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    L'ACCADEMIA IMPAGLIATA: PARLA A 360 GRADI IL PRESIDENTE DELLA PAV

    L’ACCADEMIA IMPAGLIATA: PARLA A 360 GRADI IL PRESIDENTE DELLA PAV – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 19 luglio 2018

     

    Ampia intervista a tutto campo al presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Il settantatreenne prelato risponde a domande sulla recente Assemblea annuale, sul ‘rinnovamento’ dell’Accademia, sull’ attenzione alla vita nascente, alla vita del creato, al problema dei migranti. A quest’ultimo proposito anche su cattolici praticanti e “veri discepoli del Vangelo”. Nell’intervista  il caso Alfie, i voti in Irlanda e Argentina, il matrimonio come unione tra uomo e donna. 

     

    Quando lo si incontra (o risponde a domande un po’ scomode in sala stampa), è tutto un fiorire di sorrisi. Nel suo, noi che siamo maliziosi riteniamo di leggere anche un “Ma che illusioni ti fai? Guarda che non sono così fesso da farmi fregare da te…Mo’  te faccio vede…”.

    Nato in Ciociaria il giorno del Natale dell’Urbe di settantatré anni fa, si può ben definire come l’incarnazione autentica di una categoria ben precisa di prelati romani, connotati da una gradevole bonomia nei rapporti umani e nel contempo da un senso del potere ben sviluppato e concreto. Fin dai primi anni - da assistente ecclesiastico, sviluppando le sue innate doti mazzarine e tessendo così reti quirinalizie e chigiane dal cuore di Trastevere – ha accompagnato la vita operosa della Comunità di Sant’Egidio, mediatore incisivo nel dialogo ecumenico con gli ortodossi e in questioni balcaniche assai delicate; è stato vescovo di Terni-Narni-Amelia, poi presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Nella festa dell’Assunzione del 2016 è asceso a presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) e a Gran Cancelliere del “Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia”, ribattezzato in “Pontificio Istituto teologico per le scienze del matrimonio e della famiglia”. Le polemiche, spesso molto accese, gli fanno compagnia dai tempi di Terni; le più recenti riguardano il radicale rinnovamento imposto sia alla PAV che all’Istituto Giovanni Paolo II. Hanno destato clamore negli ultimi anni tra l’altro certe sue dichiarazioni molto elogiative su Marco Pannella (un bell’esempio di concretizzazione delle citate doti mazzarine del Nostro), altre reputate perlomeno audaci (foss’anche solo per il gioco dire-non dire) in materia di vita e di famiglia, alcune sue rimproverate timidezze e giustificazioni dubbiose come nel caso di Alfie Evans.

    Presumiamo che, con tanti indizi, l’identità del prelato sia ormai nota a chi ci legge: è proprio lui, è l’arcivescovo Vincenzo Paglia, una vita tra sorrisi, servizio e potere. Del che non pensiamo che il Nostro si dolga. Giusto precisare che “potere” non è di per sé una parolaccia: l’importante è che sia esercitato al servizio dell’umanità e (in questo caso) della Chiesa, perché quest’ultima sia stimolata nella concretizzazione del suo servizio di impronta evangelica (che tra l’altro comprende quel “Se sì, sì; se no, no” che oggi tanti prelati e laici ‘impegnati’ fingono di ignorare, immersi come sono fino al collo nei loro penosi compromessi quotidiani, appetiti spesso per ragioni molto mondane, come dimostra ormai quotidianamente la cronaca giustamente impietosa).

    Al presidente della Pontificia Accademia per la Vita abbiamo chiesto tempo fa – per www.rossoporpora.org e per ‘Inside the Vatican’ - un’intervista a tutto campo, partendo dal ‘rinnovamento’ operato nell’organismo. C’è poi stato il 19 giugno un pranzo di lavoro, ricco di stimoli per un’ulteriore riflessione, presso la Stampa estera. Infine, dopo un altro tira e molla, l’intervista mons. Paglia ce l’ha rilasciata, con risposte scritte. Ricevute le domande, deve avere avuto ancora qualche dubbio residuo, perché ci ha detto che a tratti l’intervista era assai impertinente (e noi: “Forse impertinente, ma nel contempo ben pertinente alla materia”). La reputata ‘impertinenza’ l’ha però spinto in qualche punto a risposte più passionali del solito. Il che giornalisticamente, ma anche per la chiarezza delle posizioni, è sempre un vantaggio per i lettori. 

    Tra i temi dell’intervista si evidenziano quelli relativi all’ultima assemblea e al ‘rinnovamento’ della PAV.  Come è noto alcuni dei membri epurati, di spessore culturale non irrilevante – guidati dal professor Josef Seifert - hanno dato vita nell’autunno scorso a una Accademia parallela, denominata Accademia Giovanni Paolo II per la vita umana (John Paul II  Academy for Human life). Una vera e propria impresa temeraria di questi tempi, che si fonda anche sulla convinzione – come ha detto lo stesso professor Seifert – che “ per poter raggiungere coloro che vivono nell’errore, noi sappiamo con ancora maggiore certezza che non dobbiamo mai fare compromessi con la verità adattando il nostro giudizio morale alle opinioni etiche dominanti oggi, se sono false”.  

    L’intervista ha però altri momenti che potranno interessare il lettore. Vi si tratta delle odierne priorità della PAV tra difesa della vita nascente, cura del creato, problema dei migranti. E a quest’ultimo proposito anche della frattura consistente tra scelte di una parte rilevante del popolo cattolico e appelli della schiera di prelati e laici catto-fluidi schierati per il business dell’accoglienza. Business, business - anche se il Nostro nella sua risposta sembra ignorare tale verità ormai lapalissiana - che non ha nulla a che vedere con una vera accoglienza umana e cristiana. Si è parlato poi del fine-vita, con una risposta di mons. Paglia (che giustifica i vescovi inglesi) sul caso Alfie Evans di per sé nella forma già molto significativa. Non potevano mancare riflessioni sul voto irlandese pro-aborto legalizzato e su quello argentino (idem, ma approvato per ora solo in una Camera). Infine ecco la domanda sul matrimonio cattolico, con una risposta dapprincipio molto chiara e definitiva e poi invece assai sfumata, diremmo pilatesca.

    Erano queste alcune nostre considerazioni sulle risposte all’intervista, non necessariamente condivisibili. Lasciamo adesso – senza ulteriori commenti - la parola a monsignor Paglia, così che ognuno possa farsi un’idea propria dei contenuti da lui  espressi, comunque meritevoli di riflessione: non è che il nostro interlocutore non sappia illustrare e difendere le proprie ragioni…

     

    L’INTERVISTA A TUTTO CAMPO A MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA

     

    Monsignor Paglia, come è stato concretizzato nei lavori dell’Assemblea annuale (svoltasi tra il 25 e il 27 giugno 2018) il tema “Nasciamo uguali. E dopo? Una responsabilità globale” ? Quali gli aspetti più trattati e quali quelli più delicati? C’è stato dibattito interno? Sono emersi aspetti controversi?

    Il tema della Global Bioethics ha anzitutto offerto una prospettiva, che si è voluta anche precisare più approfonditamente per la delicatissima fase materno-infantile: la vita umana e le questioni etiche connesse possono essere comprese e affrontate solo esaminando con attenzione anche il contesto in cui si pongono, con tutte le sue articolazioni. Si nasce in un mondo, in una cultura, dentro una trama di relazioni che segnano in modo essenziale la realtà, e la dignità, di ogni individuo. Con uno slogan, potremmo dire che l’Assemblea di quest’anno ha ricollocato il tema della vita umana all’interno della cornice disegnata dall’enciclica Laudato Si di Papa Francesco.

    La PAV è stata ‘rinnovata’: in che cosa consiste tale rinnovamento? Come si riflette sulla sua attività’? Si è concretizzato anche durante l’Assemblea?

    La prospettiva cui ho appena fatto riferimento dice bene il rinnovamento che Papa Francesco ha chiesto all’Accademia. E nella stessa logica si pongono i diversi progetti aperti su cui l’Accademia sta lavorando: la robo-etica, il gene-editing, le neuroscienze, le intelligenze artificiali, le cure palliative. La “vita” non è una realtà astratta: la vita è l’intero genere umano composto da tutti gli uomini e le donne nella loro concretezza storica.

     

    CATTOLICI E NON CATTOLICI: L’ACCADEMIA E’ PONTIFICIA E DUNQUE E’ CHIAMATA A GETTARE PONTI

     

    La PAV comprende tra i suoi membri anche non cattolici. Perché? Può ancora definirsi a giusta ragione Accademia ‘PONTIFICIA’?

    Essere cattolici significa avere a cuore il destino di tutti, nessuno escluso. Questo richiede di affrontare, essendo radicati nel Vangelo e nella tradizione ecclesiale, le grandi questioni della vita umana insieme a tutti gli uomini di buona volontà. A suo modo la Chiesa cattolica è responsabile di tutti gli uomini e, proprio perché il suo orizzonte è universale, la nostra Accademia ospita tra i suoi membri alcuni che in certo modo rappresentano i diversi “mondi” della famiglia umana. Ovviamente è saldo il pilastro della identità cattolica. Ed è Pontificia, anche perché per vocazione la Chiesa – e in particolare il Pontefice - è chiamata a “gettare ponti” con tutti. Non è a caso che in un mondo globalizzato il Papa sia il leader a cui tutti guardano. E lui, anche attraverso l’azione della Accademia, intende svolgere questa sua missione.

    I temi ’nuovi’ della PAV: è giusta l’impressione che la difesa della vita nascente e quella della vita declinante non siano più “il” ma “uno dei temi” - neppure il più importante – dell’attività dell’Accademia?

    No! Spesso i pregiudizi creano brutti scherzi. Per l’Accademia tutti i momenti della vita – nessuno escluso - sono importanti. E se proprio si deve fare una preferenza, l’attenzione deve essere più forte là dove la vita è più debole o ferita. E badi bene: se Lei vuole aiutare davvero la vita nascente e quella  declinante – non l’idea della vita, ma la vita vera – è molto più efficace difenderla sempre, accompagnarla sempre, promuoverla sempre. Ripeto, avendo maggior attenzione quando è più debole. Non possiamo dividere la vita che Dio vuole sia una e bella per tutti.

     

    NON EQUIVALENZA, MA INSCINDIBILE RELAZIONE TRA DIFESA DELLA VITA UMANA E CURA DELLA VITA DEL CREATO

     

    Difesa e promozione della vita umana: per la PAV ciò in che rapporti sta con la difesa e cura della vita della natura? Sono equivalenti?

    Ovviamente non può esserci equivalenza. E tuttavia c’è una inscindibile relazione. Per questo non si può affrontare una questione senza assumere anche l’altra. Non a caso – se si legge la Genesi – scopriamo che il Creatore ha affidato all’alleanza dell’uomo e della donna la custodia del creato e la responsabilità della generazione e delle generazioni. E’ un messaggio che va riscoperto nella sua integralità.

    Aborto, eutanasia: in questi casi si uccide consapevolmente. Che rapporto c’è con la cura della vita dei migranti? Che rapporto c’è (se c’è) tra l’uccisione di un bimbo in grembo e il naufragio di un barcone/traghetto di migranti?

    La Chiesa non è una “accademia di teorie astratte”. La Chiesa (e quindi anche la Pontificia Accademia per la Vita, con la maiuscola) ha come suprema lex – così si legge nell’ultimo canone del Codice di Diritto canonico – la salus animarum. E, come una madre, la Chiesa non può sopportare che si faccia morire un bimbo mentre è ancora nel grembo della madre, e neppure che lo si lasci morire annegato nel mare perché nessuno lo accoglie o perché non si permette che si riunisca alla mamma; e non sopporta neppure che si muoia nelle guerre, come pure non sopporta che la vita sia soppressa con la pena di morte (nessuno mai ha potere sulla vita altrui!). La domanda che Dio rivolse a Caino: “Dov’è tuo fratello?” risuona forte in questo nostro tempo. La risposta decide della umanità o meno delle nostre società.

     

    CRITICHE ALL’ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI: I CRISTIANI PRATICANTI NON SONO NECESSARIAMENTE DISCEPOLI DEL VANGELO

     

    L’opinione pubblica italiana (e non solo) – in essa anche molti cattolici – sembra non seguire, sul tema dell’immigrazione, gli appelli all’accoglienza che vengono da una parte delle gerarchie ecclesiastiche. Eppure i critici non solo si dicono cristiani, ma sono spesso anche cattolici praticanti che nel loro agire si fondano ad esempio sul catechismo della Chiesa cattolica (vedi numero 2241, accoglienza nel limite del possibile: “Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio Paese di origine…). Quella dei molti cattolici critici dell’accoglienza come intesa da una parte delle gerarchie ecclesiastiche è una constatazione che, se rallegra noi e molti fedeli lettori di www.rossoporpora.org , preoccupa Lei. O no? Monsignor Paglia, che conseguenze ne trae?

    Il Catechismo dice una cosa profondamente giusta e saggia. Il limite possibile è determinato da un lato da una precisa conoscenza della situazione (sono molte le indagini che mostrano un grave scollamento tra la percezione e la realtà del fenomeno migratorio in Italia e nel mondo) e dall’altro da una visione complessiva del mondo e delle relazioni che lo strutturano. Le radici cristiane dell’Europa, che giustamente vanno custodite, offrono esattamente tale visione fondata sulla centralità della vita umana e sulla prossimità fra le persone, con un’attenzione peculiare a chi è più povero. E comunque non basta essere o dichiararsi cristiani praticanti per essere davvero discepoli del Vangelo. E, in questi tempi difficili, i cristiani debbono offrire una testimonianza di grandezza nell’amore. Diceva monsignor Romero che il Vaticano II chiede a tutti i cristiani di oggi di essere martiri, ossia di “dare la vita per gli altri”, ad alcuni fino al sangue, a tutti comunque. Oggi ai cristiani più che essere “praticanti” è chiesto di essere martiri, appunto di “dare la propria vita per salvare quella degli altri”. Per questo Gesù non disse: “Entra perché sei stato praticante”, ma “Entra perché ero straniero e mi hai accolto”. Il resto è retorica, è politichetta, è interesse particolare. Noi, nel mondo, siamo tutti fratelli. Questa è la base. Di qui si parte per discutere.

    Lei ha più volte evidenziato che “Quando uno non è guaribile, non è mai comunque incurabile”. Ci spiega che significa concretamente con qualche esempio?

    E’ la continuazione della risposta precedente. Nessuno va mai abbandonato, anche quando la medicina non può più guarire. Sempre però bisogna prendersi cura, ossia dare la propria vita, il proprio tempo, le proprie risorse per stare accanto a chi vive momenti così difficili. In questa prospettiva le cure palliative sono oggi la più scientifica e al contempo umana attenzione alla vita di chi sta concludendo la sua stagione terrena. 

     

    CASO ALFIE EVANS: NO ALLA DERIVA IDEOLOGICA, GRANDE LA SAPIENZA DEI VESCOVI INGLESI

     

    Il caso emblematico di Alfie Evans. Per Lei è stato un omicidio?

    La domanda la rivolgo io a Lei. E Lei che ne pensa? Ha visto tutte le carte per dare un giudizio così grave? Per parte mia non posso dare questo giudizio non avendo potuto vedere tutti i documenti necessari. Senza la visione delle carte si fanno discussioni sulle idee e non sulle persone, con un grave rischio di deriva ideologica. Per parte mia ho insistito che non si rompesse il circolo di amore tra medici, genitori, infermieri e amici. Il ricorso ai tribunali non è mai un progresso. Come non è mai un progresso tagliare il rapporto con i genitori. In casi come questi è decisivo evitare in ogni modo la rottura del circolo terapeutico. Ho ritenuto importante riferirsi anche alle affermazioni dei vescovi inglesi,che sono state di grande sapienza.

     

    IL VOTO IRLANDESE SULL’ABORTO NON E’ STATO UNA SORPRESA

     

    Irlanda e voto sull’aborto: un risultato atteso? Perché’ Poteva la Chiesa irlandese fare qualcosa di più nella campagna referendaria?

    L’esito del voto irlandese si iscrive in un più vasto e ormai sedimentato movimento culturale occidentale. Purtroppo ha pesato anche la drammatica storia della pedofilia che ha lacerato la Chiesa al suo interno e creato abissi con la società. Mi permetto di dirLe che sono stato io – ero allora Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia - a proporre al Papa di tenere l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Dublino, proprio perché volevo che la presenza del Papa aiutasse la Chiesa di quella terra a riscoprire la forza della testimonianza evangelica. Un Papa mancava dall’Irlanda dal 1979. E sono certo che Papa Francesco saprà confortare ed esortare.

     

    ARGENTINA E VOTO SULL’ABORTO: PRESSIONI INTERNAZIONALI? SE CI FOSSERO STATE, “VIOLENZA INSOPPORTABILE”

     

    Argentina e primo voto sull’introduzione dell’aborto legale. Voto della Camera di strettissima misura. Secondo Lei è probabile ci sono state pressioni di organismi finanziari internazionali?

    Non ho notizie specifiche per rispondere in modo pertinente alla sua domanda. Sono però intervenuto pubblicamente sia prima che dopo il voto. Ho detto: “Come si fa ad essere lieti per una legge che accompagna il lavoro sporco della morte?” E, se è vero quel che Lei dice, si tratta di una violenza insopportabile. E purtroppo ci sono visioni socio-economiche che sviliscono la dignità delle persone, fino a reputare la vita di alcuni inutile, improduttiva. È la cultura dello scarto di cui parla spesso il Papa, che dobbiamo contrastare fortemente. In ogni caso, noi cristiani siamo chiamati a lavorare sempre per la vita. Ogni aborto è anche una tragedia per le mamme. Per questo si deve state vicino a queste donne, cercare di aiutarle, senza mai abbandonarle, sostenendole in ogni modo.

     

    LA FAMIGLIA E’ UNA SOLA, TRA UOMO E DONNA. PERO’ BISOGNA ACCOMPAGNARE ALTRE FORME DI RILEVANZA SOCIALE…

     

    Famiglia: una sola, tra uomo e donna. Il Papa l’ha ribadito e dunque il discorso dovrebbe essere chiuso. Nella Chiesa emergono però sempre più anche voci diverse, anche ad alto livello, da cui consegue una confusione non da poco in molti fedeli… Da presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia – che ha indicato anche Dublino come sede del prossimo Incontro mondiale delle famiglie – come considera tale situazione?

    Che la famiglia sia una, quella di un uomo e una donna che si uniscono per formare una famiglia era ed è sempre stato l’insegnamento della Chiesa. L’Esortazione Amoris Laetitia – frutto di due assemblee sinodali - vuole promuovere questo ideale che non ha messo in discussione. Il punto cardine attorno a cui ruota l’Esortazione Apostolica è come aiutare le famiglie – anche quelle ferite, anche quelle anche solo abbozzate – a intraprendere un cammino perché giungano sino all’ideale proposto. Papa Francesco è talmente convinto dell’ importanza cruciale delle famiglie per la vita della Chiesa e per la vita del mondo, che esorta tutti ad aiutare tutte le famiglie, anche quelle più problematiche, a crescere. Ed è ovvio che il matrimonio e la famiglia che ne consegue è quella descritta sin dalla Genesi. D’altra parte rimane la domanda su come accompagnare e prendersi cura anche delle persone per cui non è possibile stabilire i legami che sono propri di una famiglia così intesa, ma non per questo privi di una loro rilevanza sociale. Su questo c’è molto da lavorare, perché le riflessioni sagge e rispettose della realtà chiedono intelligenza, disciplina e passione. La neonata Cattedra Gaudium et Spes, sorta presso l’Istituto Giovanni Paolo II, credo possa essere un buon esempio di questo servizio caritatevole alla verità offerto al popolo di Dio.

    P.S. L’intervista a monsignor Vincenzo Paglia è pubblicata in originale italiano su www.rossoporpora.org ; in versione inglese apparirà invece sul mensile cattolico statunitense ‘Inside the Vatican’. L’intervista si può linkare, ma non riprodurre – se non per brevi citazioni - senza autorizzazione (contattare Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ).

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