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    OMBRE E LUCI: CHIESA E NAZISMO NELL'EUROPA CENTRO-ORIENTALE

    OMBRE E LUCI: CHIESA E NAZISMO NELL’EUROPA CENTRO-ORIENTALE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 24 giugno 2019

     

    Un tardo pomeriggio impegnativo alla Gregoriana, dove sono stati presentati altri due volumi della collana curata dallo storico padre Jan Mikrut sui rapporti tra Chiesa e totalitarismi nell’Europa centro-orientale, in questa occasione dedicati alle relazioni  con il nazionalsocialismo. Dall’esame di migliaia di documenti si delinea una innegabile pluralità di atteggiamenti  di gerarchie e popolo verso il mostro nazista, a dipendenza delle diverse situazioni nazionali. Non poche le luci, ma molte anche le ombre.

    Nel tardo pomeriggio di mercoledì 15 maggio 2019 la Gregoriana ha ospitato la presentazione di due volumi su Chiesa e nazismo della collana curata dal sacerdote polacco Jan Mikrut: “ La Chiesa cattolica in Europa centro-orientale di fronte al nazionalsocialismo 1933-1945” e “Perseguitati per la fede. Le vittime del nazionalsocialismo in Europa centro-orientale”. I volumi, editi da Gabrielli (San Pietro in Cariano-Verona, 2019), sono parte di una serie di opere cui hanno collaborato circa 200 autori provenienti dai diversi Paesi coinvolti in una ricerca storica che fin qui aveva analizzato soprattutto il tema “Chiesa e comunismo”, soffermandosi in modo particolare sulla situazione in Polonia e in Unione sovietica.

    E’ bene riconoscere subito che dalla presentazione e dalla successiva lettura (da parte nostra) di ampi stralci del volume sulla Chiesa cattolica di fronte al nazismo nell’Europa centro-orientale emergono una realtà composita, una pluralità - che oggi suona molto dolorosa - di atteggiamenti ecclesiali. Per dirla tutta in particolare appare non solo in genere acquiescente, ma addirittura sostanzialmente collaborativo con il regime nazista l’atteggiamento di fasce rilevanti di cattolici sia in Germania che in Austria (a partire da gran parte dei vertici guidati dal cardinale arcivescovo di Vienna Theodor Innitzer – “Egli era in buona fede. E nel suo ottimismo è andato qualche volta un po’ in là”, ha detto di lui una volta il molto generoso cardinale Franz König).

    Prima di continuare, a ulteriore beneficio della riflessione dei nostri lettori ricordiamo qui quanto detto a proposito del cattolicesimo tedesco durante il nazismo da Joseph Ratzinger nelle “Ultime conversazioni” del 2016 con Peter Seewald: “Adesso le cose vengono dipinte come se tutta la Chiesa fosse stata uno strumento dei nazisti. Noi l’abbiamo davvero vista oppressa – non voglio dire perseguitata – e come luogo di resistenza. (…) Sapevamo che la Chiesa era stata l’unica forza che aveva opposto resistenza. Certo, non si trattò di resistenza attiva, non ci furono azioni rivoluzionarie. Ma era molto chiaro che, dopo la guerra, la prima cosa che i nazisti avrebbero eliminato sarebbe stata la Chiesa cattolica e che la tolleravano perché durante il conflitto avevano bisogno di tutte le risorse disponibili. Il pensiero che la Chiesa fosse in qualche modo compartecipe non ci ha mai sfiorato. E’ una ricostruzione successiva”. E ancora: “Anche mio padre sentiva che i vescovi avrebbero dovuto essere più chiari. C’erano temperamenti diversi, d’accordo. Ma non abbiamo mai avuto la sensazione che la Chiesa avrebbe aderito al nazismo”. Nel “Rapporto sulla fededel 1984 l’allora cardinale Ratzinger aveva anche osservato che “un movimento aberrante come i Deutsche Christen (NdR: cristiani protestanti pubblicamente a favore del nazismo) non si sarebbe potuto formare nell'ambito del concetto cattolico di Chiesa. All'interno di quest'ultima, i fedeli si trovarono ben più facilitati a resistere alle dottrine naziste. Si vide anche allora ciò che la storia ha sempre confermato: come male minore, la Chiesa cattolica può venire tatticamente a patti con i sistemi statali anche oppressivi, ma alla fine si rivela una difesa per tutti contro le degenerazioni del totalitarismo. Non può, infatti, per sua natura - a differenza delle Chiese nate dalla Riforma - confondersi con lo Stato, deve opporsi necessariamente a un governo che voglia costringere i battezzati in una sola visione del mondo”.

    Su quanto accaduto in Austria riproponiamo invece un indubbio stimolo alla riflessione, tratto dal  discorso pronunciato per il sessantesimo (8 maggio 2015) della liberazione del campo di concentramento di Mauthausen dal cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn (citato da Jan Mikrut, pag. 116): “Allora non furono orde criminali di un altro luogo che si sono qui abbattute. Nessun cieco fanatico di un’altra cultura, di un’altra religione, di un’altra civiltà. No, erano uomini come noi. Con donne e bambini a casa, che amavano. Con i loro sogni e i loro aneliti come noi, con il loro albero di Natale e con i loro Schiller e Goethe nelle librerie. Vittime e carnefici non si potevano distinguere. Non dal colore della pelle. Non dai lineamenti dei loro volti. Le linee di confine tra il bene e il male correvano allora in mezzo al nostro popolo, alle famiglie, proprio in mezzo al nostro cuore. Ognuno di noi avrebbe potuto essere entrambi: vittima ma anche carnefice. E niente ci può dire con certezza da che parte saremmo stati allora e da che parte staremmo oggi”.

     

    L'INTERVENTO DEL CARDINALE ANGELO AMATO

    Arricchiti dalle considerazioni di Joseph Ratzinger e di Christoph Schönborn torniamo ora nell’Aula della Gregoriana da cui eravamo partiti. Riprendiamo il filo del pomeriggio - introdotto dal rettore padre Nuno da Silva Gonçalves e moderato dal decano padre Marek Inglot -  con l’intervento del cardinale Angelo Amato. Che ha fatto subito proprie alcune domande fondamentali che su quegli anni emergono spontaneamente tra gli storici: “Perché lo scempio è avvenuto in Europa? Perché popoli che fanno del Cristianesimo la loro identità storico-culturale hanno generato un mostro così perverso e malvagio? Il Cristianesimo è solo una patina che emerge da un paganesimo violento o è anima dell’Europa? Se pensiamo alle persecuzioni anti-cattoliche in Spagna, ai massacri nazisti e comunisti ci si deve chiedere se le radici cristiane siano ancora presenti”.

    Il prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi ha tentato una risposta evidenziando comunque una “reazione sana” di almeno una parte dei cristiani e rilevando che “la Chiesa ha sufficienti anticorpi per contrastare il male”. Perciò “le radici cristiane non sono inaridite, ma rimangono vive e forniscono linfa vitale ai popoli”. A testimonianza di ciò Amato ha citato per tutti l’atteggiamento eroico della famiglia polacca Ulma, che risiedeva nel villaggio di Markova nel sud-est polacco. Gli Ulma (padre, madre, sette figli di cui uno in grembo), pur consci di rischiare la vita considerata la legge imposta dall’occupante nel 1941, scelsero di nascondere alcuni ebrei nella loro fattoria. Il 24 marzo 1944 i tedeschi fecero irruzione in casa, uccisero subito gli otto ebrei ospitati, poi i nove Ulma. “Sono persone. Non li caccerò via”, diceva Jozef Ulma, fervente cattolico, a chi gli suggeriva di non rischiare. “Era Vangelo plasmato nella carità, Parola di Gesù che si era fatto carne e sangue di questa famiglia”, ha osservato il cardinale salesiano. La famiglia Ulma è tra i ‘Giusti delle Nazioni’ e per essa è anche in corso la causa di beatificazione, come ha rilevato lo stesso papa Francesco alla fine dell’udienza generale del 28 novembre 2018: “Sia per tutti noi un esempio di fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti, di amore al prossimo e di rispetto della dignità umana”.

    Il martirio dei cristiani continua anche oggi, ha sottolineato Angelo Amato: dopo che il XX secolo “è stato epoca di martirio per l’Europa, terra di conquista dei cavalli dell’Apocalisse”, anche nel XXI in tutto il mondo si calcola che ogni mese siano uccisi in media 345 cristiani: “Nei martiri Dio manifesta la potenza della sua grazia e della sua carità. Il martire cristiano ama la vita, la difende e la promuove, non uccide e suscita nei carnefici sentimenti forti di conversione”.  

     

    LA SINTESI SENZA SCONTI DI PADRE JAN MIKRUT

    La parola è poi passata al curatore dell’opera, padre Jan Mikrut, che ha sintetizzato i contenuti del volume, passando in rassegna l’atteggiamento delle Chiese nazionali nei quattordici Stati coinvolti nella ricerca riguardante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, di cui “furono iniziatori Germania e Unione sovietica” e quelli immediatamente precedenti. Qualche spunto. In Germania, ha evidenziato Mikrut, “né la Chiesa cattolica né le Chiese evangeliche alzarono pubblicamente la voce per denunciare le leggi razziali del 1935. La resistenza fu scarsa. L’episcopato tedesco non protesterà apertamente contro gli abusi nazisti. Gli interventi di papa Pio XI non avranno effetti positivi”. In Austria “l’episcopato fu inizialmente favorevole all’Anschluss del 1938, ma dovette comprendere presto che gli accordi con i nazisti erano illusori”. Nella Slovacchia satellite della Germania, la presidenza di Jozef Tiso (sacerdote cattolico, impiccato per alto tradimento il 18 marzo 1947 su decisione del governo cecoslovacco) si mosse sostanzialmente “tra inevitabile collaborazione e salvaguardia dei residui spazi di sovranità”. Nell’Ungheria del regime autoritario dell’ammiraglio Miklos Horthy  “i cattolici frenavano le tendenze estremistiche”. Nell’intervento di Jan Mikrut largo spazio alle vicende polacche: “Germania e Unione sovietica, dividendosi il Paese, cercarono di eliminare l’identità nazionale”. La Polonia fu il Paese più colpito dal conflitto con oltre sei milioni di morti, l’unico in cui le leggi dell’occupante tedesco decretavano che l’aiuto a un ebreo era punto con la morte. Tre milioni gli ebrei polacchi uccisi. La resistenza fu però viva e non a caso sono 6706 i polacchi tra i ‘Giusti delle Nazioni’, numero più alto tra tutti.

    Il pomeriggio è stato intervallato dai canti del coro giovanile Soul, proveniente dalla zona precarpatica, nel sud-est del Polonia. Le ragazze hanno interpretato diversi brani legati alla tradizione nazionale polacca (tra l’altro una con parole del poeta e scrittore Adam Mickiewicz, un’altra in cui si rende omaggio “agli antenati che rimasero fedeli a Dio, alla Chiesa e alla Patria”, un’altra ancora sull’insurrezione del 1918 che portò alla rinascita della Polonia indipendente), alla storia recente (come quella sui ‘papaveri rossi’ dedicata agli eroi della liberazione di Montecassino nel 1944), alla famosa “Pescador de hombres” molto amata da Giovanni Paolo II.

     

    SPUNTI DI RIFLESSIONE DA “LA CHIESA CATTOLICA IN EUROPA CENTRO-ORIENTALE DI FRONTE AL NAZIONALSOCIALISMO 1933-1945 (IN PARTICOLARE SU GERMANIA E AUSTRIA)

    Il volume (di oltre 900 pagine) è aperto da una non banale prefazione dell’arcivescovo Grzegorz Rys, metropolita di Lodz e una corposa introduzione di padre Mikrut (autore anche di due dei contributi sull’Austria – “Dall’Anschluss fino alla liberazione sovietica” e “Il martirologio della Chiesa austriaca 1938-1945). L’opera è un’antologia dei contributi di studiosi appartenenti in genere alle Chiese nazionali di cui evocano l’atteggiamento negli anni della Seconda Guerra mondiale: Albania, Austria, Bielorussia, Bulgaria, Repubblica ceca, Croazia (si parla anche del cardinale Alois Stepinac), Bosnia-Erzegovina, Slovenia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia (dominata dalla figura molto controversa di mons. Jozef Tiso, con tra l’altro contributi su “La Chiesa cattolica in Slovacchia fra la fedeltà allo Stato nazionale e la resistenza contro gli influssi ideologici del Terzo Reich” e “I vescovi slovacchi e la questione della popolazione ebraica”), Ungheria (“La Chiesa cattolica ungherese di fronte al nazismo”). Un ampio spazio – oltre 300 pagine, 13 contributi  – è dedicato ad approfondimenti particolari sulla situazione in Polonia e, per quanto riguarda gli ultimi due testi, nell’odierna Ucraina (dove nel luglio 1941 la popolazione ucraina accolse le truppe tedesche – che avevano cacciato l’Armata Rossa – con il tradizionale pane e sale. L’arcivescovo greco-cattolico di Leopoli Andrej Septyckyi fece celebrare in tutte le chiese dell’arcidiocesi una ‘messa di ringraziamento per “il vittorioso esercito tedesco e la nazione ucraina”con Te Deum annesso.

    Ombre e luci. Acquiescenti, collaboratori, resistenti, martiri. Il cattolicesimo nell’Europa centro-orientale conobbe molte varietà e sfumature di atteggiamento nei confronti dell’occupante nazionalsocialista, a volte accolto festosamente in funzione anti-bolscevica.

    Del volume curato da Jan Mikrut riproduciamo qui sotto alcuni dei passi suscettibili di scomode riflessioni da parte dei lettori. Sono passi non certo facili da accettare, ma…i fatti non si possono smentire…

    Dalla prefazione dell’arcivescovo Grzegorz Rys, metropolita di Lodz: “Il nazismo e la guerra che ne è scaturita sono diventati una sfida non solo a ciò che è religioso o ecclesiastico, ma a tutto ciò che è universale. Hanno portato i cristiani dell’Europa a una prova drammatica non solo per il loro attaccamento alle pratiche religiose, alle tradizioni e ai diritti della Chiesa; hanno posto una domanda sulla loro determinazione a difendere i diritti umani fondamentali, indipendentemente dalla fede e dalla religione. Ed è proprio su questo livello che si è svolto l’esame più importante in Europa, un esame del grado e della qualità della sua evangelizzazione…(…) Ma è difficile non chiedersi: la gente di Chiesa ne era già allora consapevole o ha raggiunto questa consapevolezza solo dopo la fine della guerra?”

    Dall’Introduzione di Jan Mikrut/1: “Le prime a confrontarsi con il regime nazionalsocialista, fin dal 1933, furono le comunità cristiane della Germania: la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti. Esse scoprirono ben presto, e lo sperimentarono sulla propria pelle, che lo Stato nazionalsocialista non tollerava nessun’altra autorità, né religiosa né politica, all’infuori di sé. Le Chiese in Germania, in generale, non hanno mostrato una forma di resistenza al regime. L’opposizione della Chiesa cattolica, infatti, fu limitata ai singoli casi individuali di alcuni laici o ecclesiastici che, motivati dalla religione, reagirono contro le mosse della dittatura. Non si può dire, tuttavia, che i cattolici non si sono accorti in tempo della minaccia di una nuova ideologia che ha guadagnato folle di sostenitori nella Germania interbellica. (…) Lo stesso Eugenio Pacelli, prima nunzio apostolico a Monaco di Baviera e a Berlino in Germania e poi cardinale Segretario di Stato, credeva che il movimento nazista avesse un significato anticattolico e non potesse conciliarsi con la fede cristiana. Nonostante ciò, all’inizio degli Anni Trenta, Pacelli prese le posizioni che avrebbe presentato in seguito in molte altre occasioni, ossia che i nazisti tedeschi non possono avvicinarsi ai comunisti, perché è dall’Est che arriva una vera minaccia per la fede”.

    Dall’Introduzione di Jan Mikrut/2 (Mit brennender Sorge, 1937, Pio XI): “Grazie all’enciclica la Chiesa respinse inequivocabilmente l’ideologia nazionalsocialista nel contesto del mancato rispetto del Concordato (1933) tra la Germania e la Santa Sede, ma soprattutto come inconciliabile con i valori della religione cristiana”.

    Dall’Introduzione di Jan Mikrut/3: “Con la notte dei cristalli tra il 9 e il 10 novembre in Germania, Austria e Cecoslovacchia emerse con tutta la sua forza l’antisemitismo dei tedeschi. (…) L’episcopato non protestò esplicitamente contro questi maltrattamenti. Clemens August von Galen si dichiarò dispiaciuto che la gerarchia tedesca non avesse protestato pubblicamente. Per essere corretti bisogna dire che neppure Pio XI intervenne apertamente. Però, in quel tempo, anche la Santa Sede si trovava in una situazione particolarmente delicata e difficile, perché nel frattempo la scena politica aveva subito dei grandi cambiamenti da quando Benito Mussolini decise, nel 1938, di sostenere la politica dei nazisti tedeschi”.

    Dall’Introduzione di Jan Mikrut/4: “Nel periodo della Seconda Guerra mondiale, quando il potere politico in Germania era in modo particolare interessato a evitare gli scontri con le Chiese per poter mantenere unita la nazione, nonostante le forti tensioni, le relazioni tra la Chiesa e lo Stato non furono interrotte. Specialmente lo scoppio della guerra tedesco-sovietica nell’estate del 1941 vide lo schierarsi della società con le autorità statali. Anche i cattolici tedeschi, benché lungi dalla mentalità di crociata, accettarono l’attacco all’Unione sovietica, scorgendo in ciò la lotta contro l’empio bolscevismo”.

    Dall’Introduzione di Jan Mikrut/5: “Le deportazioni di massa degli ebrei organizzate con tanta precisione non trovarono un’adeguata protesta né da parte delle due Chiese cristiane né dalle altre strutture della società. Nel novembre Pio XII ordinò al nunzio apostolico a Berlino, Cesare Orsenihgo, di trasmettere al cancelliere Hitler la sua categorica condanna degli omicidi di massa della popolazione ebraica. Solo con la lettera del 19 maggio 1943, dedicata ai Dieci Comandamenti, i vescovi protestarono contro l’uccisione degli innocenti e contro il trattamento disumano nei campi di lavoro”.

    Da Jan Mikrut., “Dall’Anschluss fino alla liberazione sovietica”/1 (Anschluss, 13 marzo 1938): “La dirigenza della Chiesa, i vescovi e la maggioranza dei sacerdoti, nonostante gli avvertimenti da Roma, proclamati da Pio XI nell’enciclica Mit brennender Sorge , l’unica enciclica finora scritta in lingua tedesca, condivisero la strada festante. Ai nazisti riuscì anche nell’Austria cattolica, nonostante i moniti del Papa, di rafforzare in modo abile la loro ideologia atea e a trarre in errore e ad attirare a sé, con l’aiuto degli slogan nazionali e sociali, gli uomini semplici, che con la presa del potere da parte loro speravano in un’uscita dalla crisi economica. Purtroppo anche una gran parte dei sacerdoti cattolici condivideva l’entusiasmo della popolazione. Il clero, in quest’occasione, si espresse per la maggior parte, similmente ai cattolici austriaci, a favore del nazismo”.

    Da Jan Mikrut, “Dall’Anschluss fino alla liberazione sovietica”/2: “L’arcivescovo di Vienna considerava personalmente un particolare dovere della Conferenza episcopale rilasciare una dichiarazione collettiva dei vescovi e dimostrare la loro compattezza. Il presule viennese nella sua lettera personale indirizzata al cancelliere Hitler aggiunse un biglietto di accompagnamento con il saluto fatale: Heil Hitler. Martedì 22 marzo 1938 la dichiarazione solenne dei vescovi austriaci venne pubblicata come prima stabilito sull’organo ufficiale dell’arcidiocesi di Vienna Wiener Diözesanblatt e il 27 marzo il documento fu letto da tutti i pulpiti delle chiese in tutta l’Austria. (…) Dichiarazione solenne! Noi sottoscritti vescovi delle province ecclesiastiche austriache, in intima convinzione e libera volontà, in considerazione del grande evento storico in Germania-Austria dichiariamo: riconosciamo gioiosamente che il movimento nazionalsocialista, nell’ambito della costruzione popolare ed economica così come nella politica sociale ha reso e rende tutt’ora un eccellente servizio al Reich tedesco e al popolo e per gli strati più poveri della popolazione. Siamo anche convinti che con l’attività del movimento nazista si resisterà al bolscevismo distruttivo e senzadio. I vescovi accompagnano quest’operato per il futuro con i più calorosi auguri e raccomanderanno in tal senso anche i fedeli. Nel giorno del plebiscito popolare (NdR: il 10 aprile 1938) per noi vescovi è obbligo nazionale di riconoscerci, come tedeschi, nel Reich tedesco e ci aspettiamo anche da tutti i cristiani tedeschi che sappiano ciò che è dannoso per il loro popolo”.

     

    ONORIFICENZE POLACCHE PER I COLLEGHI GRZEGORZ GALAZKA E WLODZIMIERZ REDZIOCH

    Martedì pomeriggio 11 giugno 2019 l’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede ha ospitato una cerimonia assai inusuale, in onore dei due colleghi Grzegorz Galazka e Wlodzimierz Redzioch, tanto umili quanto sempre disponibili nel loro prezioso servizio. Galazka e Redzioch hanno ben meritato le due onorificenze conferite dal presidente della Repubblica polacca Andrzej Duda e consegnate dall’ambasciatore Janusz Kotanski. Galazka è divenuto ufficiale dell’Ordine della Polonia Rinata, Redzioch cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica di Polonia. Presenti tra gli altri il cardinale Zenon Grocholewski, l’ambasciatore di Polonia presso la Fao Artur Pollok, il direttore di Inside the Vatican Bob Moynihan.

    Prima di consegnare le onorificenze l’ambasciatore Kotanski ha evidenziato che i due beneficiari “sono legati da decenni alla Santa Sede”, coniugando le loro competenze professionali con un grande amore sia verso la Chiesa che verso la patria. Galazka e Redzioch, ha rilevato ancora il diplomatico polacco, nel loro servizio massmediatico hanno dimostrato di perseguire la verità, “che tra l’altro facilita anche i rapporti diplomatici bilaterali”. Del resto le onorificenze sono state conferite proprio nel centesimo anniversario del ristabilimento delle relazioni tra la Santa Sede e la Polonia, ‘rinata’ con l’indipendenza nel 1919. L’ambasciatore non poteva poi mancare di ricordare lo speciale rapporto professionale di Galazka e Redzioch con papa Giovanni Paolo II, alla persistenza viva della cui memoria essi hanno contribuito e continuano a contribuire con foto e articoli.

    Wlodzimierz Redzioch, nato nel 1951 nella città mariana di Czestochowa, è un laureato in ingegneria. A Roma dal 1980, ha lavorato dapprima presso il Centro pellegrini polacchi, poi – dal 1981 al 2012 - presso l’Osservatore Romano. Dal 1995 collabora tra l’altro con il settimanale cattolico polacco Niedziela e con il mensile cattolico statunitense Inside the Vatican. Tra le sue opere va evidenziato il volume del 2014 “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano”, pubblicato da Ares in occasione della canonizzazione di Karol Wojtyla. Contiene 22 testimonianze, tra cui quella del Papa emerito Benedetto XVI. Redzioch è anche promotore in Polonia del pellegrinaggio a Santiago de Compostela e ha scritto diverse guide ai santuari mariani di Lourdes e Fatima. Nel 2000 ha ricevuto in Polonia il Premio Mater Verbi per la sua feconda attività di vaticanista.

    Grzegorz Galazka, nato nel 1959 a Przespolew vicino a Kalisz, è a Roma da oltre 35 anni. E’ un fotografo molto noto e il suo obiettivo ha inquadrato con professionalità indiscussa gli ultimi tre Papi. Molti i ritratti di Giovanni Paolo II raccolti in diversi volumi, corredati di testi papali e commenti storico-teologici di numerose personalità ecclesiali. Da evidenziare che una fotografia da lui scattata al Papa polacco nel 1989 è stata scelta come ritratto ufficiale sia per la beatificazione del 2010 che per la canonizzazione del 2014. Le foto di Galazka sono richieste da giornali e riviste di tutto il mondo. L’ultima sua fatica, “San Giovanni Paolo II e la sua Europa” (2018), in tre lingue, è stato inserito nelle celebrazioni del centenario della ritrovata indipendenza polacca e donato anche a tutti i parlamentari polacchi, italiani e del Parlamento europeo. Da notare ancora i ritratti che Galazka ha fatto di un gran numero di cardinali, pure raccolti in più volumi. Ha co-fondato tra l’altro il mensile cattolico statunitense Inside the Vatican.

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