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    LETTURE/1 - CINQUE LIBRI CHE STIMOLANO A RIFLETTERE SU TEMI DIVERSI

    LETTURE/1 – CINQUE LIBRI CHE STIMOLANO A RIFLETTERE SU TEMI DIVERSI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 30 dicembre 2020

     

    Marco Ansaldo con “Un altro Papa” – Luigi Sandri con “Il Papa gaucho e i divorziati” – Andrea Galli con “Dio vive in Olanda” – Federico Cenci con “Berlino est 2.0” – Pierangelo Crucitti e Francesco Bubbico con “Dieci figure femminili nella zoologia italiana del XX secolo”

     

    A tutti i nostri lettori e lettrici gli auguri più vivi per un 2021 di serenità, di speranza, di soddisfazioni, di solidarietà

     

    “UN ALTRO PAPA – RATZINGER, LE DIMISSIONI E LO SCONTRO CON BERGOGLIO”, DI MARCO ANSALDO (RIZZOLI)

    Qui in Vaticano a volte non si sa che cosa succederà domani. Tutto è diventato estremamente imprevedibile. La percezione, ogni tanto, è quella di una barca. Che va un po’ di qua e un po’ di là”. Che ne dite? L’incipit è stuzzicante, soprattutto se si scopre che a parlare così è mons. Georg Gänswein, insomma don Georg, il fidatissimo segretario particolare (a partire dal 2003, ma si conoscevano già da alcuni anni) di Joseph Ratzinger. Ma l’incipit di che? Di un libro dal titolo altrettanto stuzzicante: “Un altro Papa – Ratzinger, le dimissioni e lo scontro con Bergoglio”(Rizzoli). L’autore è un collega esperto in primo luogo di cose turche, insomma non un pivellino frou frou di quelli che pullulano oggi nel giornalismo: Marco Ansaldo, a sua sorpresa vaticanista di Repubblica dal 2010 al 2017. Cose grosse, considerato il legame intellettual-affettivo del Fondatore con Santa Marta.

    Ebbene nel libro Ansaldo riporta (virgolettato) il resoconto di tre incontri a tu per tu  in cui don Georg esprime – spesso accoratamente – il suo stato d’animo su quel che accade dentro le mura leonine senza troppi infingimenti: “Non c’è nemmeno una domanda da parte mia – annota Ansaldo – Io semplicemente ascolto”. La testimonianza plurima di don Georg è naturalmente fondamentale nel libro, ma – scorrendo le 150 pagine del testo – si ritrovano altri spunti succosi (e spesso non proprio positivi) per chi vuol conoscere qualcosa di più della vita vaticana degli ultimi anni. 

    Proviamo a estrapolare dal libro alcuni punti (affermazioni, tesi) che indubbiamente colpiscono il lettore (ma certo non sono esaustivi dell’intero contenuto).

    Il primo: la rinuncia di papa Benedetto XVI all’esercizio del ministero petrino deriva soprattutto da “motivi di salute e di anzianità”. Gänswein dixit e questa in ogni caso resta la versione razionalmente più verosimile, la più logica ricordando anche quanto a più riprese aveva dichiarato Joseph Ratzinger.

    Secondo punto: “L’intento dello scandalo Vatileaks era di colpire il cardinale Tarcisio Bertone (sempre Gänswein dixit), ma “di riflesso il caso ha finito per toccare lo stesso papa Ratzinger”. Ansaldo nel libro tuttavia più in là corregge, citando “uno dei Corvi”: “Noi abbiamo puntato Bertone per impallinarlo. E contro il Segretario di Stato è stata fatta una campagna massiccia. Ma l’obiettivo vero è Ratzinger. E’ lui che deve essere rimosso per arrivare a un altro Papa, completamente diverso”.

    Terzo punto: la non facile convivenza (al di là del lato umano) tra i due Papi. Altro che ‘continuità’ Ratzinger-Bergoglio come evidenziato a ogni piè sospinto (e magari anche per certi versi comprensibilmente) dai turiferari di corte! La situazione, rileva Ansaldo, è precipitata (dopo diverse avvisaglie clamorose) all’inizio del 2020, con la rimozione di don Georg dalla guida della Prefettura pontificia a seguito della pubblicazione in Francia del libro Des profondeurs de nos coeurs a firma del card. Robert Sarah e di Benedetto XVI. Conferme, smentite, polverone… insomma Santa Marta non digerì e don Georg ci lasciò le penne. Tuttavia la questione – osserva Ansaldo – svelò “l’impossibilità vera non soltanto di una convivenza, già di per sé problematica, sotto lo stesso tetto della Santa Sede, ma anche la forzatura di un accordo, in una continuità impossibile e di fatto inattuabile, tra due Pontefici così diversi per temperamento, percorso personale e spirituale, ancoraggio evangelico e dottrinale”.

    Quarto punto: un capitolo è dedicato a un “intraprendente vulcano di donna, calabrese di madre, egiziana di padre” che “ne aveva combinata un’altra delle sue”: Francesca Immacolata Chaouqui, la pr che aveva stregato per alcuni anni (grazie ad artifizi oggettivamente assai misteriosi) fior di laici e di consacrati un po’ fessacchiotti, rincitrullendo perfino quello sciagurato di mons. Vallejo Balda. Scrive Ansaldo, che per lei nutre riconoscenza professionale e manifestamente anche una certa ammirazione: “A Roma assistevo a scene incredibili in compagnia di Francesca Chaouquì. vedevo cardinali e monsignori chiamare e omaggiare Immacolata. (…) Guidava al solito in modo spericolato la sua Smart bianca, che lasciava parcheggiata nei posti più impensati del centro storico di Roma, fregandosene letteralmente delle contravvenzioni che le piovevano sul cruscotto”. Poco tempo dopo la nomina a vaticanista di Repubblica, Ansaldo riceve la chiamata della maliarda rampante, accetta di incontrarla e da lì incomincia una collaborazione tale che finiscono per “chiamarsi ogni giorno”. Sicuramente la Chaouquì era “una fonte preziosa” per il giornalone scalfariano e una volta – ricorda ancora Ansaldo – passò “una mezza mattinata a chiacchierare con uno degli uomini più influenti e potenti del mondo dell’informazione italiana (…). Proprio lui, Eugenio Scalfari, già impegnato nei suoi incontri ravvicinati con l’Inquilino di Santa Marta.

    Quinto punto: non solo Francesca Immacolata, ma anche diversi Corvi rifornivano abbondantemente Ansaldo e Repubblica di notizie e sussurri vaticani. Che fosse “in un bar di periferia” o “in ristoranti dei quartieri alti” o “nelle trattorie in zona Borgo Pio” negli anni ‘bollenti’ veniva insufflato nelle orecchie di Ansaldo (ma anche di altri) materiale esplosivo a uso giornalistico, di cui il ricevente faceva buon uso, tanto che nel libro si legge: “Il fatto di poter contare su queste ‘gole profonde’ si rivelò determinante. Senza di loro, non avrei mai potuto informare i lettori della Repubblica su tutto quello che stava accadendo di appassionante, e di politicamente ed eticamente rilevante, in quel piccolo Stato solo in apparenza fragile ma cruciale per il mondo”.

    Ci sarebbe molto altro da scrivere sul libro di Ansaldo. Ma lo scopriranno i lettori.

     

    “IL PAPA GAUCHO E I DIVORZIATI”, DI LUIGI SANDRI (ARACNE EDITRICE)

    All’Angelus di domenica 27 dicembre 2020 (festa della Sacra Famiglia) papa Francesco ha annunciato “un anno di riflessione” sull’esortazione apostolica Amoris Laetitia con inizio il 19 marzo 2021 (san Giuseppe), a cinque anni esatti dalla firma del documento. Nelle intenzioni di Jorge Mario Bergoglio sarà questa “un’opportunità per approfondire i contenuti” del testo, frutto del lavoro dei due turbolenti Sinodi del 2014 e del 2015.

    A tale scopo può essere senz’altro utile confrontarsi con un contributo serio, ricco di dati e di spunti, pubblicato in una seconda edizione (ampliata) a fine 2019: si tratta del lavoro in materia del collega Luigi Sandri, intitolato “Il Papa gaucho e i divorziati”, edito da Aracne (con prefazione di Giovanni Cereti e Lilia Sebastiani). Precisiamo subito che per il collaudato vaticanista (accreditato da oltre quarant’anni presso la Sala Stampa della Santa Sede ed esponente del ‘cattolicesimo di base’) quel gaucho non è utilizzato in accezione negativa: “Infatti – spiega Sandri – in Argentina il gaucho (cioè il cowboy, il mandriano) non è visto come un poveretto: al contrario, è una figura quasi mitica, un uomo coraggioso, fedele, sanguigno che, sempre in sella al suo inseparabile cavallo, guida gli armenti nelle vaste pampas del Paese”. Certo la cavalcata di papa Francesco è “ardua” e “innumerevoli sono i problemi che deve affrontare. Tra essi quelli delle famiglie, delle loro gioie e dei loro molti fallimenti”.

    Tra i fallimenti quello dal divorzio. Ed è proprio su una questione apparentemente ben circoscritta, l’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati, che si appunta l’attenzione di Sandri, il quale sviscera il tema nelle sue quasi quattrocento pagine di sintesi storica, cronaca, riflessioni puntuali e d’attualità. Questione “apparentemente ben circoscritta”, si diceva. Eppure “cruciale”. Si potrebbe obiettare: ”Ma che sarà mai il ‘sì o il ‘no’ a divorziati risposati richiedenti l’Eucarestia di fronte ai giganteschi problemi che incombono sulla Chiesa e sul mondo, come quelli della pace, della guerra e della salvaguardia del creato?”. Invece nel tema “si raggrumano questioni della massima importanza, in quanto potenzialmente deflagranti su diversi altri argomenti: evoluzione dei dogmi, rapporto dottrina/pastorale, magistero/coscienza personale, grazia/peccato/perdono, episcopato/popolo di Dio, assolutezza/relatività delle espressioni dogmatiche”, libertà/autorità/democrazia, uomo/donna nella Chiesa”. Tutte queste sono “mine teologiche vaganti che, non accuratamente disinnescate, possono esplodere in ogni momento”.

    Con il suo libro Luigi Sandri vuole “documentare l’accoglienza che la Chiesa romana, nel suo insieme ma soprattutto a livello gerarchico e nel mondo accademico, ha riservato” ai Sinodi sulla famiglia e all’Amoris laetitia: “Si va da un festoso e convinto ‘sì’, ad un categorico e implacabile ‘no’, rossoporpora in certuni, angosciato grido di battaglia in altri”. Da notare che “vi è, poi, una vasta area grigia di prelati che, regnante Francesco, chinano la testa e sembrano accettare Amoris laetitia; in cuor loro, però, forse non sono affatto convinti che i divorziati risposati possano mai essere ammessi all’Eucarestia”.

    Prima di affrontare le spine della contemporaneità, l’Autore fa un excursus di indubbio interesse nel passato, partendo dal Vangelo, passando dal Concilio di Nicea, quindi da quello di Trento per poi soffermarsi più a lungo sul Vaticano II, Paolo VI e l’Humanae Vitae, papa Wojtyla e papa Ratzinger.

    Con onestà intellettuale Sandri riferisce dello svolgimento dei due Sinodi sulla famiglia, della “disfida di Francesco” con l’Amoris Laetitia, con ampiezza delle reazioni diversissime: “Le ragioni ‘pastorali’ del ‘sì’, Le ragioni ‘teologiche del ‘no’, con un capitolo dedicato al card. Müller, il “Grande Inquisitore inquisito”. Uno sguardo alla posizione sulla questione di ortodossi ed evangelici, poi la conclusione con l’auspicio di “un nuovo Concilio” generale, non più dunque solo ‘clericale’, ma aperto con parità di diritti anche ai laici, uomini e donne. E “se Concilio non sarà, è assai difficile che si arrivi ad una reale pacificazione, teologica e pastorale, nella Chiesa romana, a proposito dell’Eucarestia ai divorziati risposati”.

     

    “DIO VIVE IN OLANDA”, INTERVISTA DI ANDREA GALLI AL CARDINALE EIJK (EDIZIONI ARES)

    L’Olanda… ancora negli Anni Cinquanta calvinista intransigente, poi dagli Anni Sessanta pioniera (poco gloriosa) del mondo secolarizzato: eutanasia, aborto… Amsterdam che ha rovinato centinaia di  migliaia di giovani, richiamati dal fascino perverso della cannabis. Il cattolicesimo olandese… avanguardia progressista con il suo ‘catechismo’ del 1966…

    Eppure Dio in Olanda non è morto, “vive” come recita il titolo dell’intervista rilasciata in due fasi al collega Andrea Galli di Avvenire (metà cattolica) dal cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht.

    Nel lungo e interessante colloquio (“Dio vive in Olanda”, edizioni Ares) si toccano molti temi. Di carattere personale come l’infanzia del porporato (nato da madre cattolica e padre battista), la scelta degli studi in medicina e poi quella del seminario. Di carattere nazionale: “L’Olanda fino all’inizio degli Anni l60 era stata, almeno in apparenza, una delle nazioni più cristiane d’Europa; e al termine di quel decennio faceva da apripista per l’eutanasia e il suicidio assistito”. Come mai? “Sicuramente la crescita dell’economia nella prima parte degli Anni ’60 contribuì all’affermazione di una cultura iper-individualista, che divenne secolarizzazione e accettazione di un’etica dell’autonomia, in base alla quale l’uomo ha il pieno diritto di disporre anche della propria vita”. Anche calvinisti e cattolici hanno fortemente risentito della diffusione di tale nuova mentalità sociale, tanto è vero che, ad esempio, il numero dei cattolici ‘ufficiali’ è passato da più di 5 milioni nel 2000 a meno di 4 milioni nel 2015. Dimezzato il numero dei cattolici alla messa domenicale: 385mila nel 2003, 186mila nel 2015; e ogni settimana “si chiudono due chiese, cattoliche e protestanti”. Nel contempo il gregge, rimpicciolito, si è però fatto più convinto: qui un’osservazione certo interessante: “Il numero più alto dei veri credenti, chiamiamoli così, si trova nelle parrocchie che hanno mantenuto anche durante la tempesta rivoluzionaria degli Anni ’60 e ’70  un carattere veramente cattolico nel modo di celebrare la liturgia”.

    Non solo: si può ben dire che in Olanda “c’è stato un risanamento silenzioso tramite il ricambio delle generazioni”. Ovvero: “i preti del l68, che sono stati ordinati in quegli anni di sbandamento, con idee ultraprogressiste, non ci sono quasi più o almeno non sono più parroci. (…) Si è attuato un ricambio generazionale”. A tale proposito - è sempre il card. Eijk che parla -“se penso ai tanti giovani seminaristi che conosco in Italia, ho l’impressione che anche da voi ci sarà un risanamento”. Però ciò “può richiedere tanto tempo, almeno una generazione e riguarderà comunque sia il clero che i laici”.

    Tanti altri – e di rilievo – i temi toccati nell’intervista di Andrea Galli: dal rapporto Stato-Chiesa all’asserita necessità di vendere chiese per rendere più incisiva la pastorale, dall’indifferenza o dalla diffidenza che incontra oggi il prete nella società occidentale alla constatazione che “molti cattolici sono intimiditi e non trovano il coraggio di esporre la dottrina della Chiesa, le loro convinzioni”. Un “indietreggiare” che emerge anche “ tra i consacrati e i vescovi” davanti alla “dittatura del relativismo”. Insomma c’è da riflettere in abbondanza. Per tutti.

     

    BERLINO EST 2.0,  DI FEDERICO CENCI (ECLETTICA EDIZIONI)

    Sono sempre attualissimi gli “appunti tra distopia e realtà” (“Berlino est 2.0”, Eclettica Edizioni) che Federico Cenci ha elaborato nella scorsa primavera al tempo della prima ‘clausura’ imposta dal governo a seguito della diffusione del Cinavirus. Nell’autunno 2019 il collega era stato a Berlino e aveva riflettuto davanti all’installazione dell’artista Yadegar Asisi, intitolata Panorama Die Mauer. Sul maxi-schermo le immagini di scene di vita quotidiana nella Berlino degli Anni Ottanta… nella Berlino-est “desolazione di strade deserte, di palazzi monotoni, delle ciminiere accese, delle saracinesche dei negozi abbassati (…) e l’oppressione di un controllo pervasivo”.

    Ecco… per certi aspetti una realtà – quella berlinese - vissuta almeno in parte da Cenci (e anche da tanti altri) nell’Italia impegnata a fronteggiare – nel primo periodo con armi spuntate (da lì i tanti morti) - un virus potenzialmente assai insidioso per gli umani. E’ così che Roma diventa “Berlino est 2.0”, offrendo all’autore la possibilità di tratteggiare con penna agile e pungente venticinque situazioni esistenziali originariamente di stampo DDR.

    Nel libro di Cenci siamo in un Paese (vedi l’Appunto 2) in cui “il Megapartito si prefigge di regolare ogni dettaglio della vita del popolo, financo quali cibi si possano preparare nelle botteghe gastronomiche artigianali”. Nell’Appunto 3 assaporate questa riflessione (può darsi che vi ricordi qualcosa..): “Andare fisicamente a Messa per un cristiano di Berlino est è un’impresa. La funzione religiosa è diventato un appuntamento clandestino, che si svolge in luoghi nascosti e riservati. Non è che il Mega Partito abbia bandito la pratica religiosa, sia chiaro. E’ solo che l’ha assoggettata a sé. E l’ha snaturata, trasferendo la liturgia sul web e sul tubo catodico. E’ nata così la “Chiesa digitale”. Niente più sacramenti. Tutto è virtuale”.

    E la famiglia? Nell’Appunto 12 scrive Cenci: “La famiglia è un luogo che il Mega partito ha sempre ritenuto un intralcio alle sue mire di egemonia culturale. L’istituzione de “I Figli del Device”, organizzazione di regme per inquadrare i cittadini fin dalla più tenera età, è finalizzata proprio a strappare ai genitori l’educazione della prole”. Nell’Appunto 18 ecco spuntare la ‘Tessera del Cittadino”, strumento con cui il Mega Partito controlla i comportamenti individuali: “Si parte, compiuti i sedici anni, da una base di 20 punti. Scendono se si ricevono sanzioni, per aver acquistato beni “non necessari” (2 punti in meno), per aver violato la reclusione forzata (3 punti in meno), il distanziamento sociale (4 punti in meno) o per aver condiviso su una chat una notizia censurata dall’Ufficio preposto (meno 5 punti)”. Il finale è a sorpresa e lo lasciamo alla scoperta di chi leggerà il volumetto.

    Osserva Federico Cenci nel ‘Prologo’ (e noi lo proponiamo a mo’ di conclusione): “Necessario da parte delle autorità attuare misure per frenare la propagazione dei contagi, ma contestualmente occorre riflettere sulle conseguenze che tali misure potrebbero comportare. Guai a subire inermi la frase che stiamo sentendo continuamente: niente sarà più come prima. Se cambiamenti del nostro stile di vita dovranno esserci, che siano ponderati alle nostre reali esigenze. (…) Non sia mai che , in nome della lotta al virus, si legittimino effetti collaterali duraturi capaci di corrodere libertà e clima sociale , violare la privatezza, censurare le opinioni. E poi la vita non può essere vissuta da remoto. (…) Se accettiamo che il web sostituisca la relazione fisica, ci condanniamo all’emarginazione individualista”.

     

    DIECI FIGURE FEMMINILI DELLA ZOOLOGIA ITALIANA DEL XX SECOLO, DI PIERANGELO CRUCITTI E FRANCESCO BUBBICO (GANGEMI INTERNATIONAL)

    Che ci capiscono le donne di matematica, fisica, chimica, scienze naturali? Fino a non molti anni fa la risposta corrente era: “Poco o niente, salvo eccezioni”. Ed era dura farsi largo in quelle discipline per non poche donne che invece sentivano di capirci non solo qualcosa, ma molto più di qualcosa e molto più di tanti uomini. Ora invece anche la mentalità comune in materia è assai cambiata: non stupisce più nessuno trovare donne di grande valore e con funzioni di responsabilità anche in matematica, fisica, chimica, scienze naturali. E tante ormai sono le ragazze che hanno imboccato con passione e con profitto la strada degli studi scientifici.

    Non solo: da diverse parti si rende il giusto omaggio a chi, donna, in passato ha lottato e anche vinto in tali discipline, superando tante opposizioni  -prima di tutto mentali, ma con riflessi pesanti sulla quotidianità e sulla carriera – e incrementando il patrimonio universale di conoscenze in materia.

    Ad esempio ci è capitato tra le mani un libro di Pierangelo Crucitti (presidente della Società Romana di Scienze naturali) e di Francesco Bubbico (segretario generale della stessa), che si propone di evidenziare “Dieci figure femminili della zoologia italiana del XX secolo” (Gangemi International). Come rileva nella presentazione Alessandro Minelli (Università di Padova) “nelle pagine del libro queste figure di studiose ritrovano tutto il valore, umano e scientifico, delle loro vite, che spesso hanno avuto per teatro i momenti più difficili del Novecento e hanno dovuto confrontarsi con un ambiente accademico che chiudeva gli occhi davanti ai loro meriti”. Le ricercatrici italiane novecentesche in Biologia animale, di cui nel libro si ritrovano biografia e opere, sono – annota Pierangelo Crucitti nella prefazione – “figure femminili poco conosciute e completamente trascurate a livello mediatico”. 

    La galleria si apre con Enrica Calabresi (Ferrara, 1891 – Firenze, 1944), scienziata di grande valore che si illustrerà – comunque non senza difficoltà ambientali - a cavallo degli Anni Venti e Trenta, sarà nominata nel 1937 direttrice dell’Istituto di entomologia agraria dell’Università di Pisa e poi subirà le conseguenze delle orrende leggi razziali, venendo – lei ebrea anche se non osservante - epurata dal regime. Continuerà a insegnare a Firenze nella scuola ebraica, ma nel 1944 verrà arrestata da italiani, portata in carcere e destinata alla deportazione ad Auschwitz. Per evitarlo si suiciderà ingoiando fosforo di zinco.

    Quella di Enrica Calabresi è certo la storia più drammatica. Nel libro si incontrano  altre biografie molto interessanti: da quella di Rina Monti (1871-1937, prima donna a essere titolare di una cattedra universitaria nel Regno d’Italia) a quella di Francesca Gherardi (1955-2013), “protagonista indiscussa, a livello internazionale, in materie quali l’ecologia e l’etologia dei crostacei e le invasioni biologiche”. Le ricerche sugli Ephemeroptera (ordine di insetti primitivi) di Marta Grandi (1915-2005) - che negli ultimi anni della sua vita si dedicherà all’assistenza di poveri ed emarginati - “forniscono un apporto basilare alla sistematica e biologia di questi esapodi”. Di ecologia e di questioni ambientali, per la protezione e la lotta contro l’inquinamento dei laghi italiani si occupa in particolare Livia Pirocchi (1909-1985). E poi ecco scorrere le biografie di altre zoologhe di grande valore come Giuseppina Lentati, Graziella Mura, Maria Matilde Principi, Emilia Stella, Ester Taramelli. Insomma: un lavoro accurato e singolare quello di Crucitti e Bubbico, utile senz’altro alla conoscenza di vita e contributi di ricercatrici pressoché ignote al grande pubblico. Ed anche a intaccare il persistente scetticismo di chi, sotto sotto, ancora dubita della capacità delle donne di primeggiare pure nelle scienze naturali.  

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