UN LIMES ‘SVIZZERO’ – PARI OPPORTUNITA’: UN SONDAGGIO, UN INTERVENTO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23 febbraio 2024
La rivista di geopolitica Limes ha dedicato recentemente un numero monografico alla Svizzera quale ‘potenza nascosta’: una trentina i contributi di varia provenienza, generalmente molto stimolanti. Mercoledì 21 febbraio si è svolto presso la Camera dei deputati un Convegno sull’indipendenza economica della donna: riproponiamo l’intervento di Paola Senesi, dirigente scolastico del liceo Giulio Cesare di Roma, che ha preso spunto da un sondaggio inglese dai risultati inattesi…
LIMES: UN NUMERO MONOGRAFICO ALLA SCOPERTA DEL DNA DELLA CONFEDERAZIONE ELVETICA
“Oltrepassata la città di Como, ci inerpichiamo rapidamente nel massiccio montuoso che incombe su di noi. Quindici chilometri nell’oscurità e poi, finalmente, eccoci al di là del Gottardo, a Chiasso, nota località di sport invernali nella Svizzera italiana”. Che dite… non è proprio così? Eppure questa grosso modo è un’immagine geografica della Svizzera che emergeva nel febbraio 1985 da una nostra indagine sulla conoscenza della Confederazione svolta con un gruppo di studenti del Liceo svizzero di Roma tra circa duemila coetanei romani di una ventina di scuole medie superiori. Il Corriere del Ticino pubblicò l’articolo relativo nell’edizione del 30 aprile 1985. Con una vignetta esplicativa (della nostra ex-allieva Annamaria Glaser). Due Quiriti si incontrano e uno dice all’altro: “Er San Gottardo collega l’Italia alla Svizzera tedesca”. “No – ribatte quest’ultimo – l’Italia alla Svizzera Italiana”.
Chissà se oggi l’indagine (che era alla seconda edizione, la prima la conducemmo nel novembre 1983, vedi Corriere del Ticino del 10 dicembre 1983) darebbe risultati diversi…. Lecito sperarlo, ma difficile valutare, considerato anche come da allora l’apprezzamento per discipline come storia e geografia non sembra certo essersi accresciuto nella scuola italiana.
Lasciamo la domanda aperta, con un bel punto interrogativo e assaporiamo invece la scelta della nota rivista di geopolitica Limes di dedicare alla Svizzera, “potenza nascosta”, un numero monografico che ancora campeggia in diverse edicole.
E’ una scelta che rimanda direttamente anche al fondatore e direttore Lucio Caracciolo, memore di essere stato allievo negli Anni Sessanta della Scuola svizzera di Roma, prima di frequentare il liceo Tasso.
Qual è l’obiettivo che si pone stavolta Limes, una rivista che non è certo sconosciuta per i suoi contenuti ai lettori di Rossoporpora.org e che anche per l’occasione è impreziosita dalla cartografia di Laura Canali? Andare “alla scoperta di un Paese molto speciale, un’Europa in miniatura che rifiuta l’Ue, un Occidente a tutto tondo ma neutrale”.
Le oltre duecento pagine della monografia sono introdotte da “Le Svizzere nella Svizzera”, proseguono con “Svizzera mondiale”, si chiudono con “La Svizzera e noi”. Una trentina i contributi, equamente distribuiti e di provenienza diversa, spesso molto interessanti. Ne ridiamo qualche sapore, certo non esaustivo della ricchezza contenutistica del numero.
L’apertura è a firma dello storico André Holenstein, che sintetizza ci sembra con incisività alcune caratteristiche fondamentali – con contraddizioni connesse - della Confederazione. Leggiamo: “La Svizzera è il Paese più europeo del continente. L’affermazione non intende essere una provocazione, bensì la constatazione di un dato di fatto storico. Nessun altro Paese in Europa ha intrecciato da secoli le proprie vicende a quelle del continente in maniera così determinante. Esso deve a tali circostanze persino la propria indipendenza. Eppure non vi è alcun altro Paese che – paradossalmente, parrebbe – si ribella in modo altrettanto netto all’idea di appartenere all’Europa, che fonda la propria autocoscienza sulla diversità e che ritiene di poter mantenere la propria indipendenza e il proprio status di Sonderfall, caso speciale, mediante l’isolamento dal resto del continente”.
SPUNTI DAI CONTRIBUTI DI MARCO SOLARI E DI MORENO BERNASCONI
A seguire un’ampia intervista di Lucio Caracciolo e Fabrizio Maronta a Marco Solari, che ricordiamo bene a Berna come delegato del Consiglio federale per il Settecentesimo della Confederazione. Due i passi dell’intervista che ci piace segnalare. Il primo riguarda il Patto fondativo siglato a nord del San Gottardo tra le genti di Uri, Svitto e Untervaldo e che convenzionalmente si fa risalire al 1291 (in ogni caso è stato stilato tra il 1280 e il 1315): “Quel patto, redatto in latino, presenta un aspetto interessantissimo: gli esperti vi ravvisano forti influenze linguistiche meridionali”. Insomma “lo spirito confederativo si nutre probabilmente anche del vento da sud che spira Oltralpe grazie alle influenze (…) politico-culturali giunte dalle valli subalpine, magari addirittura da Milano, insieme ai commerci”. Il secondo passo da evidenziare (ma naturalmente si può essere di opinione diversa) riguarda il rapporto tra Canton Ticino e Italia. Qual è la “vera, fondamentale differenza” tra loro? “La cultura politica. Codecisione e autogoverno dal basso connotano il Ticino; verticismo e attesa del salvatore hanno sempre caratterizzato la Penisola”. Che cosa unisce il Ticino al resto della Svizzera? “La forma mentis, la cultura politica, gli ideali affermati in nuce già nel Patto di Torre del 1182: spirito di autonomia, una certa forma di libertà, cooperazione. Ideali che, ribadisco, percorrono tutta la storia svizzera”.
Con piacere abbiamo ritrovato tra i contributori anche il nostro collega a Palazzo federale (e caro amico) Moreno Bernasconi, lui per il Giornale del Popolo, noi per il Corriere del Ticino. E non poteva non tornarci alla mente lo scontro verbale che avemmo sulla scalinata del Café Vallotton nel 1991 a proposito del successo della neonata Lega dei Ticinesi: in illo tempore, lui – ciellino – intravedeva nella Lega uno strumento di rigenerazione della società ticinese, noi invece eravamo in posizione assai critica. Bernasconi si è sempre occupato di federalismo e anche nel Limes rossocrociato ricorda che “nella storia degli Stati nazionali il sistema politico elvetico rappresenta un ibrido particolare. E’ infatti il frutto di un riuscito innesto moderno su un ceppo premoderno”. Oggi “c’è chi considera superata la cultura politica che in questo spazio alpino è andata formandosi nei secoli. Forse è vero il contrario. La Svizzera, che ha investito le sue migliori energie nel miglioramento delle vie di comunicazione, ha visto crescere al suo interno una cultura della mediazione e del libero scambio più che mai attuali. L’arbitrato e il patto sociale fra soggetti e interessi diversi sviluppatisi nel crocevia elvetico rispondono ad alcuni dei problemi complessi posti dall’odierna società. Nella soluzione delle crisi sociopolitiche legate alla globalizzazione, sono evidenti il deficit democratico e la necessità di rafforzare la legittimazione delle scelte politiche grazie a un paziente lavoro di mediazione e di concertazione. Quanto ai modelli politici nazionali di stampo centralistico, è sotto gli occhi di tutti la loro difficoltà. Il federalismo sembra portare maggiori benefici rispetto al centralismo statale”. Anche qui è legittimo essere di opinione almeno parzialmente diversa…
AMBASCIATORI SULLA NEUTRALITA’: ALEXIS LAUTENBERG E BERNARDINO REGAZZONI
Di sicuro interesse anche un’altra intervista di Caracciolo, quella con Alexis Lautenberg. Il già ambasciatore a Roma dal 1999 al 2004 parla di un fondamento della politica elvetica, il concetto di neutralità (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/1124-svizzera-iniziativa-popolare-a-difesa-della-neutralita.html) : “Il vero segreto della nostra coesione nel tempo è stato il concetto di neutralità permanente, definitivamente fissato nel 1815 dalle potenze vincitrici di Napoleone. Garanzia dell’inviolabilità del nostro territorio e della coesione nazionale. Credo di poter dire che la neutralità attiva sia stata la quintessenza della nostra strategia politica per tutto l’Otto-Novecento”.
Dell’argomento si occupa pure un altro ex-ambasciatore svizzero a Roma (2009-2014), Bernardino Regazzoni (vedi anche https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/387-si-tuffo-si-immerse-ne-usci-il-tevere-dell-ambasciatore-regazzoni.html ) in un contributo dal titolo “Neutrali per vocazione e per scelta”. Ecco l’incipit: “Fino a un paio d’anni fa la questione della neutralità svizzera poteva sembrare, soprattutto all’orecchio distratto dell’osservatore esterno, una curiosità. Sul fronte domestico è stata invece sempre ben presente soprattutto come elemento identitario, malgrado le molte accezioni che lo svizzero medio può attribuirle, spesso in base alla propria sensibilità politica. La guerra ucraina ha ridato attualità al dibattito, tutt’altro che consensuale, intorno alla neutralità”. Osserva poi tra l’altro Regazzoni: “Nel corso del XX secolo la Svizzera ha applicato la neutralità in modo differenziato. In materia di sanzioni, a partire dall’inizio degli Anni Cinquanta (su pressione americana) adottò le sanzioni della Nato verso il blocco comunista. Alla fine della guerra fredda e anche prima della sua adesione all’ONU, Berna adottò quelle contro l’Iraq, la ex-Jugoslavia e la Libia. Dall’adesione, essa è ovviamente tenuta ad applicare le sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezza. Ha anche adottato diversi regimi sanzionatorio dell’Unione europea, in primo luogo quelli contro la Russia”.
Ci sarebbe ancora molto da segnalare, come ad esempio le considerazioni di Remigio Ratti dal titolo “Berna teme l’aggiramento ferroviario” o quelle di Michele Rossi: “Se il Ticino ha paura dell’idraulico italiano”. Ma… tagliate la testa al toro e procuratevi l’intera monografia! Per chi è interessato, ne vale la pena!
P.S. Assai curiosa un’asserzione che abbiamo scovato in un contributo sulla Guardia Svizzera (pag. 219): “Oggi gli svizzeri sono gli unici a occuparsi della sicurezza del papa e del Vaticano”… vallo a dire alla Gendarmeria pontificia!
UN CONVEGNO ALLA CAMERA SULL’INDIPENDENZA ECONOMICA DELLA DONNA – L’INTERVENTO DELLA PRESIDE DEL LICEO GIULIO CESARE DI ROMA PAOLA SENESI HA PRESO SPUNTO DA UN SONDAGGIO INGLESE DAI RISULTATI SORPRENDENTI
Mercoledì 21 febbraio 2024 è stato pubblicizzato il 7.mo Rapporto Censis-Eudaimon sul benessere psicofisico aziendale, da cui emerge come permangano per le donne italiane difficoltà non indifferenti nel conciliare famiglia e lavoro. L’ha ribadito, condividendo dunque i risultati dello studio, anche il ministro della Famiglia, natalità e pari opportunità Eugenia Maria Roccella intervenuta nelle stesse ore a un Convegno presso la Camera dei deputati sull’indipendenza economica femminile, favorita dall’esistenza di un mercato del lavoro ‘inclusivo’ tale da eliminare gli ostacoli che ancora oggi non ne permettono una piena concretizzazione.
Al Convegno, promosso da Walter Rizzetto (presidente dell’XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati) con il sostegno dell’Anmil, hanno partecipato tra gli altri il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Marina Elvira Calderone e Chiara Gribaudo (presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia). Le esperienze in ambito scolastico sono state illustrate da suor Manuela Robazza (formazione professionale salesiana), Aldo Antolini (scuola Maria Ausiliatrice di Roma) e Paola Senesi, dirigente scolastico del Liceo classico Giulio Cesare di Roma. Di quest’ultimo intervento, che prende spunto da un sondaggio inglese recente dai risultati non proprio scontati sui rapporti uomo-donna, proponiamo di seguito il testo integrale.
“Il mio evidentemente sarà un intervento derivato dall’esperienza scolastica, in particolare da dirigente del Liceo classico Giulio Cesare di Roma (di cui in quest’aula saluto la presenza di un folto gruppo di studenti).
Vorrei incominciare proponendo alla vostra riflessione alcuni risultati emersi da un sondaggio inglese dell’agosto 2023 sulle pari opportunità, condotto dal Policy Institute del King’s College di Londra e dal Global Institute for Womens Leadership in collaborazione con la società demoscopica Ipsos Gran Bretagna. Ha coinvolto un campione rappresentativo di 3716 persone dai 16 anni in su.
Diverse le domande in materia, ma ne evidenzierei una in particolare, quella che così suonava: “Considerando l’odierna società britannica, Lei pensa che oggi sia più difficile del passato essere uomo o essere donna oppure la situazione è sostanzialmente stabile?
Il campione globalmente risponde così: il 14% ritiene che sia più difficile oggi essere uomo, il 35% non vede mutamenti rilevanti, il 47% pensa che sia più difficile essere donna. Fin qui niente di particolarmente inatteso.
CRESCONO I TIMORI NEI GIOVANI MASCHI
Se però ci addentriamo nei risultati delle classi di età, notiamo qualcosa che può essere ritenuto sorprendente. A livello di 16-29 anni, tra i maschi il 26% ritiene che oggi sia più difficile essere uomo (con quasi la metà che risponde: molto più difficile) e un 38% invece pensa sia più difficile essere donna. Tra le giovani per contro solo l’8% risponde che è più difficile oggi essere uomo contro il 57% che è convinto che sia la donna a essere penalizzata. Evidente la differenza nelle risposte dei due sessi.
C’è però altro da aggiungere a proposito del sondaggio inglese. I giovani maschi appaiono più pessimisti sul loro futuro in quanto tali rispetto agli ultrasessantenni, che solo per un 17% (rispetto al 26% dei giovani) ritengono che oggi sia più difficile essere uomo. Differenze non irrilevanti dunque tra giovani maschi e giovani femmine, ma anche tra giovani maschi e maschi anziani.
La direttrice del Global Institute for Women’s Leadership Rosie Campbell ha così commentato: “Stiamo assistendo all’emergere di una polarizzazione nell’atteggiamento dei giovani uomini e donne nei confronti dell’uguaglianza di genere”.
E Gideon Skinner, responsabile della Ipsos Gran Bretagna, ha aggiunto: “C’è un certo pessimismo sia tra i giovani uomini che tra le giovani donne riguardo al loro futuro ma da prospettive diverse. Le giovani donne (e anche quelle di mezz’età) con maggiore frequenza ritengono che, nonostante i progressi dell’uguaglianza di genere, la vita delle donne resterà ancora più difficile di quella degli uomini nei prossimi decenni. Gli uomini più giovani invece sono più preoccupati che la vita sarà più dura per loro e sono anche più incerti sui ruoli di genere maschile. Certo è importante non esagerare le divisioni: è ancora solo una minoranza di giovani a pensare che le pari opportunità siano andate troppo oltre. Tuttavia le divergenze emergono anche in ambito culturale, come per esempio nel confronto con l’ideologia ‘woke’: è evidente che la polarizzazione può aumentare se non si prenderanno provvedimenti per un miglioramento delle prospettive di vita dei giovani”.
Si dirà: il sondaggio citato si riferisce a una situazione inglese. È legittimo però chiedersi se anche da noi non emerga in materia una crescente e analoga polarizzazione. Non possiedo dati adeguati sull’argomento, ma in ogni caso si può supporre che in quel villaggio globale in cui oggi noi viviamo speranze e timori si trasmettano molto velocemente anche in conseguenza della diffusione dei social media, oltre che della mobilità umana.
In ogni caso, dando ragionevolmente per scontato che anche da noi i rapporti tra uomo e donna appaiono generalmente sotto una luce più complessa (che dunque suscita timori) di un tempo, ci si può chiedere che cosa faccia la scuola affinché nei nostri studenti maturi la consapevolezza della necessità di un rapporto corretto tra uomo e donna anche in quel mondo del lavoro in cui saranno inseriti, oltre che nella quotidianità della comunità in cui vivono.
Da dirigente scolastico mi domando: che cosa facciamo noi oggi perché questo si realizzi? Cosa possiamo fare perché si eviti una polarizzazione di tipo inglese?
Essendo dirigente di un liceo classico, permettetemi di incominciare col mettere in luce la rilevanza della cultura latina e greca nella formazione dei giovani. La riflessione sul ruolo della donna può essere, ed è, affrontata nello studio dei classici. A esempio, nel nostro liceo un gruppo di allieve ha allestito di recente (durante la Notte nazionale dei licei classici e poi ancora durante i festeggiamenti del Novantesimo compleanno della scuola) uno spettacolo teatrale - il Simposio del Gineceo - tutto dedicato a questo tema con una selezione di passi di scrittori greci e latini in cui si evidenziava la diversità di trattamento tra uomo e donna. Il che ha prodotto una riflessione nata innanzitutto dalla conoscenza di testi analizzati durante le lezioni ordinarie, che si è trasformata poi in un progetto comunicativo di grande efficacia. Si può notare anche che lo studio sistematico e rigoroso del Latino, del Greco, della Storia e della Filosofia, nonché delle materie scientifiche e matematiche e umanistiche in genere, dunque dei fondamenti del sapere, pone le basi per lo sviluppo del pensiero critico e logico; ciò consente di addentrarsi senza pregiudizi in ambiti di studio e di lavoro tradizionalmente considerati di appannaggio maschile.
Vi è poi una disciplina, comune ai piani di studio di tutti gli istituti scolastici, che è l’Educazione civica, la quale non solo consente ma favorisce la riflessione sul tema del nostro convegno. Essa prevede, a esempio, lo svolgimento di unità didattiche sul diritto e sulla Costituzione, e quindi sugli strumenti di partecipazione attiva alla vita della società, rafforzandone la democraticità e favorendo l’inclusione. Non solo. In tale discorso è evidentemente fondamentale il tema delle pari opportunità e degli strumenti per la loro applicazione nella vita concreta, nonché quello del lavoro.
Una terza possibilità di confrontarsi è offerta dai Percorsi per lo sviluppo delle Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO). Essi offrono ai giovani studenti l’occasione di sperimentare che cosa significhi svolgere attività in ambiti lavorativi correnti, e pertanto anche di orientarsi per la futura scelta di studio o di lavoro. In tale contesto ulteriori possibilità possono inverarsi tramite l’azione del docente tutor dell’orientamento, nuova figura inserita tramite la riforma di recente voluta dal Ministro dell’Istruzione e del Merito.
Trasversale a tutto l’insegnamento è non da ultimo la pratica di un rapporto corretto tra maschi e femmine, fondato sul rispetto della persona e della dignità umana indipendentemente dal genere.
Certamente tutto questo non può risolvere le problematiche connesse al tema, che dovrebbe essere fatto proprio dall’intera società, con costanza e determinazione, nelle sue diverse articolazioni. Tuttavia è un contributo che si può ritenere culturalmente e socialmente assai rilevante, mirante a incidere positivamente sulla mentalità corrente e teso a evitare che anche da noi cresca quella polarizzazione “inglese” di cui si è riferito all’inizio dell’intervento”.