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    INTERVISTA A LUCIO CARACCIOLO

    A COLLOQUIO CON LUCIO CARACCIOLO SULL'EVENTUALE ADESIONE DELLA TURCHIA ALL'UE - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI SETTEMBRE 2009

     

    è Tra i problemi politici attuali più delicati in sede europea quello dell’eventuale adesione della Turchia all’UE; è un argomento che buona parte della classe politica preferisce ignorare pubblicamente, dato il timore che da una discussione in seno all’opinione pubblica (o, peggio ancora, da un voto tramite referendum) potrebbe emergere una maggioranza di contrari in molti tra i Paesi comunitari. Date le caratteristiche della Turchia, l’interesse del tema per il futuro dell’Europa evidente. Diamo perciò la parola – nelle interviste che seguono - a due conoscitori dell’argomento: Lucio Caracciolo e Roberto de Mattei. Dapprima  al cinquantacinquenne direttore di Limes, rivista di geopolitica tra le più apprezzate, fondata nel 1993 dall’editorialista del Gruppo Editoriale L’Espresso (capo della redazione politica di la Repubblica e caporedattore di Micromega dal 1986 al 1995). Erano gli anni immediatamente successivi al crollo del Muro di Berlino e al dissolvimento dell’Unione sovietica, dunque molto interessanti dal punto di vista geopolitico. Abbiamo incontrato Lucio Caracciolo nella sede di Limes e con lui abbiamo cercato di sviscerare alcuni aspetti di un argomento ricco di complessità.

    Tra gli aspetti più delicati quelli riguardanti l’evoluzione turca – sempre meno laica e più orientale - degli ultimi anni, la difficoltà di definire l’Europa, il peso numerico della Turchia, la tendenza neo-ottomana, la questione di Cipro, quella del genocidio armeno, l’impossibilità del partenariato.  

     

     

    Direttore, il 3 ottobre 2005 veniva firmata dal primo ministro Erdogan, accompagnato dall’allora ministro degli esteri Gűl, l’intesa con l’Unione europea (UE) in vista dell’avvio di negoziati per l’adesione della Turchia all’Europa comunitaria. Quasi due anni dopo ecco l’elezione dello stesso Gűl a presidente di una Turchia, che – Lei osservava il 29 agosto 2007 su “la Repubblica” – stava diventando sempre più democratica e sempre meno laica.  Sono passati altri due anni: Lei conferma tale constatazione?

     

    Storicamente le forze armate turche sono state il bastione del laicismo nella tradizione di Atatűrk; negli ultimi anni invece Erdogan e Gűl sono riusciti a intaccare almeno una buona parte del potere dei militari. Se prima si poteva dire che di fatto a capo della Turchia ci fosse il comandante delle forze armate, oggi non è più possibile esprimere un giudizio così netto poiché nel braccio di ferro in corso tra il potere democraticamente eletto e le forze armate (intese come bastione del laicismo) in questa fase sta prevalendo il primo.

     

    Nello stesso commento su “la Repubblica” Lei ha anche aggiunto che la Turchia stava diventando anche “meno atlantica e più orientale”…

     

    Infatti negli ultimi anni la geopolitica turca, rispetto alle linee ferme valide fino agli Anni Novanta e caratterizzate dal rapporto preferenziale con gli Stati Uniti e con Israele, si sta muovendo sempre più a 360 gradi. Il triangolo di grande importanza strategica Ankara-Tel Aviv-Washington si è indebolito ed è stato perlomeno affiancato dall’espressione di altri interessi: la protezione dei turcofoni nell’area asiatica che va dal Caucaso alla Cina, i rapporti privilegiati con alcune forze islamiste palestinesi (penso anche a Hamas, il che provoca il malcontento di Israele), le relazioni sempre più importanti intrecciate con nemiche storiche della Turchia come Russia e Iran. Quindi si conferma pienamente  anche l’altra valutazione espressa due anni fa.

     

    Secondo Lei quali sono le conseguenze di tale evoluzione sul processo di avvicinamento della Turchia all’Unione europea?  Oggi quel 3 ottobre 2005 appare forse assai lontano?

     

    Lo spostamento verso est della politica turca è anche la conseguenza del fatto che i turchi si sono accorti, pur con qualche ritardo, che noi non li vogliamo e quindi il negoziato con l’UE rischia di trasformarsi in una pantomima. Se prima per i turchi l’adesione all’UE era la priorità, adesso non lo è più. Al di là dei convincimenti del governo, anche i sondaggi d’opinione mostrano una forte disillusione della popolazione turca nei confronti dell’Europa.

     

    Lei ha detto che “noi non li vogliamo”. Noi chi? A fine maggio a Trento, nel contesto del Festival dell’Economia, Lei ha rilevato tra l’altro che l’attuale UE rappresenta una delle tante Europe della storia e che sta cambiando a ritmi piuttosto sostenuti i suoi confini… è uno spazio in continua espansione…Dunque a quale Europa dovrebbe aderire la Turchia?

     

    Se la Turchia aderirà all’UE, ciò avverrà non prima delle seconda metà del prossimo decennio. E’ possibile, anzi probabile che a quella data altri Paesi – ad esempio la Croazia – saranno membri dell’UE. Il problema è che noi chiamiamo Unione europea un organismo che non è né unito né europeo.

     

    “Né unito” è di immediata comprensione, ma “né europeo” che significa esattamente?

     

    Non essendoci una definizione oggettiva di che cosa sia l’Europa, ognuno è libero di interpretarla come crede. Le opinioni in materia sono diverse: si può pensare che l’Europa finisca a Graz oppure nell’Asia centrale. Credo che questa difficoltà di configurare i confini europei sia una caratteristica costitutiva del nostro continente. Esiste il confine convenzionale degli Urali, che però oggettivamente non ha un rilievo geopolitico, perché spaccherebbe in due la Russia. In sé la battaglia sulla definizione dei confini europei è retorica e tuttavia esprime concezioni geopolitiche precise. L’espansione molto veloce che il nucleo originario europeo ha avuto in questi anni verso est, dopo il crollo dell’impero sovietico – un’espansione che alcuni sostengono fosse inevitabile, io no – ha contribuito a creare uno spazio più eterogeneo, anche culturalmente oltre che economicamente. Tale eterogeneità ha diluito l’Unione.

     

    Molti oppositori parlano del grave rischio che, con l’adesione della Turchia musulmana, le radici giudaico-cristiane dell’Europa vengano gravemente intaccate…

     

    Tra questi c’era il cardinale Ratzinger…

     

    … di cui ricordiamo la risposta molto circostanziata, data a Velletri a due nostre domande il 17 settembre 2004.

     

    Certo la posizione espressa allora dal cardinale Ratzinger – e sostenuta da diversi altri - è pienamente legittima, anche se può essere materia di discussione anche il dove incomincino e dove finiscano le origini giudaico-cristiane. Ad esempio l’Europa cristiano-ortodossa non dovrebbe essere esclusa da questa interpretazione, ivi compresa la Santa Madre Russia…

     

    Se l’Europa ha due polmoni, come ribadiva papa Giovanni Paolo II…

     

    Va bene, ma non credo che includesse anche la Russia

     

    Fino agli Urali pensiamo di sì…

     

    Non posso però non ricordare che durante le ultime guerre balcaniche la posizione ufficiale della Chiesa era di inglobare nello spazio comune europeo croati e sloveni, escludendo serbi e montenegrini, ortodossi!

     

    Un altro argomento di rilievo avanzato dai critici riguarda il peso numerico della Turchia, destinata in pochi anni a sostituire la Germania al primo posto nella graduatoria demografica dell’UE e ad accaparrarsi il maggior numero di seggi nel Parlamento di Bruxelles…

     

    Il peso numerico credo sia il fattore decisivo per Paesi-leader come la Germania, che fin qui Stato più popolato, sente particolarmente il rischio di essere superata in pochi anni da una  Turchia, che ha un tasso superiore di natalità. I tedeschi insomma non vogliono essere retrocessi a secondo Stato europeo…a parte il fatto che già oggi poi molti tedeschi di passaporto sono di origine turca…

     

    A me viene in mente che la Svizzera nella nazionale di calcio ha tre giocatori di origine turca… tre rossocrociati pensiamo musulmani…Ma passiamo a un’altra inquietudine espressa dagli oppositori: con l’adesione della Turchia si potrebbe formare una sorta di ‘blocco ottomano’ comprendente Paesi in prevalenza musulmani come la Bosnia, il Kosovo o parti di Paesi come Albania, Macedonia, Bulgaria…Sarebbe un ‘fronte’ tutt’altro che irrilevante guidato dalla Turchia, in quel momento primo Paese europeo…

     

    La tendenza neo-ottomana è parte integrante di quell’evoluzione citata all’inizio e che è molto ben rappresentata dall’attuale ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, già consigliere di politica estera di Erdogan.

     

    Altro argomento contrario di peso: con l’inclusione della Turchia l’UE verrebbe a trovarsi molto esposta sul fronte mediorientale: confinerebbe ad esempio con Iran, Iraq, Siria…

     

     … e questo metterebbe in risalto la nostra impotenza in tale contesto.

     

    Un pericolo o una chance?

       

    Più un pericolo da questo punto di vista. Non avendo l’Ue una consistenza geopolitica e nemmeno una sua visione mediorientale se non unitaria perlomeno compatibile al suo interno, si tratterebbe di dover affrontare questioni delicatissime senza possedere gli strumenti necessari. In tal senso un esempio significativo è già dato dal modo in cui l’UE tratta la questione di Cipro…

     

    Ecco, Cipro. E’ un altro dei punti che gli oppositori citano a favore del ‘no’ all’ingresso della Turchia…

     

    Dovremmo decidere noi stessi che fare. Formalmente l’UE ha inglobato Cipro tra i suoi membri, di fatto però lasciando fuori la parte turca. Se il problema è che i turchi son turchi, cioè musulmani e perciò non li vogliamo, non dovremmo nemmeno accettare nell’Ue i trecentomila turchi di Cipro. Che invece formalmente abbiamo accolto.   

     

    E il mancato riconoscimento delle colpe per il genocidio del popolo armeno? E’ vero che proprio in queste settimane si stanno facendo avanti nell’instaurazione di rapporti diplomatici tra Turchia e Armenia, tuttavia il cammino è ancora lungo e insidioso prima che si raggiunga l’obiettivo…

     

    Una delle conquiste fondamentali dell’Europa occidentale dopo la Seconda guerra mondiale è che si è messo uno Schlussstrich, si è tirato un tratto di penna sulle colpe del passato: chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato. Se si dovessero escludere dall’UE gli Stati che nel loro passato hanno compiuto dei genocidi, sarebbero in diversi ad andarsene…

     

    Nel caso della Turchia però si chiede il riconoscimento del genocidio…

     

    Intanto non è ben definito che cosa sia un genocidio ed è ancora materia di discussione. Poi, soprattutto, credo che, se si dovesse usare la storia come criterio oggettivo di appartenenza a un’associazione, l’esito sarebbe incerto per molti che un giorno entrerebbero, per poi uscire magari dopo poco tempo. Certo l’argomento è interessante, ma manca di una regolamentazione. 

     

    Per concludere: adesione possibile? Quando? Oppure – come prospettava già anche il cardinale Ratzinger nel 2005 e come ribadiscono oggi diversi politici soprattutto tedeschi – meglio il partenariato?

     

    R: Il partenariato non è una forma di adesione accettata dai turchi; ad essi interessa solo un’adesione a pieno titolo. Il partneriato indica uno status formalizzato di subalternità, di minorità per la Turchia. L’adesione non è probabile, è però possibile certo non in tempi brevi, considerato il continuo spostarsi dei confini dell’UE… magari verso il 2030, sempre a condizione che a quella data l’Unione europea esista ancora!

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