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    BOSNIA/LA DURATURA QUARESIMA DEI CATTOLICI

     

    BOSNIA/ LA DURATURA QUARESIMA DEI CATTOLICI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 marzo 2015

     

    Lunedì 16 marzo in udienza dal Papa i vescovi della Bosnia ed Erzegovina - Gli Accordi di Dayton del 1995 avallano de facto la ‘pulizia etnica’ – Dimezzamento del numero dei cattolici dal 1991, i funerali sorpassano i battesimi, la secolarizzazione avanza, l’emigrazione è una tentazione ben presente – Un barlume di Pasqua grazie al viaggio apostolico di papa Francesco il prossimo 6 giugno?

     

    E’ in corso da martedì 10 marzo la visita ad limina dei vescovi della Bosnia-Erzegovina. Lunedì 16 marzo saranno in udienza da papa Francesco e daranno voce alle istanze di una Chiesa che da sempre vive in Quaresima. In tal senso la visita a Sarajevo di papa Francesco, fissata al prossimo 6 giugno, potrà essere almeno un anticipo di quella Pasqua che i bosniaci fin qui non hanno conosciuto.

    I numeri di questi ultimi 25 anni – forniti dai vescovi bosniaci - parlano chiaro. Nel 1991, alla vigilia della guerra civile, i cattolici in Bosnia erano circa 800mila: 760mila ufficialmente registrati, altri 40mila clandestini, dato che si era ancora sotto il regime comunista e per un pubblico funzionario era ancora molto rischioso dichiararsi seguace di Cristo. Nel 1996, dopo la guerra, si erano ridotti- secondo le cifre disponibili presso la Conferenza episcopale – a 424.915. Nel 2003, rientrata a casa una piccola parte di sfollati, erano risaliti a 464.821; alla fine del 2014 erano ricaduti a 420.294.

    Altre cifre. Se nel 1996 i battesimi erano stati 1467 più dei funerali, nel 2014 i secondi avevano sopravanzato i primi di 661 unità. Come si nota, il declino numerico dei cattolici, che oggi sono circa il 14% dell’intera popolazione (contro il 48% dei musulmani e il 37% degli ortodossi) appare evidente.

    A tale situazione hanno contribuito e contribuiscono in misura rilevante gli ‘Accordi di Dayton’ del dicembre 1995, stipulati in una base aerea dell’Ohio e firmati poi a Parigi. Il loro merito è quello di aver fatto tacere le armi: da allora in Bosnia la guerra civile non c’è più e il merito è certo enorme.

    Tuttavia è opinione comune che tali Accordi, molto poco applicati in alcuni punti fondamentali, abbiano purtroppo de facto sancito anche il successo della ‘pulizia etnica’ messa in atto durante la guerra. E’ questa un’opinione condivisa certamente dai cattolici di Bosnia e dal mondo cattolico croato (che insiste molto sulla necessità di modifica); ed è anche quello che pensa la Segreteria di Stato vaticana.

    Già nel 2005 il negoziatore principe, l’americano Richard Holbrook, si era detto stupito che gli Accordi - definiti grossolani - fossero ancora in vigore. In effetti hanno prodotto una pace non fondata sulla giustizia. Perché? Croati, serbi e bosgnacchi (musulmani di Bosnia) sono le tre etnie definite ‘costituenti’. Tuttavia de facto non c’è la parità di trattamento tra loro. La parità si registra sostanzialmente solo a livello di presidenza federale con tre co-presidenti rappresentanti ogni etnia che si danno il cambio ogni 8 mesi. Anche nel Ministero della Difesa troviamo un ministro e due viceministri, in rappresentanza ognuno di un’etnia diversa. Negli altri ministeri non succede. Immaginiamoci a livelli inferiori.

    Con gli Accordi di Dayton la Bosnia ed Erzegovina è stata poi divisa in due entità (pur essendo tre le etnie ‘costituenti’): la Repubblica Serba (per i quattro quinti di etnia serba e di religione ortodossa) e la Federazione Croato-Musulmana (per le altre due etnie). Quali le conseguenze per i cattolici (al 99% di etnia croata)? Nella Repubblica Serba non contano niente o quasi, vista la preponderanza numerica appunto dei serbi. Nella Federazione croato-musulmana sono sempre in minoranza, data la preponderanza numerica dei bosgnacchi (musulmani). Addirittura per due mandati nella presidenza federale si è avuto un rappresentante dell’etnia croata, eletto con i voti dei bosgnacchi, che aveva sconfitto il rivale croato votato dai croati.

    In tale contesto si pone il problema irrisolto del ritorno degli sfollati alle proprie case. E’ una delle condizioni principali perché si possa parlare di una pace giusta. Lo ha evidenziato anche il Segretario di Stato nella prolusione di giovedì 12 marzo presso la Gregoriana. “Quando è in gioco la pace, le questioni da affrontare nel post-conflitto sono molto chiare, come ad esempio il rientro di profughi e sfollati, il funzionamento delle istituzioni locali e centrali, la ripresa delle attività economiche, la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale da cui non è estranea la componente religiosa. Ben più complesse però – ha poi rilevato il cardinale Parolin, certo pensando anche alla Bosnia ed Erzegovina – sono le esigenze di riconciliazione tra le parti. Basti pensare al rispetto dei diritti umani e tra questi al diritto al ritorno, al ricongiungimento di famiglie e comunità che si confronta con la restituzione dei beni o con il loro risarcimento”. In Bosnia, secondo dati della Caritas locale, circa il 61% dei cattolici è stato costretto ad abbandonare le proprie case durante la guerra. Quanti sono potuti rientrare? Nella Repubblica Serba solo poco più del 6%. Nella diocesi di Banja Luka, situata nella citata entità statuale, i cattolici sono scesi a 34.361 dagli oltre 50mila di prima del Duemila.

    Da anni da varie parti si chiede che gli Accordi di Dayton siano modificati. Purtroppo gli ostacoli giuridici, contenuti in tali testi, sono tanti e ardui da superare. Per il cambiamento devono essere d’accordo le tre parti costituenti: è difficile però ad esempio ipotizzare che i serbi vogliano rinunciare alla loro attuale situazione, che li vede privilegiati rispetto ai croati. Non basta: devono essere d’accordo anche i garanti, cioè l’Unione europea, la Francia, la Germania, la Russia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Un’ipotesi questa oggi particolarmente esposta a veti incrociati.

    Onestamente al momento non si vedono possibilità reali di miglioramenti sostanziali nella condizione dei cattolici di Bosnia. Che emigrano sempre più, data la disoccupazione dilagante in patria. Essi devono confrontarsi anche con la crescente minaccia dell’estremismo musulmano che, ad esempio a Sarajevo, rischia di compromettere la tradizionale e storica convivenza tra le etnie. Sebbene anche qui, a proposito della conclamata tolleranza ottomana, qualcosa ci sarebbe pure da aggiungere: la prima chiesa costruita all’aria aperta a Sarajevo è la cattedrale e data del 1889. Cioè dei primi anni di amministrazione della Bosnia da parte dell’Impero austro-ungarico (l’annessione avverrà nel 1908). Prima evidentemente, quando la Bosnia era sotto gli ottomani,  a Sarajevo di chiese non se ne potevano costruire.

    Potrà cambiare qualcosa la visita di papa Francesco? Difficile prevederlo. E tuttavia, in ogni caso, tale visita potrà dare ai cattolici di Bosnia quell’incoraggiamento oggi necessario ancor più di ieri., spingendoli a uscire da uno stato di scoramento giustificato dalle circostanze di vita, da Quaresima sempiterna.   

    P.S. Si veda in questo stesso sito www.rossoporpora.org anche “Bosnia/Card. Pulijc: Per gli USA e l’UE i cattolici non esistono”.

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