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    CUBA: PARLANO I DISSIDENTI

    INTERVISTA  AI DISSIDENTI CUBANI CARLOS PAYA E REGIS IGLESIAS SULLA MORTE IN CIRCOSTANZE SOSPETTE DI OSWALDO PAYA, SULLA FIGURA DEL LEADER DEL MOVIMIENTO CRISTIANO DE LIBERACION, SUI RAPPORTI CON LE GERARCHIE CATTOLICHE, SULLA ‘TRANSIZIONE’, SU FIDEL CASTRO - 'CORRIERE DEL TICINO' DEL 4 OTTOBRE 2012

     

     

    Il 5 ottobre incomincerà a Cuba un processo che sarà seguito attentamente dagli osservatori internazionali. Davanti al tribunale comparirà Angel Carromero, giovane popolare spagnolo: accusato di doppio omicidio colposo derivato dall’inosservanza di alcune norme del codice della strada, rischia fino a sette anni di reclusione. Carromero era al volante di un’auto turistica, schiantatasi il 22 luglio contro un albero a oltre 700 chilometri da L’Avana, in prossimità della città di Bayamo. Con lui viaggiavano Jens Aron Modig (giovane popolare svedese, già rientrato in patria, leggermente ferito come Carromero, ) e due dissidenti cubani, ambedue deceduti nell’urto: Oswaldo Payá, fondatore e leader del Movimiento cristiano de liberacion (Mcl) e Harold Cepero, dirigente giovanile dello stesso gruppo. Secondo la versione ufficiale Carromero andava a 120 chilometri l’ora su una strada sterrata; incappato in una buca, ha frenato precipitosamente ed è finito fuori strada con le conseguenze sopra descritte. La famiglia di Payá e il Mcl l’hanno però rifiutata, chiedendo l’istituzione di una commissione d’indagine indipendente.

    Abbiamo avuto l’occasione di conversare qualche giorno fa a Roma con Carlos Payá, fratello di Oswaldo (in esilio in Spagna dal 1986) e con Regis Iglesias, portavoce del MCl dal 1996 e pure esiliato in Spagna dal 2010 dopo aver passato sette anni e mezzo nelle carceri cubane. Con loro abbiamo parlato dello strano caso dell’incidente di Bayamo, delle iniziative di Payá, dei suoi rapporti con la Chiesa, di Fidel Castro e del regime entrato in una fase di transizione. Quando li abbiamo incontrati erano molto amareggiati.

    Perché è così avvilito, Carlos Payá?

     

    Invitato dal presidente dell’Internazionale democristiana Pierferdinando Casini, dovevo commemorare – insieme con Regis - mio fratello, che era tra l’altro uno dei vicepresidenti; in chiusura avrei invitato l’Internazionale a chiedere l’istituzione di una Commissione d’inchiesta indipendente.

    Che cos’è successo?

     

    Mi è stato detto che avrei dovuto tacere sulla Commissione d’inchiesta. Non potevamo però accettare tale imposizione: per noi era una questione di dignità. Perciò, consultata la famiglia e il nostro Movimento, ci siamo ritirati dai lavori.

    Ci si può immaginare che serie ragioni ‘di Stato’ abbiano costretto Casini a vietarvi l’accenno alla Commissione d’inchiesta…

     

    In effetti si può ipotizzare che siano stati gli spagnoli, dominanti nell’Internazionale democristiana,  a bloccare la richiesta. La Spagna sta negoziando con Cuba attorno alla sorte di Angel Carromero, attualmente incarcerato sull’isola. Niente di più facile che L’Avana abbia chiesto di evitare richieste di indagini internazionali, facendo balenare un trattamento di favore per il giovane popolare madrileno. Che potrebbe essere espulso e rimpatriato alla fine del processo che inizierà il 5 ottobre.

    Carlos Payá, che cosa La induce, insieme con molti altri, a sospettare che la versione ufficiale dell’incidente occorso a Suo fratello sia poco credibile?

     

    Sono tante le stranezze di questo incidente. Senza dimenticare che Oswaldo era minacciato da molti anni. Perfino sulla porta di casa andavano a dirgli che l’avrebbero ammazzato. Sui dettagli dell’incidente lascio parlare Regis Iglesias, che ha ricevuto il primo sms…

    Regis, quando, da dove veniva e che cosa diceva?

     

    A Cuba era il primo pomeriggio di domenica 22 luglio. Io, in Spagna, ricevo da un’amica in Svezia un sms, che mi inoltra un primo sms ricevuto da Cuba, che diceva: “4 persone. Solo 3 all’ospedale, una non si sa. 2 amici, uno non riconosciuto. Sono stati urtati e buttati fuori dalla strada. Sapete chi sono gli altri 2 (uno non si sa dove sia)?”. Io chiamo a Cuba Ofelia, la moglie di Oswaldo, e le chiedo: Chi sono i due cubani? Mi risponde: Oswaldo e Harold Cepero. La figlia Rosa Maria chiama allora al cellulare suo padre: una voce sconosciuta le dice che il proprietario del telefonino era morto.

    Regis, Rosa Maria ha detto di aver ricevuto prima dell’incidente un sms in cui si diceva che l’auto con il padre era seguita da un’altra che la disturbava…

     

    Sì, del resto Oswaldo Payá aveva già avuto un incidente sospetto lo scorso 12 giugno a L’Avana, quando un’altra vettura lo tamponò e lo fece uscire di strada. Torniamo al 22 luglio. Quando la macchina si è schiantata, si sono materializzati un paio di funzionari della Seguridad cubana,  che hanno incominciato a frugare nel veicolo. Vedendoli, Carromero ha detto loro: “Perché ci avete fatto questo?” Lo stesso Carromero, in ospedale, si è indirizzato agli stessi così: “Che cosa volete ancora? Ci avete buttati fuori strada!” Al che un funzionario ha negato con forza, ribaltando la colpa sullo spagnolo. Altri testimoni, come emerge da quanto comunicato da un capitano della polizia a un amico di famiglia, hanno fatto mettere a verbale che una Lada rossa seguiva da vicino quella con Payá.

    Regis, c’è dell’altro?

     

    L’ambulanza prima ha portato in ospedale lo svedese, poi lo spagnolo. Hanno lasciato Oswaldo in macchina per 45 minuti. La perizia ufficiale dice che aveva una sola contusione in testa; Ofelia invece sostiene che il cranio era tutto fratturato per più colpi ricevuti. Non si è più ritrovata la macchina fotografica di Oswaldo. Il cellulare di Harold Cepero è stato ridato alla famiglia senza la carta Sim. Qualche giorno dopo Ofelia e Rosa Maria, andate in bus a 300 chilometri da L’Avana per le condoglianze alla famiglia di Harold Cepero, al ritorno hanno trovato sui sedili due fogli di carta con i loro nomi.

    Insomma  la Seguridad non dorme e continua a sorvegliare e intimorire da vicino la famiglia…

     

    Ormai sorveglia strettamente anche gli altri due figli Oswaldito e Reinaldo. Non dimentichiamo che Ofelia nel 1987 ha cofondato con il marito il Movimiento cristiano de liberacion presso la parrocchia de El Cierro a L’Avana e con lui ha promosso e condiviso tutte le battaglie. La ventitreenne figlia Rosa Maria, poi, ha grandi doti che fanno ben sperare per il futuro del Movimiento.

    Torniamo a Carlos Payá: perché il regime temeva tanto Suo fratello Oswaldo?

     

    La nostra famiglia è sempre stata molto cattolica e ha sempre dissentito dal regime castrista fin dagli albori. Oswaldo come gli altri era molto impegnato nelle attività parrocchiali del Cierro. Chiamato nel 1968, a 16 anni, al servizio militare obbligatorio, era già stato notato perché non era iscritto alla Gioventù comunista, continuava a fare il chierichetto e al liceo si era detto solidale verso la Cecoslovacchia invasa dai carri armati del Patto di Varsavia. Perciò fu punito e inviato per tre anni di lavori forzati nell’odierna Isla de la Juventud.

    Nel 1987 Oswaldo Payá fonda il Movimiento cristiano de liberaci e nel 1996 elabora con il Mcl il ‘Proyecto Varela’, dal nome di un sacerdote cubano dell’Ottocento, indipendentista e anti-schiavista. Il ‘Proyecto’  impaurì il regime…

     

    Oswaldo, da sempre contrario alla violenza, cercò di cogliere l’occasione offerta da un regime di cui non riconosceva comunque la legittimità: l’articolo 88 della Costituzione concede il potere di iniziativa legislativa ai cittadini, impegnando il Parlamento a esaminare le iniziative corredate di almeno 10mila firme. Il Proyecto Varela chiedeva le libertà fondamentali (anche quella d’impresa), l’amnistia per i prigionieri politici, la modifica della legge elettorale, elezioni entro un anno dall’approvazione delle riforme.

    Immaginiamo la difficoltà di raccogliere le firme…

     

    Sì, tuttavia nel 2002 la quota fu raggiunta e Oswaldo consegnò 11mila firme all’Assemblea del Poder Popular. Allora, impaurito, Fidel Castro intervenne, bloccò la discussione in Parlamento, mobilitò i cubani, raccolse nei modi intuibili oltre 8 milioni di firme e impose una modifica costituzionale nel senso dell’irrevocabilità del sistema politico e sociale rivoluzionario cubano.

    Il Mcl continuò però a raccogliere firme. Come reagì il regime?

     

    In particolare con la Primavera negra del marzo 2003, quando furono imprigionati 75 dissidenti, tra cui 42 coordinatori del Proyecto Varela (tra cui Regis Iglesias). Intanto nel dicembre 2002 Oswaldo era stato insignito del ‘Premio Sacharov’ dal Parlamento europeo perché “rappresenta oggi per molti cubani quello che Andrej Sacharov rappresentò negli Anni Ottanta per molti cittadini sovietici: la speranza”. E’ proprio perché animati dalla speranza che Oswaldo e i superstiti del Proyecto riuscirono a raccogliere altre 14mila firme, inoltrate nel dicembre del 2003.

    Carlos Payá, Oswaldo negli anni seguenti presentò diverse altre proposte, dal progetto ‘Heredia’, riguardante soprattutto la libertà di viaggiare dei cubani, al ‘Foro todos cubanos’ fino all’ultimo intitolato ‘El camino del pueblo’…

     

    Mio fratello ha puntato sempre a una Cuba inclusiva di tutti i cubani, senza distinzione. Nel sostenere ‘El camino del pueblo’ si ritrovano uniti già oltre 1200 dissidenti di 70 gruppi diversi. Si nota un’esigenza nuova di unità, pur permanendo alcune divergenze. Ad esempio, a differenza di altri, Oswaldo era contrario all’embargo americano, considerandolo “una violazione dei diritti umani” e una questione interna (soprattutto elettorale) statunitense. Altre divergenze ci sono sempre state sui rapporti con il regime: una parte dei dissidenti rifiutava ogni colloquio con esso, mentre Oswaldo cercava piuttosto attraverso vie pacifiche di minarlo dall’interno.

    I suoi funerali (in cui è stato letto anche il telegramma di cordoglio papale) sono stati presieduti dall’arcivescovo di L’Avana, cardinale Jaime Ortega. Che nell’omelia ha elogiato il leader del Mcl: “Aveva una chiara vocazione politica e ciò non lo allontanò mai dalla fede nè dalla sua pratica religiosa”. Tuttavia i rapporti di Oswaldo con parte della gerarchia cattolica negli ultimi anni non erano idilliaci…

     

    I rapporti tra il cardinale Ortega e mio fratello, ambedue personalità molto spiccate, da diversi anni erano ‘in freddo’. Oswaldo, e con lui altri dissidenti, gli rimproveravano di essersi un po’ appiattito sulle posizioni del regime, dando ampio spazio su organi ecclesiali a persone che li utilizzano per insultare l’opposizione.

    Un caso clamoroso è stato quello relativo all’occupazione da parte di 13 dissidenti – a marzo di quest’anno, pochi giorni prima della visita di Benedetto XVI- della Basilica di Nuestra Senora de la Caritad a L’Avana. Il cardinale chiamò la polizia per l’evacuazione, avvenuta al terzo giorno, evidenziando che la Chiesa ascolta e accoglie tutti, ma non può divenire una trincea politica…

     

    In quell’occasione mio fratello fu molto deluso dalle gerarchie cattoliche e osservò che in un Paese come Cuba i vescovi non avrebbero mai dovuto fare ricorso alle forze dell’oppressione, quelle che arrestano e maltrattano gli oppositori, per risolvere una crisi del genere.

    Riguardo alla Chiesa è giusto però anche notare che ha sempre molto aiutato i detenuti politici e le loro famiglie.  Da parte sua, il cardinale Ortega è stato protagonista nel 2010 nelle trattative con il regime e insieme con il governo spagnolo (con sullo sfondo la diplomazia vaticana) nel rilascio di oltre un centinaio di prigionieri politici, tra i quali quelli arrestati nella ‘Primavera negra’ del 2003…

     

    Oswaldo ha ringraziato la Chiesa in quel frangente, per l’assistenza umanitaria e il conforto morale. Lì il ruolo del cardinale Ortega è stato positivo, anche se bisogna precisare che il rilascio era subordinato all’esilio. Noi pensiamo che il cardinale non possa usare la Chiesa per i suoi progetti politici, emarginando la dissidenza. Questo suo atteggiamento gli ha già alienato da tempo il consenso di non pochi cattolici. Si è visto com’è cambiato il clima anche in occasione della Messa papale dello scorso marzo in Plaza de la Revolucion

    Cambiata rispetto a quando?

     

    Rispetto alla visita del 1998 di Giovanni Paolo II, quando tutta Cuba attendeva con grande speranza il ‘messaggero della pace’. Anche nel gennaio 1998 c’era un forte controllo di polizia, ma il clima era entusiasta. Quest’anno era molto più plumbeo, con un controllo totale della Seguridad. Per tanti la speranza è stata delusa da chi avrebbe dovuto concretizzare le parole di papa Wojtyla. E non ha potuto o non ha voluto farlo.

    Dal ritiro di Fidel Castro per malattia, il regime ha incominciato cautamente una stagione di ‘cambiamento’…

     

    Noi lo chiamiamo un cambio-fraude. Tentano di farlo passare per vero cambiamento, ma consiste solo in qualche apertura in campo economico, di cui approfittano le gerarchie comuniste in combutta con una parte degli imprenditori cubani in esilio negli Stati Uniti. Una bella alleanza tra comunismo e capitalismo selvaggi, cui dà credito una parte delle gerarchie cattoliche, interessate a esaltare il cambio economico come segno di cambio politico. 

    Carlos Payá, come spiega le simpatie più o meno nascoste di cui gode ancora oggi Fidel Castro nel mondo?

     

    Fidel Castro è un fenomeno cubano. Mi spiego: in ogni cubano c’è un grado di intolleranza  che lui incarna alla perfezione, amplificandola. Chissà… Resiste il mito del David contro il Golia statunitense. Resiste un certo alone romantico che circonda le imprese dei barbudos. Ma non si può continuare a giustificare una dittatura con gli errori anche gravi che hanno fatto gli americani. Il caso cubano resterà nella storia come la dittatura che ha avuto il maggior numero di complici nel mondo. Non c’è mai stata una dittatura che ha goduto di tante simpatie anche in campo cattolico, dove gli incontri di Fidel con il Papa inducono a una certa benevolenza. Però non si dice mai o quasi che coloro che concedono qualcosa alla Chiesa sono gli stessi che hanno intensificato la repressione. Oggi non solo si arresta in massa a scopo intimidatorio per poche ore o giorni (capitava negli Anni Novanta ed è accaduto anche dopo i funerali di Oswaldo), ma si punta all’eliminazione dei leader. Una triste novità. Speriamo per poco, perché si avvicina il tempo in cui, dopo che Fidel sarà morto, si dovrà aprire qualche breccia nel muro. Che allora si sgretolerà.

       

     

     

     

     

     

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