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    LIBRI/'C'ERA UN VECCHIO GESUITA FURBACCIONE' DI ACCATTOLI E FUSCO

    LIBRI/ ‘C’ERA UN VECCHIO GESUITA FURBACCIONE’ DI ACCATTOLI E FUSCO – di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org – 20 luglio 2019

     

    Da poco in libreria un volumetto agile di Luigi Accattoli e Ciro Fusco, un’antologia di 110 ‘parabole’ di papa Francesco scelte e analizzate nelle loro dinamiche comunicative dai due colleghi vaticanisti…

     

    Duro, roccioso, tremendamente difficile da digerire per stomaci catto-buonisti il libro di Marco Politi su “La solitudine di Francesco” di cui ci siamo occupati nell’ultima recensione (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/882-libri-marco-politi-la-solitudine-di-francesco.html ).

    Oggi cerchiamo di riequilibrare il metabolismo di tali stomaci sinistri traendo qualche spunto di riflessione da un’antologia ragionata di verba bergogliani, “Cera un vecchio gesuita furbaccione” compilata da due noti e amabili colleghi vaticanisti. Il primo è il marchigiano Luigi Accattoli, ben conosciuto dai lettori anche come nostro sfidante nella serie di confronti che ha preso avvio nel gennaio del 2017 (e che riprenderà dopo l’estate). Vera icona del vaticanista paludato, ‘istituzionale’ (alcuni anni a Repubblica seguiti dai decenni al Corriere della Sera),  Accattoli – ben corazzato in scienze bibliche e conoscenze ecclesiali – nei dibattiti è un Maestro nel far girare la palla, nascondendola con abile gioco di parole; nel contempo però soffre assai l’avversario che con decisione gli carpisca il pallone involandosi verso rete. E in tal caso non esita se necessario a spedire senza tanti complimenti il cuoio in angolo, scuotendosi per un momento dalla sua ieraticità. Insomma Accattoli è sostanzialmente un pragmatico, che non raramente – per non capitolare – accoglie pubblicamente almeno in parte le ragioni dell’avversario, se difficili da contestare. Non è certo il classico turiferario, ma sa anche assumere una posizione cordialmente critica verso certi atteggiamenti di un pontefice che pur sta molto a cuore a un catto-piddino naturale come lui. Ciro Fusco invece è un giornalista napoletano (nato ad Ercolano) dotato di grande fantasia e spirito di iniziativa: l’abbiamo conosciuto negli anni della preparazione del Grande Giubileo del Duemila e l’abbiamo ritrovato in particolare come prezioso aiuto nell’organizzazione e nello svolgimento dei dibattiti con Accattoli.

    “C’era un vecchio gesuita furbaccione” è un agile volumetto di 200 pagine edito dalle Paoline. Comprende “100 + 10 parabole”, precedute –dopo una breve introduzione comune - da una introduzione di Accattoli e seguite da diverse considerazioni di Fusco su circostanze, modalità e temi dei testi bergogliani.

    Il potenziale acquirente è attirato dal titolo, che inevitabilmente induce a pensare a un giudizio sbarazzino dei due autori su papa Francesco. In realtà la frase è del pontefice (pronunciata a Bologna il primo ottobre 2017 in un incontro con i religiosi), ma riferita a un suo confratello che l’aveva consigliato quand’era studente di filosofia.  Quel furbaccione è poi stato modificato ufficialmente in furbacchione. Notano maliziosamente Accattoli e Fusco che anche lo stesso Bergoglio ormai è “un vecchio gesuita”, che nella mega-intervista a padre Spadaro pubblicata il 19 settembre 2013, disse tra l’altro: “Posso dire che sono un po’ furbo,  so muovermi”.

    Ci viene spontaneo pensare che il titolo non abbia entusiasmato almeno inizialmente le Paoline, sensibilissime a tutto ciò che possa apparire anche lontanamente irriverente verso Casa Santa Marta… Pure il sottotitolo “100+10 parabole di papa Francesco” appare inusuale e comunque ‘muove’ la copertina, come la caricatura (autore: Fabrizio Zubani) di un Francesco che sembra uscire da una drastica cura dimagrante che gli ha però ingrandito le mani…

      

    LA PREFAZIONE DI ACCATTOLI E FUSCO: QUEL PARAGONE INSISTITO TRA BERGOGLIO E GESU’…

    Il volumetto non è polemico e non si inserisce direttamente nel confronto molto aspro che si registra oggi nel mondo ecclesiale tra entusiasti e critici anche durissimi del pontificato bergogliano. Certo si pone positivamente verso il magistero del papa argentino. Gli autori riportano le ‘parabole’ e le situano e/o commentano direttamente a piè di pagina. Per comprendere le intenzioni di Accattoli e Fusco giova evidenziare qualche passo della loro prefazione: “Questo libretto raccoglie alcuni tra i racconti più vivi usati da papa Francesco nella predicazione, a supporto del suo magistero narrativo, a similitudine delle parabole di Gesù. Crediamo di poter dimostrare che gli esempi del Papa costituiscono la forma più contagiosa con cui egli propone il ritorno al Vangelo. Le parabole gli servono per farsi capire, ma anche per scuotere e per dire qualcosa quando non può dire tutto. (…) Come Gesù, Francesco parla ma anche agisce in parabole”.

    Accattoli e Fusco qui scrivono cose condivisibili, ma non possiamo non notare che quel loro insistere sul paragone tra il magistero di Bergoglio e quello di Gesù (un paragone a dir poco impegnativo, prescindendo da altre considerazioni) può apparire come un’ inutile forzatura. Tanto più che è facile per le anime belle o interessate estendere il paragone dal magistero agli stessi Gesù e Bergoglio nella loro integralità…  C’è poi un’altra questione: si è poi così sicuri che le parabole tramandate dal Vangelo siano state realmente pronunciate da Gesù? Non sappiamo se, prima di incominciare la selezione dei testi, i due autori si siano prudentemente confrontati con padre Arturo Sosa Abascal, generale dei gesuiti, che nella famosa e sempre e ancora sempre citata intervista a ‘Rossoporpora’ del febbraio 2017 aveva osservato come a quel tempo non c’erano i registratori… ( vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/672-gesuiti-padre-sosa-parole-di-gesu-da-contestualizzare.html).

     

    L’INTRODUZIONE DI LUIGI ACCATTOLI

    Nell’introduzione Accattoli  individua “quattro livelli di audacia” nella comunicazione papale per parabole: “La vicinanza, la spinta a non accontentarsi di quanto già si fa, la necessità di andare al nuovo, l’incontro con Dio che è sempre nuovo”. L’intenzione è chiara: “Il messaggio diretto o indiretto della narrazione permette di affermare qualcosa che nel discorso diretto gli uditori non accetterebbero”. La narrazione bergogliana ha un obiettivo fondamentale: “Scuotere gli uditori”. Nelle parabole ‘narrate’ Accattoli individua parallelismi tra Gesù e Bergoglio. Un solo esempio basta: “Il ruolo svolto dalla cavalcatura del samaritano che porta l’uomo ferito e mezzo morto alla locanda (Luca 10) è ora affidato al taxi sul quale una signora fa salire un rifugiato senza scarpe (parabola 65). 

    Le parabole bergogliane non sono però solo quelle ‘narrate’, ma quelle “vissute e attualizzate, che sono numerose e significative almeno quanto quelle narrate” e che si potrebbero definire come “atti con una loro concretezza e novità, che hanno come protagonista il Papa in persona e sono svolti con finalità di insegnamento”. Un esempio: “Battezza la bambina di una coppia sposata civilmente (12 gennaio 2014) ed è parabola vissuta che completa le parabole narrate che dedica alle dogane pastorali imposte a chi vive in situazione irregolare”. Un altro: “Visita la moschea di Bangui che raggiunge avendo come ospite l’imam sulla papamobile (29 novembre 2015)”. Un altro ancora: “Incontra in un appartamento romano un gruppo di preti che hanno lasciato il ministero e si sono sposati (11 novembre 2016) e lo fa perché ‘questi spretati sono guardati con disprezzo’ ”. Atti come quest’ultimo “dicono – rileva Accattoli – misericordia verso gli irregolari o i feriti dalla vita”. Di più: “Se si attua una compiuta ermeneutica si può notare come essi alludano a possibili cambiamenti del diritto o della prassi o a una nuova interpretazione degli stessi”. Ed è qui il punto fondamentale, perché “Francesco, con la sua parabola vissuta, ci provoca a guardare oltre ogni norma escludente”.

     

    L'ANALISI DI CIRO FUSCO

    Le considerazioni che concludono il volumetto sono invece affidate a Ciro Fusco, che ha analizzato da vicino le 110 parabole scelte. “E’ significativo che la stragrande maggioranza siano state enunciate nel corso di omelie durante le messe, prevalentemente nella celebrazione mattutina presso Santa Marta, nelle predicazioni di altre cerimonie religiose e nel corso di incontri, dove con questa espressione sono da intendersi le udienze a gruppi particolari o i discorsi ad assemblee e raduni specifici”. Se ne ritrovano, “con una certa frequenza”, anche nelle interviste giornalistiche. Invece le parabole sono poco utilizzate nelle udienze generali del mercoledì e negli Angelus/Regina Coeli della domenica; ancora meno nei testi magisteriali (una sola volta in Amoris laetitia 119). Se ne può trarre una deduzione: “Francesco inserisce le parabole nel contesto di allocuzioni pubbliche, davanti a interlocutori in carne ed ossa, molto spesso parlando a braccio”.

    Ciro Fusco cita poi alcuni paragrafi dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, in cui Bergoglio si occupa della predicazione: “Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire parlare parlare per immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare e ad accettare il messaggio che si vuole trasmettere (…) Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare, ma piuttosto propone quello che possiamo far meglio” (NdR: per la verità ci sembra di ricordare che in una serie quasi infinita di occasioni Francesco ha utilizzato ampiamente la categoria del rimbrotto e della fustigazione. In qualche caso poteva anche avere ragione, come nella parabola numero 75 che riportiamo alla fine della recensione…)

     

    UN PAIO DI SIGNIFICATIVE  ‘PARABOLE’ BERGOGLIANE CONTENUTE IN “C’ERA UN VECCHIO GESUITA FURBACCIONE” (EDIZIONI PAOLINE)

    IL NONNO MANGIAVA IN CUCINA DA SOLO (numero 26): “C’era un nonno che abitava con il figlio, la nuora e i nipotini. Ma il nonno invecchiò e alla fine, poverino, quando mangiava, prendeva la zuppa e si sporcava un po’. Un giorno il papà ha deciso che il nonno non avrebbe più mangiato alla mensa della famiglia perché non era una bella figura, non potevano invitare gli amici. Ha fatto comprare un tavolino e il nonno mangiava in cucina da solo. La solitudine è il veleno più grande per gli anziani. Un giornoil papà torna dal lavoro e trova il figlio di quattro anni che ta giocando con il legno, i chiodi e un martello. E gli dice: ‘Ma cosa fai?’ ‘Un tavolino, perché quando tu diventi anziano, potrai mangiare lì!. Quello che si semina, si raccoglie!” (Incontro con i giovani e le famiglie a Napoli, 21 marzo 2015)

    PRETE GIOVANE CHE PROVA IL ‘SATURNO’ (cappello circolare a larga tesa usato dai sacerdoti) (numero 75): “Con la rigidità c’è pure la mondanità. Un sacerdote mondano, rigido, è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata. E’ successo tempo fa: è venuto da me un anziano  monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù, e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti ecclesiastici e paramenti sacri a Roma, via del Sant’Uffizio) a comprasi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di venticinque anni, che fosse un prete giovane o uno che stava per diventare prete – con un mantello grande, largo, con il velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava: un rigido mondano.  Quel sacerdote anziano – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne. Il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario, finisce nel ridicolo, sempre” (omelia a Santa Marta, 9 dicembre 2016)

     

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