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    DIFFIDENZA, SANTA INGENUITA', MENO SANTA AVIDITA'

    DIFFIDENZA, SANTA INGENUITA’, MENO SANTA AVIDITA’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 9 novembre 2013

     

    I recenti casi di malaffare in cui sono implicati esponenti di vertice di congregazioni e di ordini religiosi suscitano alcune riflessioni sul rapporto tra consacrati e denaro

     

     

    “Nei Comuni italiani del Medioevo la diffidenza verso i laici che maneggiavano denaro altrui e specialmente denaro pubblico, era tale, che usavano deputare tesoriere un frate: e a Torino si diè spesso questo incarico a un frate minore. A  Milano fu in tale favore l’ordine degli Umiliati, che il podestà e il Comune (..) li costringevano con minacce di incamerarne i beni ed altre peggiori, a far da massaio, da pedaggiere  alle porte della città, a pesare e misurar le biade ed altri simili uffizi, nei quali si richiedeva specchiatissima fede”. Così scriveva nel 1839 nel suo volume “Della economia politica del Medioevo” il nobile piemontese Luigi Cibrario, storico e ministro delle finanze con D’Azeglio, dell’Istruzione pubblica e degli Esteri con Cavour.

    Da quanto citato, si arguisce che un tempo la fama di onestà dei religiosi – in una società connotata dalla corruzione di molti laici addetti ai tributi - era tanto consolidata che le autorità civili arrivavano a chieder loro talvolta di assumersi la funzione di gabellieri. Oggi temiamo che non sia più così. Non perché la corruzione ‘laica’ sia scomparsa: purtroppo è un fenomeno incancrenito, sempre in auge, come ha ribadito ieri con parole forti e incisive papa Francesco, definendo “sporco” il pane portato a casa dai corrotti. Il fatto è che anche tra i religiosi (e tra gli ecclesiastici) la piaga non è sconosciuta. Di casi tristi ce ne sono stati diversi nei tempi moderni, di ‘furbetti’ a livello individuale non si è mai avuta carenza: però i ‘casi’ di questi ultimi anni appaiono di una gravità certa e sostanzialmente nuova , dato che coinvolgono negativamente i vertici stessi di alcuni ordini e congregazioni. Basti pensare a quanto successo con la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione (proprietari tra l’altro dell’Idi, Istituto dermopatico italiano, di Roma) o – la notizia è recentissima – a vari maneggi (secondo le indagini della Guardia di Finanza, alcuni da romanzo poliziesco) registrati al vertice di un ordine come quello dei “Ministri degli infermi” (i Camilliani), fondato a fine Cinquecento da san Camillo de Lellis. In ambo i casi si tratta di religiosi coinvolti per carisma nella creazione e gestione di cliniche e ospedali, generalmente appetiti da faccendieri di ogni ordine e grado.

    Tali gesta poco onorevoli gettano un’ombra lunga nell’opinione pubblica sulla credibilità dell’intero mondo religioso quando è confrontato con il problema della gestione amministrativa dei suoi enti. E le conseguenze possono essere concretamente molto dolorose non solo per le congregazioni e gli ordini implicati nei fattacci.

     

    DIFFIDENZA NATIVA VERSO IL DENARO E CONSEGUENTE IGNORANZA DELLE SUE DINAMICHE

     

    Da una parte, in genere, i religiosi sono sempre stati diffidenti verso il denaro, considerato a suo tempo come una sorta di ‘sterco del demonio’. Del resto anche papa Francesco sembra avere un atteggiamento molto critico già a livello fondamentale verso uno strumento di servizio che troppo spesso diventa il tuo padrone. Jorge Mario Bergoglio è un gesuita, sudamericano: in quanto tale diffida in modo particolare del sistema che si regge sostanzialmente sul denaro, cioè il capitalismo, ed è estraneo conseguentemente alle dottrine liberistiche ed al gioco della grande finanza. Per lui, che è cresciuto in un periodo in cui l’Argentina delirava per il peronismo (una sorta di destra sociale spinta con venature dittatoriali e soprattutto populiste), meglio lo Stato indebitato fino al collo, ma garante di un tenore di vita perlomeno modesto per tutti, che uno Stato attento all’equilibrio dei conti (il che può comportare molte conseguenze positive sul progresso di diversi settori della comunità), ma un po’ (tanto) trascurato nel perseguire la giustizia sociale.

    Questa diffidenza nativa verso il denaro faceva sì che pochi religiosi conoscessero l’abc dell’economia e il ruolo di economo – sentito come una sorta di punizione - fosse affidato in non pochi casi a chi era bravo nel calcolo mentale (ma non nel resto della matematica). Nei anni Ottanta e Novanta, essendosi accresciuta a dismisura la burocrazia amministrativa accompagnata dal sorgere di problematiche nuove e delicate, si è pensato giustamente a incontri e corsi di formazione per economi religiosi. Con il che la situazione è in qualche caso migliorata. Contemporaneamente però, ordini e congregazioni (soprattutto quelli ‘storici’) hanno visto decrescere in misura drammatica le vocazioni. Ed è a quel punto che in campo amministrativo sono subentrati dei laici, in gran parte nei primi anni volontari e spesso anche loro non ferratissimi in materia. Il fatto è che ordini e congregazioni, possedendo grandi proprietà immobiliari, sono stati e sono oggetto delle attenzioni di una miriade di aspiranti consulenti, spesso preoccupati più di spolpare il nuovo cliente che di assisterlo per il suo bene e per la gloria di Dio. A quest'ultimo tipo di consulenti è stato ed è non di rado facile ammaliare con promesse mirabolanti ma suggestive (normalmente umanitarie, del tipo “Così potrete aiutare meglio le missioni”, ecc…) religiosi e religiose per natura tanto diffidenti verso il denaro quanto sprovveduti nel valutare le proposte. Santa ingenuità. 

    In qualche caso i religiosi stessi si sono fatti ‘furbetti’, favoriti anche da una mancanza di trasparenza nella contabilità, un’opacità amministrativa complice naturale di giochi e giochini in materia di patrimoni. ‘Furbetti’ e anche più, perché l’appetito vien mangiando e l’avidità è una padrona che continua a chiedere,  considerato ad esempio quello che è accaduto negli esempi citati dei concezionisti e (a quanto risulta dalle indagini della Guardia di Finanza) dei camilliani.

    Come si diceva, notizie del genere oscurano nell’opinione pubblica il grande e positivo servizio sociale che tanti religiosi e religiose rendono alla società in cui vivono. C’è solo da sperare che non lo oscurino in modo da renderlo sempre più difficile (un paradosso in momenti di crisi economica e sociale come i nostri) per mancanza di mezzi, derivata dal decrescere della fiducia di tanti cittadini, cattolici o non cattolici, nella capacità e nell’onestà amministrativa di ordini e congregazioni.

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