SVIZZERA/ VOTO SU ‘NORMA ANTI-OMOFOBIA’: NO A CENSURA OPINIONI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 9 gennaio 2020
Il prossimo 9 febbraio il popolo svizzero si pronuncerà sull’estensione dell’articolo 261 bis del codice penale relativo alle discriminazioni razziali, etniche, religiose alle discriminazioni fondate sull’ “orientamento sessuale”. Una modifica inutile e anche potenzialmente pericolosa per la libertà di espressione? Chi fissa il limite oltre il quale tale libertà diventa istigazione all’odio o alla discriminazione?
Quattro volte l’anno di regola gli elettori svizzeri sono chiamati a decidere su questo o quest’altro oggetto, di varia natura. Il prossimo appuntamento sarà domenica 9 febbraio (anche se per molti la decisione cadrà prima, considerato ormai come il voto per corrispondenza abbia largamente superato quello che prevede di infilare personalmente la scheda nell’urna). Due gli oggetti posti all’attenzione dei cittadini a livello nazionale: il primo riguarda l’iniziativa popolare “Più abitazioni a prezzi accessibili”, il secondo la modifica del codice penale (e analogamente di quello penale militare) che postula l’inserimento nell’articolo anti-discriminazioni razziali, etniche, religiose 261 bis dell’ “incitamento all’odio e alla discriminazione basati sull’orientamento sessuale”.
Cerchiamo di approfondire quest’ultimo oggetto. E lo facciamo in primo luogo con uno spirito liberale, non necessariamente da cattolici.
L’ANTEFATTO
Nel 2013 il consigliere nazionale (deputato) Mathias Reynard (socialista del canton Vallese) ha inoltrato un’iniziativa parlamentare per modificare l’art.261 bis del Codice penale svizzero, nel senso di integrare tra gli atti di discriminazione punibili quelli basati sull’ “orientamento sessuale”.
Ne è derivato un processo parlamentare assai contrastato. Tra l’altro al Consiglio nazionale (Camera dei Deputati) che voleva includere nella modifica anche le discriminazioni contro l’ “identità di genere” si è contrapposto il Consiglio degli Stati (Senato) che ha rifiutato tale ulteriore allargamento, condividendo la posizione del Consiglio federale (Governo). Il 3 dicembre 2018 il Consiglio nazionale si è allineato a quello degli Stati e undici giorni dopo la modifica dell’articolo 261 bis (con l’ “orientamento sessuale” e senza l’ “identità di genere”) è stata approvata dai due rami del Parlamento in votazione finale: al Consiglio nazionale 121 i sì, 67 i no, 8 le astensioni; al Consiglio degli Stati 30 i sì, 12 i no, con un’astensione. A favore la sinistra (compresi gli ambientalisti), larga parte dei democristiani e una maggioranza del partito liberale-radicale. Contrari l’Unione democratica di centro (Udc) e alcuni liberali.
La decisione delle Camere è stata contestata da un referendum lanciato dall’Unione democratica federale (un piccolo partito conservatore evangelico) e dai giovani dell’Udc: in tempo utile sono state raccolte oltre 70mila firme (ne erano necessarie 50mila). Il 3 dicembre 2019 a Niederglatt (canton Zurigo) l’assemblea dei delegati dell’Udc (che resta di gran lunga il maggior partito svizzero anche dopo le elezioni dello scorso ottobre) ha invitato a respingere la modifica con 304 voti contro 0.
IL TESTO DELL’ARTICOLO 261 bis MODIFICATO
Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro
una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o
per il loro orientamento sessuale;
chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o
calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone;
chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;
chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie
di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o
discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia,
religione o per il loro orientamento sessuale o, per le medesime ragioni,
disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il
genocidio o altri crimini contro l’umanità;
chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro
razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio
da lui offerto e destinato al pubblico,
è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
UN’ESTENSIONE PROBLEMATICA
Il testo modificato presenta difficoltà interpretative e di applicazione non certo irrilevanti.
Come si configura precisamente l’orientamento sessuale, dizione che rispecchia la voluta fluidità della nostra società?
Come si configura precisamente l’istigazione all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone a causa del loro orientamento sessuale?
Che cosa si intende per propagare pubblicamente un’ideologia intesa a screditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone?
Che cosa si intende per discreditare o discriminare pubblicamente tale persona o un gruppo di persone mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in ogni modo comunque lesivo della dignità umana?
Che cosa si intende per rifiuto di un servizio offerto e destinato al pubblico?
Qualche esempio per essere concreti:
. sarà ancora possibile, senza rischiare un reato, dire pubblicamente che il matrimonio è solo tra uomo e donna? Che lo Stato, per interesse di sopravvivenza, deve favorire amministrativamente e fiscalmente i matrimoni tra uomo e donna, aperti alla procreazione? Che non esistono – per ragioni di natura – figli di una coppia omosessuale, ma solo figli dell’uno o dell’altro partner? Sarà ancora possibile organizzare e/o partecipare pubblicamente, senza rischiare di essere incriminati, a manifestazioni in favore della famiglia con uomo e donna? Sarà possibile ancora dissentire pubblicamente da campagne lgbt? Sarà possibile ancora – per un pasticcere – rifiutarsi di preparare una torta per unioni lgbt? Sarà ancora possibile scrivere articoli in difesa della famiglia tradizionale? O in un discorso politico o in un’omelia valorizzare tale tipo di famiglia?
Sono domande che sorgono spontanee e possono avere delle risposte puntuali, a seconda dei casi, che vanno nella direzione di un restringimento della libertà di espressione. Del resto l’ha ammesso anche il padre dell’iniziativa parlamentare che ha portato alla proposta di modificare l’art. 261 bis del Codice penale svizzero. Infatti proprio Mathias Reynard nella motivazione fornita per la sua iniziativa ha scritto tra l’altro: “Visto l'intensificarsi dell'omofobia, alcuni Paesi europei hanno deciso di adeguare la propria legislazione. Anche la Svizzera farebbe bene ad intervenire! È inaccettabile che alcune persone possano esprimersi in modo discriminante nei confronti di una comunità. La Svizzera poggia sul principio del rispetto di tutte le minoranze e questo approccio è un punto di forza del nostro Paese. Con la presente proposta desideriamo contrastare con decisione tutte le forme di discriminazione che rischiano di fomentare l'odio nella popolazione e minare la coesione sociale, senza tuttavia limitare la libertà d'espressione in modo pesante o spropositato”. Ovvero: la proposta limita la libertà d’espressione, ma non “in modo pesante o spropositato”. Che significa “pesante o spropositato”? Chi lo stabilisce?
In ogni caso esiste anche il solo rischio - però con ricadute pesanti - di una limitazione della libertà di espressione. E ciò ha un effetto deterrente su chi vorrebbe esprimere pubblicamente il proprio pensiero: Ma chi me lo fa fare di rischiare l’incriminazione? Mettere a rischio il posto di lavoro? La carriera? Meglio tacere! In tal modo il dibattito democratico su future proposte riguardanti famiglia e lgbt sarebbe gravemente falsato.
Chiediamoci poi: la legge vigente già non protegge ogni cittadino dall’ingiuria e simili? Notiamo allora che l’articolo 173 punisce la diffamazione, il 174 la calunnia, il 180 la minaccia, il 198 le molestie sessuali, il 122 le lesioni corporali. Perché appesantire e complicare il quadro normativo con una modifica oggettivamente superflua?
Inoltre: essendo la norma assai imprecisa e conseguentemente molto flessibile la sua interpretazione, da che cosa dipenderà il giudizio della magistratura? Dalla mentalità sociale dominante nel momento del giudizio? La mentalità cambia, come dimostra la storia.
Riflettiamo su quanto ha dichiarato un omosessuale dichiarato, Michel Frauchiger, che ha co-fondato il comitato “Sonderrecht Nein!” (No a un diritto d’eccezione!) e che ha rilasciato in materia un’intervista a www.swissinfo.ch. “Il diritto penale non è uno strumento di governo socio-politico. Come omosessuale, mi impegno con convinzione per lottare contro l'attuale estensione della norma penale antirazzismo. È importante per me sottolineare in tutta chiarezza che una protezione specifica dal profilo legale degli omosessuali e dei bisessuali è diametralmente opposta alla parità di diritti”.
Ancora: “Mi batto per l'accettazione e la normalizzazione della mia sessualità. Normalizzazione per me significa anche non richiedere diritti speciali. Una protezione speciale stigmatizzerebbe gli LGBTI, presentandoli come deboli. Ma non siamo deboli. Non abbiamo bisogno di ottenere una protezione speciale dallo Stato. Sperimento molte volte più ostilità a causa della mia funzione di politico dell'UDC che di omosessuale. Gli svizzeri non sono una nazione di "omofobi", la stragrande maggioranza di loro ha un atteggiamento positivo nei nostri confronti. Naturalmente, ogni singola esclusione, ogni singolo attacco deve essere combattuto. È sempre uno di troppo”.
Infine: “Ogni tipo di attacco violento e di incitamento alla violenza è da tempo punibile. Il nostro diritto penale offre strumenti sufficienti per difendersi da reati contro l’onore, diffamazione, calunnia, insulto o minaccia”.
Erano queste alcune considerazioni sul voto federale del 9 febbraio in materia di “istigazione all’odio e discriminazione basati sull’orientamento sessuale”. Una proposta imprecisa nelle definizioni, prevedibilmente confusa nell’applicazione (qualora fosse approvata), fortemente rischiosa per la libertà d’espressione: il nostro NO è da spirito liberale. C’è materia per riflettere. Per tutti, proprio per tutti (compreso il mondo cattolico svizzero, molto diviso, come dimostra la pilatesca non-presa di posizione della Conferenza episcopale svizzera…. Solo il vescovo ausiliare di Coira Marian Eleganti si è schierato pubblicamente contro la norma… ma presumiamo che ce ne sia qualche altro che tace per non avere grane, vero, care eccellenze?).
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