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    GIOCO D'AZZARDO E DROGA: PARLA GIOVANNI SERPELLONI

    GIOCO D’AZZARDO E DROGA: PARLA GIOVANNI SERPELLONI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 30 maggio 2013

     

    Tra le piaghe dell’Italia contemporanea, quelle che lacerano la carne di non pochi dei suoi abitanti, emergono il persistente e capillare uso di droga, il cappio dilagante dell’usura, l’abuso del gioco d’azzardo.

     

    Alla lotta contro le prime due abbiamo dedicato anche un capitolo del nostro libro “L’impegno”, considerato come il mondo cattolico sia giustamente e concretamente sensibile a tali temi. La terza piaga, l’abuso del gioco d’azzardo, non è però da sottovalutare (anche qui l’ “Avvenire” ad esempio è in prima linea nel cercare di gridare dai tetti l’urgenza di agire, perché si scuota la coscienza dei finti sordi – finti perché in loro prevale la brama di denaro), dato i guasti che sta provocando sia per chi ne è triste protagonista che per la sua famiglia, sia per la rete umana in cui è inserito che per lo Stato che deve curarlo nella sua malattia. Martedì 28 maggio è stata presentata a Roma la Relazione annuale dell’Osservatorio sulle tossicodipendenze di Lisbona. In tale contesto Giovanni Serpelloni, collaudato direttore del Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, ha voluto anticipare anche alcuni dati contenuti nella Relazione che sarà presentata a breve al Parlamento. Tali dati evidenziano delle relazioni pericolose tra il tossicodipendente e il malato di gioco d’azzardo: le reazioni neuro-biologiche sono analoghe.

    Come ci spiega Serpelloni, da un’inchiesta a largo raggio (coinvolte circa 40mila persone) effettuata nel 2012 e nei primi mesi del 2013 su dati incrociati tra tossicodipendenza e patologia del gioco d’azzardo, è emerso che chi diventa schiavo di quest’ultimo può cadere anche nella prima, poiché la vulnerabilità è la stessa. Studiando i meccanismi che caratterizzano la dipendenza, si può notare come essa sia connotata contemporaneamente dalla produzione di dopamina (una sostanza che tra l’altro dà piacere) e dalla riduzione dell’autocontrollo, della forza di volontà (legata alla corteccia cerebrale prefrontale). Ciò determina una vulnerabilità che è analoga tra i tossicodipendenti e i malati di gioco d’azzardo. 

    E’ evidente che qui si parla di malati di gioco d’azzardo e non si vuole criminalizzare il desiderio innato nell’uomo di affidarsi, pudicamente, talvolta anche alla Dea bendata. Non si tratta di colpevolizzare ingiustamente chi stila la schedina del Totocalcio o quella del Lotto: il malato è colui che, quando s’alza la mattina, già pensa a precipitarsi al bar o dal tabaccaio per giocare in maniera ossessiva, dando fondo ai suoi risparmi (e magari a quelli dei familiari o degli amici). Il malato, ricorda Serpelloni, è tale quando falsifica gli assegni per poter giocare, eleva il mentire a comportamento corrente, ruba in famiglia. Sono tanti i malati: più di 4 italiani su cento, un dato che non può non preoccupare fortemente e che porta al coinvolgimento forzato nella malattia di una fetta ampia di società (familiari, amici). 

    L’indagine ha coinvolto due categorie di età: quella generica dai 15 ai 64 anni e quella per gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Per ambedue i risultati parlano chiaro: più i giocatori sono schiavi del gioco, più sono predisposti al rischio tossicodipendenza. Grosso modo chi non gioca ha quattro volte meno probabilità di diventare un tossicodipendente. Qualche cifra per quanto concerne la categoria generica dai 15 ai 64 anni: chi non gioca, si droga nel 3% dei casi, mentre chi gioca da malato lo fa nel 12% dei casi. Tra gli adolescenti i numeri sono ancora più inquietanti: tra chi non gioca, l’uso di droga è al 17,5%, mentre tra chi è giocatore patologico raggiunge addirittura il 41,7% dei casi. E’ anche evidente che i giocatori patologici vanno curati, essendo in loro il divertimento diventato una malattia del cervello. E le cure sono costose, perché comprendono trattamenti adeguati.

    Concludiamo con Giovanni Serpelloni sul tema  dello ‘Stato biscazziere’. Anche il direttore del Dipartimento delle politiche antidroga lo riconosce: “Lo Stato è schizofrenico, poiché da una parte crea continui stimoli nel gioco d’azzardo per trarne un profitto economico, dall’altra però con tale comportamento rende malata una parte della popolazione già di per sé predisposta alla vulnerabilità”. Con tutte le conseguenze, pesantissime, sia sui costi della sanità che sulla stabilità del tessuto sociale. Un discorso chiaro, ma duro da far capire a quei politici che sono al soldo (nel vero senso della parola) delle varie lobby che spadroneggiano sul territorio nazionale. 

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