DROGA: UN NO SENZA AMBIGUITA’ PER UN SI’ ALLA VITA - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 4 ottobre 2017
Siamo nel pieno della II edizione della ‘Settimana della famiglia’, promossa dal Vicariato di Roma insieme con il Forum delle associazioni familiari del Lazio. A seguire qualche riflessione che prende spunto dall’ incontro sul ‘ruolo della famiglia nella prevenzione dell’uso di droghe’, svoltosi lunedì 2 ottobre e animato da relazioni di spessore, univoche nella trasmissione di un messaggio chiaro: Si alla vita e dunque nessuna banalizzazione di un fenomeno così devastante per la persona e per chi le sta vicino. Grande convergenza culturale tra i relatori, provenienti da ambienti professionali disparati.
Ecco un fatto drammatico che ognuno può constatare con facilità nella vita quotidiana: la disapprovazione sociale per l’uso della droga (almeno per un certo tipo di droga, a torto considerata “leggera”, ma pure per la cocaina) è da qualche anno in diminuzione costante. Anche tra non pochi adulti è frequente sentire annotazioni come “Fa più male una sigaretta di una canna”, “La droga fa male quando è tagliata male” , “Ma… fumare uno spinello è normale”. Sono ‘leggende metropolitane’, un bla-bla frutto di superficialità e ignoranza. La droga fa male. Tutti i tipi di droga fanno male, sia la droga cosiddetta ‘leggera’ che quella cosiddetta ‘pesante’, sia le nuove sostanze psicoattive che la spice, presentata come una ‘miscela di erba’, ma in realtà una sostanza chimica di alta pericolosità. Occorre far fronte comune – famiglia, scuola, istituzioni statali, sanità, Chiesa, media - al fine di rafforzare con argomenti incisivi, suffragati da dati inoppugnabili, quella disapprovazione sociale che accresca specie nei giovani il rifiuto dell’auto-distruzione derivata dall’uso della droga, motivandoli nel contempo a condurre una ‘vita buona’.
Per la Chiesa si tratta di non deflettere da una linea di condotta consolidata, quella avvalorata dai tanti sacerdoti che hanno fondato comunità di recupero e confermata da papa Bergoglio che in materia ha seguito con coerenza le orme dei predecessori. Ad esempio il 7 maggio 2014, al termine dell’udienza generale Francesco si unì “ai familiari dei ragazzi di san Patrignano nel dire no ad ogni tipo di droga. E questo, forse farà bene che lo dicano tutti, semplicemente: no ad ogni tipo di droga!”, Il 20 giugno successivo il Papa così incominciò il suo discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale contro la droga: “Il flagello della droga continua ad imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Di fronte a tale fenomeno, sento il bisogno di manifestare il mio dolore e la mia preoccupazione. Vorrei dire con molta chiarezza: la droga non si vince con la droga! La droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi”. E alla casina Pio IV nei Giardini vaticani così parlò il pontefice argentino il 24 novembre 2016 ai membri dell’Accademia delle Scienze: “La droga è una ferita nella nostra società, che intrappola molte persone nelle sue reti. Sono vittime che hanno perso la loro libertà per cadere in questa schiavitù; schiavitù da una dipendenza che potremmo chiamare “chimica”. È indubbio che si tratta di ‘nuova forma di schiavitù’ come molte altre che flagellano l’uomo di oggi e la società in generale. E non meraviglia che ci sia tanta gente che cade nella dipendenza dalla droga, perché la mondanità ci offre un ampio ventaglio di possibilità per raggiungere una felicità effimera, che alla fine diventa veleno, che corrode, corrompe e uccide. La persona pian piano si distrugge e insieme a lei distrugge tutti quelli che la circondano. Il desiderio iniziale di fuga, alla ricerca di una felicità momentanea, si trasforma nella devastazione della persona nella sua integrità, con ripercussioni su tutte le fasce sociali”.
Di pensieri analoghi ce ne sono venuti tanti, spontanei, ascoltando i relatori dell’incontro sul ruolo della famiglia nella prevenzione dell’uso di droghe, svoltosi lunedì 2 ottobre (festa degli Angeli Custodi… e in effetti l’accostamento calza) nell’ambito della II edizione della ‘Settimana della famiglia’, un ciclo di manifestazioni promosse dal Vicariato di Roma in collaborazione con il Forum delle associazioni familiari del Lazio L’incontro di lunedì si è svolto in sede istituzionale ed è stato aperto da Paolo Aquilanti, segretario generale della presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha portato il saluto di Paolo Gentiloni e Maria Elena Boschi. Saluto rallegrante di certo, ma rallegrante anche la presenza, come ascoltatori attenti, delle alunne e degli alunni della prima A e della seconda A del Liceo classico Giulio Cesare di Roma, accompagnati dalla preside, dalla vicepreside e da alcuni docenti. In realtà sono stati i giovani i protagonisti della mattinata, considerato come le relazioni – esemplari per chiarezza – fossero in fondo destinate a loro ancor prima che alle altre, pur importanti, componenti della società.
IL PROBLEMA DROGA RIGUARDA L’INTERA SOCIETA’: LE DROGHE VENGONO ASSUNTE DAI SINGOLI, MA SONO LE FAMIGLIE A DOVER GESTIRE LA SITUAZIONE. NON LASCIAMOLE SOLE
E’ stato monsignor Andrea Manto, incaricato per la pastorale familiare del Vicariato di Roma e anche medico, a tenere i fili dell’incontro (organizzato insieme con Palazzo Chigi, Dipartimento delle politiche antidroga) , moderando non banalmente i lavori e, nella conclusione, evidenziandone tre aspetti fondamentali. Il primo: come ha ricordato papa Francesco (evocando un proverbio africano) “per educare un ragazzo ci vuole un villaggio”… e dunque il NOI prevale sull’IO. Il secondo: non si può essere ambigui sul tema della droga, poiché “tutto ciò incide sul nostro cervello che viene devastato dall’utilizzo delle sostanze stupefacenti. Occorrono perciò NO chiari per aiutare tutti a crescere”. Il terzo: “Non possiamo lasciare sole le persone, le famiglie, la scuola. Il problema riguarda l’intera società. Guai a un adulto che non si rende conto del suo dovere verso le nuove generazioni: ogni cattivo esempio è un danno anche per il futuro della comunità. E dire NO alla droga significa dire SI alla vita”.
Non ci è dato qui di fare la cronaca dettagliata di un incontro tanto ricco di stimoli. Ci permettiamo però di piluccare dalle relazioni qualche acino particolarmente succoso, che può servire a inquadrare meglio la problematica generale. Non senza evidenziare che tra i relatori - che rappresentavano gli ambiti professionali più diversi - si è registrata una convergenza chiarissima sulla necessità di contrastare con forza e speranza la 'cultura' anti-proibizionista, fallimentare e all'origine di innumerevoli guasti sociali.
Dei dati raccolti anche recentemente e rintracciabili nella ‘Relazione annuale al Parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia’ (vedi il documento integrale su www.politicheantidroga.gov.it ) ha parlato Maria Contento, che dirige il Dipartimento politiche antidroga presso la Presidenza del Consiglio. La relatrice ha esordito con una riflessione importante: “Le droghe vengono assunte dai singoli. Però sono le famiglie a dover gestire la situazione”. Un esempio per le cifre, impressionante pur se – ahimè – non così sorprendente: dall’ultima indagine risulta che il 33% degli studenti tra i 15 e i 19 anni (circa 800mila unità) ha provato almeno una sostanza illegale (il 26% nel 2016): la più utilizzata è la cannabis (32%), seguita dalla spice (micidiale cannabis sintetica, 11%), dalle Nuove sostanze psicoattive (NSP, 3,5%), da cocaina ed eroina. Per quanto riguarda i sessi, consumano un maschio su quattro, una femmina su cinque (percentuale quest’ultima in costante aumento).
CALA LA DISAPPROVAZIONE SOCIALE? AUMENTA IL CONSUMO. INVERTIAMO LA ROTTA.
Sulla collaborazione con le scuole nella prevenzione si è espresso Giuseppe Cucchiara, direttore centrale per i Servizi antidroga del Ministero dell’Interno: “Obiettivo primario è quello di offrire ai ragazzi e ai loro insegnanti un’informazione corretta ed autorevole sulla pericolosità delle sostanze stupefacenti – tutte, nessuna esclusa – e sulle conseguenze di carattere sanitario, giuridico e sociale riconducibili al loro utilizzo”. Il relatore ha messo in guardia dal considerare “normale” l’uso della cannabis, “comportamento questo ormai percepito dai ragazzi come un fatto – sì trasgressivo – ma acquisito”. Proprio “secondo norma, come vorrebbero far credere loro in tanti, da certi politici a qualche cantante, da taluni scrittori a molti opinion leader, tutti in cerca di un consenso da ottenere sulla pelle dei ragazzi, non sempre sufficientemente attrezzati per cogliere nelle canzoni, nei proclami, nei messaggi dei media l’interesse ulteriore di coloro che banalizzano l’uso di questa droga”. La conseguenza è evidente: “Come sempre accade laddove calano la percezione del rischio legato all’uso di una sostanza e la sua disapprovazione sociale (che, in ogni società, spingono verso il basso gli indici di consumo), anche da noi – da qualche anno – l’uso della cannabis (soprattutto tra i giovani) ha ripreso a salire”. Dall’esperienza fatta con i ragazzi delle scuole, Giuseppe Cucchiara ha anche tratto alcune conclusioni (suggerite dai ragazzi stessi) sulle cause che portano al consumo di droga: “l’essere accettati dal gruppo dei pari o dei più grandi, l’evadere dai problemi familiari (genitori assenti/distratti), il provare nuove sensazioni, il superare o sopportare un dolore (ad esempio un lutto)”. Naturalmente si rivelano essere fattori invece protettivi “una famiglia presente ed ‘attenta’, amici con cui divertirsi in maniera sana, passioni, sport e hobbies in cui investire il proprio tempo, ragionare con la propria testa, avere coscienza delle conseguenze psicofisiche negative”
Ai ragazzi del Giulio Cesare in sala si è rivolto Piero Damosso (caporedattore del TG 1), invitandoli ad avere “il coraggio di testimoniare che prendere la droga è sbagliato” e ricordando che il tema non coinvolge solo le ‘periferie’, ma anche le zone centrali delle città, laddove scorrono “tanto denaro e tanta cocaina”. Contro il “benaltrismo” (“Ci sono tante altre cose importanti da fare….”) si è scagliato Mario Rusconi (presidente dell’Associazione nazionale presidi Lazio): si deve operare con un’alleanza forte tra scuola, famiglia e istituzioni. Per il relatore purtroppo oggi la scuola vive un periodo di “appannamento nella funzione valoriale, professionale, conoscitiva”. Non c’è da meravigliarsi, poiché la scuola opera dentro una società che “propone una forte deresponsabilizzazione delle famiglie” ed è caratterizzata dall’invasione dei social (i quali, se non padroneggiati a dovere, “favoriscono l’individualismo sfrenato), dal giovanilismo, dal sensazionalismo mediatico che si alimenta con le cattive notizie. Necessario quindi un cambio di rotta: rafforzare la corresponsabilità tra scuola, famiglia, istituzioni (che devono essere coerenti nel loro operare), valorizzare i docenti, “recuperare il valore civile delle regole”, conciliare “modernità e tradizione”, rendere l’ambiente scolastico “gradevole e sicuro”.
Del ruolo del pediatra di famiglia nella prevenzione delle tossicodipendenze ha parlato Giampiero Chiamenti (presidente dell’associazione nazionale di categoria), mentre Roberta Pacifici (direttore Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore della Sanità) ha offerto alcune considerazioni – tutte ben documentate – anche su altre dipendenze diffuse nella società: dall’alcol e/o dalla nicotina (il grave problema del fumo persiste, aggiungiamo noi, a dispetto delle campagne condotte negli ultimi anni e regolarmente, scandalosamente ignorate sugli schermi cinematografici e televisivi… pensate alla fiction in cui si vede un ispettore di polizia ‘rilassarsi’ con un paio di spinelli…). Preoccupante. per quanto riguarda le droghe, il diffondersi dell’acquisto di prodotti via internet; nella relazione anche i temi – di indubbia gravità – del doping e della dipendenza da gioco d’azzardo (il 30% dei clienti giovanissimi gioca settimanalmente più di 50 euro!).
OGNI EURO INVESTITO NELLA PREVENZIONE NE FA RISPARMIARE 10 DI COSTI SOCIALI
L’Università Cattolica del Sacro Cuore era presente con Sabina Strano Rossi (responsabile del Laboratorio di tossicologia forense), che ha illustrato come agiscono le sostanze psicotrope sui neurotrasmettitori. E’ certo ad esempio che la cannabis produce effetti deleteri sulla corteccia cerebrale, mentre dirompenti sono le conseguenze dell’assunzione delle ‘nuove droghe’ (più di 250 tra il 2006 e il 2012, oltre 450 fino al 2014, oltre 650 a oggi). Riferendosi agli incidenti stradali, Sabina Strano Rossi ha riferito che circa un terzo dei conducenti coinvolti sono sotto l’effetto di droghe (e oltre il 60% per quanto concerne gli incidenti mortali). Per la presidente del Movimento italiano genitori (Moige) Mariarita Munizzi i genitori “hanno un tempo di 10-12 anni per incidere, per lasciare un segno nei loro figli”. Non di più. Si accresce allora la responsabilità delle istituzioni nel contrasto delle dipendenze. Tutti possono constatare come le norme vigenti vengano violate, con la vendita purtroppo ricorrente di alcol e sigarette ai minori, per non parlare del gioco d’azzardo. Raniero Guerra (Ministero della Salute, direttore generale della prevenzione sanitaria) ha evidenziato poi come una corretta informazione sanitaria sia ineludibile come prima forma di prevenzione, mentre una sintesi molto incisiva delle relazioni è stata fatta da Elisabetta Simeoni, dirigente del Dipartimento delle politiche antidroga (che ha tra l’altro rilevato come ogni euro investito nella prevenzione delle tossicodipendenze ne fa risparmiare 10 di costi sociali).
Penserà chi ci legge: si è piluccato solo qualche acino, ma si sono forniti in ogni caso tanti stimoli per ulteriori riflessioni più approfondite su un tema tanto complesso quanto incidente sul futuro della società, perché riguarda direttamente la persona umana.
Concludiamo allora con un ultimo spunto offertoci da monsignor Manto, che ha annotato come in questa nostra società si ponga grande enfasi sul concetto, spesso distorto, di libertà individuale. Ma - ha evidenziato - "se non abbiamo valori di riferimento, quanto più ci sentiamo liberi, tanto più ci facciamo schiavi”. Insomma: chi ha un’identità debole, è più facilmente manipolabile, a grande beneficio di chi mira al guadagno, economico e/o ideologico che sia. Fantasie… dirà qualcuno. Purtroppo no: realtà.
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