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    BAGNASCO: SAGGEZZA PER UN PAESE COMPLESSO

    ROSSOPORPORA DI GENNAIO 2011 - 'IL CONSULENTE RE ONLINE'

     

    La prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei. I cardinali Bertone e Sgreccia su comportamenti nella Repubblica italiana. Il cardinale Cottier e il libro del Papa. Il cardinal Tomko e la beatificazione di Giovanni Paolo II. Sulla liturgia nella Chiesa i cardinali Canizares Llovera e Bartolucci. Il cardinale Ving-Trois e la bioetica. Minacce al cardinale Caffarra. Il cardinal Tettamanzi 'italiano dell'anno'. Il cardinale Sarah sul confratello Gantin 

    Mentre in diversi altri Paesi del Mediterraneo (dall’Algeria alla Tunisia, dall’Egitto al Libano) la quotidianità è ormai caratterizzata da rivolte popolari o da un’alta tensione politica foriera di guerra civile di cui approfittano gli estremisti islamici, in Italia le pagine dei giornali e le trasmissioni televisive sono dominate da questioni attinenti allo stile di vita privata (ma con riflessi pubblici) del presidente del Consiglio. Tale il clamore che anche la Chiesa, intesa in questo caso come Conferenza episcopale italiana, se n’è dovuta occupare ufficialmente, spinta anche dal forte disagio manifestato da cattolici di ogni colore politico, condiviso anche da quelli del centrodestra, di certo – almeno in privato - pure da coloro che sono mandati in tv o rilasciano interviste alla stampa difendendo il premier. L’occasione è stata offerta dalla sessione di Ancona del Consiglio permanente della Cei e in primo luogo dalla prolusione di apertura del presidente, il cardinale Angelo Bagnasco. Che nel suo intervento ha parlato - come di consueto e prima di giungere a trattare il tema tanto atteso – di diversi argomenti importanti, a cominciare dalle violenze anticristiane in diverse parti del mondo. E qui il sessantasettenne porporato ha chiesto ad esempio che la questione della libertà religiosa si “sollevi opportunamente nelle sedi multilaterali, come nelle relazioni bilaterali, e nei rapporti informali tra rappresentanti di Paesi diversi, avendo cura che l’interessamento puntuale non abbia a scatenare ritorsioni sulle spalle già oberate di soffre”. A questo punto ha aggiunto non a caso il presidente della Cei: “Passi molto importanti in questo senso sono stati compiuti dall’Italia, e di ciò noi Vescovi non possiamo non essere grati”. E’ un bel riconoscimento per l’attività del governo di centro-destra. Il cardinale Bagnasco ha poi ammonito che “subdole minacce ad un’effettiva libertà religiosa esistono anche nei Paesi di tradizione democratica, a partire da quelli europei”. Perciò – e qui il porporato è sferzante – “dovremmo guardarci dai sottili tranelli dell’ipocrisia, che induce a cercare lontano ciò che invece è riscontrabile anche vicino”. Insomma “un male sottile sta affliggendo l’Europa, provocando una lenta, sotterranea emarginazione del cristianesimo, con discriminazioni talora evidenti, ma anche con un soffocamento silente di libertà fondamentali”. E’ evidente che “emarginare simboli, isolare contenuti, denigrare persone è arma con cui si induce al conformismo, si smorzano le posizioni scomode, si mortificano i soggetti portatori di una loro testimonianza in favore di valori cui liberamente credono”.

    In un altro passo il cardinale Bagnasco ha richiamato un documento della Cei del 1981, in cui si leggeva: “Il consumismo ha fiaccato tutti”. Ecco il commento del porporato: “Colpisce l’efficacia di quella predizione, dove ad apparire centrato è in particolare il verbo usato: fiaccare. La desertificazione valoriale ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro. La cultura della seduzione ha indubbiamente raffinato le prospettive, ma ha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto affermarsi un’idea balzana della vita secondo cui tutto è a portata di mano, basta pretenderlo. Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in realtà – ceduto una parte soltanto della società. Però il calco di quel pensiero è entrato sgomitando nella testa di molti, come un pensiero molesto che pretende ascolto”. Dopo aver parlato della situazione precaria (in tutti i sensi) in cui vengono a trovarsi i giovani non solo per la crisi economica, l’arcivescovo di Genova ha auspicato “una necessaria conversione degli stili di vita”, evidenziando anche il “disastro antropologico” odierno – a danno “soprattutto di chi è in formazione” – ben rappresentato “da una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé”. Occorre anche “riscattare l’istituto familiare dalle visioni ristrette e impacciate in cui è stato relegato”, così che il Paese si dia “una politica familiare preveggente, che mantenga la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita”.

    Il terreno è ormai preparato per le considerazioni sul momento politico italiano. E qui il grido d’allarme è forte: “Bisogna che il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica ce istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni”. Messo un ‘cappello’ di carattere generale, il cardinale Bagnasco è poi sceso nei particolari: da una parte “si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci – veri o presunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza”, dall’altra (un’aggiunta certo pensata e voluta) “qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine”. Lo  scombussolamento dell’equilibrio generale e il deteriorarsi dell’immagine del Paese fanno sì che “la collettività guardi sgomenta gli attori della scena pubblica e respiri un evidente disagio morale”. Qui il presidente della Cei ha evocato un passo significativo della sua prolusione del settembre 2009: “Chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda”. Il riferimento è certo al presidente del Consiglio, ma anche a tutti quelli che, di colore diverso, a livello nazionale, regionale, comunale, hanno in un passato anche recente abbinato alla loro attività politica la singolarità delle loro frequentazioni. Purtroppo il quadro culturale italiano è quello che è. Rileva il cardinale Bagnasco: “Bisogna convincersi con maggiore risolutezza che la società nel suo complesso è chiamata ad essere comunità educante”. Certamente – ha argomentato l’oratore – “affermare ciò, a fronte di determinati spettacoli, potrebbe apparire patetico o ingenuo, eppure come Vescovi dobbiamo caricarci sulle spalle anche, e soprattutto, questo onere di richiamare ai doveri di fondo, di evidenziare le connessioni, di scoprire i pilastri portanti di una comunità di vita e di destino”. Poiché “se si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale”. Qui è evidente il riferimento giustamente molto critico ai modelli culturali diffusi sia dalle reti televisive di cui è proprietario il presidente del Consiglio sia a quelle del servizio pubblico. Del resto, in questa di ‘Arcore’ come in altre occasioni, dalle intercettazioni telefoniche (discutibili fin quanto si vuole e magari penalmente non rilevanti) emerge una povertà di linguaggio e di contenuti da parte degli intercettati da far rabbrividire: in tale modo squallido si esprimono non solo ragazzotte di ogni provenienza che mirano al successo, magari inserite all’ultimo momento nelle liste regionali – o anche nazionali - per capriccio del capo (ed avendo l’elezione assicurata), ma anche direttori e manager vari, che sembrano impiegare buona parte del loro tempo in attività che un tempo si dicevano disdicevoli. Stando così le cose, fatale la conclusione del cardinale Bagnasco: “Un Paese complesso richiede saggezza e virtù”.

    Anche dal Vaticano sono giunti segnali di inquietudine crescente man mano che si accrescevano le notizie sullo stile di vita del presidente del Consiglio. Dopo che L’Osservatore Romano aveva riprodotto (sotto il titolo Nota del Quirinale) il comunicato molto preoccupato della presidenza della Repubblica sulla situazione politica, sabato 21 gennaio – sempre in seconda pagina – ecco un altro articolo intitolato I cardini della società. Lì dentro si ritrovano le valutazioni del Segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone espresse il giorno prima a margine dell’inaugurazione di una casa d’accoglienza presso l’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù. Il porporato salesiano ha detto di condividere il “turbamento” manifestato dal presidente della Repubblica italiana e ha aggiunto: “La chiesa spinge e invita tutti, soprattutto coloro che hanno una responsabilità politica di ogni genere, in qualunque settore amministrativo, politico e giudiziario, ad avere e ad assumere l’impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità”. Perciò la Chiesa “segue con attenzione e con preoccupazione queste vicende italiane, alimentando la consapevolezza di una grande responsabilità soprattutto di fronte alle famiglie, alle nuove generazioni, di fronte alla domanda di esemplarità e ai problemi che pesano sulla società italiana”. Ha concluso il settantaseienne cardinale: “Credo che moralità, giustizia e legalità siano i cardini di una società che vuole crescere e che vuole dare delle risposte positive a tutti i problemi del nostro tempo”. Queste parole sono state anche criticate da taluni politici che hanno accusato la Chiesa di parlar bene e razzolare male, con palese riferimento allo scandalo dei preti pedofili. Purtroppo la Chiesa è fatta di uomini e tra loro alcuni si sono resi protagonisti di abominevoli abusi sessuali su bambini; più volte papa Benedetto XVI ha condannato con forza tali abusi e ha chiesto perdono alle vittime. Ma lo scandalo dei preti pedofili non può impedire alla Chiesa di levare alta la sua voce quando è necessario (ed anche richiesto dal sentire massiccio del mondo cattolico). Lo ha fatto anche, in un’intervista a Repubblica del 19 gennaio il cardinale Elio Sgreccia (presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita, catalogabile non certo fra i simpatizzanti del centro-sinistra), premettendo che, prima di dare giudizi definitivi, è bene attendere che tutte le parti in causa si esprimano ufficialmente e che la giustizia alla fine emetta il suo responso: “Detto questo, non posso non restare allibito e perplesso di fronte ad accuse così gravi e ad atteggiamenti e stili di vita tanto discutibili, dove valori come la moralità, l’etica, il rispetto delle persone, a partire dalla donna e dalla difesa dei minori, vengono ormai ridotti ai minimi termini”. Insomma dalla Chiesa si ‘bacchetta’ il comportamento privato con pesanti risvolti pubblici del premier italiano; salvando comunque il governo (vedi anche l’elogio puntuale contenuto nella prolusione del cardinale Bagnasco), consci  che, se andasse al potere il centro-sinistra, in quattro e quattr’otto sarebbero approvate quelle leggi che fanno a pugni con la dottrina sociale cattolica in materia di vita e di famiglia.   

    Il 15 gennaio il quotidiano saudita al-Charch el-Awsat annunciava le dimissioni, presentate al Papa, dell’ultranovantenne patriarca maronita Nasrallah Pierre Sfeir. Il giorno dopo la notizia era ripresa dall’ Agence nationale d’information (Ani, libanese). Il 17 gennaio il grande quotidiano del Paese di Cedri L’Orient-Le Jour faceva il punto sulla situazione, dopo aver sondato ambienti del patriarcato. Il patriarca avrebbe presentato le sue dimissioni al Papa. Ne avrebbe fatto partecipi anche i vescovi del sinodo maronita (NdR: la Chiesa cattolica maronita è una Chiesa sinodale) raccomandando il segreto; non prevedeva che la stampa l’avrebbe saputo. Il patriarca in ogni caso continuerà a guidare la Chiesa maronita fino a quando il Papa non accetterà le dimissioni. Neppure si poteva prevedere che la pubblicizzazione dell’intenzione di dimissionare sarebbe coincisa con la grave crisi che il 13 gennaio ha condotto al naufragio il governo di Saad Hariri. Secondo L’Orient-Le Jour le dimissioni (NdR: il patriarca maronita non è obbligato a dimissionare, è di per sé eletto a vita. Però già il predecessore di Sfeir aveva dimissionato) sono dovute anche al fatto che il patriarca – guida dei maroniti dal 1986 - sente l’opportunità, a più di novant’anni e pur in perfetta lucidità di mente (vedi anche intervista a “Il Consulente RE”cartaceo di dicembre 2008) - di cedere il timone a qualcuno di più giovane. Purtroppo il momento non appare propizio, data la situazione politica libanese, in cui i maroniti – divisi - rischiano di perdere la loro storica importanza; a complicare le cose l’incarico di primo ministro che martedì 25 il presidente della Repubblica, il maronita Michel Suleiman, ha dovuto affidare al miliardario sunnita Najib Mikati (65 deputati su 129 l’hanno indicato). Quest’ultimo, eletto nel 2008 con la coalizione di Saad Hariri, venerdì 21 gennaio ha annunciato l’adesione al fronte avversario guidato dal “Partito di Dio”, il filo-iraniano Hezbollah, che ha potuto usufruire inoltre di sette voti di deputati drusi agli ordini di Walid Jumblatt (passato in questi giorni anche lui con la coalizione ‘protetta’ da Siria e Iran). La crisi è scoppiata per l’incombere del decreto d’accusa del Tribunale internazionale speciale sul Libano, incaricato di indagare sull’assassinio del primo ministro e leader sunnita Rafic Hariri (padre di Saad): dagli atti dell’inchiesta sembra molto probabile la chiamata in causa di alcuni membri di Hezbollah e ciò è stato dichiarato preventivamente inaccettabile dal ‘Partito di Dio’.

    Su 30Giorni 11/2010 il cardinale Georges Cottier ha commentato il libro-intervista di papa Benedetto XVI “Luce del mondo” (Una conversazione con Peter Seewald, Libreria editrice vaticana, 2010). Tra le riflessioni del porporato svizzero-francese ne proponiamo una riguardante quanto il Papa dice a proposito delle relazioni con l’islam: “Ho trovato interessanti – scrive – anche le risposte relative al rapporto con  l’islam. L’intervistatore gli chiede se è ancora valido il paradigma del passato per cui i papi consideravano proprio compito difendere l’Europa dall’islamizzazione, e Benedetto XVI risponde che oggi viviamo in un mondo completamente diverso, nel quale gli schieramenti sono altri. Come modello di reciproca comprensione valorizza quello presente in grandi aree dell’Africa Nera, dove sussiste un rapporto tra islam e cristianesimo positivo e improntato alla tolleranza.” Il pro-teologo emerito della Casa Pontificia evoca poi il tema del discorso di Ratisbona: “Riguardo al famoso discorso di Ratisbona, che – fa notare Seewald – fu catalogato come il primo errore del suo pontificato, il Papa ricorda i fatti positivi che comunque sono seguiti a quell’episodio: E’ risultato chiaro, dice lui, che nel dibattito pubblico l’islam deve chiarire due questioni: quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione. Si è così avviata una riflessione interna tra studiosi dell’islam, una riflessione interna che poi è divenuta dialogo. Allo stesso tempo, il Papa riconosce con umiltà che a Regensburg  avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico. “. Rileva qui il teologo domenicano: “Nel sincero riconoscimento di questa inavvertenza (come nel rammarico di aver revocato la scomunica al vescovo lefebvriano Williamson senza essere stato prima sufficientemente informato sulle sue tesi negazioniste) si vede bene che chi parla è un Papa e non più soltanto un professore che difende le sue legittime tesi accademiche”. E aggiunge: “La stessa cosa, a suo modo, si vede nelle parole sull’uso del preservativo, che hanno suscitato tante discussioni”.

    A tale riguardo osserva il cardinale Cottier: “Le esigenze di una sessualità virtuosa si comprendono all’interno del sacramento del matrimonio. E la stessa virtù della castità da parte dei due coniugi presuppone l’insieme della vita cristiana, con la preghiera e i sacramenti. La prostituzione costituisce invece una struttura di peccato”. Perciò “per chi vive in tale struttura, il fatto di pensare a evitare i rischi di contagio che minacciano la vita propria e dell’altro non rende certo la prostituzione virtuosa, ma è già un’apertura verso una maggiore umanità, da giudicare positivamente”. Come mai? “La dottrina morale cristiana – argomenta sempre il porporato – desidera la felicità e la salvezza per tutti e non spinge nessuno verso la perdizione e la morte. Inoltre, per ragioni d’igiene o di lotta contro la malattia contagiosa, l’autorità pubblica ha il dovere di prendere delle misure di protezione”. Da tutto ciò emerge che “lì dove l’educazione è impossibile, come caso estremo, è legittimo il preservativo”. E questo, conclude il cardinale Cottier, “è altra cosa rispetto alle campagne a favore del preservativo che finiscono per incoraggiare il permissivismo sessuale”.

     Tra le numerose reazioni rossoporpora alla notizia della beatificazione di Giovanni Paolo II il Primo Maggio quella del cardinale Jozef Tomko, prefetto emerito della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Intervistato da La Stampa già due giorni prima dell’atteso annuncio ufficiale, il porporato slovacco ha così esordito: “Ho collaborato con Giovanni Paolo II per l’intero pontificato e vedere prossima la beatificazione è per me un’immensa gioia ma non una meraviglia. Sono commosso e felice, ma non sorpreso. Aveva una fede schietta e profonda, si sentiva che Dio lo prendeva completamente”. Più in là: “Spesso si sottovaluta il popolo, ma la gente ha capito la stoffa del santo. C’è chi ironizza su ciò in cui crede il ‘popolino’, però il grido Santo subito! Risuonato ai funerali, era profetico e significativo”. L’ottantaseienne porporato racconta poi di quando andò a trovarlo al Gemelli dopo l’attentato del 13 maggio 1981, per parlare del programma del Sinodo dei vescovi: “A letto dava l’impressione di un leone in gabbia. Gli dissi che tutto era pronto per il Sinodo. La sede che doveva accogliere i vescovi era pronta. Bene, bene , rispose Giovanni Paolo II. I relatori erano stati scelti. Bene, bene, disse il Papa, ma la voce mostrava impazienza. Tutta l’organizzazione era sistemata. Bene, bene, disse lasciando capire che avevo tralasciato una cosa che per lui era molto importante. Chiesi: Santo Padre, manca qualcosa?Allora mi rispose: Ma la preghiera l’avete preparata?”

    Sempre lo stesso porporato, intervistato da L’Osservatore Romano del 19 gennaio, ricorda i tre viaggi di papa Wojtyla in Slovacchia: “Dopo la caduta del comunismo, ci siamo incontrati e salutati con gioia. E’ singolare che dalle nostre labbra sia uscita la stessa frase: Dio è padrone della storia! Il Papa ha accettato subito, nell’aprile 1990, l’invito a visitare la Cecoslovacchia, con le tappe a Praga, a Velehrad in Moravia e a Bratislava, dove lo ha atteso per tutta la notte un milione di fedeli sul prato, bagnato dalla pioggia, del vecchio aeroporto di Vajnory. Il bacio alla terra slovacca una sigillato una vecchia amicizia ed è rimasto nella memoria degli slovacchi”. Il secondo viaggio? “Nel 1993 è ritornato in Slovacchia. Durante la visita ha potuto riposarsi sui Monti Tatra, facendo un giro in elicottero sopra quelle vette che in gran parte conosceva. Al ritorno era visibilmente contento”. Il terzo viaggio si è svolto nel settembre 2003 e papa Wojtyla era “già sofferente e costretto sulla sedia”. Ricorda qui il cardinale Tomko: “A me è toccato rendergli l’ultimo servizio, cioè leggere in slovacco le omelie e i discorsi. Commovente è stato il suo addio a Bratislava, dove significativamente stava seduto, quasi identificato, sotto il grande Crocifisso. Gli slovacchi non possono dimenticare questi segni di amicizia.

    In un’intervista rilasciata il 24 dicembre a Il Giornale il cardinale Antonio Canizares Llovera ha parlato dello stato della liturgia nella Chiesa. Subito il prefetto della Congregazione per il Culto divino ha rilevato, affiancandosi in ciò al giudizio espresso qualche anno fa dall’allora cardinale Joseph Ratzinger: “La riforma liturgica è stata realizzata con molta fretta. C’erano ottime intenzioni e il desiderio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio sufficiente per accogliere e interiorizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare. (…) Il rinnovamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e della creatività, la parola magica di allora”. Alla domanda su come giudica la situazione odierna, il sessantacinquenne arcivescovo emerito di Toledo ha così risposto: “Di fronte al rischio della routine, di fronte ad alcune confusioni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa crisi. Per questo è urgente un nuovo movimento liturgico (…) Il Papa chiede alla nostra Congregazione di promuovere un rinnovamento conforme al Vaticano II, in sintonia con la tradizione liturgica della Chiesa, senza dimenticare la norma conciliare che prescrive di non introdurre innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità per la Chiesa, con l’avvertenza che le nuove forme, in ogni caso, devono scaturire organicamente da quelle già esistenti”. Nel concreto si tratta di “dare impulso all’adorazione eucaristica, rinnovare e migliorare il canto liturgico, coltivare il silenzio, dare più spazio alla meditazione. Da questo scaturiranno i cambiamenti…”.

    Sempre sull’argomento segnaliamo l’intervista che il neo-cardinale Domenico Bartolucci ha rilasciato al già citato 30Giorni 11/2010. Rievocando gli anni di servizio alla Chiesa nel campo della musica sacra, il successore di Lorenzo Perosi alla testa della ‘Cappella musicale pontificia Sistina’ giunge agli anni del post-Concilio: “”Dopo il Concilio Vaticano II il latino è stato messo da parte ed è stato un errore esiziale. (…) Mi pare evidente come da allora la musica sacra e le scholae cantorum siano state definitivamente emarginate dalla liturgia, nonostante le raccomandazioni della Constitutio de Sacra Liturgia del ’63 e del Motu proprio Sacram Liturgiam del ’64, nel quale il canto gregoriano è definito canto proprio della liturgia romana”. Obietta l’intervistatore che l’intenzione era quella di far partecipare il popolo… Invece – nota il novantatreenne musicista – “da allora non c’è più stata”. Perché “prima di questi aggiornamenti il popolo cantava a gran voce durante i Vespri, la Via Crucis, le messe solenni, le processioni. Cantava in latino, lingua universale della Chiesa. Durante le liturgie dei defunti tutti intonavano il Libera me Domine, In Paradisum, il De profundis. Tutti rispondevano al Te Deum, al Veni Creator, al Credo. Adesso si sono moltiplicate le canzonette. Sono così tante che le conoscono in pochissimi, e non le canta quasi nessuno”.

    Il cardinale Bartolucci ha poi, se possibile, rincarato la dose, sul trattamento ricevuto dal coro della cappella Sistina dopo il Concilio: “Fummo gradualmente ridimensionati e messi da parte. Diventammo un corpo estraneo nelle celebrazioni. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II la Cappella risultava sempre meno coinvolta nelle grandi liturgie papali. La viva bellezza della polifonia palestriniana e del gregoriano andavano trasformandosi progressivamente in oggetti da museo”. Fino a quando, nel 1997 – ricorda amaro il porporato – “fui rimosso dall’incarico. Nonostante il perpetuo del titolo”. E’ vero che “il mio disappunto per il declassamento della Cappella e per alcune cose che avvenivano durante le cerimonie papali era ben noto”. E tuttavia “fu un colpo inaspettato”. Sul tema della musica sacra Il Consulente RE online ha pubblicato nello scorso numero di dicembre un’ampia e vivace intervista al maestro Pablo Colino. 

    Nel Figaro del 14 gennaio è apparso un articolo del cardinale André Vingt-Trois sul dibattito riguardante temi etici in corso in Francia, anche a livello parlamentare con la trattazione di proposte di legge postulanti l’eutanasia. La riflessione è stata tradotta e ripresa da L’Osservatore Romano del 19 gennaio. Il presidente dei vescovi francesi inizialmente evoca le violenze anticristiane nel Medio Oriente, “che hanno suscitato numerose e sincere reazioni”, poiché “l’orrore del male risveglia la nostra attenzione al principio di umanità”. Ed “è questo stesso principio di umanità ad essere in gioco nei dibattiti etici che si svolgono nel nostro Paese”, in cui ha avuto inizio “la fase legislativa di revisione delle leggi sulla bioetica”.

    Il sessantottenne arcivescovo di Parigi ci tiene a riaffermare che “l’umanità di una società, la qualità della sua civiltà, si misura dal modo in cui essa tratta i più vulnerabili: i bambini, gli esclusi di ogni tipo, ma anche i malati terminali o gli esseri umani all’inizio della loro esistenza”. Bisogna avere bene in chiaro che “la ricerca sull’embrione non è solo una questione scientifica” e “la diagnosi pre-impianto non è riserva di caccia di alcuni specialisti”. Analogamente “l’accompagnamento dei malati gravi riguarda tutta la società”, dato che “a essere in gioco è il rispetto imprescindibile della dignità umana”.

    “Lasciarsi andare alla tentazione dell’eugenismo – continua il sessantottenne porporato – considerare la ricerca sull’embrione, con le distruzioni che l’accompagnano, come normale, anzi necessaria; cedere alle pressioni finanziarie e commerciali che si nascondono a volte sotto la maschera di uno scientismo ingenuo; non offrire null’altro che la morte ai malati che attendono un aiuto, sarebbe, propriamente parlando, suicida per la nostra società”. I cattolici “hanno partecipato con spirito di dialogo al dibattito pluralista” sviluppatosi in Francia, ma adesso “non denunciare questa tentazione suicida sarebbe per loro come non prestare assistenza alla società in pericolo”. E’ necessario “dar prova di ambizione etica, con coraggio ed entusiasmo”, perché “solo un’alta visione dell’uomo permette di costruire la pace”, mentre “il consenso che vorrebbe fondarsi su un minimo etico sarebbe di fatto una caricatura senza futuro”. Purtroppo la Commissione Affari Sociali del Senato francese il 19 gennaio ha dato via libera a debole maggioranza alle proposte di legge pro-eutanasia: ora il dibattito si sposta in Aula. Bisogna ricordare che in Francia è comunque l’Assemblea nazionale (in cui il centro-destra è largamente maggioritario) a decidere, non il Senato.

    Era già accaduto nel dicembre del 2009. L’11 gennaio di quest’anno un uomo ha telefonato (di nuovo) al 113 da una cabina di Bologna per annunciare: “Uccideremo il cardinale Caffarra”. Sull’accaduto, scrive Avvenire del 15 gennaio, la Digos ha avviato un’indagine e la Procura di Bologna ha aperto un’inchiesta per minacce gravi, ulteriormente aggravate dall’odio religioso. A quest’ultimo proposito annota Libero (sempre del 15 gennaio) che tale aggravante “è stata ipotizzata perché il porporato è una figura istituzionale, che fa parte della Conferenza episcopale italiana e rappresenta un simbolo religioso”. Perciò “in questo contesto la minaccia di morte è stata considerata una manifestazione di odio religioso”. Il settantaduenne porporato è conosciuto per le sue prese di posizione inequivocabili, soprattutto a difesa della vita e della famiglia. Il 31 dicembre ha chiesto ufficialmente ai sacerdoti bolognesi di non partecipare alla campagna elettorale in vista delle prossime elezioni amministrative cittadine, in cui non pochi cattolici sono schierati (e anche candidati di prima linea) con i partiti di sinistra. Ci si ricorderà di un altro cardinale, in questo caso scampato recentemente, il 10 ottobre, a un tentativo di aggressione nel corso di una messa: è il cardinale sudanese Gabriel Zubeir Wako, che deve la sua incolumità (l’aggressore brandiva un pugnale) alla rapidità di riflessi del suo maestro delle cerimonie Barnaba Matuech Anei, che è riuscito a bloccare l’attentatore. 

     “L’italiano dell’anno’ per il settimanale paolino Famiglia Cristiana è il cardinale Dionigi Tettamanzi. La scelta è stata annunciata nel primo numero del 2011 ed è stata motivata dal direttore don Antonio Sciortino (vedi anche l’intervista a “Il Consulente RE” online di maggio 2010) come omaggio a “una Chiesa che non si arrocca nei sacri palazzi, nella cura di propri orticelli. Ma dialoga con tutti. Premurosa verso gli ultimi della società, per dare voce a chi non ha voce”. Dall’intervista che accompagna l’annuncio si apprende che l’ arcivescovo di Milano “ha messo in vendita i presepi e le icone ricevute in dono in questi anni per devolvere il ricavato al Fondo famiglia-lavoro della diocesi”. Inizialmente il porporato settantaseienne parla di san Carlo Borromeo, che “visse in mezzo al ‘suo’ popolo, condividendone le condizioni di vita e i drammi, come durante la peste del 1576”. Al che l’intervistatore gli chiede quale sia la peste odierna. Così risponde il presule brianzolo: “E’ il progressivo e veloce ‘disfacimento’ della società, provocato dalla ricerca della comodità e del successo, dai poveri lasciati senza cura, dalla manipolazione dell’opinione pubblica per strapparle il consenso, dal mancato impegno – serio e condiviso – per cercare il bene comune e progettare il futuro”. Sulle polemiche ricorrenti che accompagnano il suo servizio, osserva il cardinale Tettamanzi: “L’unico criterio su ciò che si deve dire o non dire, fare o non fare da parte del vescovo – e di ogni discepolo del Signore – è il Vangelo e la fedeltà ad esso. Fedeli al Vangelo: anche quando è scomodo e impone un prezzo da pagare, anche quando relega a posizioni di minoranza o porta a incomprensioni, derisioni, rifiuti”.

    Il 23 novembre è stato presentato a Roma, presso la libreria internazionale Paolo VI in via di Propaganda fide, un bel libro su uno dei cardinali più amati nella storia recente: “Bernardin Gantin. Missionario africano a Roma. Missionario romano in Africa” (G. Cerchietti-G. Grieco-L.Lalloni, Libreria editrice vaticana, 2010). Tra i relatori il cardinale Robert Sarah, dallo scorso ottobre presidente del Pontificio Consiglio Cor unum. Nel suo intervento il porporato guineano ha rilevato tra l’altro: “Missionario il cardinale lo fu con un cuore sempre aperto per tutti, soprattutto per l’Africa, il continente che vibrava nelle fibre delle sue viscere. Egli lo fu con l’amicizia e la generosità che lo caratterizzavano, la delicatezza e l’attenzione, l’umiltà e l’ascolto di tutti, l’abbandono alla volontà di Dio e la sottomissione alla Chiesa”. A quest’ultimo proposito ha ricordato il relatore: “Il missionario, per il cardinale Gantin, pur provenendo da una specifica nazione, deve avere il cuore romano in riferimento non tanto alla civitas terrena, quanto piuttosto alla Città eterna, vale a dire al Sommo Pontefice, il successore di Pietro”. Del resto lo stesso cardinale Gantin (1922-2008) lo ricordò “nell’omelia pronunciata sulla tomba di san Pietro, sotto l’Altare della Confessione della Basilica, il 3 dicembre 2002: Con immensa gratitudine verso il Successore di Pietro, guardo al futuro, alla vigilia di nuovi orizzonti, per portare sempre Roma nel cuore come ho cercato di portare la Chiesa del mio Paese a Roma, città di Pietro. Prefetto della Congregazione dei vescovi dal 1984, il cardinale Gantin si dimise nel 1998 e alla fine del 2002 tornò nel Benin come decano emerito del Collegio cardinalizio. Morì a Parigi, dov’era da tempo in cura, il 13 maggio 2008.  

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