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    1949: PERCHE' LA SCOMUNICA AI COMUNISTI (CON DUE PREMESSE E APPENDICE)

    1949: PERCHE’ LA SCOMUNICA AI COMUNISTI (CON DUE PREMESSE E APPENDICE) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 maggio 2022

    Presentata a Sant’Egidio l’indagine di Cesare Catananti su “La scomunica ai comunisti”(ed. San Paolo), relatori il cardinale Pietro Parolin, Andrea Riccardi, Pierluigi Bersani e Massimo Franco. Nelle premesse Svizzera/ Vaticano e un’intervista papale al ‘Corriere della sera’. In appendice un discorso ‘ungherese’ di Pio XII del 20 febbraio 1949 alla grande folla di romani riuniti in Piazza San Pietro.

     

    GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA: UN GIURAMENTO CON DUE NOVITA’

    L’altro ieri era il 6 maggio, giorno in cui si svolge ogni anno il Giuramento delle nuove reclute (per l’occasione 36, 2 gli italofoni) della Guardia Svizzera Pontificia. Come è noto la data richiama un altro 6 maggio, quello del 1527, in cui 147 confederati diedero la vita per salvare Clemente VII durante il ‘Sacco di Roma’ perpetrato da lanzichenecchi e spagnoli al servizio di Carlo V.

    Quest’anno il Giuramento (tenutosi per ragioni di maltempo nell’Aula Nervi) è stato accompagnato da due novità. La prima: la firma mercoledì 4 maggio di un Protocollo d’intesa fra la Segreteria di Stato (nella persona del cardinale Parolin) e la ‘Fondazione per il rinnovo della Caserma della Guardia Svizzera Pontificia del Vaticano” (avvio dei lavori ritardato alla fine del Giubileo del 2025, a condizione che sia assicurato il finanziamento del progetto definitivo e siano state concesse le autorizzazioni necessarie). La seconda: il taglio del nastro a via Crescenzio 97, nello stabile che ospiterà la neonata Ambasciata di Svizzera presso la Santa Sede, ad opera del presidente della Confederazione Ignazio Cassis e dell’arcivescovo Richard Gallagher (Segretario per i rapporti con gli Stati). Cassis in mattinata era stato anche ricevuto in udienza per mezz’ora da Francesco (promozione giustizia e pace, ripercussioni guerra in Ucraina, muova ambasciata).

    Si ricorderà (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/1001-svizzera-libri-nascita-canton-ticino-rapporti-elveto-vaticani.html) che nel 1920 erano stati ripristinati ufficialmente (pur se in maniera asimmetrica) i rapporti diplomatici tra Svizzera e Santa Sede (interrotti nel clima del Kulturkampf nel 1873); nel 1991 Jenö Staehelin fu nominato come ambasciatore elvetico “straordinario e plenipotenziario in missione speciale” in Vaticano, primo di altri tre diplomatici con lo stesso status fino al 2004: François Pictet, Claudio Caratsch, Hansrudolf Hoffmann. Nel 2005 ulteriore passo avanti nella normalizzazione completa dei rapporti: gli ambasciatori in Vaticano non sono più in “missione speciale”, da Jean-François Kammer (2005-2011, contemporaneamente rappresentante elvetico nella Repubblica Ceca) a Paul Widmer (2011-2014, contemporaneamente osservatore permanente del Consiglio d’Europa presso l’ONU a Ginevra), da Pierre-Yves Fux (2014-2018, contemporaneamente ambasciatore svizzero in Slovenia, poi a Cipro) a Denis Knobel (che è anche ambasciatore in Slovenia). Ora, tra pochi mesi, sarà aperta la sede romana in via Crescenzio, perfezionamento di una presenza ormai non più asimmetrica.

     

    UN'INTERVISTA AL ‘CORRIERE DELLA SERA’: MEDIAZIONE E DIPLOMAZIA

    Il ‘Corriere della Sera’ è stato scelto da papa Francesco (o chi per lui) per un’ampia intervista – soprattutto in materia di Ucraina - pubblicata sul giornalone milanese (il più venduto in Italia) martedì 3 maggio 2022. L’intervista non è certo priva di interesse: segnaliamo ad esempio la lode – uno stimolo genuinamente rivoluzionario - di Francesco per i portuali di Genova, che a suo tempo rifiutarono di trasferire su un cargo un carico di armi per lo Yemen (“Un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”).  

    L’intervista tuttavia pone non irrilevanti interrogativi, se consideriamo come papa Bergoglio persegua (giustamente, con tenacia) la mediazione tra i belligeranti per il raggiungimento almeno di un ‘cessate il fuoco’ in Ucraina.

    Sono non meno di quattro i passi assai problematici in tal senso. Il primo: Francesco parla dell’ “abbaiare della Nato alla porta della Russia”, come una delle possibili ragioni facilitatrici della reazione di Putin. Prescindendo dalla corrispondenza o no dell’immagine alla realtà dei fatti, non si può non notare che il verbo “abbaiare” può irritare una delle parti in causa (e del resto in Polonia è subito montata un’ira diffusa verso Bergoglio, considerato ‘putiniano’).

    Secondo passo, di segno diverso: il Papa ha dato del “chierichetto di Putin” al patriarca Kirill, che ha reagito con una dura nota del suo dipartimento degli esteri. Difficile negare che dare del “chierichetto di Putin” a Kirill possa essere percepito dallo stesso – altra parte in causa - come un insulto particolarmente infamante, duro da digerire. Un po’ come se a un italiano toccassero la mamma, la sorella, i morti. Una volta (sul volo Colombo –Manila, 15 gennaio 2015) Bergoglio osservò, rispondendo a una domanda sul caso tragico del Charlie Hébdo: “Ma se il dott. Gasbarri, grande amico, mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno!”. Speriamo che Kirill sia meno manesco.

    Terzo passo: lo stesso Francesco nell’intervista ha rilevato che nell’incontro a distanza con Kirill del 16 marzo scorso non ha capito niente delle giustificazioni per la guerra addotte dal patriarca. Ci si può chiedere: ma sull’incontro non sono già stati emessi due comunicati dal Vaticano e dal Patriarcato? Che senso ha aggiungere osservazioni suscettibili di alimentare altri contrasti?

    Quarto passo: sempre nell’intervista Francesco ha anche riferito di un momento-chiave dell’incontro del 21 aprile con Viktor Orban: “Mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto”. Anche qui: che bisogno aveva Bergoglio di spifferare contenuti – perdipiù esplosivi – di un’udienza di Stato privata? Danneggiando in ogni caso la sua credibilità e quella della Santa Sede.  Chi si fiderà più di confidargli qualcosa di importante?

    Ben comprendiamo i sospiri rinnovati del cardinale Parolin, costretto per l’ennesima volta a indossare il casco del muratore e a provvedersi di calce e martello,  cazzuola e scalpello per cercare di riparare i guasti provocati al ponte della diplomazia (temiamo involontariamente) dal Mediatore di bianco vestito.

     

    LA PRESENTAZIONE A SANT’EGIDIO DI “LA SCOMUNICA AI COMUNISTI”, DI CESARE CATANANTI (ED. SAN PAOLO), CON PAROLIN, RICCARDI, BERSANI, FRANCO

    Premesse un po’ lunghe, ma forse di qualche interesse… veniamo allora alla presentazione, svoltasi il 4 maggio a cura di Sant’Egidio, di “La scomunica ai comunisti – Protagonisti e retroscena nelle carte desecretate del Sant’Offizio”. Autore? Cesare Catananti. Editore? San Paolo? Prefazione? Andrea Riccardi.

    In sintesi estrema: nell’opera si indaga sulla genesi, lo sviluppo, le conseguenze del decreto di scomunica verso i membri e sostenitori del partito comunista, deciso dal Sant’Uffizio il primo luglio 1949 con approvazione di Pio XII e ufficializzato dalla Santa Sede dodici giorni dopo. Un decreto che suscitò grande clamore e che fu definito- nel suo rapporto al Quai d’Orsay -  dall’ambasciatore francese Wladimir d’Ormesson come una “bomba”.    

    Tra i relatori, oltre allo stesso storico e fondatore di Sant’Egidio, il cardinale Pietro Parolin, il ‘rosso emiliano’ Pier Luigi Bersani e Massimo Franco (‘Corriere della Sera’).  

    Alcuni spunti della serata, che non è risultata certo priva di interesse.

    Pierluigi Bersani: in video-collegamento l’ex-segretario del Pd (nato in Bettola nel 1951, anche ex-governatore dell’Emilia-Romagna, anche ex-ministro) ha inizialmente ricordato la sua militanza da chierichetto. Nel suo intervento ha con la consueta bonomia dipinto i comunisti emiliani come sostanzialmente dei paciocconi in materia di rapporti con la Chiesa, considerata come elemento fondamentale della vita sociale: “Qualche mangiapreti c’era tra i comunisti, ma molti militanti frequentavano le chiese”. Qualche mangiapreti, certo … di quelli che tra il 1943 e il 1948 hanno assassinato in Emilia-Romagna diverse decine di sacerdoti cattolici in odio alla fede (e anche il seminarista quattordicenne Rolando Rivi, oggi beato). Naturalmente non si vuole qui negare la presenza in Emilia-Romagna di migliaia di comunisti che della Chiesa non volevano fare a meno (per il battesimo dei figli, per il matrimonio, per il funerale). E in costoro il decreto del Sant’Uffizio provocò grande imbarazzo: come conciliare il voto comunista e la frequenza dei sacramenti? Per Bersani accadde che molti parroci cercarono di evitare la scomunica di una parte dei propri fedeli per non aprire “ferite profonde” nella comunità: agirono insomma, ha rilevato l’ex-chierichetto, secondo quel ‘discernimento’ voluto oggi da papa Francesco. In ogni caso, a proposito del decreto, “la Chiesa ha mostrato la sua sapienza”, mettendolo in discussione senza rinnegarlo. Ciliegina sulla torta: “Il Pci è finito prima della scomunica”. Postilliamo noi: finito? In realtà sopravvive… e come sopravvive!

    Massimo Franco: nell’intervento del giornalista del ‘Corriere della Sera’ ci pare sia emersa una sorta di nostalgia del decreto di scomunica del 1949, originato nei fatti da un paio di domande poste alla Santa Sede a fine 1944 dall’arcivescovo di Palermo, cardinale Luigi Lavitrano: 1) “Un comunista cosciente che aderisce o peggio fa propaganda del comunismo ateo incorre nella scomunica? 2) Può la bandiera comunista seguire il feretro quando il corteo, uscito di Chiesa, si avvia al camposanto?” Nostalgia, dicevamo, perché Bumbum Franco, accennando all’ “aggressione alla democrazia occidentale prima che all’Ucraina” (bumbumbum) si è chiesto se non ci sia in giro qualche altro Lavitrano che possa dar origine a un nuovo processo di scomunica. Verso chi? Chissà… magari verso tutti quei cattolici che si mostrano a volte dubbiosi sulle valutazioni del ‘Corriere della Sera’ e rifiutano di mettersi l’elmetto. Mica vorrete negare questa gioia impagabile a Bumbum Franco!

    Cardinale Pietro Parolin: nell’incipit il Segretario di Stato si è compiaciuto per l’analisi storica seria compiuta da Catananti, che in questa occasione permette di squarciare uno di quei “veli di mistero” che non raramente in materia vaticana suscitano “le più disparate fantasie interpretative”. Parolin ha evidenziato come l’autore sviluppi con rigore storico i diversi ‘momenti’ del decreto: le sue ragioni reali, il primo documento e le modifiche apportate, l’iter procedurale, il confronto interno tra sensibilità diverse, il ruolo “decisivo (e decisorio) di Pio XII”.  Certamente la scelta del decreto fu “sofferta e travagliata”: se la dottrina comunista da sempre era stata condannata dalla Chiesa, per la prima volta invece si scomunicavano coloro che, scienter et libere, “la professavano, la difendevano, la propagavano”. Era una scelta che derivava da un insieme di fattori, in primo luogo la difficoltà di dare un’applicazione omogenea sul terreno della quotidianità alla Divini Redemptoris di Pio XI (in cui si negava la possibilità di collaborare con l’ideologia comunista “intrinsecamente perversa”). Una scelta che si legava anche alla prossimità dell’Anno Santo 1950, con il quale Pio XII intendeva ridare grande slancio alla pastorale cattolica. Infine una scelta che considerava il panorama delle sofferenze cui era sottoposta la Chiesa cattolica nell’Est europeo, sempre più oppresso dal tallone liberticida sovietico. Sofferenze che non era escluso si potessero riprodurre anche in Italia, qualora il Pci si fosse impadronito del potere.

    L’attacco al comunismo e ai comunisti contenuto nel decreto non deve però – ha evidenziato il Segretario di Stato – indurre a pensare che Pio XII fosse una sorta di “cappellano della Guerra Fredda”. Se il nemico era comune, divergevano le motivazioni: la Chiesa “non si mosse per obiettivi economici o geopolitici”, ma per la sua stessa “sopravvivenza” che appariva a forte rischio. Toccato poi non di sfuggita il  problema dei ‘cattolici comunisti’ (che molto preoccupava e irritava la Chiesa), il cardinale Parolin si è chiesto se il decreto alla fine ottenne i risultati sperati. In effetti, ha rilevato, “rimase un certo livello di disordine pastorale”, le ricadute positive sul voto alla Democrazia cristiana non ci furono (dopo il grande successo ottenuto il 18 aprile 1948) e l’applicazione della scomunica fu resa difficile dalla difficoltà di interpretare quello scienter et libere legato all’appoggio al Partito comunista. Comunque, “con il passare degli anni, tutto cadde in desuetudine”, fino a quell’11 ottobre 1963 (apertura del Concilio Vaticano II) in cui papa Giovanni XXIII evocò la “medicina della misericordia”.

    Andrea Riccardi: da storico il fondatore di Sant’Egidio ha elogiato il gran lavoro fatto dall’autore, che ha saputo ben utilizzare gli Archivi del periodo, da poco riaperti agli studiosi. E a tale proposito si è augurato che in futuro gli stessi Archivi possano essere a disposizione più celermente per i ricercatori, nell’interesse sia della storia che della Santa Sede, in modo da evitare discussioni infinite e a volte molto aspre sugli atti di questo o quel Pontefice. Ricordato poi come la Chiesa abbia sempre messo in guardia dal pericolo dell’ideologia comunista, Riccardi ha individuato una ragione forte del decreto del 1949 nel timore diffuso di un’infiltrazione comunista nel mondo cattolico. Così come accadeva già nei Paesi dell’Est europeo conquistati dall’Armata Rossa. Qui il prefatore dell’opera di Catananti ha evocato ad esempio il processo con relativa condanna all’ergastolo per “alto tradimento” del primate d’Ungheria cardinale Jozsef Mindszenty (vedi alla fine della cronaca), la persecuzione contro Beran, Stepinac, i greco-cattolici in Ucraina, la spaccatura nel mondo ortodosso tra Mosca e Costantinopoli (appoggiata da Roosevelt).

    Andrea Riccardi ha anche evidenziato le differenze di opinione sull’efficacia di un decreto di scomunica all’interno di una Curia e di una gerarchia pur fortemente nel fondo anticomuniste, citando i cardinali Francesco Marchetti-Selvaggiani (non proprio un ‘progressista’, dotato però di “buon senso romano” e dubbioso sull’efficacia tra gli operai della scomunica), Giuseppe Siri (campione del conservatorismo, ma anche lui sensibile ai suoi portuali di Genova, “moltissimi di loro non sanno che cosa il comunismo, vi aderiscono per la fabbrica dell’appetito”), il futuro cardinale Giacomo Lercaro (che insisteva sulla presenza nel decreto, riguardo all’adesione al comunismo, dei due avverbi scienter et libere, consapevolmente e liberamente, chiedendosi: Ma quanti sono quelli che consapevolmente e liberamente fanno questo?). Sui cattolici comunisti, che come rilevato destavano grande preoccupazione in Vaticano, può sorprendere quanto ha osservato Riccardi, fondandosi sugli studi di Pietro Scoppola: monsignor Montini era favorevole alla loro condanna. Non però per le ragioni del cardinale Ottaviani: il futuro Paolo VI non condivideva la possibilità che, oltre alla Dc, nascesse un altro partito cattolico (di sinistra), con la conseguenza che ne sarebbe potuto sorgere uno – molto più forte – anche a destra.

    L’applicazione del decreto fu, anche per lo storico romano (e di lontane ascendenze ticinesi), assai disomogenea. Nel libro di Catananti si dà ampio spazio alle divergenze interpretative relative a atti della quotidianità (come la presenza di bandiere rosse ai funerali, la questione dei padrini di battesimo, dei testimoni di matrimonio, della vendita nelle edicole di giornali comunisti) e anche a situazioni assai curiose. Come quella, rilanciata da Riccardi, del cattolico-spia canadese che fu richiesto dalla polizia di Stato di iscriversi al partito comunista per l’ottenimento di informazioni importanti per la sicurezza nazionale. Compatibile con il decreto?  A questa e a altre domande non poco singolari troverete risposta leggendo con attenzione il bel libro-inchiesta di Cesare Catananti.

     

    DAL DISCORSO DI PIO XII DEL 20 FEBBRAIO 1949 A PIAZZA SAN PIETRO (QUALCHE GIORNO DOPO LA CONDANNA ALL’ERGASTOLO DEL PRIMATE UNGHERESE CARDINALE JOZSEF MINDSZENTY), DAVANTI A UNA FOLLA IMMENSA

    Romani ! Diletti figli e figlie !

    Ancora una volta, in un'ora grave e dolorosa, il popolo fedele della città eterna è accorso verso il suo Vescovo e Padre.

    Ancora una volta questo superbo colonnato sembra poter a stento stringere con le sue braccia gigantesche le folle che, come onde mosse da una forza irresistibile, sono affluite fin sulla soglia della Basilica Vaticana, per assistere alla Messa di espiazione nel punto centrale di tutto il mondo cattolico ed effondere i sentimenti di cui le loro anime traboccano.

    La condanna inflitta, fra la unanime riprovazione del mondo civile, sulle rive del Danubio, ad un eminente Cardinale di Santa Romana Chiesa, ha suscitato sulle rive del Tevere un grido d'indignazione degno dell'Urbe.

    Ma il fatto che un regime avverso alla religione ha colpito questa volta un Principe della Chiesa, venerato dalla stragrande maggioranza del suo popolo, non è un caso isolato; esso è uno degli anelli della lunga catena di persecuzioni che alcuni Stati dittatoriali muovono contro la dottrina e la vita cristiana.

    Una nota caratteristica comune ai persecutori di tutti i tempi è che, non contenti di abbattere fisicamente le loro vittime, vogliono anche renderle spregevoli e odiose alla patria ed alla società. (…)

    Romani ! La Chiesa di Cristo segue il cammino tracciatole dal divin Redentore. Essa si sente eterna; sa che non potrà perire, che le più violente tempeste non varranno a sommergerla. Essa non mendica favori; le minacce e la disgrazia delle potestà terrene non la intimoriscono. Essa non s'immischia in questioni meramente politiche od economiche, nè si cura di disputare sulla utilità o il danno dell'una o dell'altra forma di governo. Sempre bramosa, per quanto da lei dipende, di aver pace con tutti (cfr. Rom. 12, 18), essa dà a Cesare ciò che gli compete secondo il diritto, ma non può tradire nè abbandonare ciò che è di Dio.

    Ora è ben noto quel che lo Stato totalitario e antireligioso esige ed attende da lei come prezzo della sua tolleranza o del suo problematico riconoscimento. Esso, cioè, vorrebbe

    una Chiesa che tace, quando dovrebbe parlare;

    una Chiesa che indebolisce la legge di Dio, adattandola al gusto dei voleri umani, quando dovrebbe altamente proclamarla e difenderla;

    una Chiesa che si distacca dal fondamento inconcusso sul quale Cristo l'ha edificata, per adagiarsi comodamente sulla mobile sabbia delle opinioni del giorno o per abbandonarsi alla corrente che passa;

    una Chiesa che non resiste alla oppressione delle coscienze e non tutela i legittimi diritti e le giuste libertà del popolo;

    una Chiesa che con indecorosa servilità rimane chiusa fra le quattro mura del tempio, dimentica del divino mandato ricevuto da Cristo: Andate sui crocicchi delle strade (Matth. 22, 9); istruite tutte le genti (Matth. 28, 19). (…)

    È questa la Chiesa che voi venerate ed amate? Riconoscereste voi in una tale Chiesa i lineamenti del volto della vostra Madre? Potete voi immaginarvi un Successore del primo Pietro, che si pieghi a simili esigenze? (…)

    Può dunque egli tacere, quando in una Nazione si strappano con la violenza o con l'astuzia dal centro della Cristianità, da Roma, le chiese che le sono unite, quando s'imprigionano tutti i vescovi greco-cattolici, perchè negano di apostatare dalla loro fede, si perseguitano e si arrestano sacerdoti e fedeli, perchè rifiutano di separarsi dallo loro vera Madre Chiesa?

    Può il Papa tacere, quando il diritto di educare i propri figli è tolto ai genitori da un regime di minoranza, che vuole allontanarli da Cristo?

    Può il Papa tacere, quando uno Stato, oltrepassando i limiti della sua competenza, si arroga il potere di sopprimere le diocesi, di deporre i Vescovi, di sconvolgere l'organizzazione ecclesiastica e di ridurla al di sotto delle esigenze minime per una efficace cura delle anime?

    Può il Papa tacere, quando si giunge al punto di punire col carcere un sacerdote reo di non aver voluto violare il più sacro ed inviolabile dei segreti, il segreto della confessione sacramentale?

    È forse tutto ciò illegittima ingerenza nei poteri politici dello Stato? Chi potrebbe affermarlo onestamente? Le vostre esclamazioni hanno già dato la risposta a queste e a molte altre simili domande. (copyright: Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana)

     

     

     

     

     

     

     

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