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    IL CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS: UNA SCOPERTA MERAVIGLIOSA

    IL CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS: UNA SCOPERTA MERAVIGLIOSA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 luglio 2020

     

    In occasione di un nostro breve soggiorno marino sulla costa jonica calabrese nell’area della Sila greca ci è stata data occasione di ammirare un manoscritto preziosissimo che non conoscevamo… Gli studi di mons. Luigi Renzo. Le considerazioni di mons. Giuseppe Satriano, Cecilia Perri, Alessandra Mazzei, Mirella Pacifico e Fabiola Forciniti.

    Una piazzetta triangolare, vezzosa, contornata di palazzi nobiliari. Una cattedrale dai cui molti rifacimenti ancora traspare l’origine medievale (ospita la venerata icona di Maria Santissima Acheropita, cioè non dipinta da mano umana). E un palazzo arcivescovile annesso, nel cui retro si apre una porta. Pochi scalini, un cortile civettuolo. Una stanza, con pannelli esplicativi. Un’altra, con un video illustrativo… e poi in punta di piedi, trattenendo il respiro, una terza stanza. Al centro un fascio di luce ne illumina una teca vetrata. Da cui occhieggia, nella sua percepibile grandezza, un manoscritto aperto. Nella pagina a destra una miniatura con una fascia ornamentale colorata, con cornice aurea, inframmezzata da tondi con le figure dei quattro evangelisti. Nella pagina a sinistra un doppio Gesù sul suolo roccioso del Getsemani, in una notte azzurra con luna calante (primo ‘notturno’ nella storia dell’arte cristiana): a destra Gesù prega, a sinistra cerca di svegliare gli apostoli addormentati. Sulla parte davanti alla teca uno sfogliatore multimediale visualizza le altre pagine del manoscritto digitalizzate. Che è questa meraviglia?

    Siamo davanti al Codex Purpureus (chissà perché c’è qualcosa che ci induce a immediata simpatia…)… proprio il Codex Purpureus Rossanensis, conservato nel modernissimo Museo diocesano della nobile città sulla costa jonico-silana. Spicchio di Calabria a sud di Sibari mai prima da noi conosciuto, ma ricchissimo di testimonianze d’arte, di storia, di fede, baciato da una natura lussureggiante, accogliente anche in una gastronomia che crea subito amicizia, bagnato da un mare trasparente: la spiaggia di Mirto Crosia, che abbiamo avuto la fortuna di frequentare per qualche giorno, non ha nulla da invidiare ai migliori lidi sardi.

    Il Codex Purpureusun manoscritto eccezionale e dai molti significati, inserito – a seguito della proposta del 2007 dell’allora arcivescovo di Rossano-Cariati Santo Marcianò – nel 2015 dall’Unesco nel “Patrimonio dell’Umanità” (Memory of the World). Per sintetizzarne le caratteristiche ci sono utilissimi due agili saggi del vescovo Luigi Renzo, che fin da piccolo ha seguito e poi anche accompagnato le vicende del manoscritto: “Fascino e Mistero del Codex Purpureus Rossanensis” (Ferrari editore, 2017) e “Codex Purpureus Rossanensis e Settimana Santa bizantina” (Libreria editrice vaticana, 2019).

    Il Codex è un evangeliario greco, scritto in lettere onciali d’argento (in oro però le prime tre righe di ogni Vangelo). I Vangeli conservati sono quelli di Matteo e di Marco (quest’ultimo senza una parte dell’ultimo capitolo). Gli altri Vangeli sono andati verosimilmente perduti per un incendio nel Seicento. 188 i fogli conservati (sui presumibili 400 originali). In una delle tavole miniate è riprodotta l’Epistola di Eusebio a Carpiano riguardo alla concordanza tra i Vangeli. Quindici le miniature, che rimandano ad alcuni momenti molto significativi della vita (vedi l’ingresso a Gerusalemme o il processo davanti a Pilato) e della predicazione di Gesù, con alcune parabole famose come quella delle vergini stolte e del Buon Samaritano).

    La pergamena in pelle ovina del Codex è di color porpora (simbolo della regalità e della divinità di Cristo) e tale colorazione è stata ottenuta con pigmenti lichenici coloranti in grado di sopportare stress climatici. Da ricordare che l’inizio della produzione di codici purpurei risale al IV secolo dopo Cristo. Le miniature poi conservano ancora una bella vivacità di colori: in particolare spicca la figura di Cristo dalla grande aureola e dal manto dorati, nonché dalla toga celeste scura (quest’ultima a indicare la sua umanità): chi ci legge può consultare a tale riguardo le foto a fine articolo che ci sono state gentilmente fornire dal Museo diocesano e del Codex.

    A quando risale il Codex purpureus? Verosimilmente al V-VI secolo dopo Cristo. Dove è stato scritto e miniato? Gli studiosi non sono concordi. Prevalentemente emergono le ipotesi di Antiochia di Siria (oggi in Turchia) e di Cesarea di Palestina, dove erano attive due scuole famose di esegesi biblica: la prima  tendeva a interpretare letteralmente i testi evangelici, la seconda li considerava più in senso allegorico-spirituale. Nelle miniature del Codex si ritrovano però ambedue gli indirizzi.

    Quando e come il Codex arriva a Rossano, conosciuta (evidenzia Luigi Renzo) come la città più bizantina della Calabria? Si pensa verso l’VIIII-IX secolo. Portato verosimilmente da monaci melchiti in fuga dall’Oriente (forse per l’espansione araba) oppure da qualche nobile della Corte di Bisanzio, trasferitosi a Rossano per ragioni amministrative, che lo donò poi alla cattedrale (non si dimentichi che nei secoli IX e X – osserva sempre mons. Renzo – “Rossano si affermò sempre più come centro militare e di cultura, città-guida della Calabria bizantina”).

    Quale la funzione del Codex? Un libro liturgico per le grandi celebrazioni bizantine? Un oggetto prezioso destinato a mettere in rilievo lo status symbol del possessore? Anche qui non c’è unanimità tra gli studiosi.

    E’ solo nel 1705 che venne citato per la prima volta tra i libri greci in possesso da tempo immemorabile dalla Chiesa di Rossano. Intorno al 1831 il canonico Scipione Camporota cercò di agevolarne la lettura con accorgimenti numerici e di comparazione alfabetica con il greco moderno. Nel 1880 due tedeschi, Oscar von Gebhardt e Adolf Harnack, scoperto il Codex all’interno della sacrestia della cattedrale e fallito il tentativo di acquistarlo dall’arcivescovo Pietro Cilento, ottennero da lui però il premesso di pubblicare a Lipsia il primo studio in materia. Il manoscritto viene poi restaurato nel 1919. Nel 1952 a Rossano si inaugura il nuovo Museo diocesano per il Codex. Altro restauro (a Roma) nel 1984-85. Nel 2000 si apre una sede nuova. Dal 2012 l’ultimo restauro, radicale, a Roma, ad opera dei tecnici dell’Istituto centrale per il restauro. Dalla capitale torna a Rossano il 2 luglio 2016 e il giorno dopo l’odierno arcivescovo Giuseppe Satriano inaugura l’ultima versione (tecnologicamente molto avanzata) del Museo diocesano e del Codex.

    Nel mondo ci sono alcuni altri (pochi) codici purpurei miniati che richiamano, pur con le debite differenze, quello di Rossano: in particolare il “Codice Sinopense” (dalla città di Sinope sul Mar Nero, Turchia settentrionale), i “Vangeli di Rabbula” (dal monaco Rabbula, nord della Mesopotamia), il “Vienna Genesis” di argomento intuibile e considerato “la forma più antica di fumetto con forte valenza didascalica”.

    Ancora un’annotazione ‘tecnica’, ma di implicazioni profonde: nel suo ultimo saggio (già citato, Codex Purpureus Rossanensis e Settimana Santa bizantina) mons. Luigi Renzo prospetta un interessante parallelismo tra le miniature del Codex Purpureus Rossanensis e i riti della Settimana Santa bizantina. Nella prefazione dello stesso saggio il cardinale Gianfranco Ravasi rileva che nella Chiesa si è continuato “a unire alla carità l’arte, al bonum il pulchrum, (…) nella consapevolezza poi che anche tutto il popolo (e non solo il principe committente) ha diritto a sperimentare la bellezza, accanto alla carità”. Nella successiva “Riflessione” mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, rileva che “teologia, liturgia, arte e bellezza vengono a incontrarsi nel suggestivo viaggio del Codex Purpureus Rossanensis”, che diventa così “messaggio eloquente per il cammino ecumenico del nostro tempo”.

     

    CECILIA PERRI: UN CANTIERE DI IDEE E LA VISITA DEL PATRIARCA BARTOLOMEO

    Su quanto è stato fatto concretamente negli ultimi anni per la valorizzazione del Codex Purpureus Rossanensis abbiamo sentito la dinamica Cecilia Perri, vicedirettrice del Museo. “Il riconoscimento del Codex Purpuresu Rossanensis nel 2015 come bene Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco ha restituito al prezioso manoscritto la sua giusta identità, mettendo in luce le importanti azioni di valorizzazione già avviate dall’Arcidiocesi di Rossano-Cariati, e stimolandone nuove”. Qui Cecilia Perri ha citato in particolare la “creazione di un innovativo percorso museale” in grado di spostare l’attenzione del visitatore sul solo Codex e l’affidamento della gestione a una associazione (“Insieme per camminare”) composta da diversi giovani di alta professionalità e accomunati dall’amore per l’arte e il territorio. E’ così che il Museo è stato trasformato in “un luogo di scambio, incontro e dialogo”. Va evidenziata la visita del settembre scorso del Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo, un segno visibile di concretizzazione del “messaggio di unione tra Oriente e Occidente di cui il Codex è depositario”. Tante, ha rilevato ancora Cecilia Perri, le iniziative, da “Sfogliando il Codex” (con il cambio della pagina nella teca, in presenza di un ospite illustre) alle attività didattiche e catechetiche, fino ai legami stabiliti a livello internazionale, ad esempio con i musei che ospitano gli altri codici purpurei.

     

    MONS. GIUSEPPE SATRIANO: CONTEMPLARE IL CODEX  E RICONOSCERLO COME AIUTO PER UMANIZZARE LA NOSTRA VITA

    Da parte sua, monsignor Giuseppe Satriano, (lo incontriamo nel suo episcopio in cui si fondono accoglienza e bellezza) ha evidenziato la valenza spirituale del Codex, espressione singolare di quell’evento che ha rivoluzionato la storia dell’umanità: l’incarnazione di Gesù Cristo”. Il Codex è opera misteriosa, “disegnata e narrata da meravigliosi colori e dall’intrecciarsi di porpora, oro e argento”. Da esso “si dipana una vicenda umana e divina che ha toccato cuori, ha risanato esistenze, ha rilanciato speranza, ha realizzato la liberazione dell’umano, restituendolo alla sua dignità”. Come riuscire a cogliere il messaggio del Codex? Entrare nelle pieghe di questo antico e prezioso manoscritto è possibile solo attraverso uno sguardo contemplativo, capace di lasciarsi rapire dalla bellezza e dal profumo dei secoli, addensati in esso”. Qual è l’invito concreto che il Codex propone alla gente di Rossano e della Calabria? “Quello di vivere percorsi d’incarnazione nei confronti di quelle fatiche e di quelle speranze che la nostra gente di Calabria sperimenta nel suo quotidiano. Se valenza spirituale c’è in questo manufatto di grande valore è da individuare in un significativo percorso di umanizzazione, ponendo al centro la persona, sapendo cogliere tutte le opportunità atte a sostenere e valorizzare la crescita del territorio e nuovi spazi di lavoro per i nostri giovani. Lì dove l’umano fiorisce”.

     

    ALESSANDRA MAZZEI: IL CODEX COME SIMBOLO DELL’IDENTITA’ DELLA NOSTRA TERRA CALABRESE

    Chi è Alessandra Mazzei? Vulcanica presidente dell’Associazione “Rossano Purpurea”, ci espone qualche considerazione tra gli ulivi di famiglia, a pochi metri da un convento settecentesco riadattato ad agriturismo: “Credo che il Codex sia un po’ una sintesi dell’identità di questo territorio, sintesi tra Oriente e Occidente, spiritualità sposata con l’eleganza delle forme, capacità di raccontare la realtà nella maniera più incisiva. I monaci che l’hanno creato ci hanno tramandato le loro esperienze fatte sull’altra riva del Mediterraneo, come sappiamo grande fucina di idee e crogiuolo di culture”. Però non è facile “comunicare” la Calabria, che ha un’immagine pubblica spesso non proprio accattivante… “Abbiamo sempre avuto la difficoltà di far conoscere agli altri il racconto della nostra terra. In assenza del nostro racconto altri ne sono stati fatti, che non hanno molto valorizzato l’immagine di una Calabria che ha dato tanto alla civiltà italica. Compete allora a noi acquisire una maggiore consapevolezza delle nostre virtù, professionalizzando l’accoglienza (ma sempre fondandola su quella che riserviamo agli amici) così che i nostri ospiti possano fruire veramente delle bellezze che questo nostro territorio offre così copiosamente. Anche in tal senso il Codex è per noi una bandiera di cui essere fieri”.

     

    MIRELLA PACIFICO: TONINO, IL CUSTODE, CI HA FATTO INNAMORARE DEL CODEX

    Abbiamo la sensazione che qui le donne portino i pantaloni, tanto sono attive. Vedi un altro esempio, quello di Mirella Pacifico, presidente (e trascinatrice) dell’Unione cattolica italiana insegnanti (Uciim) di Mirto-Rossano. La troviamo al Kursaal, idillico stabilimento in riva al mare di Mirto (dove l’altra domenica è stata celebrata anche una santa messa seguita dalla cerimonia :della ‘Benedizione del mare”): “Quando eravamo ragazze, ci piaceva andare il mattino nella piazzetta davanti alla cattedrale dove c’erano le botteghe degli anziani, che ci raccontavano in modo pittoresco la storia di Rossano. Ed è proprio lì che è nato un legame profondo con quello che di Rossano è il figlio più importante: il Codex Purpureus”. E chi è che vi raccontava del Codex? “Ai miei tempi il Museo diocesano era in una stanzetta nell’arcivescovado. C’era un custode, Tonino, che – pur forse non avendo grandi titoli di studio - ci ha fatto innamorare di quel manoscritto che probabilmente con le sue miniature era servito anche per insegnare il catechismo ai bambini”. Prosegue Mirella Pacifico: “Mi piace pensare anche a quanto lavoro oscuro stia dietro un codice come il nostro… a quante persone – che non sono apparse – hanno collaborato in tanti modi (ad esempio nella preparazione dei materiali) al suo successo. E poi c’è un altro aspetto che mi fa riflettere: quello del silenzio dei monaci, che vivevano intensamente la Parola e hanno saputo trasferirla senza strepiti in pagine tanto preziose, che uniscono Oriente e Occidente”.

     

    FABIOLA FORCINITI: IL CODEX  NON E’ MORTO, PUO’ PURE DIVENTARE UN’OCCASIONE DI LAVORO PER  UN NUMERO ANCORA MAGGIORE DI GIOVANI

    Ormai non è più sorprendente: lo stabilimento di cui sopra ha una bagnina, un folletto tanto per cambiare vivacissimo di nome Fabiana Forciniti, fresca di maturità linguistica presso il liceo di Rossano (quello che, salendo verso la cattedrale, colpisce per le sue forme architettoniche miste di bastioni normanni e grandi vetrate arabe). “Ho sentito parlare per la prima volta del Codex quando frequentavo le medie a Mirto Crosia. Ero una bambina e ne fui molto impressionata. Oggi che sono cresciuta sono ancora più convinta che il Codex sia una carta fondamentale per la comprensione e la valorizzazione del nostro territorio”. Ma in fondo il Codex non appare come un relitto di un passato pur glorioso? “No, non è un oggetto morto. Vive … è una gioia sentirlo palpitare anche dentro di me… è una gioia per tutto il nostro territorio”. Ancora Fabiola: “Il Codex è vivo, anche perché può trasformarsi in un’occasione di lavoro per tanti miei coetanei, che studiano le lingue e potrebbero essere impegnati nell’accoglienza di turisti di ogni parte del mondo”. Un Museo c’è già…. “Io ne vorrei uno ancora più grande, in cui si valorizzino sotto un unico tetto, in reparti separati, non solo il Codex, ma anche ad esempio i reperti archeologici che sono disseminati sul nostro territorio. Intanto però bisogna pensare a far sì che a partire dalla scuola nasca negli alunni l’amore per un territorio che offre moltissimo, ma spesso – anche dai nostri – è poco conosciuto in queste sue virtù”.

    Alla fine dell’articolo la riproduzione di cinque pagine del Codex Purpureus Rossanensis, offerta gentilmente dal Museo diocesano e del Codex dell’arcidiocesi di Rossano-Cariati:  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., telefono: 0983/525263, orario estivo 09.30-13.00/16.30-20.30 (chiuso il lunedì), orario invernale 16.9-30.6 09.30-12.30/15.00-18.00 (chiuso il lunedì).

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