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    FOIBE: MEMORIA ANCORA IGNORATA O INSULTATA

    FOIBE: MEMORIA ANCORA IGNORATA O INSULTATA – di GIUSEPPE RUSCONI – su www.rossoporpora.org – 12 febbraio 2018

     

    Sabato 10 febbraio era il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo dei profughi istriani, fiumani, dalmati costretti a lasciare le loro case dai comunisti jugoslavi di Tito. In crescita purtroppo i brutti episodi di esaltazione delle foibe e di irrisione degli assassinati, come nel corso della manifestazione ‘antirazzista e antifascista’ di Macerata. Cui ha partecipato anche Sergio Staino, vignettista domenicale di ‘Avvenire’, autore domenica 11 febbraio di una ‘striscia’ di raro squallore.

    Sabato 10 febbraio 2018 la Comunità di Sant’Egidio ha festeggiato ufficialmente il mezzo secolo di esistenza, fondata in un anno controverso come il 1968 dall’allora studente Andrea Riccardi con alcuni amici e oggi presieduta da Marco Impagliazzo. A onorare l’anniversario il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin (che ha presieduto la messa in San Giovanni in Laterano, come di consueto ricca di melodie del cattolicesimo orientale), accompagnato dal sostituto arcivescovo Angelo Becciu; il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, il presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni e almeno cinquemila persone, in parte restate fuori dalla Basilica per mancanza di posti. Sant’Egidio è certo una realtà sostanzialmente romana che, pervasa di passione religiosa fattasi civile e sociale, ha in questi anni visto crescere il suo peso in campo internazionale; “protagonista della sussidiarietà orizzontale – ha detto tra l’altro Tajani – si è tante volte sostituita alle istituzioni comunitarie” nel suo operare sul terreno a favore dei poveri, dei profughi (vedi l’idea dei ‘corridoi umanitari’ che è stata ormai condivisa da diversi Stati ed enti), della pace, del dialogo ecumenico e interreligioso e contro la pena di morte.

    Sabato 10 febbraio 2018 ricorreva però anche il ‘Giorno del Ricordo’, istituito con legge del 30 marzo 2004 “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale” (502 sì, 4 astenuti, 15 no tra i quali i noti Giuliano Pisapia e Nichi Vendola).  Una legge che all’articolo 1, comma 2, così recita: “Nella giornata sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate (…)”.

     

    TRE TESTIMONIANZE: LA REALTA’ DELLE FOIBE, DON FRANCESCO BONIFACIO, GIORGIO NAPOLITANO

     

    . “Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri: Facciamo presto, perché si parte subito. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia (NdR: comune dell’Istria sud-orientale). Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un sasso di almeno venti chilogrammi. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, ci impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il sasso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 fino alla superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo, non toccai fondo, e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia” (Testimonianza di Giovanni Radeticchio, sopravvissuto, pubblicata il 26 gennaio 1946 sul periodico della Dc triestina “La Prora”, conservata presso l’archivio dell’Istituto regionale per la storia del Movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, ripresa anche nell’opera fondamentale di Raoul Pupo e Roberto Spazzali, “Foibe”).

    . Tra gli assassinati almeno cinquanta sacerdoti e religiosi, tra i quali don Francesco Bonifacio, (parroco di Villa Giadrossi in Istria): “Ma ormai la sua sorte è segnata: lo aspettano l’11 settembre 1946, al ritorno da Grisignana, dov’è andato a confessarsi. Lo vedono sparire nella boscaglia, sotto la scorta di alcune “guardie del popolo” e da quel momento nessuno saprà più nulla di lui. Solo negli ultimi anni un regista teatrale è riuscito a mettersi in contatto con una di quelle ‘guardie’ ed a ricostruire le sue ultime ore: sequestrato, spogliato, insultato, torturato e umiliato, viene riempito di botte, preso a sassate e finito poi con due coltellate. I suoi resti a tutt’ora non sono stati identificati, perché probabilmente il cadavere è stato fatto sparire, ‘infoibato’ come quello di tanti altri innocenti”. (da www.santiebeati.it). Il 4 ottobre 2008 don Bonifacio è stato proclamato beato, ucciso in odium fidei nella cattedrale di san Giusto a Trieste (vedi anche in questo stesso sito www.rossoporpora.org, rubrica Italia, “Beatificato a Trieste don Francesco Bonifacio”). La causa era stata introdotta nel 1957 dal vescovo di Trieste, che dieci anni prima aveva rischiato di essere linciato a Capodistria, quando fu aggredito e pestato a lungo da una folla di comunisti titini.

    . “Una miriade di tragedie e di orrori; e una tragedia collettiva, quella dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, quella dunque di un intero popolo. (…) Si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono ‘giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento’ da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse anzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse in contorni sinistri di una pulizia etnica’. (…) Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente, ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata – torno alle parole del professor Barbi (NdR: oratore della commemorazione ufficiale) – la ‘congiura del silenzio’, ‘la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio’. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”. (dall’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al Quirinale, 1° febbraio 2007). Giorgio Napolitano, comunista da sempre, disse dunque parole inequivocabili anche sull’ostilità dei comunisti italiani verso i profughi e sul silenzio diplomatico-opportunistico della Democrazia cristiana.

     

    EPPURE LA BESTIALITA’ UMANA, DI RADICI SESSANTOTTINE, E’ SEMPRE INCINTA…


    Con tali testimonianze (cui se ne potrebbero aggiungere altre migliaia) dovrebbe essere radicato nella memoria storica del popolo italiano che, nella Venezia Giulia - tra il 1943 e il 1945 in particolare ma non soltanto - circa 12mila persone (in larga  parte italiani) vennero gettate dai partigiani comunisti agli ordini del Maresciallo Tito e con complicità di partigiani comunisti italiani nelle cavità carsiche chiamate foibe. Tra il 1946 e il 1956 almeno 250mila italiani furono poi costretti a lasciare l’Istria, Fiume e la Dalmazia ormai sotto il regime comunista jugoslavo. Perdipiù – vedi anche la testimonianza dell’insospettabile Giorgio Napolitano - essi in Italia trovarono un’accoglienza ostile da parte del partito comunista. Scriveva a tale proposito il 30 novembre 1946 l’allora organo del Pci, l’ ‘UnitàNon riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci il pane e spazio che sono già scarsi”. Una prosa illuminante che, letta a più di settant’anni di distanza, fa ancora rabbrividire. Anche perchè, purtroppo, gli eredi ideologici del Pci (pur assumendo mille nomi diversi) sono ancora ben presenti tra noi. Nei salotti e nelle piazze dai salotti coccolate.

    Infatti nella Penisola la commemorazione delle foibe e dell’esodo continua a suscitare  ostilità più o meno aperta in numerose località, ciò che spinge i pavidi (che non mancano soprattutto a livello di enti e istituzioni locali) a cercare di evitare di addossarsi quella che sembra loro una noiosissima grana. Quest’anno si deve constatare con amarezza che le contestazioni sono addirittura aumentate: imbrattate lapidi e alcune sedi di partiti non di sinistra, centri sociali di estrema sinistra impegnati a impedire non solo a parole la commemorazione pubblica del ‘Giorno del Ricordo’ (vedi ad esempio la vile aggressione a un carabiniere a Piacenza), negazionisti impudenti e vogliosi (come a Torino) di organizzare convegni a propria immagine e somiglianza. Striscioni deliranti come a Modena (sull’aria di un motivetto berlusconiano): “Maresciallo siamo con te, meno male che Tito c’è”. E poi cori infami durante la manifestazione “antirazzista e antifascista” di Macerata, definita vergognosamente “bella” dalla ben nota Laura Boldrini, compiaciuta di certo per i molti migranti - le altrettanto note ‘risorse’ - che vi hanno partecipato : sulle onde di una nota canzone di Raffaella Carrà, alcuni partecipanti hanno cantato “Ma che belle son le foibe da Trieste in giù” (e, giusto per non farsi mancare niente, si sono levati anche altri slogan truci tipo “I covi dei fascisti si chiudono col fuoco, con i fascisti dentro, sennò è troppo poco” e, conseguente: “Uno, cento, mille Acca Larentia”).  

     

    LE FOIBE? L’ESODO? UN FATTO, NON UN’OPINIONE.

     

    Le foibe sono un fatto storico o un’opinione? Un fatto storico. L’esodo degli istriani, fiumani, dalmati è un fatto storico o un’opinione? Un fatto storico. Così come sono fatti storici le leggi razziali del 1938, la deportazione degli ebrei, i campi di sterminio nazisti, le camere a gas, i gulag sovietici, il genocidio armeno, i massacri nella ex-Jugoslavia e tanti altri orrori che la bestialità umana ha prodotto in tutto il mondo.

     

    STAINO, IL VIGNETTISTA DI ‘AVVENIRE’ E LO SQUALLORE DELLA STRISCIA DI DOMENICA 11 FEBBRAIO

     

    E’ lecito negare un fatto storico? E’ lecito relativizzarne – in questo caso – l’orrore assodato? Anche: è lecito ridicolizzarlo e insultarne le vittime? Se lo chiedano coloro che in diverse parti d’Italia hanno offeso intollerabilmente – per ignoranza crassa e supina oppure obnubilati dall’odio ideologico – i martiri delle foibe e i profughi istriani, fiumani e dalmati. E se lo chiedano anche coloro che hanno plaudito alla manifestazione di Macerata con i suoi cori o hanno finto di non averli sentiti o, pur non avendoli sentiti, non li hanno condannati duramente. Tra i manifestanti di sabato 10 febbraio a Macerata c’era anche Sergio Staino, oggi vignettista domenicale del catto-fluido Avvenire. L’ex.direttore dell’Unità nella striscia pubblicata domenica 11 febbraio (dunque dopo la manifestazione caratterizzata anche dall’odio) raggiunge livelli di squallore inauditi. Cinque le vignette della striscia. Bobo e Gesù si stanno per truccare il volto. Si sente la voce di Maria che saluta e poi chiede che cosa stiano facendo con il trucco, rispondendosi che massì…è Carnevale. “E dove andate? A Venezia, a Viareggio, dove?” Ormai Bobo e Gesù si sono spalmati il nero sul viso; e Bobo risponde: “A Macerata”. E’ lecito dire al direttor Tarquinio che la striscia – che arruola Cristo tra gli ignobili manifestanti di Macerata - è squallida e squalifica ulteriormente il suo quotidiano? E’ capitato proprio nei giorni in cui l’Avvenire si è fatto apprezzare sul tema delle foibe e dell’esodo (uno dei pochi temi su cui negli anni ha mantenuto la barra diritta), grazie soprattutto alla passione cristiana e civile dell’infaticabile e competente collega Lucia Bellaspiga. La quale tra l’altro ha segnalato la prevista organizzazione di un incontro negazionista a Torino, riuscendo così a impedirne lo svolgimento. Perché non può essere lecito negare fatti storici incontrovertibili.   

     

    MATTARELLA E FINOCCHIARO: INTERVENTI DI UNA SCIATTERIA STORICA DA INCORNICIARE

     

    Un’ultima osservazione: se li confrontiamo con il discorso di Giorgio Napolitano del 2007, gli interventi ufficiali di quest’anno per il Giorno del Ricordo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della ministra per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro sono veramente connotati da grande sciatteria storica. La dichiarazione dell’attuale inquilino del Quirinale, un democristiano di sinistra, si caratterizza per la demagogia presumibilmente pre-elettorale: vi si legge della “durissima occupazione nazifascista”, cui seguì “la violenza del comunismo titino” (notare la differenza di toni), poi si cita per cinque volte, in senso negativo, un 'nazionalismo' imprecisato (ma presumibilmente molto attuale). La Finocchiaro ricorda da parte sua la “dittatura fascista”, rileva che “l’Unione europea è cresciuta e si è affermata come baluardo contro ogni forma di nazionalismo e di totalitarismo” (e come poteva mancare il riferimento…)  e giunge – dopo un mare di banalità - a dire che “il ricordo di oggi (…) è anche l’abbraccio di una comunità nazionale nei confronti dei propri membri che ancora vivono nei Paesi balcanici o che, ormai più di settanta anni fa, da lì sono stati brutalmente allontanati, in molti trovando la morte nei campi di prigionia o nelle foibe”. Ma che savoir faire la Finocchiaro, com’è superiore - irraggiungibile dai comuni mortali - nel suo soave approccio al tema… dire, non dire, dire, non dire, dire, non dire …Nascondere? Un vecchio vizio di quelle parti. Lo riconosceva già Napolitano nel 2007.

     

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