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    INTERVISTA A LUIGI AMICONE

    INTERVISTA A LUIGI AMICONE - 'IL CONSULENTE RE ONLINE' DI MAGGIO 2010

     

    Domenica 16 maggio oltre centomila cattolici, appartenenti in maggioranza a movimenti ecclesiali e ‘convocati’ dalla Consulta nazionale delle aggregazioni laicali hanno voluto convenire a piazza San Pietro per manifestare la loro vicinanza a Benedetto XVI, oggetto – in particolare negli ultimi mesi – di violenti e insidiosi attacchi personali intesi a screditare il suo comportamento riguardo al doloroso scandalo della pedofilia ecclesiastica. E’ stato un momento di vera e gioiosa testimonianza che merita di non essere archiviato in fretta. Perciò abbiamo pensato di chiedere un commento a Luigi Amicone, il cinquantaquattrenne direttore del battagliero settimanale di area ciellina Tempi.

     

    Durante l’intervista nella sede milanese luminosa e colorata di Corso Sempione si sono poi introdotti altri argomenti: dalla recente ‘emancipazione’ di Tempi da Il Giornale (che Amicone ha ringraziato di nuovo per l’ospitalità offerta per tanti anni) alle caratteristiche dei lettori del settimanale, dagli anni di Amicone come inviato de Il Sabato in diversi teatri di guerra al suo incontro in età giovanile con Comunione e Liberazione. E altro ancora. Di Luigi Amicone ricordiamo anche Le avventure di un padre di famiglia (edito da Vallecchi l’anno scorso e recensito ne Il Consulente RE del giugno 2009): “Più che una famiglia siamo un ottovolante…Siamo otto. Otto tondi tondi. Va bene così? Va bene così”. Nel 1992 Amicone pubblicò su Il Sabato alcune poesie pasoliniane inedite ricevute da uno studente di Versuta, frazione di Casarsa (Pn) in cui il poeta era sfollato a causa dei bombardamenti che avevano semidistrutto il centro della stessa Casarsa.

     

    Caro direttore, incominciamo da quanto accaduto il 16 maggio a piazza San Pietro. Prima di tutto, secondo te questa testimonianza è stata superflua, opportuna o necessaria?

    Necessaria. Chi vi ha partecipato, come me, ha potuto sperimentare la gioia fisica di essere cum Petro e sub Petro. Momenti come quello del 16 maggio ci ricordano che il Cristianesimo vive nel mondo attraverso il Papa. Fuori dalla sequela petrina ci sono le fantasie, le strumentalizzazioni di chi vive nel mondo. Pietro è la garanzia di poter giungere al messaggio di Cristo…

    Cum Petro e sub Petro: su questo punto Giuliano Ferrara – intervistato da Avvenire del 18 maggio – osserva che si è trattato di “manifestare un così forte riconoscimento di autorevolezza a un padre segnalato non dalla sottomissione ma da una comunione silenziosa…

    C’è una felicità anche nel saper obbedire; se l’obbedienza è fatta di amore, si è contenti di obbedire all’amore. La vita in questo modo è anche meno complicata: i cattolici usufruiscono della semplicità di poter seguire qualcuno… è nella logica della vita umana. Lo sanno anche i nostri figli: farsi aprire la strada da qualcuno, consente di procedere più agevolmente.

    Ferrara ha anche detto di essere stato “stregato dall’idea di silenzio che il popolo cattolico ha proposto a tutti noi”…

    Il direttore de Il Foglio ha notato acutamente il silenzio e il suo carattere di positività. Non è stata una manifestazione contro qualcuno, come capita quasi sempre in Italia, ma per e con qualcuno.

    Già l’hai fatto capire, ma procediamo con ordine. La manifestazione, secondo te, è riuscita sotto il profilo del numero dei presenti?

    Non so quanti fossimo. Ho constatato che ogni metro quadrato eravamo in tanti. La Piazza era strapiena di persone. La maggior parte ha fatto il viaggio in giornata oppure è partita di notte. Che tanti abbiano fatto tale sacrificio – e tra loro i giovani erano una moltitudine – è una dimostrazione che il popolo cattolico esiste e si vuole stringere con affetto attorno al Papa.

    La manifestazione è riuscita anche nei contenuti?

     

    C’era un contenuto unico: farsi presenti al Papa in un momento in cui il rumore per fatti veri o presunti…

    Alt, quel rumore lo chiameresti anche chiacchiericcio come ha fatto, porgendo gli auguri pasquali a papa Ratzinger, il cardinale decano Angelo Sodano?

     

    Devo dire la verità: non mi dispiace la parola chiacchiericcio. In effetti i tre casi in cui è esplosa negli ultimi mesi la polemica contro il Papa per vicende americane e germaniche hanno mostrato la strumentalizzazione ad personam operata da vari massmedia: in realtà il Papa da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede si era mosso rettamente in tutti i casi, con un rigore molto maggiore di quello di una certa prassi in uso negli ambienti ecclesiastici. Per quanto riguarda le vicende irlandesi non so che cosa si potesse pretendere di più da Benedetto XVI, che ha inviato ai cattolici d’Irlanda una lettera chiarissima, drammatica nel richiamare alla penitenza e nell’evocare il giudizio di Dio e anche quello degli uomini.

    Eppure alcuni insistono…

    Questo Papa sconta un pregiudizio d’immagine fondato sul paragone con il suo predecessore. Non lo si valuta invece sul punto fondamentale, grandioso della sua catechesi: da cinque anni papa Benedetto XVI chiede l’apertura al dialogo, al confronto con le ragioni anche del mondo. Vuole giocare la partita con chi la pensa diversamente, ma fa grande fatica a trovare gli avversari, interlocutori disposti a giocare la partita… scende quasi sempre in campo da solo. I temi di confronto che papa Ratzinger propone, come quello del superamento della separazione tra fede e ragione, suscitano le reazioni indispettite di non pochi estremisti… gli viene dato subito del pastore tedesco, dell’integralista…

    Con condimento di vignette oltraggiose…

    Naturalmente… gli insulti non mancano: Paolo Flores d’Arcais, illuministi vari… attaccano a prescindere dai contenuti, attaccano sempre. Pensa alla signora di Newsweek che cura il settore religioso della rivista: “Abbiamo capito che loro non ci capiscono e noi non li capiamo”. Ecco, l’attacco è – ripeto – a prescindere. La signora di Newsweek rappresenta molto bene la mentalità laicista: prima di discutere, bisogna superare il celibato sacerdotale, la Humanae vitae, insomma bisogna aderire a una idea di Chiesa cosiddetta progressista, conciliare secondo un’interpretazione parziale. Insomma cedere su tutta la linea, rinnegando verità fondamentali della fede cattolica.

    Vuoi osservare ancora qualcosa sulla testimonianza del 16 maggio?

     

    E’ stata una testimonianza spontanea, con striscioni fatti in casa e applausi spontanei. Nessuno ha dato ordini di scuderia, la gente era lì per il Papa ed era lui che voleva. Mi è piaciuta anche la normalità della testimonianza: non c’è stata nessuna esibizione di muscoli, di mobilitazione politica da opporre alla stampa, nessun vittimismo o revanscismo. E’ stata una presenza con un valore in sé, di essere Chiesa cum Petro e sub Petro.

    Repubblica del 17 maggio ha riferito nel paginone di sinistra del successo del raduno, in quella di destra dei dati di un’indagine demoscopica da cui traspare una forte diminuzione della fiducia – ora sarebbe sotto il 50% - nella Chiesa e, ancora di più, nel Papa tra il popolo italiano, senza distinzioni politiche (con parziale eccezione del segmento udc). Che ti è venuto in mente osservando le due pagine contigue?

    Lo sappiamo che Repubblica è un’antagonista assai sistematica della presenza del cattolicesimo in Italia. Ha una visione, legittima, che rispettiamo: Repubblica vorrebbe che la Chiesa cattolica si riducesse a una delle tante chiese come quelle protestanti. La notizia che ha dato Repubblica lunedì 17 è che un suo sondaggio le dà ragione: una notizia veramente grandiosa! Eppure sappiamo che la scientificità dei sondaggi è spesso incerta, sappiamo che nell’opinione pubblica ci sono fluttuazioni – anche da un giorno all’altro – che dipendono essenzialmente dal tipo di bombardamento massmediatico ricevuto su un dato argomento. Sappiamo che dietro a giornali e tv ci sono i costruttori di opinione pubblica; ma noi non ci facciamo certo dire da Repubblica e affini, in base ai loro sondaggi, che cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, a quali criteri dobbiamo riferirci per risolvere le questioni aperte in campo cattolico. 

    Passiamo a un altro argomento, che certo ti sta pure molto a cuore. Dopo una decina di anni insieme con il Giornale, il tuo settimanale Tempi ha deciso di camminare da solo, con le proprie gambe: dal primo ottobre è in edicola in tutta Italia a due euro…

     

    Prima di tutto voglio ringraziare gli amici de il Giornale che dal 2000 ci hanno dato una gradita ospitalità, permettendoci di uscire dalla ‘fase di laboratorio artigianale’ dei primi cinque anni di vita. Per noi l’essere ospitati da un quotidiano così importante è stata una vetrina; il nostro obiettivo prioritario è sempre stato quello di far circolare idee diverse da quello del conformismo culturale dominante. Dopo dieci anni abbiamo scelto di misurarci direttamente con i lettori, di cercarli in edicola…

    In tempi di crisi editoriale come quelli che stiamo attraversando, la vostra decisione è apparsa quasi come un atto perlomeno temerario…

    E’ stata una scelta molto coraggiosa, resa però opportuna, anzi necessaria da alcuni fatti. Da una parte non sapevamo chi raggiungesse l’abbinamento gratuito con il Giornale, poi non avevamo nessun ritorno. Dovevamo preoccuparci in sostanza solo di ripianare i costi attraverso la pubblicità. Andando in edicola i costi sono restati più o meno gli stessi, dato che abbiamo dimezzato il numero delle copie, il che ha compensato l’aumento subito da altre voci di spesa; anche la pubblicità ha sostanzialmente tenuto (abbiamo perso l’anno scorso un 15%, quest’anno siamo in pareggio), al contrario di quanto accade a tanti altri editori, compresi i grandi…

    Come si spiega questa tenuta? Anche i 2 euro da sborsare per copia non sono pochi per il comune lettore…

    No, non sono pochi. Tuttavia chi lavora a Tempi è molto attaccato al prodotto, è entusiasta, è motivato, lo fa con passione. Pensa che io e Rodolfo Casadei siamo i soli oltre i cinquant’anni; tutti gli altri e le altre hanno in media trent’anni. Dove ci sono tanti giovani, la gioia dell’impegno non manca. Poi c’è soprattutto l’attaccamento degli abbonati, che registrano una percentuale di rinnovo attorno all’80%; man mano poi che ci conoscono, i nuovi lettori si affezionano anch’essi al settimanale…

    Trovate facilmente nuovi lettori?

    Non siamo un grande editore, siamo una cooperativa senza grandi mezzi; già il solo conoscerci non è facile, soprattutto in certe zone d’Italia.

    Dove si reclutano i vostri lettori?

    I filoni principali sono due. Il primo è quello della realtà dei movimenti: essendo io ‘figlio’ di don Giussani, è evidente che tanti nostri lettori vivono la quotidianità di Comunione e Liberazione. Abbiamo però anche un’altra fascia significativa di lettori nel mondo delle professioni, della piccola e media impresa, il popolo delle partite Iva… è evidente che Tempi è un settimanale radicato al Nord, particolarmente a Milano…

    Non hai mai pensato a una redazione a Roma?

    Ma no… non viviamo di politica, non viviamo di Palazzo… non ci interessa competere col chiacchiericcio su una politica in crisi profonda, una politica legata al Palazzo e alla capitale. O la politica si attrezza e prende atto con serietà della realtà sociale, economica del Paese e dell’Europa oppure si possono prevedere rischi gravi per la tenuta nazionale.

    Tempi ha una parte economica assai sviluppata…

     

    Cerchiamo in ogni numero di evidenziare esempi positivi dell’Italia che lavora, che stimola alla fiducia nell’avvenire. E mensilmente alleghiamo al settimanale anche  Più mese, l’ultimo dedicato a come potrebbe essere Milano nel 2030: “vive nel verde, facile da raggiungere e da percorrere, ricca di servizi e spazi per tutti”.

    Può darsi che nel 2030 ci reincontreremo per controllare i progressi della metropoli lombarda. Intanto ritorniamo indietro un momento: sei stato nella redazione de Il Sabato per cinque anni, dal 1988…

    Ho incominciato a collaborare nel 1980, però è solo dal 1988 che sono entrato in redazione. E mi hanno incaricato subito di frequentare posti caldi nel mondo, teatri di guerra: non c’era nessuno che se ne occupasse, dato che erano quasi tutti impegnati a scrivere di politica e di Chiesa a Roma…

    Sei stato in Irlanda, in Libano, nella ex-Jugoslavia, nei Paesi dell’Est, in Israele, in Iraq, hai intervistato Arafat a Tunisi, nei ghetti neri statunitensi, ecc…. esperienze che ti sono certo servite a maturare una mentalità diversa…

    Sì, mi sono servite a capire che il mondo è vasto, a liberarmi da una logica stretta con la capitale come ombelico…

    Ma ce l’hai proprio con Roma… guarda che hai davanti a te, oltre a tutte le considerazioni politico-religiose che si potrebbero fare, anche un ammiratore di Totti…

    (ride) Ma sì, ti si può perdonare… anzi posso aggiungere che ritengo Roma, avendoci vissuto per tre anni, come una città bellissima … ci si stava come in vacanza!

    Ah, i pregiudizi… Però è meglio fermarsi, poichè la disputa potrebbe andare avanti fino a stanotte… Insomma l’esperienza de Il Sabato fa sì che poi hai scritto sempre tenendo conto del respiro del mondo…

     

    Per fare un giornale devi sentire che quello che scrivi ha l’orizzonte del mondo, anche se ti occupi magari di argomenti locali…

    Il cattolicesimo in ogni caso richiama l’universalità…

    Nonostante, a volte, la pochezza dei suoi uomini, di Chiesa e non, il cattolicesimo dimostra di essere la realtà che nel mondo ha l’orizzonte più grande, che riesce a cavare l’umano da ogni situazione, anche la peggiore. Sono stato recentemente ad Haiti, in un Paese in cui non c’è nulla, in cui lo Stato è fallito sotto tutti i punti di vista, contro cui la natura si è accanita, in cui le infrastrutture create dall’ONU per decenni non sono che un alibi per mantenere una zattera che va alla deriva; allora lì ti rendi conto che l’unica presenza che riesca a parlare alla gente è la Chiesa. Sono arrivato ad Haiti qualche giorno dopo il terremoto dell’11 gennaio e ho visto tante persone per le strade; vagavano, andando  semmai verso le chiese e le scuole rette dai missionari.

    Il tuo settimanale dà spesso letture controcorrente anche in politica estera, ultimamente su quanto accaduto in Honduras, Paese per il quale molti hanno parlato – abbeverandosi alla fonte politicamente corretta delle grandi agenzie internazionali - di un golpe contro il presidente Zelaya in realtà inesistente. Nella tua esperienza a Il Sabato da frequentatore dei teatri di guerra quale ricordi con particolare intensità?

    In Irlanda del Nord mi resi conto che la realtà non era quella veicolata dai massmedia di tutto il mondo. Nei miei pezzi scrivevo che la violenza era originata da un’ideologia che non aveva nulla a che vedere con le vere aspirazioni del popolo; rilevavo che la pace era un auspicio generale sia tra il popolo cattolico che tra quello protestante. La guerra tra cattolici e protestanti era un gioco politico-ideologico (ammantato di religioso) gestito dai notabili interessati a continuare a dominare il Paese, cavandone vantaggi politici ed economici.

    In Libano hai intervistato anche un personaggio oggi molto controverso come il generale maronita Michel Aoun, primo ministro di un governo militare tra il 1988 e il 1990…

    Ho intervistato il generale Aoun proprio prima della sua caduta ad opera della Siria, con la quale invece oggi è alleato insieme con Hezbollah… Veramente inspiegabile, inconcepibile l’alleanza con quelli che avevano fucilato tutti i suoi collaboratori. In Libano ho visto la divisione dei cristiani; il Libano ci insegna che, quando ci si divide, si rischia di perdere tutto.

    Mi ha sempre incuriosito il logo di Tempi, una penna che addenta uno squalo…

     … simbolo di negatività…

    In questi anni Tempi di squali ne ha addentati parecchi… non è che ti sia restata un po’ di quella voglia di esplosivo dell’ Avanguardia operaia con cui a quindici anni simpatizzavi…

    (ride) Avanguardia operaia… ma oggi sono un estremista felice: il vero incontro però l’ho avuto a partire dalla metà degli Anni Settanta, prima grazie a don Giorgio Pontiggia (morto recentemente), poi a don Giussani. Sono passato dall’utopia alla presenza, dalla rivoluzione come sforzo personale di lotta al “Calmati: Dio c’è, ma non sei tu”.

    In questi trentasei anni non ti sei mai pentito della scelta fatta?

    Mai. Rifarei di sicuro, se potessi, tutto quello che ho fatto. Anzi mi sento sempre più pieno di entusiasmo e si accresce in me il gusto della ragione profonda del Cristianesimo, che non ha eguali. D’altronde don Giussani, al primo corso di teologia, ci diceva: Ricordatevi che il criterio dell’umano è quello fondamentale. Perciò, se doveste riuscire a trovare, leali con voi stessi, qualcosa di umanamente più vero, più autentico del Cristianesimo, dovreste abbracciare quel ‘qualcosa’. E ci faceva l’esempio della frase dell’epistolario di  Dostoevskji: “Se mi si dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente che la verità è fuori da Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità”. No, diceva don Giussani, questa affermazione è commovente, ma non è giusta. Perché, se Cristo non fosse la verità, bisognerebbe seguire la verità”.

    Chiudiamo qui, anche se avremmo tante altre domande da porti, di vario genere, anche sul tuo innamoramento politico per la ministra Carfagna, cui dedicasti un paio d’anni fa una luminosa copertina. Un bell’abbaglio, di cui del resto non fosti il solo a cadere vittima. Ma ormai è roba passata. Hai visto dove è andata a finire, a scusarsi con le organizzazioni gay per i suoi ‘pregiudizi’ precedenti…

    Lasciamo perdere…

    …e pensiamo in positivo, come suggeriscono luminosità e colore della redazione di Tempi. Alla prossima!

     

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