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    SPUNTA IL TURIFERARIO GUASTALAMESSA, CHE SI OCCUPA ANCHE DI GORIZIA...

    SPUNTA IL TURIFERARIO GUASTALAMESSA, CHE SI OCCUPA ANCHE DI GORIZIA… - di GIUSEPPE RUSCONi – www.rossoporpora.org – 13 luglio 2017

     

    Qualche riflessione sull’azione di propaganda che cerca di modificare anche con le tecniche più semplici e di per sé innocenti la mentalità dei cattolici praticanti in materia di dottrina sociale della Chiesa. Il catto-fluido ‘Avvenire’ alla cosiddetta ’avanguardia’ - non poteva essere altrimenti – pure sul caso di Staranzano, diocesi di Gorizia.

      

    Sentite un po’ questa. Domenica 9 luglio, XIV del Tempo ordinario, siamo andati come spesso capita alla Messa delle 19.00 a Sant’Ippolito a piazza Bologna. Sempre numerosi i fedeli presenti per la celebrazione eucaristica, chiara e comprensibile la liturgia della Parola, intonati e partecipati i canti, stimolanti le omelie.

    Come al solito chi giunge un po’ prima riesce a catturare il sussidio “la Domenica” (edizioni San Paolo), utile per conoscere e meditare la liturgia della parola. Il Vangelo prevedeva un passo tripartito di Matteo (lode di Gesù al Padre, rivelazione non ai sapienti ma ai piccoli, accoglienza agli oppressi). Durante l’omelia, tradizionalmente intensa, di don Filippo (sul valore della preghiera e sui suoi fraintendimenti), sentiamo uno strano profumo provenire dal piano d’appoggio dell’inginocchiatoio, dove avevamo posato ‘la Domenica: ci ricorda qualcosa… ecco il profumo un po’ aromatico di quell’infuso anche argentino chiamato mate, che qualche fa ci venne offerto una volta da Rocco Buttiglione a piazza del Gesù e oggi invece va per la maggiore a Santa Marta.

    la Domenica profuma di mate ? Come mai? Che sia stampata a Buenos Aires? La riprendiamo per indagare e, nell’ultima pagina, alla quattro, ecco che l’occhio ci cade sul titolo d’apertura: Prima la coscienza, poi le regole “, preceduto dall’occhiello “Rileggiamo l’Esortazione ‘Amoris laetitia’/8 “. Un titolo così – e ci perdoni don Filippo – ha provocato ripercussioni immediate sulla velocità di circolazione del nostro sangue e ci ha spinto a concentrarci sui quattro capoversi dello scritto.

    Nel primo viene data evidenza a un termine in voga e denso di implicazioni catastrofiche per la dottrina cattolica: il famigerato discernimento. Nel secondo capoverso si insiste ancora sulle virtù del medesimo discernimento. Nel terzo leggiamo che “la regola’ è più comoda, il discernimento più severo”. Cominciamo a chiederci in che mondo viva l’autore, a meno che non sia un turiferario in servizio permanente nel divulgare il nuovo verbo.  

    Quarto e ultimo paragrafo: è l’apoteosi del nuovo idolo, il discernimento. Scrive infatti l’autore: “Il massimo bene possibile si può realizzare solo con il discernimento. L’applicazione rigorosa della legge richiama invece il concetto del minimo male realizzabile, lo stesso atteggiamento farisaico del tipo ‘Rispetto il sabato e sono tranquillo’. Ma il Vangelo non dice così”. Notiamo en passant l’accezione spregiativa di farisaico (che sia l’antico antigiudaismo che emerge non solo nell’autore, ma – come è noto – talvolta anche nell’inquilino di Santa Marta)? E notiamo poi la spavalda sicurezza con cui l’autore conciona su ciò che è Vangelo e su ciò che non lo è.

    Siamo arrivati (ormai …addio omelia!) alla firma…qui c’era poco da stupirsi, conoscendo i precedenti. E’ quella di un giornalista del quotidiano catto-liquido, papolatrico e galantino ‘Avvenire’; non uno dei minori: Luciano Moia, colui che segue in pagina (anche da direttore del mensile allegato “Noi, famiglia&vita”) con apparente pacatezza – apparente, poiché poi irrompe tra le righe la faziosità turiferaria, come nel caso degli attacchi strafottenti al cardinal Caffarra e agli altri porporati dei ‘dubia’  - le vicende pastorali e civili legate a famiglia e vita.

    Moia è riuscito a guastarci la Messa, non solo per quanto scritto, ma anche pensando alla prevedibile confusione creata nelle menti di chi ha trovato il tempo a Sant’Ippolito e nelle chiese di tutta Italia di leggere i suoi spropositi dottrinali. Da notare lo strumento apparentemente innocente utilizzato per affossare la dottrina sociale cattolica vigente: Moia conosce certamente le collaudate tecniche di propaganda (anche nella storia d’Italia), di cui fa abile uso e che spera efficaci, utili a cambiare la mentalità dei fedeli più semplici. Tecniche che oggi sono utilizzate abitualmente e abbondantemente anche per la rivoluzione antropologica (vedi gender, vedi eutanasia).

    Non ci resta che promuoverlo nella Galleria d’onore dei Turiferari (ci sono già esemplari diversi come il Turiferario Maggiore, quella di casa, quella invece al servizio dei Palazzi, quello melmoso che si muove nel fango, quello avveniristico e rancidio, oltre ad alcuni con il grado di direttori, galantini e/o papolatri): dopo il suo exploit su ‘la Domenica’  lo chiameremo il Turiferario Guastalamessa.

     

    INTANTO A STARANZANO (DIOCESI DI GORIZIA)...

    Beninteso il Turiferario Guastalamessa non lavora solo di domenica. Tra le sue chicche più controverse un passo dell’editoriale su quel “capolavoro” (cardinal Bassetti dixit) di ‘Amoris laetitia’ , contenuto in “Noi, famiglia&vita” allegato ad ‘Avvenire’ di domenica 28 maggio 2017:

    “Quel che importa sottolineare ora è che, con Amoris laetitia, papa Francesco è tornato direttamente alla sorgente del Vaticano II, ne ha ripreso lo slancio, ha trasformato quei presupposti in nuova sfida culturale per la pastorale e per la teologia che hanno la famiglia come cuore del loro pensiero e della loro prassi. La ricerca del bene possibile, la logica dei piccoli passi, la nuova valorizzazione della coscienza informata, la pari dignità di fronte a Dio di ogni orientamento sessuale, sono alcuni tra i punti fermi di questa scelta”.

    Il Turiferario Guastalamessa è instancabile e lo ritroviamo anche su ‘Avvenire’ di mercoledì 12 luglio 2017: firma infatti un ampio servizio sul caso di Marco Di Just, capo-scout dell’Agesci di Staranzano (Friuli), che a giugno si è “sposato” civilmente e pubblicamente con il suo compagno di vita, alla presenza festante del vice-parroco don Eugenio Biasiol, la “guida spirituale” del gruppo (contrario invece il parroco don Francesco Maria Fragiacomo, che aveva chiesto a Di Just di dimettersi).

    Si attendeva la decisione in materia dell’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli. ‘Lanciata’ così nella prima pagina del quotidiano catto-fluido: “Capo scout: sono gay. Il vescovo invita a rispetto e verità”. Già eloquente, no? Ma andiamo a pagina 16, dove troviamo il titolo principale: “Il capo scout: sono gay. La comunità si interroga”. E il sommario? “L’arcivescovo di Gorizia invita al discernimento: “Diritto al rispetto, ma ricerca della verità”.

    Annota subito il Turiferario Guastalamessa: “La comunità si divide. Il clima è pesante. Ma, dopo una ventina di giorni, l’intervento dell’arcivescovo spiazza tutti”. Chissà che bomba di decisione… Il Nostro lo spiega subito: (l’arcivescovo) “rifiuta il ruolo del giudice, non assolve e non condanna. Ma invita la comunità a riflettere insieme per capire se, anche da un avvenimento così divisivo, si possono cogliere aspetti di grazia”. Per Redaelli bisogna – scrive Moia – “ascoltare lo Spirito, senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica”. Da notare la delicatezza, l’eleganza dell’espressione ricette preconfezionate.

    L’arcivescovo ha consigli anche per l’Agesciche ha la necessità di ‘proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato’. Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi “che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili” (NdR: che verecondia, che pudicizia nel linguaggio di Moia e Redaelli!).

    Conclude il Turiferario Guastalamessa: “La scelta insomma non tocca al vescovo con un intervento autoritario dall’alto (NdR: Guai anche solo prospettarlo… “Chi sono io per giudicare?”… ma.. e il munus docendi dove l’ha nascosto, eccellenza Redaelli?)”. La scelta tocca “alle stesse realtà ecclesiali operanti in ambito educativo che, lungo questo percorso di discernimento sicuramente non facile, devono ‘giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge’ “.

    Facile intuire che, con simili premesse, il capo scout resterà tale e potrà dunque proporsi come esempio di vita da seguire ai fortunati e avveniristici pargoli di Staranzano (chissà se a qualche genitore verrà l’idea di passare, per semplice coerenza cattolica, dalla catto-fluida Agesci alla cattolica Associazione Guide e Scout d’Europa?)

    Insomma Santa Marta fa scuola, non pochi vescovi italiani sbandano… non parliamo poi dell’Agesci, cui avevamo già dedicato la riflessione “Famiglia: dove vanno gli scout cattolici italiani?”, vedi www.rossoporpora.org, rubrica Italia, 31 agosto 2014.

    Il nuovo credo, diffuso con particolare solerzia dai turiferari in tonaca o in borghese, così suona ormai, per dirla con il Turiferario Guastalamessa: “Prima la coscienza, poi le regole”. Se la mia coscienza mi dice che lo posso fare, lo faccio, infischiandomene delle norme vigenti. Varrebbe la pena di provare se tale ragionamento si applichi ad esempio ad ‘Avvenire’: dopo matura riflessione la mia coscienza mi dice che per l’abbonamento annuale al quotidiano catto-fluido posso sborsare al massimo dieci euro (di cui cinque già di troppo). Domanda finale: i fautori della preminenza del discernimento mi manderanno il giornale oppure si richiameranno alle regole stabilite per negarmelo?

     

     

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