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    PAPA E DROGA - SUI TETTI: IL FESTIVAL DELL'UMANO "TUTTO INTERO"

    PAPA E DROGA - SUI TETTI: IL FESTIVAL DELL’UMANO “TUTTO INTERO” – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 28 giugno 2024

    Papa Francesco, nell’udienza generale del 26 giugno 2024, ha rinnovato un forte invito a combattere il flagello della droga. Spunti di cronaca dal grande convegno antropologico promosso dal network ‘Sui tetti’ di Domenico Menorello il 18 e 19 giugno 2024 a Roma. Oltre 450 iscritti e molti interventi tra cui- in conclusione - quelli applauditissimi di Alfredo Mantovano e Pietro Parolin.

      

    PAPA FRANCESCO E LA DROGA: DOVE SI LIBERALIZZA, SI CONSUMA DI PIU’

    Dall’udienza generale di mercoledì 26 giugno 2024, giornata mondiale per la lotta contro la droga (un tema - irresponsabilmente sottovalutato dal Pensiero Unico Mediatico - che resta drammatico anche in Italia, dove, secondo la Relazione annuale governativa 2023 sulle tossicodipendenze, quattro studenti su dieci tra i 15 e il 19 anni hanno assunto almeno una volta sostanze psicoattive illegali):

     (…) Non possiamo ignorare le intenzioni e le azioni malvagie degli spacciatori e dei trafficanti di droga. Sono degli assassini! Papa Benedetto XVI usò parole severe durante una visita a una comunità terapeutica: «Dico ai trafficanti di droga che riflettano sul male che stanno facendo a una moltitudine di giovani e di adulti di tutti gli strati sociali: Dio chiederà loro conto di ciò che hanno fatto. La dignità umana non può essere calpestata in questo modo».  la droga calpesta la dignità umana.

    Una riduzione della dipendenza dalle droghe non si ottiene liberalizzandone il consumo – questa è una fantasia –, come è stato proposto, o già attuato, in alcuni Paesi. Si liberalizza e si consuma di più. Avendo conosciuto tante storie tragiche di tossicodipendenti e delle loro famiglie, sono convinto che è moralmente doveroso porre fine alla produzione e al traffico di queste sostanze pericolose. Quanti trafficanti di morte ci sono – perché i trafficanti di droga sono trafficanti di morte –, spinti dalla logica del potere e del denaro ad ogni costo! E questa piaga, che produce violenza e semina sofferenza e morte, esige dalla società nel suo complesso un atto di coraggio. (…)

    Un’altra via prioritaria per contrastare l’abuso e il traffico di droghe è quella della prevenzione, che si fa promuovendo maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita personale e comunitaria, accompagnando chi è in difficoltà e dando speranza nel futuro.

    Nei miei viaggi in diverse diocesi e vari Paesi, ho potuto visitare diverse comunità di recupero ispirate dal Vangelo. Esse sono una testimonianza forte e piena di speranza dell’impegno di preti, consacrati e laici di mettere in pratica la parabola del Buon Samaritano (…)

    Cari fratelli e sorelle, di fronte alla tragica situazione della tossicodipendenza di milioni di persone in tutto il mondo, di fronte allo scandalo della produzione e del traffico illecito di tali droghe, “non possiamo essere indifferenti. Il Signore Gesù si è fermato, si è fatto vicino, ha curato le piaghe. Sullo stile della sua prossimità, siamo chiamati anche noi ad agire, a fermarci davanti alle situazioni di fragilità e di dolore, a saper ascoltare il grido della solitudine e dell’angoscia, a chinarci per sollevare e riportare a nuova vita coloro che cadono nella schiavitù della droga” (papa Francesco, 26 agosto 2023). E preghiamo per quei criminali che danno la droga ai giovani: sono criminali, sono assassini! Preghiamo per la loro conversione.

    In questa Giornata Mondiale contro la droga, come cristiani e comunità ecclesiali rinnoviamo il nostro impegno di preghiera e di lavoro contro la droga. Grazie!

     

    SUI TETTI: UN FESTIVAL-BAOBAB RICCO DI RIFLESSIONI SULLA CONCEZIONE DELL’UOMO OGGI NEGLI AMBITI PIU’ SVARIATI

    Negli ampi spazi romani del Pio Sodalizio dei Piceni a San Salvatore in Lauro il 18 e il 19 giugno è stata data la possibilità di vivere un “Festival” un po’ particolare, sull’umano “tutto intero” così come è o dovrebbe essere declinato in una serie di ambiti della quotidianità, con un riferimento particolare a quello dei decisori politici. Siamo in un cambio d’epoca e dunque sono tante le sfide pubbliche che impongono un confronto tra visioni antropologiche diverse. Quella della mentalità mediaticamente dominante, che esalta l’autodeterminazione dell’individuo e quella invece di chi considera l’uomo prima di tutto come persona inserita in una rete di relazioni. Quale, ci si è chiesti ad esempio, la traduzione di tali visioni a livello legislativo e istituzionale?

    Il Festival è stato promosso dal network Sui tetti, l’aggregazione – coordinata da Domenico Menorello con una squadra di collaboratori indubbiamente validi  - di oltre cento associazioni e gruppi che si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa e che già si è fatta notare in due occasioni recenti, di cui ha riferito anche Rossoporpora.org. Nel primo grande appuntamento pubblico del 9 marzo 2022 all’Angelicum con un Convegno sulla testimonianza cristiana, (https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1067-convegno-angelicum-sui-tetti-per-testimoniare-cristianesimo.html ), poi per le elezioni europee dell’8-9 giugno 2024 (https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1193-voto-ue-civilta-cattolica-e-cei-con-qualche-nota-pro-vita-sui-tetti.html ) con la presentazione di un’agenda a beneficio degli eletti a Bruxelles.

    Ora il terzo grande momento pubblico con questo Festival dell’umano “tutto intero”, sviluppatosi su due giornate (un vero baobab di incontri, che dev’essere stato molto difficile allestire considerando equilibri e tempi), con ospiti che in parte già avevano animato l’incontro dell’Angelicum, in particolare il cardinale Parolin (la Segreteria di Stato ha di certo assecondato la nascita del network), il presidente della CEI (allora il cardinale Bassetti, oggi il cardinale Zuppi) e vari politici in prevalenza di centro-destra.

    Da evidenziare l’interesse suscitato dalla duegiorni, testimoniato anche dagli oltre 450 iscritti. Che hanno potuto così seguire una serie nutritissima di tavole rotonde sui diversi ambiti in cui il discorso antropologico acquisisce un grande rilievo. In chiusura di articolo nomi dei relatori e ambiti indagati.  

    Ridiamo invece subito qualche sapore delle due tavole rotonde di sintesi, svoltesi nel pomeriggio di mercoledì 9 giugno, prima della conclusione conviviale nel Giardino dei Piceni con accompagnamento musicale di Gabriele De Caterini.  

    La prima era incentrata su come “proporre, sui tetti, a tutti, una ragione all’altezza dell’umano” ed è stata animata dalla ministra Eugenia Roccella, dal filosofo Vittorio Possenti, dal reggente di ‘Alleanza Cattolica’ Marco Invernizzi, dall’ex-presidente della Camera Luciano Violante e dal presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi (moderazione di Safiria Leccese).

     

    PRIMA TAVOLA ROTONDA DI SINTESI: ROCCELLA, INVERNIZZI, POSSENTI, VIOLANTE, ZUPPI

    Eugenia Roccella/1: Grazie a voi per gli applausi. Ormai ci sono meno abituata. Qui è più facile argomentare in maniera distesa. Non solo vengo dalla sinistra, ma da una piccola sua area che ha condotto battaglie minoritarie che hanno plasmato l’odierno mainstream. Un piccolo gruppo di quattro gatti che non ha vinto dal punto di vista politico, ma culturale.

    Eugenia Roccella/2: Per me la questione antropologica moderna si è aperta nel 1978, quando è nata la prima bambina in provetta: si è difatti intervenuti sulla generatività, sulla maternità. E da lì si è sempre più cercato di oltrepassare i limiti umani. Oggi l’espressione ‘nato da donna’ tende a essere accantonata. A livello internazionale la parola ‘maternità’ tende a sparire. Eppure l’essere nati da donna dà il senso della fratellanza e dà il senso del legame eterno. Oggi è messo in discussione tutto, dal legame con il corpo della madre alla responsabilità per sempre. Dilaga l’idea che sul corpo si possa intervenire indipendentemente dai condizionamenti biologici.   

    Marco Invernizzi/1: La soluzione ai problemi dell’umano è la dottrina sociale della Chiesa. Naturalmente bisogna conoscerla, senza che si impolveri nelle biblioteche.

    Marco Invernizzi/2: Quando incomincia la crisi antropologica? Lo suggerisce la dottrina sociale della Chiesa, che non è un optional come sento dire anche da ecclesiastici: prende avvio con la Rivoluzione francese e con la pretesa di costruire un ‘uomo nuovo’, che non è poi altro che un uomo diverso, sradicato da Dio.

    Vittorio Possenti/1: Il diritto alla vita non è contemplato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Invece lo era nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776.  

    Vittorio Possenti/2: Bisogna ridare ai nomi il loro vero significato. La congiuntura spirituale determinatasi da alcuni decenni e in incessante mutamento, pone un accento forte sui diritti individuali e trova nella temperie relativistica una base importante. Viene creata una neolingua che accomoda le cose secondo la prospettiva scelta, che in molti casi si riconosce in uno spiccato individualismo. La sparizione dell’altro, la sua cancellazione sono i coerenti approdi dell’ideologia dell’individuo autocentrato che dice ’io sono io’, e dell’altro non mi interessa. La neolingua nominalistica si indirizza inoltre a far scomparire le differenze, cercando di mutare il concetto di matrimonio/nozze, di sposo e di sposa. A mio parere due persone dello stesso sesso che in municipio contraggono un’unione civile, non celebrano le loro nozze, né il loro matrimonio, danno vita ad un’unione civile e niente di più. Nell’ambito mediatico (giornali e TV) è invece frequente che l’unione civile sia presentata come un vero e proprio sposalizio. La manipolazione del linguaggio intende subdolamente far sparire le differenze.

    Vittorio Possenti/3: Da decenni è avanzata nella sensibilità sociale e nella cultura dei “diritti prima di tutto” un’applicazione molto estensiva e forzata del criterio di non-discriminazione, che sfocia in un’ideologia aggressiva dei diritti individuali. Indubbiamente non possiamo discriminare gli esseri umani secondo il sesso, l’etnia, la religione e altro. È un atto di giustizia trattare ugualmente cose eguali, mentre è ingiusto trattare ugualmente cose diverse: non possiamo pareggiare il matrimonio e la famiglia naturale con l’unione civile, omosex. Né esiste un diritto al figlio che possa essere soddisfatto, poniamo, con la maternità surrogata. In cui il figlio diventa oggetto di un contratto, e non conoscerà da dove e da chi sia provenuto. Il cosiddetto ‘matrimonio egualitario’ passa sopra tutto ciò, cercando di cambiare il senso comune che in genere recalcitra, e presentando come diritto ciò che è una mera pretesa.

    Vittorio Possenti/4: Esiste un diritto di aborto che contraddica il diritto fondamentale alla vita? Sembrerebbe di sì, se il Parlamento francese a grande maggioranza lo ha introdotto nella Costituzione, con un atto però in cui il diritto positivo ha imposto il suo predominio con il mero fatto che una maggioranza democraticamente eletta, ha votato una legge statale. Il punto più preoccupante riguarda l’ideologia sbilanciata e libertaria che si respira nell’operazione, e che la inficia alla radice: nessun altro reale compare nella ‘libertà garantita’ di aborto di cui parla la legge. Al centro sta soltanto la donna e la sua scelta: il concepito, il figlio è scomparso. Non esiste bilanciamento alcuno tra la libertà della donna di disporre del proprio corpo e il diritto incomprimibile del concepito a nascere.

    Luciano Violante/1: Nella quotidianità siamo circondati dalla morte, a Gaza, in Israele, tra poco forse in Libano, in Ucraina, in Russia.

    Luciano Violante/2: Si parla di dignità della morte, ma non si parla mai di dignità della vita. Oggi grandi domande su pace e guerra, vita e morte. Alla prima devono rispondere i decisori, alla seconda tutti noi. Ed è la più importante.

    Card. Matteo Maria Zuppi/1:  La questione antropologica sembra solo dei cattolici, ma è di tutti. Certo non ne abbiamo l’esclusiva.

    Card. Matteo Maria Zuppi/2: La dottrina sociale della Chiesa è molto laica, è la dottrina dell’incontro con l’altro, di cui abbiamo bisogno e che invece è visto spesso come una minaccia da eliminare. Dobbiamo invece averne cura.

    Card. Matteo Maria Zuppi/3: La dignità della vita è molto legata a quella della morte. Bisogna potenziare le cure palliative per tutti e ovunque. Ora non è così. Iniziamo a metterci i soldi.

     

    SECONDA TAVOLA ROTONDA DI SINTESI: ORSINA, POLITO, MANTOVANO, PAROLIN

    La seconda tavola rotonda di sintesi  (conclusiva) ha trattato della possibile persistenza dell’eccezione (antropologica) italiana, secondo la nota espressione cara a Giovanni Paolo II. E’ stata animata dal politologo Giovanni Orsina, dal giornalista Antonio Polito, dal senatore Maurizio Gasparri (latore del messaggio del ministro Antonio Tajani), dal sottosegretario Alfredo Mantovano e dal cardinale Pietro Parolin (moderazione di Safiria Leccese).

    Anche qui cerchiamo di ridarne qualche sapore, in particolare con citazioni abbondanti dagli interventi (punteggiati da applausi a scena aperta e siglati da un applauso lunghissimo) di Alfredo Mantovano e di Pietro Parolin.

    Giovanni Orsina/1: Spesso quando parliamo di eccezione italiana tendiamo ad attribuirle un connotato negativo. Forse abbiamo un complesso di inferiorità, cui a volte nella storia ha fatto da contraltare anche l’opposto. Quel che è certo è che l’Italia si adatta con difficoltà maggiore di altri al mondo globale. L’Italia fatica nel farsi omogeneizzare. Lo si dice spesso a mo’ di rimprovero. Eppure tale indubbia resistenza, una peculiarità italiana, potrebbe risultare un elemento che consente di evitare di cadere in alcuni dei difetti della globalizzazione.

    Giovanni Orsina/2: L’Italia è del resto un Paese molto eterogeneo, caratterizzato da rapporti particolari con la Chiesa cattolica, con un tessuto familiare ancora forte, molto più forte che in altri Paesi, pur se indubbiamente indebolito. Confermiamo oggi di essere ancora un’eccezione antropologica, magari a un po’ a fatica, considerato l’indebolimento dei corpi intermedi – di lunga tradizione - della società.

    Antonio Polito: L’eccezione italiana, che c’è, è comunque anche uno dei valori fondativi dell’Unione europea, fondata da tre cattolici come Schuman, De Gasperi e Adenauer. E’ evidente che l’UE è stata concepita sulla persona e non sull’individuo, sulla comunità e non sullo statalismo, sulla sussidiarietà e non sul collettivismo.

    Maurizio Gasparri: Ha letto il messaggio del ministro degli Esteri Tajani, in cui si rivendica l’azione internazionale umanitaria e diplomatica del governo italiano. Gasparri ha poi ricordato – a proposito di temi antropologici - le sue denunce delle pratiche scorrette messe in atto presso l’ospedale Careggi di Firenze riguardo alla somministrazione di farmaci bloccanti della pubertà nei casi di disforia di genere.

    Dall’intervento di Alfredo Mantovano

    . (un incipit particolarmente frizzante, intriso di ironia). “L’Italia è un Paese sbagliato. Può dispiacerci, ma è così. È stato quasi sempre dalla parte sbagliata. Ha perduto tutti gli appuntamenti più significativi con la Storia: al momento della rivolta luterana è rimasto con la Chiesa cattolica; ha vissuto sì il Rinascimento, ma conferendo a esso un’impronta di fede; ha mostrato scarso entusiasmo per la Rivoluzione francese, tant’è che quando Napoleone ha condotto in Italia  i lumi del progresso sulle baionette dei propri soldati, tutti i popoli della Penisola, chi più chi meno, si sono ribellati; sembrava aver estromesso il potere clericale con la formazione dello Stato unitario, ma poi lo sciagurato Concordato lo ha ripristinato. E così via, fino ai giorni nostri, che vedono nel governo Meloni l’apoteosi dell’anomalia: quella di un popolo che elegge una maggioranza sulla base di un programma elettorale, e questa maggioranza sostiene un governo che prova a essere coerente con quel programma. (qui Mantovano ha mostrato una foto del governo appeso a testa in giù) Sbaglio che più grave non si può, in controtendenza con la felice esperienza dell’ultimo decennio, che invece aveva visto formarsi governi a prescindere dalla variegata e mutevole volontà popolare”. Questo è l’abstract di storia patria redatta a cura degli establishment europeisti e internazionalisti più illuminati, le cui posizioni sono ben espresse da importanti cartelli editoriali italiani, europei e occidentali.

    . C’è un momento in cui questo ‘sbaglio’ ha impresso il suo sigillo nella pietra. È descritto in uno di quei romanzi che non dovremmo stancarci di leggere coi nostri figli o coi nostri nipoti: si tratta di “Quo vadis?”, del polacco Henryk Sienkiewicz, a cui per quest’opera nel 1905 fu riconosciuto il premio Nobel per la letteratura. La storia è conosciuta: a Roma infuria la persecuzione di Nerone, e i Cristiani convincono Pietro ad allontanarsi dall’Urbe perché altrimenti sarebbe stato ucciso. Era una preoccupazione fondata, era più di un rischio: e peraltro da sempre i cristiani pregano per il Papa affinché “non tradat eum in ánimam inimicórum éius”. Così Pietro esce da Roma e inizia a percorrere la via Appia e, nel luogo dal quale adesso parte la strada che conduce alle catacombe di S. Callisto, incrocia un Uomo che invece si dirige verso Roma; non lo riconosce subito, anche se il viandante ha una immagine familiare. Gli domanda: Quo vadis, Domine? La risposta svela a Pietro chi è quell’Uomo e qual è il destino dell’Apostolo: Eo Romam, iterum crucifigi (vado a Roma, per essere crocifisso nuovamente). Pietro comprende e torna sui suoi passi. L’incontro, ripreso nel romanzo, deriva da una antichissima tradizione popolare, ricordata dal magistero pontificio. In quel sito sorge la piccola chiesa del "Domine quo vadis": fu visitata nel 1983 da Giovanni Paolo II, che definì quel luogo di "speciale importanza nella storia di Roma e nella storia della Chiesa". Perché di "speciale importanza”? Perché segna l’indissolubile originario legame fra Roma e la fede cristiana, e quindi fra l’Italia che ha Roma al centro, e il cristianesimo. Non è un legame solo confessionale: è un legame storico e culturale, che ha impresso nella nostra Nazione un sigillo materiale. Sì, anche quando non esisteva politicamente come Nazione, l’Italia è stata unita nella cultura e nella fede.

    . Quello che una robusta corrente del pensiero, della politica, dell’economia e della finanza considera da secoli uno ‘sbaglio’, inizia proprio da lì. Per Giovanni Paolo II non era uno ‘sbaglio’, lo definiva al contrario una ‘eccezione’, la c.d. “eccezione italiana”: il Papa Santo usava questa espressione per intendere la straordinaria resistenza della nostra Nazione attorno ai suoi principi identificativi.

    . Non voglio aprire il capitolo di quanto di questa eccezione sopravviva oggi. Il mix costituito da sentenze della Corte costituzionale, sentenze dei giudici di legittimità e di merito, e di leggi su materie eticamente sensibili approvate nelle ultime legislature, in particolare durante il governo Renzi, hanno circoscritto notevolmente l’area della eccezione. Questi provvedimenti hanno inciso sul comune sentire (…)

    . Ma, grazie a Dio, qualche residuo di anormalità in Italia c’è ancora. Se ne ha traccia non solo nello scandalo di un governo che si è formato in coerenza col voto popolare, ma pure in qualche profilo che, dalla prospettiva che affrontiamo oggi, e in particolare in questo panel, è stato poco scandagliato.

    . Il G7 dei capi di Stato e di Governo ha attestato l’importanza dell’avvio da parte dell’Italia del “piano Mattei per l’Africa”. L’Italia non arriva certamente per prima in Africa. Ma costituisce una eccezione il modo in cui, fra mille difficoltà, affrontando mille ostacoli, con mille incertezze, essa ha proposto e sta seguendo l’avvio del Piano. È una eccezione quanto alla modalità di interlocuzione con le singole Nazioni africane. Fa eccezione certamente rispetto a come in questi anni Russia e Cina intervengono in Africa: la Russia con contingenti in armi, aprendo nuove basi militari, appoggiando rivolgimenti violenti, tutelando l’estrazione delle materie prime nelle aree a maggiore rischio; la Cina con la sua finora inarrestata espansione infrastrutturale, commerciale e tecnologica. Ma il modo italiano è differente anche rispetto ad altre Nazioni europee, che fino a un recente passato hanno utilizzato - e in parte ancora utilizzano - le incredibili ricchezze dell’Africa, con scarso ritorno per le popolazioni locali: adesso ne pagano il prezzo, essendo costrette a ridimensionare la loro presenza e a ritirarsi. Il Piano Mattei risponde a una logica differente: quella di un approccio paritario, che certamente distingue fra le Nazioni che mettono a disposizione le risorse, e le Nazioni destinatarie delle risorse medesime.

    . È un approccio che rispetta non soltanto i popoli africani e i loro governanti, ma anche le singole persone. Dobbiamo stroncare la prospettiva che il modo per arrivare in Italia e in Europa sia quello di affidare il proprio denaro e la propria vita ai trafficanti, e di affrontare viaggi disperati. L’eccezione italiana deve essere anche questa, non quella di sostenere ong che si collochino al limite delle acque territoriali libiche o tunisine per raccogliere chi parte sui barchini: perché quel sostegno, anche solo finanziario, fatto anche con le migliori intenzioni, è un incentivo ai traffici di morte. (Applauso molto sostenuto della sala)

    . Chiudo da dove ho iniziato: dal legame fra Roma e Pietro, che è all’origine della eccezione italiana. Ci sono stati momenti in cui Pietro si è allontanato da Roma: non sono stati anni felici. S. Caterina da Siena è stata proclamata Patrona d’Italia anche per il suo impegno per riportare il Papa da Avignone a Roma. Sono molto grato alle associazioni che costituiscono il network Sui tetti, a chi lo promuove, e a chi ha organizzato questa due giorni di riflessione perché fornisce il suo contributo a che questo legame continui a esserci.

    Dall’intervento del cardinale Pietro Parolin

    . La speranza, coltivata forse frettolosamente e anche un po’ ingenuamente, che la pandemia ci avrebbe consegnato un mondo migliore – richiamando i singoli ad uno stile di vita più essenziale e meno frenetico, nonché favorendola solidarietà tra i popoli e la crescita della giustizia distributiva tra di essi – questa speranza aveva già cominciato a dissolversi nel 2022. In questi due anni le cose non sono purtroppo migliorate. Le crisi internazionali si sono anzi aggravate. Lo scenario bellico si è ampliato tragicamente con l’esplosione del conflitto israelo-palestinese e la guerra “a pezzi”, denunciata da Papa Francesco sin dall’inizio del pontificato, è andata allargandosi e componendosi in un quadro sempre più preoccupante e corre oggi il rischio serissimo di sviluppi imprevedibili e sempre meno ipotetici. Anche lo stile di vita delle persone non ha acquisito quella profondità e quella qualità che si sperava la pandemia potesse consegnarci come suo positivo effetto collaterale. La vita delle persone è ripresa faticosa e frenetica come prima, se non di più; con tutta l’irrequietezza e le nevrosi che ne conseguono, come d’altronde la cronaca quotidiana non manca di farci conoscere.

    . In queste circostanze, insistere sulla questione antropologica, per di più indicendo un Festival dell’ “umano tutto intero” riprendendo una felice espressione di San Giovanni Paolo II –,potrebbe sembrare un mero esercizio d’accademia, una riflessione sofisticata, magari riservata a pochi, tuttavia distante dalle urgenze e dai problemi del vivere quotidiano, tanto dei singoli quanto dei popoli che soffrono la violenza, la fame e i molti gravi bisogni generati dalla guerra, dalla povertà, dalla diseguaglianza. Eppure è proprio in questo contesto che una riflessione sull’uomo, quanto più desueta e anacronistica essa possa apparire, diventa invece ancora più urgente e necessaria.

    . Un primo grave errore sarebbe infatti proprio quello di pensare la domanda sull’uomo come separata e distante dalle domande e dai bisogni relativi alla vita di lui. (…) La sua centralità e necessità risiedono nel fatto che essa è veicolo di altri interrogativi, che caratterizzano e accompagnano da sempre l’esistenza umana: che senso ha la vita in generale? E la mia vita in particolare? Perché il male e l’ingiustizia? La morte è davvero la fine dell’esistenza individuale?

    . La domanda antropologica e tutte queste altre, che ne costituiscono il naturale corollario, sembrano però suscitare sempre meno interesse. Lo stesso sviluppo dei diritti umani – che tanto impegna il dibattito odierno – soffre la mancanza di un fondamento solido, la cui carenza espone tali diritti a discipline molte volte incerte e provvisorie, se non ideologicamente orientate. . Venendo ad esaminare le cause che sono all’origine di questo “disinteresse antropologico”, il motivo dominante viene rinvenuto nel progresso tecnologico e nella fiducia che l’umanità vi ripone da più di due secoli. In virtù di questo affidamento – che assume le caratteristiche di una vera e propria “fede” – all’aumentare del potere della scienza e della tecnica ha corrisposto, da un lato, la perdita dello sguardo dell’uomo su di sé e sulla propria interiorità e, da altro lato, una crescente identificazione dell’uomo con le opere da lui prodotte. Alla fiducia nell’uomo, propria della svolta umanistico-rinascimentale, si è così sostituita la fiducia nella macchina da lui creata e, più in generale, nel progresso.

    . Dalla rivoluzione industriale in poi è stato un crescendo: sempre più l’uomo si è allontanato da Dio, sempre più si è identificato con il risultato delle proprie azioni e sempre più è scivolato (o si è adagiato) su identificazioni parziali, frammentarie, provvisorie e precarie, perdendo una visione d’insieme di sé, capace di unificare tutti gli esseri umani, senza distinzioni di sesso, di età, di razza o di condizione sociale.  Più la nostra società aumenta il grado di automazione e più assomiglia all’apprendista stregone della famosa ballata di Goethe, il quale si avventura in un incantesimo che non è poi in grado di padroneggiare e le cui conseguenze sfuggono al suo controllo. È in quest’ottica, d’altronde, che possono essere visti e considerati i problemi suscitati dal crescente impiego dell’Intelligenza Artificiale, dinanzi alla quale si pone l’esigenza di una vera e propria difesa dell’umano; un argine a quell’intelligenza che l’uomo stesso ha creato e dalla quale si trova adesso a dipendere.

    . È nel vuoto creato da questo “disimpegno antropologico” che è fiorito, crescendo rapidamente, il neo-individualismo che esalta e assolutizza il principio di autodeterminazione dell’individuo e le cui caratteristiche sono state ampiamente discusse in questi due giorni di Festival. È questo uno pseudo-umanesimo che arriva, in sostanza, a teorizzare una libertà senza responsabilità e diritti senza corrispondenti doveri, fondamentalmente ispirato al modello dell’uomo-Prometeo il quale, imbrigliato dal proprio delirio di autosufficienza, finisce tuttavia con il ritrovarsi irrimediabilmente solo.

    . Ritengo tuttavia che la svalutazione della riflessione sull’uomo abbia anche altre ragioni, più profonde e – proprio per questo – prima facie meno intellegibili. La questione antropologica è stata accantonata anche perché essa in fondo – una volta che la si affronti seriamente e radicalmente – mette in evidenza e fa venire alla luce la costitutiva fragilità dell’essere umano in quanto tale; il suo essere non solo una canna ma anche, come suggestivamente dice Pascal, la canna più fragile di tutta la natura. Quando l’uomo scende nelle profondità del suo essere egli scopre infatti una totale e radicale dipendenza dall’Altro, con la A maiuscola, e dagli altri. (…)  Andare alla ricerca di sé implica quindi andare a scoprire questa fragilità, seguendo un percorso che l’uomo che si è allontanato da Dio non può intraprendere. L’uomo senza Dio, infatti, non può stare di fronte a se stesso, perché stare lì implicherebbe confrontarsi con la propria povertà e con una necessità più grande di lui, rispetto alla quale – con tutto il progresso a disposizione – è incapace di dare risposta. Stare lì implica confrontarsi con le domande più scomode possibili, che nella loro radicalità sono tuttavia imprescindibili se si vuole dare un senso alla propria vita e che, proprio per questo, sono a pieno titolo “secondo ragione”: la domanda sulla sofferenza, sull’ingiustizia e, in generale, sul male, sia quello presente in natura che quello di origine morale; per poi confrontarsi, in ultimo, con la domanda sulla morte. Ed è così che dietro la fuga dell’uomo da sé, dalla discesa nelle proprie profondità, si cela in fondo la fuga dell’uomo dalla sofferenza, in tutte le sue molteplici declinazioni.

    . Nel Signore Crocifisso, invece, noi vediamo che quanto c’è di precario e fragile nell’uomo, in ogni uomo, non viene scartato, non viene rinnegato, né disprezzato. Esso viene invece trasformato, per diventare luogo di misericordia: il “dove” interiore dell’incontro tra Dio e l’uomo; il “dove” nel quale Dio assume e sposa la condizione umana in quanto tale, l’umano “tutto intero”. Nel Signore Gesù, e solo in Lui, si può davvero essere uno, una cosa sola, “tutto intero”, senza scartare, eliminare, cestinare nulla e nessuno. Al contrario, tutto è valorizzato, irrorato dalla vita divina. In questo modo la vita cessa di essere una separazione continua tra ciò che vale e merita di essere vissuto e ciò che non vale e deve essere rimosso.

    Ambiti, relatori e relatrici

    Il martedì pomeriggio 18 giugno si è incominciato con Davide Rondoni, Domenico Airoma, Stefano Zecchi, Lorenzo Bertocchi (“L’inedita pretesa legislativa e giudiziaria sullo statuto dell’umano”); Domenico Menorello e Nunzia Decembrino; Claudia Navarini, Carolina Varchi, Soemia Sibillo, Monica Ricci Sargentini, Stefano De Lillo, Marzia Masiello (“Maternità e compravendita della vita”); Aldo Bova, Marcello Ricciuto, Pietro Sebastiani, Shahid Mobeen, Irene Ciambezi, Emmanuele Di Leo (“Fragilità”); Michela Cinquilla, Giusy D’Amico, Assuntina Morresi, Massimo Polledri, Mariolina Ceriotti Migliarese, Giuliana Ruggeri (“Tossicodipendenza, bloccanti pubertà, gender”); Vincenzo Sabasi d’Arpe, Adriano Bordignon, Vittorio Rosati, Marco D’Agostini, Roberto Presilla, Luisa Santolini (“Libertà di educazione, concezione ambientalista, famiglia”); Antonino Giannone, Giulio Maira, Antonio Palmieri, Giulia Bovassi, Olimpia Tarzia (“”Intelligenza artificiale e transumanesimo”); Marina Casini, Luca Ricolfi, Claudio Gentili, Francesco Botturi, Antonio Scino, Emanuele Boffi (“Uomo figlio di Prometeo?”

    Dopo una serata di poesia, pianoforte e fiati (Davide Rondoni, Paolo Jannacci e Daniele Moretto), mercoledì’ mattina 19 giugno si è celebrata la messa presieduta dal cardinale Marcello Semeraro. A seguire dialoghi tra Maria Teresa Bellucci ve Peppino Zola (“Bimbi e anziani”), il ministro Giuseppe Valditara e Elena Fruganti (Scuola e famiglia), il ministro Giancarlo Giorgetti  Francesco Napolitano (quoziente familiare). Successivamente Massimiliano Fedriga, Simona Renata Baldassarre, Anna Maria Bigon, Maria Pia Garavaglia, Guido Castelli, Filippo Boscia, Alessandro Chiarini, Maurizio Saccon i (“Regioni e tutela H/24 della vita fragile”).

    In fin di mattinata una tavola rotonda (di cui ci occuperemo in un prossimo Rossoporpora.org) sull’ “impresa come comunità di creatività” con Luigi Sbarra, Maria Elena Boschi, Lorenzo Malagola, Massimiliano Boggetti, Benedetto Delle Site, Bruno Sconocchia, Emanuele Massagli. Nel pomeriggio (prima della conclusione conviviale nel Giardino dei Piceni con accompagnamento musicale di Gabriele De Caterini) le due tavole rotonde di sintesi, di cui abbiamo riferito con maggiore ampiezza.

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