano. Vorremmo che il denaro non fosse l’unica misura per giudicare un posto di lavoro. Vorremmo che i lavoratori non fossero lasciati soli e incerti rispetto ai cambiamenti necessari e alle ristrutturazioni in atto. Vorremmo che gli imprenditori si sentissero stimati e stimolati a garantire condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro e a reinvestire nelle imprese i proventi delle loro attività. Vorremmo che le banche avvertissero come preminente la destinazione sociale della loro impresa e di quelle che ad esse si affidano”.

    Quarta questione quella della scuola, “tutta la scuola”, che va amata “qualificando certo la spesa ma non prosciugando risorse che lasciano scoperti servizi essenziali come le materne, il tempo pieno, le scuole professionali, la ricerca. Il presidente della Cei ha poi certificato “ammirazione” e “solidarietà” per tutti quei “ confratelli vescovi e sacerdoti impegnati nei rispettivi territori a combattere ed emarginare la malavita, a recuperare ed educare energie potenzialmente positive, a incoraggiare e promuovere legalità e fiducia” (il pensiero non può non andare qui – ad esempio - alla lotta per la legalità condotta con accenti energici dal cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe).

    In materia internazionale l’ex-ordinario militare per l’Italia ha avuto parole inequivoche a proposito di Libia: “Il caso della Libia ci ha coinvolto fatalmente di più per evidenti motivi di vicinanza geografica, ma anche perché la repressione là intentata ha finito per provocare una reazione dapprima esitante, poi confusamente accelerata, da parte di singoli Paesi occidentali e infine della NATO stessa, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. C’è da dire che la non chiarezza emersa al momento dell’ingaggio ha continuato a pesare sullo sviluppo temporale e strategico delle operazioni che avrebbero dovuto avere la forma dell’ingerenza umanitaria e hanno ugualmente causato gravissime perdite umane, anche tra i civili”. Qui ha chiosato il cardinal Bagnasco: “Difficile non convenire che nel concreto non esistono interventi armati puliti”. Non è finita. Sentiamo ancora il porporato: “Non può non colpire il diverso atteggiamento adottato a livello internazionale tra la disponibilità all’interposizione armata e l’indisponibilità a suddividere il carico delle conseguenze umanitarie che lo scontro armato determina. (….) Ovvio che i cittadini d’Europa sinceramente comunitari vogliano a questo punto capire perché per i missili c’erano soldi e intesa politica, mentre per i profughi non ci sono i primi ed è inesistente la seconda”. Parole chiare e pungenti che hanno strappato alla platea applausi a scena aperta. Promossa invece l’Italia: “In generale il Paese non può non essere fiero di quel che infine gli è riuscito complessivamente di offrire, a cominciare dalla gente di Lampedusa che, pur stressata da mesi di tensione e pur preoccupata per la prossima stagione turistica, ha saputo dar prova di un altruismo eroico, portando in salvo i naufraghi dell’ennesima imbarcazione incagliata nelle rocce”. Altro applauso.

    Le giornate della beatificazione di papa Giovanni Paolo II (vedi gli articoli di Marta Petrosillo in ‘Attualità’) si sono concluse lunedì 2 maggio con la  tradizionale messa di ringraziamento celebrata in questo caso in piazza San Pietro dal cardinale Segretario di Stato. Ancora impressionante la cornice di folla (ben al di là dei centomila i presenti) immersa in un mare di bandiere, in buona parte del bianco-rosso polacco. La santa messa è stata introdotta dall’ indirizzo di omaggio del cardinale Stanislaw Dziwisz, spesso interrotto (una quindicina di volte) da applausi intensi. Tra l’altro il già segretario personale di papa Wojtyla per mezzo secolo ha ringraziato Benedetto XVI “per la bellissima celebrazione” del giorno precedente, “per l’omelia come sempre di programma, stupenda”. Un grande grazie “da testimone della vita di ogni giorno di Giovanni Paolo II” anche “all’Italia per la simpatia e cordialità con cui anni fa ha accolto il papa venuto da un Paese lontano – che è diventato adesso vicino – e ha accompagnato il suo lungo pontificato. Proseguendo in polacco l’odierno arcivescovo di Cracovia ha detto: “Non dimentichiamo mai che 30 anni fa, in questa Piazza, Giovanni Paolo II ha donato il sangue per la causa di Cristo. Come ieri, anche oggi, in questa Piazza, in senso simbolico, si raduna tutta la Polonia. Sei anni fa, nel momento del funerale, un grande vento ha chiuso il libro messo sulla sua bara. Oggi di nuovo apriamo il libro della sua vita per rileggerla, per imparare da questo libro la saggezza e la santità”.

    Nell’omelia il cardinale Tarcisio Bertone ha evidenziato alcune caratteristiche fondamentali del nuovo beato. “Grazie alla fede che si esprimeva soprattutto nella preghiera – ha rilevato – Giovanni Paolo II era un autentico difensore della dignità di ogni essere umano e non mero combattente per ideologie politico-sociali. Per lui ogni donna, ogni uomo, era una figlia, un figlio di Dio, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dalla provenienza geografica e culturale e persino dal credo religioso. Il suo rapporto con ogni persona è sintetizzato in quella stupenda frase che scrisse: L’altro mi appartiene”. In un altro passo emotivamente molto coinvolgente, ha osservato il cardinale Bertone: “Quanto si sono verificate nella sua vita le parole che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi: Quando eri più giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi (GV, 21, 18)”. Tutti noi – ha proseguito il porporato settantaseienne – “abbiamo visto come gli è stato tolto tutto ciò che umanamente poteva impressionare: la forza fisica, l’espressione del corpo, la possibilità di muoversi, perfino la parola. E allora, più che mai, egli ha affidato la sua vita e la sua missione a Cristo, perché solo Cristo può salvare il mondo. Sapeva che la sua debolezza corporale faceva vedere ancora più chiaramente il Cristo che opera nella storia. E, offrendo le sue sofferenze a lui e alla sua Chiesa, ha dato a tutti noi un’ultima, grande lezione di umiltà e di abbandono tra le braccia di Dio”.

    Tra i numerosi interventi cardinalizi registrati sulla beatificazione segnaliamo l’intervista, apparsa su Avvenire del 29 aprile al Segretario di Stato emerito cardinale Angelo Sodano, successore in quell’incarico del cardinale Agostino Casaroli, la cui opera è stata molto legata allo sviluppo della controversa Ostpolitik vaticana. L’ottantatreenne porporato astigiano ha evidenziato i meriti di papa Wojtyla nella sua azione verso i popoli dell’Europa orientale: “Egli ha contribuito in modo decisivo al sorgere di una nuova Europa, un’Europa che respira a due polmoni, dall’Atlantico agli Urali, un’Europa della libertà e della solidarietà”. Perché “con la caduta del Muro di Berlino, in quella storica data del 9 novembre 1989, si apriva una nuova era non solo per i cristiani che potevano ormai professare liberamente la loro fede, ma anche per tutte le nazioni dell’Est europeo, come per quelle dei Balcani”. Ha poi ribadito l’odierno cardinale decano che “l’apporto dato da papa Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo e al conseguente avvio di una nuova era di libertà in Europa è stato pubblicamente riconosciuto, in varie occasioni, dallo stesso ultimo presidente dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov”. Anche il cardinale Sodano ne ha avuto esperienza diretta: Gorbaciov “parlò in tal senso esplicitamente anche con me, prima e dopo lo storico incontro con Giovanni Paolo II, qui in Vaticano, il primo dicembre 1989. Egli affermava che tutto ciò che è successo in URSS e in Europa centro-orientale non sarebbe stato possibile senza il ruolo decisivo del grande Papa slavo”.

    Alcuni spunti sulla grande umanità di Giovanni Paolo II si ritrovano nelle risposte che il cardinale Camillo Ruini ha dato giovedì sera 28 aprile ai giovani riuniti nel centro GPII di Roma, come emerge dalla cronaca di Avvenire di due giorni dopo. Il cardinale vicario emerito ha ricordato il primo viaggio in elicottero con il Papa polacco: “Eravamo diretti ai Piani di Pezza: poche persone, sette, in un piccolo spazio. Lui pregava profondamente, mentre noi chiacchieravamo. Il suo segretario, don Stanislaw Dziwisz, ci disse che potevamo conversare, perché tanto non saremmo riusciti a distrarlo dalla preghiera”. Altra ‘pennellata’: Giovanni Paolo II “amava incontrare la gente e non voleva che gli si mettesse fretta. Ricordo le giornate dell’11 febbraio dedicate alla Messa con i malati: erano circa 600 e li salutava tutti, a uno a uno. Era naturale in lui questa sollecitudine. Lo stesso faceva quando si recava negli ospedali. Lo ha fatto fino ai limiti fisici cui l’ha condotto la sua malattia”. Sulla ‘povertà’ di papa Wojtyla: “Giovanni Paolo II viveva da povero, anche se può sorprendere. Non solo non aveva il senso dell’uso del denaro ma era estremamente modesto: per esempio nella biancheria metteva quello che gli regalavo. Lo caratterizzava un grande distacco per i beni materiali”.

    Anche il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione sopra ricordata, ha dato ampio spazio alla beatificazione di Giovanni Paolo II, così tratteggiando la figura di papa Wojtyla: “Davanti ai vari consessi, si è presentato a difendere la causa dell’uomo, includendo in tale difesa il carattere trascendente della sua dignità: su questa mappa antropologica ha sagomato l’intero pontificato”. Il pontefice polacco “è stato, nelle varie latitudini, l’apostolo dei diritti inalienabili dell’uomo, per propugnare i quali non si è subordinato a tatticismi diplomatici o convenienze di maniera”, poiché “la causa dell’uomo ha, in lui, coinciso con la causa del Vangelo, fino a fondersi in essa”, tanto che “per profondità e radicalità tale fusione è stata fulcro del suo pensiero e della sua azione”. Il porporato sessantottenne ha poi rievocato la domanda posta da alcuni massmedia: “Valeva la pena di venire a Roma per la beatificazione?” Osserva qui il presidente della Cei: “La risposta che in generale danno i diretti protagonisti è senza esitazione: Sì, ne valeva la pena. Pur segnati dallo sforzo, la bellezza prevale e vince. Ai più è sufficiente il contatto impercettibile ma diretto con l’evento per sentirsi come raggiunti dalla potenza della Grazia. E poi confessarlo con semplicità: C’ero anch’io”.

     

    Su sito Il Sussidiario.net il patriarca di Venezia Angelo Scola ricorda “il Giovanni Paolo II che ha conosciuto”. E fissa due istantanee. La prima: “Quando si andava a pranzo da lui, si passava per la cappella a dire l’Angelus. Tutti noi pensavamo che fosse una questione di 30 secondi. A volte invece durava così a lungo che non si riusciva più a stare in ginocchio sul pavimento. Il Papa si immergeva davvero nella preghiera, per lui non c’erano più né tempo né spazio”. La seconda: “Ho avuto modo di incontrare di sfuggita Karol Wojtyla nell’ambito della redazione internazionale di Communio, ma il mio rapporto si è andato approfondendo dopo l’elezione al soglio pontificio. Come dicevo, il primo incontro con lui papa fu una concelebrazione con monsignor Giussani e monsignor Camisasca nel febbraio del 1979 nella sua cappella privata, seguita da una colazione”.

    Ne L’Osservatore Romano del 22 maggio è apparso un lungo articolo del cardinale Gianfranco Ravasi sull’incontro con i bloggers promosso il 2 maggio in Vaticano dai Pontici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni Sociali. Sull’argomenti vedi anche l’ampia intervista all’arcivescovo Claudio Maria Celli in questo stesso numero, nella rubrica Conversando. Torniamo al porporato sessantottenne, che nel suo scritto a un certo punto osserva: “Il desiderio che reggeva noi, organizzatori di questo evento, era quello di accogliere, capire, ascoltare le richieste, le speranze, i timori, i dubbi, le aspirazioni e le problematiche della vastissima comunità dei bloggers che segue la vita della Chiesa più di quanto noi possiamo immaginare”. Perciò subito “è apparsa la necessità, espressa in maniera chiara durante l’incontro, di decifrare la mentalità, la cultura e la filosofia che anima i bloggers, così che la Chiesa sia capace di una nuova evangelizzazione e di incidere nell’opinione pubblica, imparando ad essere interattiva e non ancorata solo alla comunicazione di stampo piramidale che è piuttosto estranea alla cultura del nostro tempo”. Tra le proposte il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura cita anche “la richiesta di organizzare nella cornice della prossima Giornata mondiale della Gioventù un altro incontro dei bloggers” e quella “di consegnare pure ad alcuni bloggers le stesse cartelle informative che solitamente vengono date, sotto embargo, dalla Santa Sede alla stampa”. Inoltre “si è anche suggerito di iniziare una forma di accreditamento dei bloggers per i grandi eventi ecclesiali, come avviene per gli inviati dei mezzi di comunicazione più usuali, in video, audio e stampa”. Nell’articolo del cardinale Ravasi non c’è traccia delle polemiche scatenate dai modi di selezione dei 150 bloggers partecipanti (il porporato si limita a parlare di “scelte non facili” tra i 750 intenzionati ad esserci).

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