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    INTERVISTA A VITTORIO DAN SEGRE: GERUSALEMME, GEMMA DELLA CORONA DELLA PACE

     

    INTERVISTA A VITTORIO DAN SEGRE: GERUSALEMME, GEMMA DELLA CORONA DELLA PACE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 29 ottobre 2014

     

    Ricordiamo un intellettuale solido e stimolante come Vittorio Dan  Segre (morto a Torino quasi novantaduenne il 27 settembre scorso), riproducendo l’intervista rilasciataci a Milano nel 1999 – dunque a tratti ‘datata’, essendo precedente sia alle ‘Torri gemelle’ che alle ‘primavere arabe’ con tutte le loro conseguenze - e pubblicata sul mensile “il Consulente RE” 2/ 1999.  L’internazionalizzazione di Gerusalemme? “Dev’essere la gemma della corona della pace, non il primo pezzo della corona”

     

    Ebreo, italiano, israeliano, di origini piemontesi, anche ‘fortunato’ (l’aggettivo appare nel titolo di una sua biografia, connotazione giustificata considerate le volte che rischiò di morire), al settantaseienne Vittorio Dan Segre la vita piace se attiva, perfin avventurosa. Emigrato in Palestina nel 1938, entrato poi nella ‘Brigata ebraica’ dell’esercito britannico nei primi Anni Quaranta, profondo conoscitore del Medio Oriente,  diplomatico israeliano dal 1949 al 1967, assistente personale di Ben Gurion e Golda Meir, docente universitario a Milano, Torino, Oxford, Boston, Standford, Haifa, il professor Segre ha fondato l’anno scorso (NdR: nel 1998) a Lugano – all’interno della neonata Università della Svizzera italiana – un Istituto degli studi mediterranei. (…) Che cosa si muove oggi nel Mediterraneo? Qual è l’importanza di questa zona per l’Europa? In quale senso può svilupparsi un’intesa tra le grandi religioni mediterranee? Ecco l’opinione del professor Segre.

    Esiste secondo Lei un homo mediterraneus? I popoli che abitano sulle rive del Mediterraneo hanno una coscienza ‘mediterranea’? 

    Cent’anni fa era molto più legittimo di oggi affermare l’esistenza dell’homo mediterraneus. A quel tempo non soltanto l’Africa incominciava in Andalusia, in Sicilia e in Grecia; ma Napoli, Palermo, Marsiglia, Atene erano molto più simili al Cairo, Tripoli e Algeri di quanto non siano oggi. Assistiamo cioè a un allargamento in tutti i sensi della forchetta degli elementi comuni e questa è probabilmente la ragione per cui si incontrano tante difficoltà nel realizzare gli ottimi propositi governativi e no che appunto auspicano una maggiore integrazione, una zona di commercio comune, un partenariato come è stato immaginato dalla Conferenza mediterranea di Barcellona del 1995. Tuttavia credo che ci siano tra tutti delle basi comuni molto profonde; un humus su cui si potrebbe (ri)costruire una coscienza mediterranea. Se esiste una globalizzazione, esisterà anche al suo interno una globalizzazione mediterranea, basata sull’economia e sulla conoscenza dovuta ai contrasti.

    Oggi la mobilità è maggiore di un tempo; da ciò consegue che ad esempio in Italia la presenza di mediterranei del sud è verosimilmente maggiore che in passato… 

    Il paradosso della situazione odierna è che la mobilità delle genti non corrisponde per nulla alla mobilità delle idee, dei valori, delle culture. Il Cairo, un tempo una città mediterranea, è diventata africana. L’evoluzione economica di Napoli e Palermo le rende molto meno mediterranee di quanto non fossero una volta. Ciò è dovuto al fatto che il Mediterraneo non è più una zona senza frontiere, ma è diviso realisticamente in tre: una zona franco-spagnola col Maghreb, una italo-greca con Libia e Egitto e l’ultima, quella del levante, dove si scontrano le influenze turca e iraniana e in cui gli Stati Uniti agiscono da grande potenza. Mentre si parla continuamente della necessità di creare degli assi orizzontali e una circolarità di merci, investimenti e persone, in realtà gli investimenti arabi sono in genere fuori del Mediterraneo e i rapporti continuano ad essere bilaterali e concorrenziali.

    Come mai succede questo? 

    Le ragioni di questa invisibile, ma reale spaccatura nel Mediterraneo sono dovute nel contempo a profonde differenze di evoluzioni storiche e a una divaricazione crescente di valori morali e sociali. La benzina che alimenta i conflitti è la differenza di apprezzamento dei valori civili e morali fra società di onore e società di successo. Ciò è tanto più paradossale in quanto, se noi confrontiamo le esperienze politiche degli ultimi cento anni della zona nord e della zona sud, nonostante le apparenze vediamo che il mondo musulmano-mediorientale ex-ottomano dà una prova di non violenza, di moderazione infinitamente superiore a quella mostrata dal mondo della zona nord, cristiano, europeo.

    Se è vero che i Paesi del Mediterraneo oggi si conoscono di più rispetto al passato, è anche vero che tale maggiore conoscenza, in sé positiva, non sembra elimini i contrasti anche violenti… 

    Qui bisogna ricordare qualche punto fermo nel contesto mediterraneo odierno. Il mare nostrum non esiste più per nessuno. I Paesi più mediterranei, che sono Malta e Cipro, fanno di tutto per sfuggire alla loro mediterraneità e diventare parte effettiva dell’Europa. L’Italia, nonostante le dichiarazioni sulla sua vocazione mediterranea, è un Paese che si volge sempre più verso l’Europa. E se c’è una vocazione italiana, mi sembra che questa sia adriatica. Tuttavia quello che rende così importante la mediterraneità non sono le radici ed eredità comuni, quanto il fatto che il Mediterraneo è il punto di crisi cruciale per l’Europa. Non per gli Stati Uniti.

    Si riferisce anche a quel tipo di islamismo integralista che cresce sulla sponda sud e spaventa i popoli della sponda nord? 

    Perché parlare solo dell’integralismo islamico e non di quello israeliano, di quello greco-ortodosso…

    Ma le stragi degli integralisti islamici (se prescindiamo da quelle nei territori dell’ex-Jugoslavia) colpiscono di più l’immaginario collettivo… 

    Non ci si ricorda però che queste stragi sono delle tragiche inezie rispetto alle stragi europee. Mi riferisco anche solo al Novecento: non esiste nel mondo mediterraneo più atroce, più violento qualcosa di simile a quanto successo in Germania, nelle zone occupate dai nazisti, nella Guerra civile spagnola, in quella italiana, nella ex-Jugoslavia in questi ultimi anni.

    Resta il fatto che oggi diversi Paesi del Mediterraneo sono a confronto con un fenomeno tragico e difficile da dominare… 

    Il problema di tutti i Paesi arabi è quello delle etnie. Il concetto di nazionalismo arabo include le etnie non musulmane, cristiani, copti, curdi, ma esclude le etnie che non sono arabe. Il concetto di identità islamica esclude i cristiani. Il concetto di identità israeliana esclude i non sionisti. Siamo di fronte alla crisi dello Stato nazionale, che diventa gravissima in Paesi in cui la nazione non è mai esistita, il territorio è stato definito dalle potenze straniere e la popolazione è composta di minoranze. Il problema dell’etnicità religiosa o di lingua o di pelle è il problema fondamentale del Mediterraneo sud, sud-est.

    Il Mediterraneo è anche la culla delle tre grandi religioni monoteistiche. E’ stato il primo mare cristiano… è possibile oggi un incontro, che non sia scontro, tra cattolicesimo e islamismo? 

    E’ particolare delle religioni detenere la Verità. Di conseguenza penso che sia anzitutto da ricordare la cinica espressione di Clémenceau: “La tolleranza non esiste che nelle case di tolleranza”. Quanto al sincretismo ogni espressione di buona volontà difficilmente può far presa, poiché la religione è uno dei fondamenti dell’identità, oggi sempre più dell’identità politica. Il sincretismo nuoce alla solidità dell’identità.

    Ma la convivenza è diversa dal sincretismo… 

    La convivenza non può essere sviluppata solo sulla base del reciproco rispetto. I diritti umani, la moralità sono relativi. Pascal diceva: “Ciò che è morale a nord dei Pirenei, non lo è a sud dei Pirenei”.

    A sud dei Pirenei ci sono ancora valori comuni? 

    Credo che ritenerlo sia illusorio. Pensi un po’ a quanta diversità di opinione tra le sponde del Mediterraneo su onore, vergogna, donna, successo, morte.

    Da dove si può incominciare allora per pensare a un’intesa? 

    Un’intesa non la ritengo possibile, una pacifica coesistenza sì. Tutte le religioni, certo quelle monoteistiche, hanno in comune una serie di obblighi che sono espressioni della Volontà Suprema. A me sembra che non sia mai stato redatto un codice di comportamento sacro comune in base a comuni ordini del Divino.

    Chi potrebbe elaborarlo? 

    Non credo che possano farlo tanto le istituzioni religiose.

    Però Lei riconoscerà che un Papa come Giovanni Paolo II ha dato e dà un forte impulso al miglioramento dei rapporti con ebrei e musulmani… 

    Sì, ma ugualmente mi sento di dire che il codice dovrebbe crearlo quella sorta di ‘società dei grandi spiriti’ che si ritrova in tutte le grandi religioni e che ha una grande influenza sulla società; è formata da persone tipo san Francesco o il Dalai Lama, che vivono la Parola sulla loro pelle, accettando compiutamente i comandamenti del Divino.

    Da diverse parti si postula l’internazionalizzazione di Gerusalemme, città santa per eccellenza. Lei vedrebbe con favore tale internazionalizzazione? 

    Non solo la vedrei… Il problema però non è l’internazionalizzazione… ma è l’uso di tale internazionalizzazione a scopi di lotta. Guardi, Gerusalemme dev’essere la gemma della corona della pace, non il primo pezzo della corona. Alla gemma non ci si arriva, se prima non si costruisce la corona, cioè se prima non ci si accorda su tutta una serie di problemi spinosi. Non a caso nell’accordo di Oslo si è previsto di non discutere di Gerusalemme fin quando non sarà definito lo statuto della Palestina.

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