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    INTERVISTA A GIOVANNI MARIA VIAN

    INTERVISTA A GIOVANNI MARIA VIAN, DIRETTORE DE "L'OSSERVATORE ROMANO" - 'IL CONSULENTE RE' DI DICEMBRE 2007

     

    “L’Osservatore Romano” ha ‘svoltato’. Sotto la regia del nuovo direttore Giovanni Maria Vian - nominato il 29 settembre e entrato in carica con il numero del 28 ottobre - il giornale vaticano appare agli occhi dei lettori ‘nuovo’ sia nella grafica che nella presentazione e selezione dei contenuti.

    Ridotto nella foliazione, si è indubbiamente ‘internazionalizzato’. A trenta giorni dall’inizio di una sfida tanto impegnativa il nuovo direttore – noto e apprezzato docente cinquantacinquenne di filologia della letteratura cristiana antica, ma non digiuno da importanti collaborazioni giornalistiche su problemi di storia contemporanea non solo ecclesiale – volentieri ci ha rilasciato un’intervista in cui chiarisce motivi e consistenza dei cambiamenti avvenuti nel giornale.

    Professor Vian, da un mese giusto giusto Lei è il nuovo direttore de L’Osservatore Romano, onore non da poco, onere fors’anche superiore. Con quale spirito ha incominciato il nuovo servizio alle dirette dipendenze dei vertici della Segreteria di Stato?

    Ho affrontato la nuova sfida di un lavoro diverso da quello cui ero abituato con uno spirito di massima disponibilità. Del resto non sono mai stato lontano dal mondo giornalistico, anzi… ho collaborato con l’ Osservatore, sono stato editorialista di Avvenire e del Giornale di Brescia…sono da sempre appassionato di giornali…

    Quand’era piccolo in casa Sua arrivavano il quotidiano della Santa Sede e il Corriere della sera . Cui poi Lei ha aggiunto l’ Avvenire e altri…

     

    Da questo punto di vista m’è cresciuto dentro un cruccio in questo primo mese: non riesco più a leggere approfonditamente i giornali, li vedo molto più rapidamente di quanto non fossi abituato a fare. Per me proprio un grande sacrificio.

    A trenta giorni dall’inizio che cosa può già dire di questa Sua nuova esperienza?

     

    L’esperienza è appassionante: ciò vale per qualsiasi giornale, ma costruire quotidianamente il giornale del Papa è, se possibile, ancora più impegnativo!

    Impegnativo… Ci ha incuriosito il passo di un’intervista rilasciata a 30Giorni 9/2007. Si stava parlando di Suo nonno Agostino, amico di papa Sarto, san Pio X: “Quello che mi lega a mio nonno – ha detto – è certo la fedeltà intransigente alla Santa Sede”, aggiungendo: “Naturalmente senza indulgere a cortigianerie che possono arrivare addirittura a forme di papolatria dolciastra”. Può esemplificare a proposito di “papolatria dolciastra”?

    Essere fedeli al Papa non è un atteggiamento formale, che si colora di una foresta di aggettivi magniloquenti e di espressioni iperboliche quando si riferisce dei suoi interventi. I contenuti dei discorsi del Papa dicono di per sé già tutto: basta presentarli perché traspaiano nella loro essenziale efficacia, senza arricchimenti formali superflui. Benedetto XVI sta imprimendo al suo pontificato uno stile di semplicità e di sobrietà che, secondo me, accresce ancora l’importanza dell’annuncio della verità di Cristo, come del resto ha detto ieri ai nuovi cardinali.

    Lei ha parlato di “sobrietà” del pontificato di Benedetto XVI. Anche “L’Osservatore Romano” diretto da Giovanni Maria Vian appare “sobrio”… i primi numeri addirittura quasi ascetici in titoli, caratteri, scarsità di foto… Insomma è diverso da quello precedente. Prendiamo in mano l’ Osservatore  uscito pochi minuti fa, che porta la data 26-27 novembre. La testata è la stessa ed è lo stessa anche la doppia ‘ammonizione’ Unicuique suum e Non praevalebunt… Si sente dire che prossimamente i due motti saranno tolti, in ogni caso molto ridimensionati…

     

    Lo sento da Lei per la prima volta, e sarebbe una vera follia. E’ vero che i due motti non figuravano su L’Osservatore del 1861, ma dall’anno seguente sì. Venir meno a una tradizione di 145 anni sarebbe del tutto improvvido.

    Per Lei è solo questione di onorare una tradizione? Oppure i due motti mantengono intatta la loro attualità?

    Non è solo per omaggio alla tradizione il fatto che i motti resteranno. Nel mio primo editoriale ho scritto che per guardare al futuro bisogna basarsi sulla tradizione: essa è di per sé è un gesto di fiducia nel futuro, poiché, se non c’è la fiducia, non si trasmette, non si consegna. La tradizione dei due motti mantiene tutto il suo valore. Il primo, Unicuique suum, rimanda alla tradizione giuridica romana e indica sostanzialmente oggi soprattutto un principio di giustizia, forse allora con toni polemici legati alle contingenze storiche. L’altro motto, Non praevalebunt, è invece tratto dal Vangelo di Matteo ed esprime ottimismo riguardo all’evoluzione della storia: Cristo ci ha assicurato che le forze del male alla fine “non prevarranno”.

    L’Osservatore Romano guarda con ottimismo al futuro, senza dimenticare di riferire del presente nel mondo. Ecco… la dimensione internazionale è ancora più presente nel “nuovo” Osservatore (che già le riservava uno spazio molto ampio rispetto al resto dei confratelli laici italiani). Sono aumentate le pagine di politica estera (pur se sono diminuite quelle complessive), i titoli d’apertura sono a volte apparentemente curiosi come è accaduto il 14 novembre (“Shimon Peres parla in ebraico davanti al Parlamento turco”) oppure insoliti come il grande titolo di prima pagina del 16 novembre: “Necessari dieci anni per bonificare il Mar Nero”.  

     

    L’Osservatore Romano ha da sempre una forte dimensione internazionale, perché il vescovo di Roma parla al mondo. Sempre di più, come stanno riconoscendo anche le altre confessioni cristiane; l’autorità del Papa come leader mondiale, almeno morale, è ormai assodata ed è allora evidente che il suo giornale debba avere una grande apertura internazionale….

    Insomma, per riecheggiare il grande titolo dell’altro ieri a proposito di nuovi cardinali, “La Chiesa parla in tutte le lingue, abbraccia tutti i popoli”…

     

    In effetti abbiamo raddoppiato l’informazione internazionale: spesso occupa parte della prima pagina e a volte l’intera (quando non ci siano interventi papali), le pagine 2 e 3. Nell’informazione internazionale ovviamente è compresa l’Italia….

    Qui tocchiamo un punto delicato: l’informazione sull’Italia – cui precedentemente era dedicata l’intera pagina 8 (oggi spesso una sorta di continuazione della prima) - è de facto molto ridimensionata. Una vera iattura per chi cercava in quella pagina indizi dell’atteggiamento vaticano su problemi politici e sociali rilevanti. Se consideriamo le ultime due settimane, non sono pochi i giorni in cui l’ Osservatore non ha riportato nessuna notizia sull’Italia. Quelle riportate in altre date, di solito non molto evidenziate, sono notizie particolari, vedi la crisi nel rapporto tra genitori e figli, la scarsa sicurezza stradale, un tragico rogo in un campo rom a Bologna, il fatto che Giorgio Napolitano abbia ricordato la Convenzione sui diritti del fanciullo; in piccolo il 17 novembre si è data notizia dell’approvazione della Finanziaria da parte del Senato. E’ vero comunque che sono stati importanti due approfondimenti a proposito delle polemiche attorno al tema “Chiesa e Ici” e dell’ “anomalia” del sistema scolastico italiano riguardo alla ‘parità’. Tuttavia non si può sfuggire all’impressione che Lei voglia confermare quanto la Sua penna aveva scritto nel “Dizionario storico del papato” sotto la voce: L’Osservatore Romano, a proposito della direzione di Mario Agnes: “Sotto la sua direzione il giornale, che soprattutto a partire dagli anni del pontificato di Paolo VI aveva assunto una linea di prudente e significativo disimpegno dalle vicende politiche italiane, è stato protagonista di nuove polemiche, anche all’interno del mondo cattolico”. Par di capire che Lei, definito “montiniano”, stia dalla parte di Paolo VI…

    L’Italia è ovviamente importante per un giornale che è scritto quasi esclusivamente in italiano. Il punto di vista nostro è però quello della Santa Sede, non quello italiano; e per la Santa Sede l’Italia conta, ma non più di tante altre nazioni, che cerchiamo pure di seguire nei loro avvenimenti. Devo dire che in questo novembre l’informazione italiana non ha offerto granché, se non molti spunti di cronaca. Come Lei ricordava, non siamo stati assenti sui temi dell’educazione, della scuola, dell’infanzia: abbiamo riferito delle parole del Capo dello Stato, al quale riserviamo grande attenzione. Abbiamo anche parlato della questione fiscale riguardante la Chiesa, suscitata da una particolare informazione

    Informazione o campagna?

    Direi un’informazione insistente e insistita.  

    Le vicende politiche italiane in quanto tali… polemiche tra i partiti, nel Governo… sono scomparse…

    Non hanno molto interesse per noi. Diamo le notizie più importanti, quelle che hanno un riflesso internazionale e un altro sul vivere umano.

    E’ sparita la cronaca, anche quella con riflessi in qualche modo sociali… l’informazione riguardo ai morti sul lavoro…

    Perché parlare di quelli in Italia e non in Brasile o in India… Non possiamo seguire tutto… siamo un giornale di sole otto pagine…

    A proposito ancora di Italia, versante ecclesiale. Possiamo presumere che non appariranno più i paginoni sulle lettere pastorali dei vescovi, su ingressi, ordinazioni, anniversari…

    Anche qui bisogna tener conto dell’equilibrio complessivo: L’Osservatore Romano  è il giornale del Papa, della Santa Sede e le diocesi nel mondo sono più di quattromila! Abbiamo invece accresciuto l’attenzione per le nomine, pubblicando il profilo dei nuovi vescovi. Qui un grande rilievo è stato dato alla promozione di monsignor Giancarlo Bregantini a Campobasso-Boiano: la sua biografia era lunga cinque volte quella degli altri. Abbiamo voluto infatti pubblicare alcune dichiarazioni del nuovo arcivescovo, perché la sua nomina era stata interpretata come una rimozione.  

    Ampio lo spazio dato alla nomina e all’ordinazione del nuovo arcivescovo a Mosca, monsignor Paolo Pezzi: è stata una lettura ecumenica dell’avvenimento che ha spinto a dare grande evidenza all’avvenimento? 

     

    Certamente. Una delle nostre priorità è l’informazione religiosa anche sulle altre Chiese e confessioni cristiane. L’ampio spazio riservato alla nomina a Mosca si inserisce  nel contesto importantissimo dei rapporti con le Chiese sorelle, cioè quelle ortodosse.

    Un accenno alla ‘questione romana’, ma nel senso delle informazioni sulla diocesi di Roma, prima ospitate in una pagina particolare oggi scomparsa. Qualcuno evidenzia che il Papa è tale proprio perché è vescovo di Roma…

    Noi intendiamo informare sulla diocesi del Papa, ma non possiamo ospitare un bollettino delle singole iniziative, anche perché il giornale è distribuito in gran parte in abbonamento e arriverebbe inevitabilmente un po’ tardi…

    Riandando a quanto detto fin qui riguardo all’informazione italiana e romana, par di capire che tali notizie sono ‘delegate’ ormai quasi totalmente ad Avvenire e, per Roma, anche al supplemento Roma sette

    Avvenire lo fa già benissimo, soprattutto da quando è direttore il mio carissimo amico Dino Boffo. Anche Roma sette svolge egregiamente la sua funzione precipua: e ricordo che anche nella pagina dell’ Osservatore le informazioni quotidiane vere e proprie sulla diocesi del Papa non erano poi molte…

    Nell’ “internazionalizzazione” del giornale rientra anche il largo spazio dato all’attività dei diversi dicasteri curiali, soprattutto con interviste sobrie e puntuali ai loro responsabili?

     

    Noi pensiamo che l’informazione vaticana non debba essere ristretta solo all’attività papale. E’ infatti opportuno che essa rifletta la varietà e la ricchezza dello strumento principale di governo del Papa, cioè la Curia. Quale miglior modo di presentare le iniziative dei dicasteri se non intervistare direttamente i loro promotori?

    Veniamo all’argomento ‘cultura’. Scriveva papa Paolo VI che L’Osservatore Romano “è un giornale di idee. Non è, come moltissimi altri, un semplice organo d’informazione; vuol essere e credo principalmente di formazione. Non vuole soltanto dare notizie; vuole creare pensieri”. Ci sembra che Lei sia qui montiniano al 100 per cento: ha introdotto un doppio paginone centrale tutto dedicato a questioni di idee. Benissimo. Ma quanti lo leggeranno?

    E’ difficile immaginarsi che masse di lettori facciano crocchio attorno a L’Osservatore Romano, come avviene nei bar per i giornali sportivi… Però di lettori ce ne sono più di quanto non si presuma. Le potenzialità dell’ Osservatore sono enormi…

    Realisticamente Lei lo pensa?

    Sì. Il giornale è poco conosciuto salvo che per la citatissima testata: si sa che c’è… poi, in quanto a leggerne gli articoli, è un’altra faccenda. L’insistenza sui temi ‘culturali’ -anche al di là di quelli ‘ecclesiali’ come ad esempio la liturgia e la musica sacra - più attuali, più dibattuti (vedi quanto attiene alla ‘questione antropologica’) è frutto della nostra fiducia nell’azione in profondità della parola. Il giornale è letto oggi da una fascia particolare di lettori: i ‘grandi lettori’, i professionisti dell’informazione, i diplomatici, molti educatori. Noi crediamo che facendo un ‘giornale di idee’ si possa accrescere l’interesse di tanti che possono influire per un verso o per l’altro sull’evoluzione della società.  

    Le sono già giunti riscontri positivi alla ‘svolta’?

    Sì, alcuni sì. Poi abbiamo saputo che, durante la riunione dei cardinali prima del Concistoro, il cardinale Segretario di Stato ha presentato il nuovo Osservatore. Penso che ci sia un grande interesse da parte della Segreteria di Stato, anche da parte del Papa…

    Che L’ha ricevuta con il nuovo vicedirettore Carlo Di Cicco…

     

    Durante l’incontro Benedetto XVI ha mostrato di capire molto bene i problemi dell’informazione.

    Rispetto ai primi numeri della Sua direzione c’è già stato qualche aggiustamento ‘grafico’ di rotta… ad esempio i titoli sono più differenziati, le fotografie si sono moderatamente accresciute di numero…

     

    Le fotografie? Abbiamo aggiustato il tiro. Il rinnovamento grafico non è finito; siamo in una fase intermedia. Vorrei fare notare un’altra novità: a pagina due in basso si evidenzia l’idea di una gestione più collegiale, pubblicando – oltre al nome del direttore - anche quello del vicedirettore, del redattore capo, del redattore capo grafico, del direttore generale, del segretario di redazione.

    Si pensa che il formato debba restare quello abituale?

    Per il momento sì… del resto il Sole24ore e Il Foglio, giornali autorevolissimi, hanno lo stesso formato…

    A proposito del Foglio… la grafica del nuovo Osservatore - almeno inizialmente – era anch’essa un po’ ‘fogliante’… la Sua esperienza da collaboratore del giornale di Ferrara L’ha influenzata?

    Il Foglio è un giornale elegante, di sostanza e di analisi e certamente ha contribuito a elevare il livello culturale dei giornali italiani. Su questo non c’è dubbio. Ospita voci diverse, seleziona molto. E lo stesso si può dire di Avvenire.

    L’Osservatore Romano, Il Foglio e Avvenire hanno in comune diverse firme, soprattutto di collaboratrici… pensiamo ad esempio a Eugenia Roccella, Lucetta Scaraffia,  Anna Foa, Assuntina Morresi. Nell’ Osservatore non si erano mai viste tante collaborazioni femminili, per di più molto evidenziate…

     

    Siamo venuti incontro a una richiesta esplicita in tal senso del cardinale Segretario di Stato e credo anche del Papa. Mi sembra che tali collaborazioni (anche di non cristiani come Anna Foa) diano lustro al quotidiano della Santa Sede e contribuiscano autorevolmente allo sviluppo del dibattito sulle questioni fondamentali della vita umana.

    Avremmo tanto altro da chiedere. Ma… Allora, grazie, direttore, e tanti auguri anche da parte de Il Consulente RE per un servizio fecondo di umanità.   

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