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    RIFLESSIONE DI FRA MAURO JOEHRI - MAROCCO - ANCORA SU PIO XII: FOA, ICKX

    RIFLESSIONE DI FRA MAURO JÖHRI - MAROCCO - ANCORA SU PIO XII: FOA, ICKS – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 dicembre 2022

     

    “Sei ciò che dai!”: una riflessione di fra Mauro Jöhri, già ministro generale dei Cappuccini dal 2006 al 2018. I mondiali nel Qatar e il Marocco. Dopo la recensione del volume di Andrea Riccardi su Pio XII e i ‘silenzi’ , altri spunti offerti dal saggio di Anna Foa sugli ebrei in Italia e da un incontro con l’archivista vaticano Johan Ickx.

     

    UNA RIFLESSIONE DI FRA MAURO JÖHRI

    Dall’editoriale di fra Mauro Jöhri, già ministro generale dei Cappuccini dal 2006 al 2018, oggi superiore dei Cappuccini della Svizzera italiana e residente presso il Santuario della Madonna del Sasso (‘La Rivista’, mensile del Locarnese e Valli, ed. Armando Dadò Locarno, numero di dicembre 2022):

    Il mio servizio di ministro generale dei frati cappuccini prevedeva che andassi a visitare tutti i frati ovunque sparsi nel mondo. Così mi capitò di recarmi in Islanda (…) Vi si trovavano tre frati slovacchi al servizio dei pochi cattolici di quel Paese a maggioranza luterana e in particolare per garantire l’assistenza pastorale agli immigrati polacchi. Una sera i confratelli mi portarono da quattro operai polacchi . (…) Ci accolsero nel loro alloggio assai semplice (…) Avevano preparato una cena a base di diverse minestre e di patate al forno. Evidentemente non poteva mancare la vodka! Riuscimmo a comunicare tra di noi ricorrendo a qualche parola di inglese, di tedesco e di francese. L’ambiente si fece sempre più cordiale e fraterno, così che, a un certo punto, uno di loro si alzò da mensa e andò a recuperare un album fotografico da un armadio. Lo aprì e ci fece vedere la foto di sua figlia che al momento stava studiando medicina all’università di Lublino (…) Nel mentre ci mostrava la foto e ci parlava di sua figlia, il suo sguardo diventò particolarmente luminoso. Esprimeva fierezza, impegno e grande soddisfazione. Si trattò di un momento magico. Di grande intensità. Potevo toccare con mano quella sua scelta di essersi recato lontano da casa e di prendere su di sé tutta una serie di sacrifici e di privazioni, ma sapendo per chi e per cosa lo stava facendo. Per sua figlia, perché intendeva realizzare il suo sogno di essere medico. (…) Ecco che questa persona, fino ad allora sconosciuta, si apre a me straniero e mi rivela ciò che costituisce il senso profondo della sua vita. In quel momento mi sono sentito profondamente interpellato sul senso della mia di vita, sulla mia capacità di dono e di vivere la mia paternità, in questo caso non fisica, ma certamente psichica e spirituale.

    La grandezza di quell’operaio consiste in primo luogo nella consapevolezza di agire per qualcuno, per sua figlia. Ecco perché sono convinto della bellezza di gesti gratuiti, di ciò che facciamo per gli altri senza secondi fini, ma semplicemente per renderli contenti o per permettere loro di realizzare un loro desiderio. É importante saperlo fare senza nemmeno attendersi un grazie. (…) Mi sembra che Natale rappresenti il tempo propizio per provare ad agire in questo modo, a porre gesti di questo tipo. Ricordati: “Sei ciò che dai!”

    Di fra Mauro Jöhri ricordiamo nel nostro sito tra l’altro le ampie interviste del 2015 (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/549-fra-mauro-joehri-su-cappuccini-ed-altro-montagna-compresa.html ) e del 2010 (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/56-intervista-a-fra-mauro-joehri.html , originariamente su Il Consulente Re, come una precedente del 2007, sempre sullo stesso mensile).

     

    COMPLIMENTI E AUGURI AL MAROCCO

    E’ noto come i mondiali di calcio si stiano svolgendo in Qatar, in un Paese che, per allestire a tempo record le infrastrutture necessarie, ha imposto spesso ritmi di lavoro disumani (e di operai morti per incidenti sul lavoro se ne contano molti). A tale vergogna si è aggiunta da poco quella di europarlamentari sinistri (tartufi fin nel midollo delle ossa, famosi magari per le loro pubbliche battaglie ‘progressiste’ sui cosiddetti ‘nuovi diritti’, appartenenti anche all’area pd italiana) che con grande cinismo hanno incassato fior di mazzette per assecondare i desideri di un regime tutt’altro che democratico.

    Questo evidenziato, va anche detto che calcisticamente non sono mancate grandi sorprese. Subito a casa ad esempio i tronfi milionari arcobaleno germanici. A casa anche gli inglesi con le ginocchia rovinate dalle tante genuflessioni politicamente corrette. Per non dire dei presuntuosi olandesi, insieme con i belgi, altro esempio di ‘progressismo’. I belgi (seguiti da spagnoli e portoghesi, che a loro volta avevano umiliato il fantasma della Svizzera) sono stati eliminati da quella che appare come la grande sorpresa del torneo, più della Croazia (sottostimata, ma in ogni caso già finalista nel 2018): il Marocco. Come la Croazia il Marocco si è dimostrato squadra compatta, ben organizzata, dotata di cuore, di passione, di orgoglio, di fede, insomma di quell’animus pugnandi che ti può portare lontano pure nel calcio. In semifinale il Marocco (che ormai rappresenta l’Africa e insieme l’intero mondo arabo) incontrerà la Francia superba: i galletti saranno sostenuti allo stadio anche dal pupazzetto plastificato, naturalmente ben allineato al politicamente corretto, che presiede la République. Non ci resta che dire: complimenti, Marocco, per quello che hai fatto fin qui e che farai anche in semifinale… riuscirai a togliere qualche penna di presunzione anche ai galletti tricolori?

     

    ANCORA SU PIO XII E GLI EBREI: SPUNTI DAL SAGGIO DI ANNA FOA  SU “GLI EBREI IN ITALIA”

    Ha suscitato un vivo interesse l’articolo-recensione del 5 dicembre 2022 sul saggio di Andrea Riccardi a proposito dei ‘silenzi’ di Pio XII (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/1110-andrea-riccardi-e-i-silenzi-di-pio-xii-anche-di-altri-non-solo-sugli-ebrei.html). Perciò cogliamo l’occasione di  integrarlo con altre considerazioni sul tema, desunte da un libro pure recente di Anna Foa sulla storia degli ebrei italiani e dall’incontro che martedì 6 dicembre 2022 Johan Ickx (noto storico belga impegnato da decenni come archivista in varie sedi vaticane, attualmente in Segreteria di Stato) ha avuto con alcuni giornalisti martedì 6 dicembre 2022.

    É stato pubblicato nello scorso ottobre il saggio di Anna Foa (che ha insegnato a lungo storia moderna alla Sapienza di Roma) su “Gli ebrei in Italia – I primi duemila anni” (ed. Laterza). Si tratta di un testo ben documentato, molto interessante che intende ripercorrere nelle sue tappe principali un cammino di un paio di millenni nella Penisola. Cammino che in estrema sintesi l’Autrice ha così caratterizzato nell’Introduzione: “Se la presenza ebraica a Roma, ai suoi albori, poteva ancora non differenziarsi troppo da quella di altri gruppi di mercanti e soldati, ben presto, dalle guerre giudaiche e poi dall’avvento del cristianesimo, essa diventa simbolicamente forte, connotata negativamente, e assume un’importanza ben superiore alla sua realtà numerica. (…) Gli ebrei italiani sono stati quasi sempre pochi dal punto di vista numerico, in tutti o quasi i momenti della loro storia: nel primo Medioevo, nell’età dei ghetti, nell’incontro con la modernità, nei rapporti con lo Stato, nella stessa Shoah. Sono una piccola minoranza. La città, fin dai suoi alberi nell’età comunale, è il loro luogo di elezione. Tranne che in rari momenti del primo millennio, infatti, essi non hanno rapporti con il mondo rurale. Per il solo fattoi di esserci, però, impediscono che il progetto di assoluta uniformità religiosa si applichi alla terra italiana. (…) Immaginarsi una storia d’Italia senza la loro presenza è difficile, forse impossibile”.

    Gli ultimi tre capitoli del saggio di Anna Foa riguardano il Novecento, un secolo che – scrive l’Autrice – in Italia “si apre per gli ebrei in un clima di fiducia e di ottimismo”. Infatti, alcuni decenni dopo la caduta dell’ultimo ghetto, “gli ebrei erano inseriti nella società senza che la loro integrazione suscitasse reazioni significative, solo qualche voce marginale e inascoltata. Restava la Chiesa, ostile agli ebrei e alla loro emancipazione”. Ma questo, continua l’Autrice, “era semmai un motivo di più, per un Paese come l’Italia che si era costruito a nazione senza la Chiesa e in grande misura contro di essa, per tenere lontano quell’antisemitismo che invece era emerso con forza in molta parte d’Europa, favorito spesso dai cattolici”.

    Non pochi furono gli ebrei a salutare l’ascesa del fascismo, considerato come “il compimento dell’unificazione della patria italiana e come il momento più alto di quello slancio nazionale che li aveva portati all’interventismo del 1915”. Tuttavia già agli inizi “furono molti anche coloro (…) che seppero riconoscere nel fascismo emergente un movimento opposto a quello risorgimentale e divennero antifascisti”. É vero che “man mano che il regime si consolidava la percentuale di ebrei con la tessera fascista crebbe, come crebbe in generale nella popolazione italiana, anche se diventò meno significativa di un’adesione convinta al fascismo”. D’altra parte aumentavano anche gli ebrei antifascisti, soprattutto intellettuali socialisti e liberali. In sintesi si può dire, scrive Anna Foa citando Michele Sarfatti, che “gli ebrei furono fascisti come gli altri italiani e più antifascisti degli altri italiani”. Ma, “dopo il novembre 1937, con la costituzione dell’Asse Roma-Berlino, lo spazio per la convivenza degli ebrei con il fascismo si chiuse”. E nel 1938 “non si può più parlare di fascismo ed ebrei, ma solo di fascismo contro gli ebrei”, con l’adozione di leggi che “introducevano radicali discriminazioni fra gli ‘appartenenti alla razza ariana’ e i non ariani”: le leggi razziali o razziste, dato “che non erano solo antiebraiche”, stabilendo che il razzismo diventava una “dottrina di Stato”.

    Osserva qui Anna Foa che, nonostante le tante avvisaglie, le leggi del 1938 colsero di sorpresa gli ebrei fascisti, che avevano “fino all’ultimo, e anche oltre, sperato, che il regime fascista non avrebbe adottato una seria politica antisemita”. Anche a loro fu evidente ben presto che “ad essere colpiti dalle leggi erano tutti gli ebrei, non per quello che pensavano ma per quello che erano, cioè di razza ebraica”.

    La decisione disumana di Mussolini, annota Anna Foa, non dipese da una richiesta di Hitler: “Mussolini decise autonomamente, indipendentemente dal fatto se personalmente fosse o meno antisemita, un elemento ininfluente su cui tuttavia si continua ancora a discutere”.

    Venendo al 16 ottobre 1943, si chiede l’Autrice: “Che cosa ha impedito alla Chiesa di levare alta la protesta, per bocca del papa o dei vescovi, di adempiere, oltre che al soccorso, anche alla denuncia?” E si risponde: “A impedirglielo, molti elementi: il timore che il Vaticano, come altri Stati neutrali, sarebbe stato occupato dai nazisti; il fatto che non si trattava per la Chiesa di una priorità assoluta rispetto ad altre, quali l’evitare che Roma divenisse teatro della battaglia tra tedeschi e angloamericani; il timore di ripetere l’esperienza di ciò che era successo in Olanda nel 1942, quando le proteste dei vescovi contro le deportazioni avevano causato l’arresto e la deportazione degli ebrei convertiti (…) Ed infine il timore che i nazisti sarebbero entrati nelle istituzioni religiose ed avrebbero deportato chi vi era nascosto”. Tuttavia Anna Foa cita poi il caso delle proteste pubbliche di diversi vescovi in Francia, in particolare a Tolosa, dove l’arcivescovo scrisse nel 1942 una lettera pastorale di dura condanna dei nazisti. Osserva l’Autrice: “Gli storici francesi sottolineano come questa reazione dell’alto clero, unita all’emozione popolare provocata dalla denuncia, riuscì a rallentare grandemente la velocità e la portata delle deportazioni sia dalla zona libera che da quella occupata”. Chiosa qui l’Autrice: “Allora, alla fine, le proteste potevano anche servire?”.

    Sui ‘silenzi’ di Pio XII e di gran parte della Chiesa nel secondo dopoguerra, fino al tempo del Concilio, Anna Foa è netta (come del resto già lo era stato nel suo libro Andrea Riccardi): “La Chiesa aveva delle responsabilità storiche di primo piano in quello che il nazismo aveva fatto contro gli ebrei. Era infatti sull’humus dell’antigiudaismo che l’antisemitismo si era, almeno in parte, radicato. La Chiesa di Giovanni Paolo II lo avrebbe detto senza remore alla fine del secolo, ma il momento giusto per dirlo era il 1945. Per la Chiesa sarebbe stata anche una grande opportunità sgombrare subito il campo dal ciarpame antigiudaico, prendere direttamente in mano il processo di ricostruzione culturale e religiosa, partecipare alla costruzione memoriale. E tuttavia essa era ancora coinvolta nelle costruzioni millenarie dell’antigiudaismo e ancorata alla volontà imperitura di convertire gli ebrei”. 

    Tanto che ci si può chiedere quanto la ‘leggenda nera di Pio XII’ sia originata in primo luogo dai ‘silenzi’ della seconda metà degli Anni Quaranta e degli Anni Cinquanta. Rileva qui  - e con questo chiudiamo -Anna Foa: “Viene da credere che a far passare Pio XII da pontefice celebrato il 4 giugno 1944 da ebrei e cristiani a ‘papa di Hitler’ sia stata anche e soprattutto quell’incapacità della Chiesa, nel dopoguerra, di fare i conti con la propria storia. Di capire che il salvataggio delle vite poteva non essere sufficiente, che occorreva fare piazza pulita anche delle idee, delle dottrine”.

     

    JOHAN ICKX: NON CI SONO DOCUMENTI PAPALI SCRITTI CHE PRESCRIVEVANO IL SALVATAGGIO DEGLI EBREI… MA NON CI SAREBBERO POTUTI ESSERE, DATA LA SITUAZIONE!

    Molto interessante anche l’incontro del 6 dicembre 2022, promosso dall’Associazione Iscom, tra un gruppo di giornalisti e Johan Ickx, direttore dell’Archivio storico della Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Per Ickx è evidente che esisteva una vera e propria rete cattolica organizzata per soccorrere gli ebrei, derivante dalla Segreteria di Stato vaticana. Negli anni più duri si registrarono 2800 richieste di aiuto indirizzate direttamente al Papa (provenienti in larga parte da Polonia, Slovacchia, Ungheria, Belgio) e 15mila alla Segreteria di Stato (con prevalenza italiana).

    Sebbene non siano stati trovati documenti scritti a firma di Pio XII che indichino il da farsi (fatto comprensibile date le contingenze ad alto rischio per il Vaticano), tutto il materiale desecretato porta a credere che papa Pacelli le istruzioni in materia le avesse impartite con molta chiarezza sulla linea del “fare tutto il possibile per aiutare senza compromettere l’equilibrio precario con il regime”. Come mai ad esempio ad Assisi erano giunti 300 ebrei? Un caso strano del destino oppure l’azione di una rete efficiente di salvataggio? La risposta storica sembra chiara.

    Sul filosemitismo di Eugenio Pacelli Ickx – autore nel 2021 di “Pio XII e gli ebrei” (Rizzoli) - non ha dubbi e richiama una lettera del febbraio 1916, in piena Prima Guerra Mondiale, firmata dal cardinale Gasparri e alla cui stesura concorse l’allora quarantenne diplomatico romano, segretario degli Affari straordinari di Stato. La lettera rispondeva a una richiesta degli ebrei statunitensi che chiedevano una presa di posizione vaticana contro le persecuzioni razziali di quegli anni. La risposta fu pubblicata nei giornali delle comunità ebraiche americane: in essa si definivano gli ebrei come “fratelli” e si evidenziava che i loro diritti dovevano essere tutelati come quelli di ogni altro popolo.    

    Si continua a leggere che nella Seconda Guerra Mondiale la Chiesa si preoccupò di salvare solo ebrei battezzati: falso, ha osservato Ickx, perché la Chiesa ha salvato anche tanti ebrei non battezzati. Si pensi ad esempio a tutti quei bambini che dalla Francia riuscirono a raggiungere la Terrasanta grazie all’azione vaticana. E’ vero solo che in alcuni Stati, come la Germania hitleriana, la Chiesa non si poteva occupare che di ebrei convertiti al cattolicesimo.  

    Infine, per quanto riguarda le proteste di tanti cattolici polacchi contro i ‘silenzi’ di Pio XII nei confronti dei nazisti persecutori, l’archivista belga ha rilevato la messa in atto della trappola mediatica tedesca che riuscì a far credere agli stessi cattolici polacchi di essere stati abbandonati dalla Santa Sede. Qui il Vaticano si accorse troppo tardi della trappola e non ci fu più verso di rimediare: il piano nazista funzionò perfettamente. E la diffidenza di tanti polacchi verso Pio XII si sedimentò.  

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