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    ALTRE NOTE SPARSE E UN BEL QUADERNO DI LIMES SUL MEDITERRANEO

    ALTRE NOTE SPARSE E UN BEL QUADERNO DI LIMES SUL MEDITERRANEO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23  luglio 2017

     

    E’ in edicola il numero 6 della rivista di geopolitica ‘Limes’, dedicato al Mediterraneo. Tante le riflessioni stimolanti sul tema migratorio nei suoi aspetti più complessi. Un progetto interessante di Renzi, caduto insieme con il referendum del 4 dicembre 2016. La Chiesa e i migranti, firmato Gianni Valente.

     

    Anche negli ultimi giorni la capacità si sopportazione dei cattolici fedeli alla dottrina sociale della Chiesa è stata messa a dura prova da episodi gravi di catto-fluidità, purtroppo assai significativi del diffondersi di tale patologia catastrofica nel corpo ecclesiale. Pensiamo ad esempio alla rivelazione che domenica 4 giugno, durante la Messa (senza Gloria, Credo, Santo!) per la chiusura dell’anno scout dell’Agesci di Staranzano (Gorizia) il capo-scout Di Just e il suo compagno di vita (reduci dai festeggiamenti per l’ ‘unione civile’ del giorno precedente) hanno ricevuto la Comunione dalle mani dell’assistente ecclesiastico don Eugenio Biasiol: presumiamo in amore e letizia.

     

    EMMA BONINO DAL PULPITO: CI MANCAVA SOLO QUESTA!

    Mercoledì 26 luglio, poi, la nota Emma Bonino parlerà nella chiesa biellese di san Defendente a Ronco di Cossato (nell’ambito di “Una chiesa a più voci”) della legge di iniziativa popolare denominata “Ero straniero – l’umanità che fa bene”, promossa dai radicali e sostenuta anche da diversi gruppi in prevalenza sinistri e catto-fluidi. Si sa che l’esponente radicale è stata onorata come una “grande italiana” da papa Francesco, lo stesso che ha definito l’aborto “un crimine orrendo”; e si sa che la Bonino non si è per nulla pentita di aver praticato migliaia di aborti e nemmeno di aver promosso in questi decenni la distruzione dei ‘valori non negoziabili’ della famiglia, della vita, dell’educazione (fautrice di divorzio e eutanasia, “matrimoni gay” e teorie del gender, liberalizzazione della droga e altro ancora). Che alla Bonino si conceda il pulpito di una chiesa per diffondere le sue idee in materia di immigrazione – anch’esse non certo in linea con la dottrina sociale della Chiesa –  suona come scandaloso. E bene fanno i cattolici della diocesi di Biella che protestano energicamente e si ritroveranno in ogni caso mercoledì 26 luglio (ore 11-17.00) davanti alla Curia per un sit-in, posto sotto il titolo “La prima accoglienza avviene nel grembo”. Vedremo se il vescovo di Biella è della stessa pasta pilatesca di quello di Gorizia (caso già rievocato di Staranzano).

     

    UN MONELLO IRREFRENABILE: PADRE ARTURO SOSA

    Una citazione doverosa anche per l’ultima monelleria di padre Arturo Sosa, un catto-fluido spensierato che presiede la Compagna di Gesù (ricordate la lunga e succosa intervista pubblicata in questo stesso sito: Gesuiti/Padre Sosa: Parole di Gesù? Da contestualizzare!, rubrica Interviste a personalità). Il simpatico venezuelano, secondo la didascalia di due foto (apparsa sul sito ufficiale della Conferenza dei provinciali gesuiti latino-americani), sarebbe stato il primo superiore gesuita a battezzarsi buddista, in occasione di un incontro interreligioso in Cambogia. A parte il fatto che non sembra proprio che il buddismo preveda il battesimo, la notizia che lo scavezzacollo erede di Sant’Ignazio si sia fatto in qualche modo anche buddista (ciò ricorda un po’ le ‘doppie tessere’ dei radicali italiani) non ha mancato di sollevare ulteriore scalpore nel mondo cattolico. 

     

    IMMIGRAZIONE: DAI ‘BRAVACCI’ di ‘AVVENIRE’ ALLA RIFLESSIONE DI ‘LIMES’

    Ma veniamo al grave problema dell’immigrazione, che è da tempo il principale cavallo di battaglia di ‘Avvenire’, ridottosi ormai sul tema a fare la ruota di scorta -nei contenuti - del Pd e – nei toni - al ruolo di bravaccio della nota Boldrini: “Questa legge s’ha da fare” ( quella dello ius soli) è lo slogan ricorrente sul quotidiano catto-fluido, con gran dispetto di molti lettori (almeno a giudicare dalle tante reazioni - come minimo robuste-  su Facebook agli editoriali in materia del direttore galantino).

    E’ da qualche settimana in edicola il quaderno numero 6/2017 dell’interessante  rivista di geopolitica Limes, di cui ci siamo occupati più volte in altre occasioni. Diretto da Lucio Caracciolo, il mensile è stavolta dedicato a un’ampia riflessione a più voci sul Mediterraneo, considerato con mare non più ‘nostro’, come “canale dei migranti, snodo commerciale, specchio della disunione europea”. Da evidenziare per cominciare l’utilissima, abbondante e illuminante cartografia che correda il numero, creazione di Laura Canali.

     

    UN EDITORIALE  EFFERVESCENTE

    Qualche (forzatamente minimo) spunto dall’editoriale, prima di passare ad alcuni contributi specifici. A proposito di Mare nostrum, l’autore segnala –non a caso – già nelle prime righe che per i turchi il Mediterranei è il Mar Bianco, per gli ebrei il Mar Grande, per gli arabi il Mare Romano. Ad attestare che il Mediterraneo è in realtà una “somma di mari, denominati e per secoli dominati dalle terre che vi si affacciano”. Di tale bacino l’Italia è “per natura perno geografico”. Eppure, se ci riferiamo all’oggi, essa “non ha colto né le opportunità della geografia né le lezioni della storia”, perché l’Italia “non si pensa e non si vuole marittima”. Ovvero “nell’ossessiva retorica europeista dell’ultimo sessantennio, che ci impone di restare aggrappati alle Alpi per non precipitare in Africa, neghiamo l’utilità stessa della nostra centralità mediterranea, percepita anzi come fattore di vulnerabilità alle migrazioni irregolari”. Invece, osserva l’editorialista, “l’Italia conta in Europa se vi porta in dote la sua area di responsabilità mediterranea, contribuendo alla stabilizzazione e allo sviluppo dei Balcani adriatici e del Nordafrica”. All’Italia spetta dunque di “organizzare quegli spazi mediterranei, marittimi e terrestri, nei quali aveva coltivato un’influenza che sta disperdendo quando non contribuendo a disgregare – dalla guerra alla Serbia (1999) a quella di Libia (2011) – con cieca acribia”.

    Nel quaderno i contributi sono divisi in tre parti, poste sotto i titoli “Canale dei migranti”, “Nel mare non più nostro”, “Mediterranei altrui” (da notare qui i molteplici appetiti che il Mediterraneo risveglia, in prima linea quelli cinesi).

     

    ADSTANS: ANCHE L’ITALIA HA LE SUE COLPE. E LE ONG…

    La prima parte, sulla quale ci concentreremo, si apre con una stimolante riflessione di Adstans, che subito si chiede che cosa stia rendendo sempre più attraente la migrazione via mare verso l’Italia, una migrazione che “presto potrebbe non essere più sostenibile dal Belpaese, né economicamente né politicamente né socialmente”. Siamo ormai in una fase di organizzazione del traffico migratorio “su scala industriale”: “Si opera con il bel tempo e una volta al largo i migranti devono solo farsi coraggio e attendere di essere soccorsi. Strana definizione di soccorso, per un recupero in favore di chi si è messo intenzionalmente a galleggiare su un gommone. Ma l’interpretazione del diritto può anche operare la trasformazione di un rifugiato (?) in naufrago. Anche se non sono esattamente la stessa cosa”.

    Certo nell’attuale caos migratorio l’Italia “ci ha messo del suo”. Ad esempio “non ha saputo o voluto capire quali erano i propri interessi al momento dell’intervento in Libia nel 2011”, Poi “si è lasciata sostanzialmente a se stessa la gestione dell’accoglienza” e a livello internazionale “l’Italia è rimasta alla mercé delle politiche di altri Stati che avevano più chiari i loro obiettivi”. Si è investito “sulle attività che davano maggior lustro e cioè proprio il soccorso ai migranti. Ma creando così un involontario effetto discorsivo che ha – di fatto se non nelle intenzioni – incentivato i viaggi migratori”.

    Come mai – si chiede Adstans – “sono le navi italiane a operare pressoché in tutte le aree di soccorso Sar (Search and Rescue)e non solo in quelle di propria competenza? Come mai sono i porti italiani ad accogliere sempre i migranti soccorsi? Dovrebbe valere il principio di porto sicuro più vicino”. Se in una prima fase i barconi dei migranti si spingevano fin sotto Lampedusa, “oggi la norma è che le autorità italiane vadano a recuperare i gommoni grigi carichi di profughi quasi appena fuori le acque libiche”. Senza contare che “alle operazioni partecipano ormai anche volontari, in genere organizzazioni non governative, non italiane, che però affidano ai porti italiani “ i migranti salvati. Nota qui Adstans: “Grande efficienza da parte di piccole organizzazioni, che ha originato qualche sospetto da parte di polizia straniere e di qualche magistrato. Sospetti di accordi, se non di condivisione di interessi, con i trafficanti”.

     

    L'ITALIA STATO CUSCINETTO - UN PROGETTO INTERESSANTE DI RENZI CADUTO CON LA SCONFITTA REFERENDARIA

     

    Molto interessante il contributo di Nancy Porsia sull’ “industria libica delle migrazioni”: “Dal 2011 la Libia è terra franca per trafficanti che hanno sostituito i passeurs tradizionali, organizzando il business migratorio insieme con le mafie regionali”. Altrettanto interessante quello di Luca Raineri sul fatto che “pur di sbarrare la strada a chi fugge dall’Africa, i governi europei sono pronti a coprire ogni corruzione e a promuovere i dittatori”, come nel Niger.

    In “Se l’Italia diventa Stato cuscinetto”, Ferruccio Pastore ricorda che “dopo la quasi totale chiusura della rotta balcanica, il nostro Paese è diventato obiettivo di gran parte dei migranti che traversano il Canale di Sicilia”. Nota Pastore che, se nel 2014, le prime due nazionalità dichiarate erano la siriana e l’eritrea (“provenienze per cui è molto alto il tasso di riconoscimento della protezione internazionale”), nei primi mesi del 2017 troviamo in testa Nigeria, Bangladesh e Guinea (paesi per cui è rara la concessione del’asilo). Ancora: se nel 2014 le ong salvavano lo 0,87% dei migranti, nei primi mesi del 2017 hanno accresciuto la loro parte fino al 34,73% dei migranti (superando anche la percentuale legata alle attività delle forze militari o di polizia italiane). Ciò evidentemente pone qualche interrogativo.

    Se Marco Bertotto invita nel suo contributo a “Non sparare sui soccorritori”, subito dopo Piero Messina illumina “L’altra faccia dei filantropi”: “Per molti osservatori gli interventi di salvataggio in mare aperto effettuati dalle organizzazioni umanitarie sono da considerarsi alla stregua di un vero e proprio assist alle reti criminali che gestiscono i traffici di esseri umani”.

    Fabrizio Maronta si occupa invece di un’intenzione (oggettivamente più che condivisibile) non concretizzata del Governo Renzi: “A fine 2016 il governo italiano era in procinto di presentare a Bruxelles una proposta per depotenziare la rotta centrafricana, puntando sui porti della Tunisia per accogliervi i migranti. Berlino era d’accordo. Ma poi è arrivato il referendum”.

     

    CHIESA E MIGRANTI… MA LA PREDICAZIONE INCESSANTE DI FRANCESCO E DEI GALANTINI DI TURNO FATICA A ‘PASSARE’…

    Non poteva mancare, infine, un contributo su “Chiesa e migranti” ovvero “Il pragmatismo paga” (NdR: paga?). La firma è quella di un turiferario per convinzione, di famiglia a Santa Marta: Gianni Valente. Che prima dà conto festosamente dell’accoglienza ecclesiale ai migranti, evidenziando anche che “le sigle cattoliche fanno fronte comune con sigle politiche e della società civile come Radicali italiani, Arci, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione”. Poi Valente nota compiaciuto che “in tempi recenti sigle e organismi ecclesiali hanno espresso in tutte le occasioni giudizi fortemente critici” verso la politica migratoria del governo Gentiloni. Ricorda poi criticamente che “in Ungheria e in Polonia, i leader Viktor Orban e Andrzej Duda, cattolici devoti (NdR: tale è la voglia turiferaria di colpire i ‘cattolici devoti’ che l’autore non si è accorto che Orban è un protestante calvinista…), promuovono politiche di chiusura e di respingimento senza tenere in alcun conto (NdR: è questo il punto che un turiferario non riesce proprio a sopportare!) le sollecitazioni di papa Francesco e i richiami all’accoglienza degli episcopati nazionali“ (NdR: quelli ungherese e polacco?... Ma va là…).

    Valente è però poi costretto a notare che “la predicazione incessante di papa Francesco e gli interventi di matrice ecclesiale sul fronte dell’emergenza migratoria appaiono fuori linea rispetto ai timori e alle insofferenze crescenti che il fenomeno suscita in fasce sempre più ampie della popolazione italiana”. Si consola Valente che “tra le forze politiche solo esponenti della Lega (ah, cattivoni!) continuano a esprimere in forme plateali disprezzo e ostilità conclamata verso il linguaggio dell’accoglienza e dell’integrazione usato da soggetti ecclesiali”. Tuttavia è vero che in Italia “l’utilizzo dell’immigrazione nelle polemiche contro il papa e la Chiesa è monopolizzato dai settori clerico-mediatici arruolati a tempo pieno nella battaglia contro il pontificato bergogliano” (NdR: tutti arruolati, da Marcello Pera ai tanti lettori di ‘Avvenire’ che protestano ai tanti praticanti sempre più confusi e indignati…).

    Numerosi ancora sarebbero gli spunti di riflessione contenuti in questo bel quaderno di Limes. Che merita di essere letto e approfondito.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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