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    INTERVISTA AL CARD. RODRIGUEZ MARADIAGA

    INTERVISTA AL CARDINAL OSCAR ANDRES RODRIGUEZ MARADIAGA - 'IL CONSULENTE RE' DI DICEMBRE 2008

     

    Nell’intervista che segue il porporato honduregno rileva la necessità che tanti laici cristiani ascoltino con maggiore attenzione la Parola. La politica non deve essere in opposizione alla verità. Il denaro non può diventare un idolo, l’economia non va divinizzata: la grande crisi di questi mesi dimostra il fallimento di chi non tiene conto della Dottrina sociale della Chiesa. Le sette? Lo Spirito Santo ci aiuterà a essere più creativi, più incisivi: ma il problema è difficile da risolvere

     

    Siamo tornati a poco più di due anni di distanza a intervistare il cardinale Oscar Andrès Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, ma anche presidente di Caritas Internationalis. Segue poi da vicino l’attività del Fondo monetario internazionale. L’abbiamo fatto cogliendo l’occasione della serata organizzata il 23 ottobre nella cappella borrominiana dei Re Magi per pubblicizzare una raccolta di suoi discorsi (“Il coraggio di prendere il largo”, a cura di Eugenio Fizzotti, Libreria Editrice Vaticana). Il porporato salesiano, sessantaseienne, ha risposto con la consueta cordialità a domande sul Sinodo, sulla necessità di trasmettere meglio la Parola, sull’uso della Bibbia, sui laici di formazione cattolica che privilegiano più i Chicago boys  che Cristo. Riguardo alla grave crisi finanziaria internazionale, ha chiesto che i responsabili paghino e che riflettano sui loro errori, derivati dall’aver divinizzato il denaro. A proposito di sette, il cardinale Rodriguez Maradiaga, non ha nascosto la difficoltà della sfida di fronte a gruppi ricchi di copiosi mezzi finanziari: però, se i cattolici, sapranno annunciare con coraggio la Parola di Dio, forse qualcosa cambierà!

    Eminenza, si stanno concludendo i lavori di un Sinodo centrato sulla Parola. Non raramente è capitato che in altre occasioni ci sia stata una grande difficoltà a concretizzare i messaggi lanciati dalle assemblee dei vescovi nella vita quotidiana dei cattolici in tutto il mondo: sarà secondo Lei, così anche stavolta?

    Questo è un Sinodo tanto speciale quanto attuale. La Parola di Dio non è passato, è presente: è ben viva, prima di tutto – come si dice nel Messaggio finale – è voce, poi però è volto di chi abita nella Chiesa per percorrere le strade del mondo in missione. Noi facciamo anche un’autocritica su come abbiamo trasmesso fin qui la Parola e speriamo di migliorare la qualità della nostra evangelizzazione. Il Sinodo, lo ripeto, è attualissimo; del resto il cardinale Martini l’aveva già prospettato nel 1993.

    Lei all’inizio del Sinodo, nella seconda Congregazione del 6 ottobre, ha presentato la situazione nell’America latina in relazione all’annuncio della Parola…

    Ho subito ricordato che Cristoforo Colombo, giunto nelle Americhe, portava con sé la Bibbia, ne recitava ad alta voce i versetti quando c’erano le tempeste per “placare le increspate onde”;  metteva poi nomi biblici alle isole che scopriva. Più in là il primo vescovo giunto in Messico, Juan de Zumàrraga, aveva con sé la Bibbia e la considerava come un grande manuale di catechesi. Venne però la Riforma protestante, con i luterani che vollero la Bibbia nelle mani di tutti…

    Invece, con la Riforma cattolica o Controriforma, la Bibbia fu concessa a pochi…

    Fu uno sbaglio: nel cattolicesimo la Bibbia perse la sua centralità, i cattolici tolsero la Bibbia dalle mani di tutti. Certo non si creò un vuoto totale, poiché la catechesi era sempre basata sulla Parola di Dio. Tuttavia il contatto personale con la Bibbia era ormai impedito. Ci furono, diciamo, quattro secoli di ‘ibernazione’: nei nostri anni bisogna far uscire la Bibbia dal congelatore! I tempi sono più che maturi!

    Ma nel frastuono del mondo riuscirà la parola di Dio a farsi ascoltare?

     

    Penso di sì. E’ vero che il mondo ascolta poco, non è saggio… pensi un po’ invece all’ “Ascolta, Israele!”… L’esperienza dimostra che ovunque si faccia risuonare la Parola di Dio, si riconosce la forza che essa possiede. Non è una parola vuota, ma una Parola che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fa fiorire la vita. Noi siamo entusiasti di poter fare dell’animazione, della pastorale biblica, così da evangelizzare meglio, in sintonia anche con il messaggio lanciato dalla Conferenza dell’episcopato latino-americano di Aparecida.

    La Parola dovrà essere concretizzata quotidianamente anche dai laici cristiani…Nell’ultima parte della Sua relazione continentale al Sinodo, Lei cita con rammarico tanti laici usciti da scuole cattoliche o da parrocchie che, una volta giunti in posizioni di responsabilità politica e amministrativa, si sono fatti corrompere dal ‘mondo’ seguendo più Machiavelli che non il Vangelo e divenendo protagonisti di grandi scandali anche finanziari…

     

    Diversi di loro sì. Hanno avuto un’educazione cattolica, hanno frequentato una scuola cattolica… poi, dopo l’Università, nella vita professionale e politica, si sono dimostrati più seguaci dei Chicago boys che del Cristo…

    Alcuni obiettano che la politica è per eccellenza l’arte del compromesso…

     

    Certo, ma non necessariamente la politica deve essere in opposizione alla verità. La politica non deve essere una menzogna. La domanda da porsi è la seguente: come operare per una migliore evangelizzazione della politica e dei politici? Il che non significa che la gerarchia voglia assumersi in prima persona la funzione dei politici oppure che voglia abbracciare un determinato partito, il partito ‘cattolico’. Infatti la fede non può essere esclusiva di un partito, ma dovrebbe essere presente in molteplici opzioni partitiche. Il compito della gerarchia è quello di illuminare con la Parola di Dio e con la Dottrina sociale della Chiesa le opzioni politiche.

    Eminenza, che cosa si sente di osservare in questo momento di grave crisi della finanza mondiale con ripercussioni economiche e sociali pesantissime in tutto il mondo?

    Dico pacatamente che tutti i responsabili dovrebbero riconoscere i loro limiti umani e in tanti casi il loro grave errore, quello di aver trasformato il denaro in un idolo e di aver divinizzato l’economia. Lo riconoscano la finanza internazionale, in primo luogo americana e anche il Fondo monetario internazionale, che ha lasciato briglia sciolta ai desideri dei Paesi ricchi. I responsabili, i manager, paghino e non ricevano invece bonus come premio! Questo è un momento propizio per tutti, per riflettere: l’economia è una creazione dell’uomo e  deve reggersi su principi di umanità, con il criterio fondamentale e spesso invece  marginalizzato del bene comune, espressione anche della Dottrina sociale della Chiesa. Bisogna lottare con speranza, sempre avendo come obiettivo il bene comune.

    C’è chi pensa che la ventata di antiamericanismo che ha scosso diversi Paesi dell’America latina prima delle elezioni statunitensi sia derivata dal fatto che, essendo tali Paesi in crisi economica, i loro governanti abbiano scelto – come è capitato tante volte nella storia – di indicare un capro espiatorio: chi meglio degli Stati Uniti era adatto a tale ruolo? Lei che ne pensa?

     

    Non direi che ci sia stata tale scelta. Se vogliamo essere oggettivi, dopo la caduta del Muro di Berlino, l’interesse americano per l’America latina è quasi scomparso. Le uniche preoccupazioni riguardavano il dilagare della droga e la questione degli immigrati illegali. Invece siamo tutti sulla stessa barca e gli immigrati non sono dei nemici da combattere… emigrano per aiutare le loro famiglie. Gli Stati Uniti non devono guardare solo all’Asia, all’India, alla Cina… lo sguardo dev’essere allargato a tutto il mondo, perché – lo ripeto – siamo tutti sulla stessa barca!

    Del problema delle sette si è parlato ad Aparecida, anche al Sinodo e Lei stesso ha presentato recentemente un libro sull’argomento, “La vulnerabilità psichica e il pericolo delle sette” (di Aureliano Pacciolla e Stefano Luca, Libreria Editrice Vaticana). Qual è oggi il pericolo maggiore costituito dalle sette per il cattolicesimo?

     

    Non siamo in competizione con le sette per stabilire chi ha il maggior numero di fedeli. Il problema di fondo è che, essendo il messaggio trasmesso dalle sette un messaggio mutilato, non possiamo accettare che l’uomo conosca finalmente solo una parte della verità. Le sette poi ci obbligano a un serio esame di coscienza su quanto non funziona nella nostra pastorale. Perché siamo così vulnerabili? Parte della debolezza consiste nella scarsa conoscenza che i nostri battezzati hanno della Parola di Dio…

    Sono perciò più esposti all’allettamento delle sette…

     

    Sì. Il documento di Aparecida dice che dobbiamo fare un grande sforzo, una “conversione pastorale”, per mettere sotto esame i nostri piani, i nostri metodi pastorali, cambiarli, se necessario creare qualcosa di nuovo e più incisivo. La creatività è un dono dello Spirito Santo…

    Però molti entrano nelle sette per ragioni economiche: non hanno i soldi per sopravvivere, le sette glieli offrono in cambio della militanza… In questi casi che cosa può fare la Chiesa?

     

    Il problema è molto difficile da risolvere. La Chiesa da noi non ha tante risorse materiali da destinare all’acquisto di cibo, di medicine o alla costruzione di una casa! Tuttavia mi ricordo quel che succedeva nei primi tempi del Cristianesimo: le nostre origini non sono contrassegnate soltanto dall’impegno di sacerdoti e fedeli, ma dall’azione benefica dello Spirito Santo. Perciò, se noi ce la mettiamo tutta ad annunciare la Parola di Dio, se cerchiamo di annunciarla con più coraggio, possiamo star certi che essa farà il suo lavoro!      

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