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    INTERVISTA A ROBERTO DE MATTEI

    A COLLOQUIO CON ROBERTO DE MATTEI SULL'EVENTUALE ADESIONE DELLA TURCHIA ALL'UE - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI SETTEMBRE 2009

     

    E’ uscito recentemente per i tipi della Sugarco Edizioni un volumetto agile e incisivo nei contenuti… pochi fronzoli, si va al dunque: intitolato La Turchia in Europa: beneficio o catastrofe?, è stato scritto da Roberto de Mattei, che da anni si occupa criticamente anche dell’eventuale adesione di Ankara all’Unione europea. Lo fa con inesauribile combattività attraverso il mensile Radici Cristiane (di cui è direttore), il periodico della Fondazione Lepanto (di cui è presidente)e la sua agenzia di stampa Corrispondenza romana.

    Il sessantunenne docente universitario di Storia moderna e di storia del Cristianesimo è stato consigliere per le questioni internazionali (specie europee) dell’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini (era il tempo della lotta sulla questione delle ‘radici cristiane’) e dal 2004 è vicepresidente del CNR. Sull’eventuale adesione della Turchia all’UE, dopo aver intervistato il direttore di Limes Lucio Caracciolo, abbiamo ritenuto interessante incontrare anche Roberto de Mattei: e l’intervista è certo stata intensa di contenuti. Dapprima gli abbiamo sottoposto alcuni giudizi dello storico Franco Cardini, favorevoli sulla Turchia ‘europea’. Si è poi passati al tema della progressiva re-islamizzazione della Turchia, alle differenze sostanziali tra la Turchia di Erdogan e quella di Atatűrk, ai rischi per l’Europa che comporterebbe l’adesione turca, alla politica della Santa Sede verso la Turchia, all’espansione islamica attraverso gli strumenti della democrazia diretta (qui si è accennato anche all’iniziativa anti-minareti su cui voterà il popolo svizzero il 29 novembre). Il professor de Mattei ha rilevato poi che l’eventuale adesione si prospetta oggi come assai difficile, più di qualche anno e trova paradossale che un governo di centro-destra come quello italiano sia “tra i più turcofili dell’UE”: sarebbe perciò opportuno anche in Italia dare più voce all’opinione pubblica. 

     

    Professor de Mattei, secondo Lei la Turchia è Europa? Se sì, quanto? Lo storico Franco Cardini più volte ha ribadito che, se l’Europa ha due polmoni (secondo la celebre definizione di Giovanni Paolo II), il secondo – quello orientale – “è di radice ortodossa e greco-illirico-slava, con in più una non trascurabile componente musulmana”. Inoltre data di diversi secoli l’insediamento turco “nel margine di sud-est del continente europeo, dai Balcani alla regione che gli antichi chiamavano Tracia”. Lei che pensa di tali affermazioni?

     

    Dal punto di vista geografico la Turchia è una penisola asiatica, il cui territorio comprende quasi esclusivamente l’Anatolia, con l’eccezione di una piccola appendice in Europa, la Tracia orientale di circa 25mila kmq. Dunque esistono una immensa Turchia asiatica e una minuscola Turchia europea (un trentesimo dell’altra). Però più importante dell’aspetto geografico è quello storico. Da quest’ultimo punto di vista la Turchia non ha mai fatto parte dell’Europa. Per dire meglio: i territori che fanno parte dell’attuale Turchia per molti secoli hanno visto una forte presenza cristiana…

     

    Nel Suo pamphlet La Turchia in Europa – Beneficio o catastrofe?” Lei ricorda su 50 luoghi cristiani alla fine del I secolo d. C., ben 24 si trovano nell’attuale Turchia…

     

    Tarso fu la città natale di San Paolo, ad Antiochia sorse una delle prime comunità cristiane sotto la guida di San Pietro, a Efeso morì la Madonna e visse a lungo San Giovanni, i primi concili ecumenici si svolsero nell’odierna Turchia… Dalla caduta di Costantinopoli però la storia della Turchia si è svolta in antitesi con l’Europa, nel senso che l’Europa ha definito la propria identità respingendo l’aggressione dell’Impero ottomano…

     

    Ancora Franco Cardini sostiene invece che la Turchia “si è opposta non tanto all’Europa quanto al Sacro Romano Impero nei Balcani, a Venezia nell’Adriatico e nell’Egeo, alla Spagna nel Mediterraneo…

     

    Mi sembra una tesi un po’ singolare per uno storico. Certo sappiamo che non esisteva allora l’Unione europea. Però, a partire da Carlo Magno, è nata una civiltà europea, la cui caratteristica era quella di essere composta da una pluralità di nazioni diverse, ma unite da una stessa fede religiosa, da una stessa visione del mondo, da uno stesso diritto. Anche quando l’unità religiosa si incrinò con lo scisma protestante, l’Europa restò tuttavia cristiana. Venezia rappresentava un avamposto della civiltà europea in Oriente; Vienna, assediata dai turchi nel Cinque e Seicento, e anche Budapest erano due tra i centri politico-culturali più importanti di quella che allora era l’Europa cristiana. L’aggressione islamica all’Europa ha sempre seguito due direttrici: da sud-ovest con gli arabi, sconfitti nel 732 a Poitiers; da est con i turchi che invasero i Balcani, occuparono l’Ungheria, parte dell’Austria e che furono respinti in battaglie decisive come quella di Lepanto (1571) sul mare e l’altra del 1683 a Vienna (tre anni dopo a Budapest) su terra. Se ciò non fosse accaduto, l’Impero ottomano avrebbe occupato l’intera Europa, che oggi sarebbe tutta islamizzata.

     

    Però ancora Cardini pensa che le guerre dell’Impero ottomano furono in primo luogo “episodi militari”che solo successivamente assunsero “una forte connotazione religiosa”. Non furono mai in realtà “guerre di religione”, come quelle “combattute tra cattolici e ugonotti nella Francia del Cinquecento” e “fra cattolici e protestanti nell’Europa della Guerra dei Trent’anni”… Insomma la Turchia portò guerra ad alcune potenze europee, ma non in sé all’Europa connotata come cristiana…

     

    Qui emerge un errore di prospettiva storica…

     

    In quale senso?

     

    Ciò che ha caratterizzato la civiltà europea è la distinzione tra le due sfere, quella religiosa e quella politica. La storia d’Europa ha perciò conosciuto guerre politiche e guerre religiose. L’Islam invece non ha mai conosciuto la distinzione tra le due sfere: quindi l’Impero ottomano era una potenza nel contempo politica e religiosa. Perciò l’espansione ottomana è stata politica, con precisi obiettivi politici, e contemporaneamente anche religiosa, data l’intima connessione esistente all’interno dell’Islam tra le due sfere. E’ molto facile documentare sul piano storico come l’espansione in Europa fosse vissuta da parte islamica in maniera preminente come una guerra di religione contro l’Occidente. Del resto le “leghe sante” del 1571 e del 1683 furono promosse non a caso da due papi, san Pio V e il beato Innocenzo XI, a difesa dell’Europa contro l’attacco islamico.

     

    Passiamo al presente. I favorevoli all’ingresso della Turchia nell’UE osservano che dalla presa di potere da parte di Atatűrk la Turchia è cambiata, si è laicizzata, in questi anni si sta riformando ampiamente in vari settori: un all’adesione sarebbe decisivo per un’europeizzazione del Paese, con grande giovamento per il popolo turco. Lei che ne pensa?

     

    Che la Turchia si stia evolvendo non c’è dubbio. Ma è un’evoluzione nel segno di un progressivo allontanamento del Paese dall’Occidente. Molti credono che la Turchia di oggi sia ancora quella di Atatűrk, laica o laicista, che nacque negli Anni Venti del Novecento e si sviluppò sulle ceneri dell’Impero ottomano. Certamente per alcuni decenni la Turchia è stata un Paese islamico, ma laico e nazionalista; entrò nella NATO e costituì un bastione per l’Occidente. Era una Turchia guidata con pugno di ferro da Atatűrk e dai suoi successori; a partire però dagli Anni Ottanta si è sviluppato in Turchia (come in altri Paesi del Medio Oriente) un processo di progressiva, rigorosa  islamizzazione nella vita pubblica. La Turchia dei nostri giorni è uno degli Stati più fortemente re-islamizzati del Vicino Oriente; percentualmente vi si costruisce il maggior numero di moschee, oggi circa 85mila. E’ una Turchia nuova, guidata da un partito neo-islamico, l’AKP e da un uomo, l’ex-sindaco di Istanbul, Erdogan, imprigionato per dieci mesi nel 1998 a causa del suo fondamentalismo. La storia di Erdogan è la storia di un islamico che intende servirsi dell’UE non già per europeizzare la Turchia, ma per meglio islamizzarla, smantellando ciò che resta del potere militare (fin qui garante – anche con pugno di ferro - del laicismo di Atatűrk).

     

    I fautori dell’adesione sostengono che gli avversari favoriscono de facto il crescere del fondamentalismo islamico; infatti, accogliendo la Turchia nell’UE, si favorirebbe l’Islam cosidetto moderato. Del resto, dicono, nel territorio dell’UE già vivono circa 4 milioni di turchi, che non danno problemi particolari agli Stati che li ospitano. Addirittura migliaia di turchi sono stati naturalizzati…

     

    Se fosse vero che, per disinnescare il fondamentalismo, l’unica strada praticabile fosse quella di assorbire i Paesi islamici moderati all’interno dell’UE, bisognerebbe accogliere - oltre alla Turchia – anche il Marocco, la Giordania, altri Paesi moderati. Mi sembra una falsa alternativa quella di immaginare che l’unica possibilità di collaborazione tra l’Europa e l’Islam sia questa. Credo che la strada più efficace sia invece quella di stabilire rapporti di partenariato privilegiato con i Paesi più vicini all’Europa. Vedo una Turchia fuori dell’UE, ma con essa in rapporti di amicizia: l’UE dovrebbe secondo me circondarsi di Stati-cuscinetto islamici moderati in funzione di ponte con il resto dell’Islam.

     

    Però la Turchia – a differenza di Marocco e Giordania - dal 1952 è nella NATO e nel 1959 ha rapporti con la CEE prima, l’UE dopo: accordi doganali, commerciali, la domanda di adesione, il 3 ottobre 2005 la firma dell’intesa per l’avvio dei negoziati in vista dell’adesione… dunque la Turchia ha una posizione particolare rispetto agli altri Paesi citati…

     

    Certamente. Ma non credo che la ragione più importante a favore dell’ingresso della Turchia sia quella che quel Paese ha presentato la domanda o ha incominciato i negoziati. Si può qui osservare che per me già i negoziati sono un errore.

     

    Quali i motivi che La spingono alla valutazione negativa?

     

    L’errore è stato quello di non capire la differenza tra la Turchia membro della NATO, preziosa negli anni della Guerra Fredda e la Turchia di oggi. Sarebbe come se l’Iran odierno di Ahmadinejad

    volesse stabilire rapporti privilegiati con l’UE fondandosi sugli accordi tra l’Iran di Reza Pahlevi e l’Europa degli Anni Settanta. Il passaggio dalla Turchia filo-occidentale a quella islamista sta avvenendo in modo più lento rispetto alla rivoluzione khomeinista iraniana ed è coperto da un manto di ipocrisia. E’ tale passaggio che i negoziatori europei di oggi si rifiutano di vedere: è il “partito del velo” (definizione dello studioso Bassam Tibi) che governa la Turchia. 

     

     

    Osservano i fautori che, ove la Turchia fosse ammessa nell’UE, sarebbe pur sempre minoranza in seno all’organismo…

     

    Anche questo è un argomento fallace, perché i numeri contano. Il peso politico nell’UE è proporzionale a quello demografico. La Turchia ha circa 75 milioni di abitanti, destinati a raggiungere i 90 tra quindici anni: diverrebbe dunque il primo Paese dell’UE anche nei seggi parlamentari e in commissione. Si deve poi aggiungere quanto Lei diceva prima, la presenza di forti minoranze turche in diversi Paesi occidentali. Ancora: la forza d’attrazione sui musulmani in genere, la concessione della doppia cittadinanza ai turcofoni delle Repubbliche caucasiche. Al momento delle elezioni al Parlamento europeo, un blocco partitico transnazionale turco-islamico potrebbe divenire il primo partito europeo, con tutte le conseguenze istituzionali del caso.

     

    Con l’adesione della Turchia, rilevano ancora i fautori, l’UE verrebbe a confinare con Paesi come Iran, Iraq, Siria e dunque potrebbe rafforzare il suo peso politico-diplomatico nelle questioni mediorientali…

     

    E’ esattamente il contrario. Oggi l’UE, senza la Turchia, non è in grado di svolgere in alcun modo un ruolo di protagonista sulla scena internazionale. Lo si è visto, ad esempio, per la guerra in Iraq. Con l’adesione della Turchia i problemi si moltiplicherebbero anche sotto questo punto di vista: si acuirebbero le divisioni in seno all’Europa, i problemi propri della Turchia (vedi ad esempio la questione curda) diverrebbero europei. Inoltre i nuovi confini sarebbero molto permeabili a ogni attività criminosa, traffico di droga, traffico d’armi, tratta di persone, come accade già oggi: e l’Europa ne verrebbe invasa anche più di quanto non succeda già.

     

    Del resto nelle guerre balcaniche degli Anni Novanta la Turchia è stata luogo di passaggio per molte armi dall’Iran verso la Bosnia

     

    Non solo: quanti volontari turchi hanno combattuto a fianco dei musulmani di Bosnia? Per la questione droga poi è noto (vedi ad esempio The Observer del 17 novembre 2002) che il “Pablo Escobar del traffico di eroina in Europa”, ora in prigione in Olanda, ha dichiarato di sentirsi “un funzionario, un diplomatico, un poliziotto” data la copertura fornitagli da politici, funzionari di polizia, servizi segreti turchi.

     

    Tralasciandone altri pur importanti, vediamo qui un ultimo argomento avanzato dai fautori dell’adesione turca: l’ormai piccola minoranza cristiana sarebbe più protetta con una Turchia nell’UE…     

     

    Anche questa è una speranza fallace, analoga a quella addotta per giustificare l’Ostpolitik, cui erano contrari i cristiani dell’Est europeo. Mi ricordo di un passo dell’intervento dell’allora arcivescovo di Smirne Bernardini in occasione dell’ultimo Sinodo dei vescovi. Il presule citò quanto aveva detto un responsabile musulmano turco: “Con le vostre armi (NdR: della democrazia ) vi conquisteremo, con le nostre vi sottometteremo”. Mi sembra che questa sia proprio la politica di Erdogan.

     

    La politica della Santa Sede sull’argomento appare prudente…

     

    Intanto ricordiamo che l’allora cardinale Ratzinger in due occasioni  - nell’agosto (in un’intervista al Figaro) e il 17 settembre 2004 a Velletri (rispondendo a due Sue domande durante un convegno di operatori pastorali) – si era espresso in modo articolato contro l’ingresso della Turchia nell’UE. A Velletri aveva parlato di “errore grande” e di un ingresso “antistorico”.

     

    Naturalmente il ruolo di un cardinale pur importante è diverso da quello di un Papa…

     

    La Santa Sede punta a rapporti diplomatici con tutti i Paesi del mondo (in cui chiede libertà religiosa per i cristiani) e il problema dell’adesione non la riguarda direttamente, dato che non è membro dell’UE. Mi sembra che da un punto di vista politico la posizione della Santa Sede sia stata molto cauta e non possa essere piegata né a favore dell’una né dell’altra tesi.  Sul piano pastorale credo però che dovrebbe esservi una parola chiara della Chiesa sul rischio di islamizzazione dell’Europa anche attraverso l’adesione della Turchia.

     

    Islamizzazione dell’Europa… il 29 novembre si voterà in Svizzera sull’iniziativa popolare contro la costruzione di minareti…

     

    Ho letto questa mattina sul giornale con grande sorpresa che la Conferenza episcopale svizzera invita a respingere l’iniziativa popolare contro la costruzione di minareti. Dunque i vescovi svizzeri sono a favore dei minareti. Mi sembra un grande errore. La minaccia più grave non è il terrorismo dei fondamentalisti, ma la tattica soft  utilizzata dagli islamici moderati per strappare sempre nuove concessioni sul territorio europeo...forte natalità, islamizzazione degli spazi sociali, conquista dell’opinione pubblica…è la linea dei Fratelli musulmani di Tariq Ramadan. In tale tattica le moschee hanno un ruolo preminente: non sono chiese come quelle cattoliche, sono spazi culturali e sociali, luoghi di propaganda.

     

    Per concludere: secondo Lei prima o poi la Turchia entrerà nell’UE?

     

    Oggi lo ritengo più difficile di qualche anno fa. La geografia europea è cambiata. La Merkel e Sarkozy – che non sono figure secondarie o periferiche - sono contrari all’ingresso della Turchia, mentre i loro predecessori erano favorevoli. Ancora più importante è che larga parte dell’opinione pubblica europea resta contraria…

     

    …ma non viene consultata!

     

    Proprio per questo la maggior parte dei vertici politici non la vuole coinvolgere. Gli elettori europei sono chiamati ad esprimere con sempre maggiore vigore la loro opinione sull’argomento. Anche in Italia. E trovo francamente paradossale che un governo di centro-destra come quello di Berlusconi sia tra i più turcofili dell’UE.   

        

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