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    ANDREA RICCARDI E I 'SILENZI' DI PIO XII. ANCHE DI ALTRI, NON SOLO SUGLI EBREI

    ANDREA RICCARDI E I ‘SILENZI’ DI PIO XII.  ANCHE DI ALTRI, NON SOLO SUGLI EBREI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 5 dicembre 2022

     

    Un volume ricco di testimonianze su un tema già approfondito in precedenza sia dallo stesso Andrea Riccardi che da diversi altri storici. La novità del volume, che appare a poco più di due anni dall’apertura degli archivi vaticani per l’intero pontificato di Pio XII, è soprattutto la nuova prospettiva di interpretazione che offre: i silenzi non furono soltanto sugli ebrei, ma anche sui cattolici; e non solo di Pio XII (pure dopo la guerra), ma degli Alleati e dell’Europa intera.  

     

    Correva l’anno 1975, quando l’allora venticinquenne Andrea Riccardi (che sette anni prima aveva fondato la Comunità di Sant’Egidio) fu stimolato da Pietro Scoppola ad indagare sul tema dell’accoglienza offerta dalla Chiesa a chi era in pericolo (dunque gli ebrei tra i primi) nei mesi che intercorsero tra l’occupazione tedesca di Roma e la liberazione alleata del 4-5 giugno 1944. Ne uscì uno studio di una sessantina di pagine (con documenti e testimonianze) dal titolo “La Chiesa a Roma durante la Resistenza: l’ospitalità negli ambienti ecclesiastici”, pubblicato nel 1977 nei “Quaderni della Resistenza laziale”.

    Come si nota subito, l’interesse di Andrea Riccardi per il tema dei rapporti tra Chiesa e mondo ebraico nella Seconda Guerra mondiale viene da lontano e si è mantenuto costante nei decenni successivi, concretizzandosi periodicamente in studi come tra gli altri quelli su Pio XII (Laterza, 1984) e sull’ “Inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei, i nazisti a Roma” (Laterza, 2008).

    Da pochi giorni è uscito, sempre per i tipi di Laterza, un altro volume di Riccardi intitolato “La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei”. Qualcuno potrà pensare che… se non è zuppa, è pan bagnato. E invece il volume, che pure fa tesoro della documentazione pregressa, apre sul tema prospettive nuove, originate anche dalla possibilità di consultare la documentazione relativa all’intero pontificato di papa Pacelli (1939-1958), concessa nel 2020. Decisione certo da salutare con grande favore, sebbene per Riccardi un po’ tardiva (si pensi a tanti malintesi e tante polemiche che si sarebbero potute evitare…).

     

    IL TEMA DEL SILENZIO, DEI SILENZI: AD MAIORA MALA VITANDA

    Prospettive nuove, si è detto, che si palesano già nel titolo: “La guerra del silenzio”. “La guerra” … un sostantivo che ci pare rimandi già in qualche modo all’intera Seconda Guerra mondiale. “Del silenzio”…in effetti il “silenzio” è il protagonista del volume. Quello di Pio XII, ma anche quello degli Alleati e quello dell’Europa intera. “Silenzio” – emerge con abbondanza di documentazione - non più soltanto sullo sterminio nazista programmato di un intero popolo, quello ebraico, ma anche sulla persecuzione dei cattolici polacchi.Da parte dello stesso Pontefice.

    Nel volume – presentato mercoledì 23 novembre 2022 a Roma, presso il Tempio di Adriano, da Marco Impagliazzo, dal cardinale Tolentino de Mendonça, Anna Foa, Donatella Di Cesare, Umberto Gentiloni – si evidenzia un altro fatto a proposito dell’utilizzo in quegli anni della parola “silenzio” (o “silenzi”) a critica di Pio XII: il termine si ritrova già nel filosofo cattolico Emmanuel Mounier che nell’aprile 1939, di fronte all’invasione fascista dell’Albania (avvenuta di Venerdì Santo) scrive in Le Voltigeur : “Due giorni dopo, nella festa di Pasqua, il capo della cristianità pronuncia un’allocuzione (…) chiama i popoli alla pace. In termini più precisi condanna le violazioni alla parola data. Il mondo, dolorosamente sorpreso, non sente nessuna parola sulla sua bocca su questo Venerdì Santo di sangue”. Rivolto a Pio XII Mounier conclude: “Non vorremmo morire senza aver difeso, davanti a voi, la causa di tutti gli abbandonati che il vostro silenzio, involontariamente, ha spinto un po’ più a fondo nel loro affanno”.

    “Silenzio” compare anche sulla bocca dello stesso papa Pacelli il primo ottobre 1941, almeno secondo quanto annota Angelo Giuseppe Roncalli, allora delegato apostolico a Istanbul. Del colloquio incentrato sulla situazione nella Grecia occupata, Roncalli riferisce tra l’altro un’osservazione del Pontefice: “Mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male”.

    Confrontato con l’aggressione alla Polonia e con l’amarezza e l’indignazione di molti cattolici polacchi per l’assenza di una condanna specifica da parte del Papa (vedi anche l’udienza ai polacchi di Roma del 30 settembre 1939, conclusasi con una benedizione alla Polonia “che non vuole morire”), quest’ultimo reagisce chiedendo di elaborare un articolo esplicativo su L’Osservatore Romano, che appare il 15 ottobre successivo. Rievocata la situazione, ribadito che il Vaticano seguiva con grande preoccupazione e partecipazione gli avvenimenti di Polonia, nell’articolo si legge: “In tali condizioni anche il silenzio poteva bastare ad esprimere il pensiero della Santa Sede; non è assolutamente il caso di parlare di silenzio dopo la memoranda udienza del 30 settembre”.

    E’ evidente che il Papa era bene informato delle atrocità naziste già nei giorni successivi all’invasione della Polonia: lo provano anche le notizie trasmesse dalla Radio Vaticana, che progressivamente verranno poi smussate su forti pressioni tedesche. Interessante quanto osserva Jacques Maritain (fu ambasciatore di Francia presso la Santa Sede dal 1945 al 1948) sulla personalità complessa di Pio XII, ben dotata “di intelligenza e di bontà”. E tuttavia “Pio XII parrebbe più preoccupato dei risultati pratici da conseguire con le vie della prudenza politica e della diplomazia e con l’esercizio della carità, che dalla testimonianza da dare ponendo atti e facendo sentire parole che scuotono la coscienza dei popoli. Da qui certe delusioni sentite dal mondo e che senza dubbio affliggono lui stesso e che il suo costante e incomparabile sforzo di buona volontà non può evitare”.

    Senz’ombra di dubbio la questione del “silenzio” angosciava Pio XII. Lo si riscontra anche a proposito di quanto accaduto in Olanda, dove nel 1942 era incominciata la deportazione di ebrei. I vescovi cattolici denunciarono allora pubblicamente (presa di posizione letta nelle chiese il 26 luglio 1942) la politica razzista e persecutoria dei nazisti: in risposta furono deportati anche centinaia di ebrei convertiti al cattolicesimo (tra cui Edith Stein). Scrive Riccardi riferendosi alle memorie di suor Pascalina Lehnert (storica governante di Pio XII): “La religiosa racconta (…) che il Papa aveva preparato una protesta per il trattamento degli ebrei, ‘uno scritto che occupava due grandi pagine e vergato con calligrafia molto minuta”, da pubblicare su L’Osservatore Romano. La notizia della deportazione degli ebrei olandesi da parte dei nazisti gli fece cambiare idea: ‘Se la protesta dei vescovi olandesi ha provocato lo sterminio di 40.000 ebrei, temo che il mio scritto (…) potrà avere come conseguenza la morte di 200mila ebrei ‘. (Pio XII) bruciò il documento nella cucina dell’appartamento ‘data la precarietà della situazione’, nonostante Pascalina gli chiedesse di conservarlo” (NdR: da notare che le cifre citate – probabilmente in base a informazioni non di prima mano e ancora confuse - non corrispondono a realtà, ma il crimine resta).

    Anche nel dopoguerra ci fu un problema di silenzi da parte di Pio XII, degli ambienti vaticani, di larga parte della Chiesa fino alla fine degli Anni Cinquanta (e Riccardi ne dà una esplicita valutazione fortemente negativa): “Mentre la coscienza di nuovi rapporti con l’ebraismo matura in alcuni settori cattolici dopo il conflitto, non così avvenne negli ambienti vaticani, i quali non operano quel salto culturale e religioso che avrebbe consentito di comprendere la Shoah”. Insomma “l’incapacità di elaborare una memoria è chiara nella Chiesa del dopoguerra e non solo per quanto riguarda la Shoah”. Ci fu, scrive Riccardi, “la limitata comprensione della distruzione di un popolo di sei milioni di persone nel cuore dell’Europa. Questa realtà tragica doveva portare a ripensare radicalmente l’antisemitismo ancora diffuso, l’antigiudaismo dell’insegnamento cristiano, così come la cultura del disprezzo verso l’ebreo. Non lo fece la Chiesa di Pio XII, ma lo fece in seguito il Vaticano II. La Chiesa, dopo la guerra, fatica a ripensarsi e a comprendere che Auschwitz non aveva lasciati uguali a prima né il mondo né la Chiesa”.

     

    IL PAPA BEN INFORMATO ANCHE SULLO STERMINIO DEGLI EBREI IN POLONIA

    Che il Papa fosse ben informato non solo sulla persecuzione dei cattolici polacchi ma anche sullo sterminio degli ebrei emerge da fonti diverse. Ad esempio quella di don Pirro Scavizzi, cappellano dell’Ordine di Malta in missione in Polonia e in Ucraina. Tra l’ottobre 1941 e il novembre 1942 per sei volte il sacerdote romano si recò nei due Paesi. Presentò sempre le sue relazioni a papa Pacelli, che lo riceveva essendo il prete anche amico della sorella minore, Elisabetta Rossignani. Don Scavizzi scrive ad esempio nella relazione del 19 gennaio 1942: “E’ evidente che il governo occupante intende eliminare gli ebrei con i vari sistemi, di cui il più frequente e conosciuto è il mitragliamento di massa. Per queste esecuzioni, gruppi di famiglie ebraiche (…) sono deportati a qualche chilometro dalla città (…) Presso l’orlo delle trincee o delle fosse, questi gruppi di centinaia e centinaia e talvolta migliaia di persone vengono inesorabilmente mitragliati e gettati nelle fosse stesse”. In una relazione successiva del 7 ottobre 1942 annota don Scavizzi che “la eliminazione degli ebrei, con le uccisioni di massa, è quasi totalitaria, senza riguardo ai bambini, nemmeno se lattanti”.  Una constatazione tragica che era stata fatta (vedi colloquio con mons. Giovanni Battista Montini, Sostituto Segretario di Stato, del 18 settembre 1942) anche da altri informatori della Santa Sede, come il conte Giovanni Malvezzi, dirigente Iri che per ragioni di lavoro doveva recarsi spesso in Polonia. Da parte sua l’ambasciatore polacco presso la Santa Sede, Kazimierz Papée, in una nota del 21 dicembre 1942 trasmessa alla Segreteria di Stato, rilevava che gli ebrei deportati vengono portati “in istallazioni allestite allo scopo, per esservi messi a morte con vari mezzi (…) i giovani e gli abili vengono uccisi per fame o per lavori forzati”.

    L’informazione dunque c’era, sempre più chiara e dettagliata. Ma Pio XII in pubblico (con qualche eccezione come quella del  lungo radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1942, quando accennò alle “centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”) sostanzialmente tacque. Molto significativo a tale proposito il resoconto del colloquio che padre Paolo Dezza (1901-1999, creato cardinale nel 1991) ebbe nel 1943 con papa Pacelli. Scrive Riccardi: “Pio XII gli disse: ‘si lamentano che il Papa non parla. Ma il Papa non può parlare. Se parla sarebbe peggio (…) Sì, il pericolo comunista c’è, però in questo momento è più grave quello nazista (…) Vogliono distruggere la Chiesa e stritolarla come un rospo: perché per il Papa non ci sarà posto nella nuova Europa’. “.

     

    IL 16 OTTOBRE 1943: L’ILLUSIONE DELLA DIPLOMAZIA, IL NODO DELL’ACCOGLIENZA

    Un atteggiamento dunque ad maiora mala vitanda, per non peggiorare la sorte delle vittime e nel contempo dei cattolici presenti in Germania e nei Paesi occupati. Oppure anche – in virtù di accordi locali e precari - per poter continuare, come a Roma dopo la razzia del 16 ottobre 1943 contro gli ebrei, ad accogliere nei conventi o negli spazi vaticani (di cui comunque non sempre fu rispettata l’extraterritorialità, vedi le irruzioni nel Seminario Lombardo, nell’Istituto di Archeologia Cristiana, in alcuni locali della Basilica di San Paolo) rifugiati cattolici, non credenti, ebrei, antifascisti di ogni fede.

    Appunto: veniamo al 16 ottobre 1943, un evento terribile – scrive Riccardi – che la Santa Sede non potè frenare con gli strumenti diplomatici”. Fu – rileva ancora – un dramma di fronte a cui non ci fu una risposta audace da parte della Santa Sede, comunque sia andata. (…) La Santa Sede restò impaludata nel tradizionale discorso diplomatico, manipolato dall’ambasciatore (NdR. tedesco, von Weizsäcker). Sentiva di dover avere buoni rapporti con i tedeschi, anche perché gli edifici ecclesiastici erano abitati da clandestini”.

    Ma Pio XII - che era accorso da solo con mons. Montini a San Lorenzo il 25 luglio 1943 subito dopo il primo feroce bombardamento della capitale – non  sarebbe potuto andare (come si è chiesta la scrittrice Rosetta Loy) alla stazione Tiburtina per cercare di impedire la partenza dei convogli con destinazione Auschwitz? Aggiunge Andrea Riccardi: “Non avrebbe potuto recarsi tra gli ebrei arrestati al Collegio militare a poche centinaia di metri dal Vaticano?” (è questo un interrogativo che continua a turbare anche noi e tanti altri cattolici). E’ una  considerazione che del resto Riccardi ribadisce nell’intervista al Corriere della Sera di domenica 27 novembre 2022. Pio XII non lo fece. Riccardi tenta una spiegazione: “Non fu paura fisica, ma forse l’illusione che qualcosa di positivo potesse ancora venire dal passo diplomatico con l’ambasciatore tedesco (NdR: il 16 ottobre stesso ci fu un colloquio tra il cardinale Maglione, Segretario di Stato e von Weizsäcker). C’era anche la volontà di non compromettere l’ospitalità clandestina negli ambienti della Chiesa, già cominciata anche se non nella misura dei mesi successivi”.

     

    ANGELO DELL’ACQUA NEGLI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: TRACCE DI UN ANTIGIUDAISMO TRADIZIONALE

    Nel volume si tratta di tanti altri argomenti di peso per la valutazione dei rapporti della Santa Sede con gli ebrei. Ad esempio, osserva Riccardi, un atteggiamento di prevenzione verso gli ebrei e di tradizionale antisemitismo era diffuso anche tra il personale della Curia, almeno in parte. Qui l’autore cita a sostegno della sua tesi diverse note scritte di mons. Angelo Dell’Acqua (1903-1972), qualificato come minutante nella Congregazione degli Affari straordinari, ma nella quotidianità colui cui spesso era chiesto un parere sia dal card. Maglione che da mons. Montini sul tema dell’atteggiamento da tenere verso le istanze presentate da ebrei o in relazione all’argomento. Dell’Acqua fu poi Sostituto Segretario di Stato dal 1953 al 1967, anno in cui ricevette la porpora. All’inizio del 1968 fu nominato cardinale vicario per la diocesi di Roma, ma nel 1972 morì a Lourdes per un attacco cardiaco.

    Da quanto emerge dall’indagine storica di Riccardi, Dell’Acqua non si palesò negli anni della Seconda Guerra mondiale come filosemita (quale sostanzialmente era papa Pacelli). Nemmeno come antisemita, ma… “a prevalere in Dell’Acqua era un antigiudaismo ereditato dal passato, che talvolta si traduceva in un linguaggio distaccato o anche in battute sugli ebrei”. Nota ancora Riccardi: “Il prelato (e siamo a fine 1944) fatica a cogliere nella sua unicità la vicenda degli ebrei. Si manifesta il fastidio di un funzionario dell’istituzione vaticana (…) riguardo alle pressioni ‘eccessive’, dolenti o appassionate, da parte degli amici degli ebrei o di loro stessi. Dell’Acqua non appare scosso dalla ferocia di quanto stava accadendo”. C’è un appunto di Dell’Acqua del 20 dicembre 1943 in cui si legge: “Bisognerebbe anche far sapere ai Signori ebrei di parlare un po’ meno e di agire con grande prudenza…”. Annota Riccardi a tale proposito. “Le opinioni di Dell’Acqua risultano fuori dalla realtà, sorprendenti e riduttive. Quegli ebrei non esageravano, al contrario non avevano tutte le dimensioni di ciò che stava accadendo. Inoltre l’insistenza sulla presunta esagerazione rivela un giudizio negativo sulla natura degli ebrei, in cui si coglie un tipo di antigiudaismo”. Insomma “permaneva in Dell’Acqua la mentalità corrente di parte cospicua del mondo cattolico, espressa ad esempio nelle pagine de La Civiltà cattolica dei primi decenni del Novecento: il popolo d’Israele era estraneo, perché aveva rifiutato il messaggio di Cristo. Questo ispirava anche una sfiducia preconcetta verso gli ebrei”.

    Ci sarebbe tanto di rilevante da annotare a proposito del volume di Andrea Riccardi, che consigliamo calorosamente di leggere a tutti gli interessati al tema, ma anche in genere sia ai cattolici che agli ebrei. Sono circa 350 pagine (non faticose alla lettura) suddivise in nove capitoli (da “L’isola vaticana” a “Finita la guerra”) con introduzione e conclusioni.

     

    QUALCOSA DELLA PRESENTAZIONE DEL 23 NOVEMBRE 2022 A ROMA PRESSO IL TEMPIO DI ADRIANO

    In questa sede ci limitiamo ancora a ricordare alcuni brevi momenti della presentazione al Tempio di Adriano. Per Marco Impagliazzo nel volume di Riccardi si ritrova “il gusto del particolare e il respiro dell’universale” nel presentare la complessità di un uomo (il Papa) e di un’istituzione (la Chiesa) in anni molto difficili. Una frase del cardinale José Tolentino de Mendonça suscita in particolare una riflessione: “Uno dei contributi più grandi della storiografia è quello di metterci a contatto con i dolori umani, con l’illimitata marea di dolori di ogni genere”. Secondo Anna Foa il volume “consente di allargare i criteri di discussione sulla posizione di Pio XII: i silenzi riguardano tutta la guerra e non solo gli ebrei”. Inoltre il ‘dopo Shoah’ è caratterizzato per quindici anni dal “fallimento” della Chiesa nei rapporti con l’ebraismo; la Chiesa si chiude, “quasi il Papa pensasse che l’aver salvato vite fosse sufficiente”. Per Donatella Di Cesare “Pio XII non ha parlato pubblicamente, ma ha operato nell’accoglienza”. D’altra parte il silenzio di Pio XII “è dipeso anche dall’impreparazione da parte della Chiesa di capire il nazionalsocialismo, fatto teologico-politico contro la tradizione giudaico-cristiana”. Si è chiesto tra l’altro Umberto Gentiloni: “Perché nel dopo Shoah è prevalso fino all’apertura del Concilio il paradigma della Chiesa come vittima? Perché non sono stati valorizzati i Giusti?”. E poi: “E’ vero che Pacelli guarda al mondo. Ma la debolezza del suo messaggio è anche quella della Chiesa del periodo”. In conclusione Andrea Riccardi ha ribadito che “lo studio di Pio XII è indispensabile per capire la storia della Chiesa nel Novecento”. Anche perché “il Vaticano di ieri non era quello di oggi”. Si arrovellava sulla questione del ‘silenzio’ davanti agli orrori. Pur se “Pio XII vedeva lucidamente che dopo lo sterminio degli ebrei sarebbe venuto quello dei cattolici”.  

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