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    INTERVISTA SULL'EUROPA A MONS. NICORA

    INTERVISTA A MONSIGNOR ATTILIO NICORA SULL'EUROPA - 'IL CONSULENTE RE' 3/2002

     

    A colloquio con il vicepresidente della Comece sulle ambiguità della 'Carta' europea proclamata al vertice di Nizza. Al via a Bruxelles i lavori della Convenzione europea

     

     

     Giovedì 28 febbraio a Bruxelles hanno preso avvio ufficialmente i lavori della “Convenzione europea”, organismo dell’Unione europea che tra i suoi compiti ha quello di redigere se possibile un progetto di Costituzione. I 105 membri della Convenzione hanno un anno di tempo per sottoporre una prima bozza dell’eventuale ‘Carta fondamentale’ ai governi dei Quindici. Come già successo al momento della promulgazione nizzarda della ‘Carta dei diritti’, anche in questa occasione la non esplicitazione (nel documento preparatorio di Laeken) del contributo cristiano al formarsi e al divenire dell’Europa ha suscitato amarezza, inquietudine e vibranti proteste nel mondo cattolico (ma anche in quello delle altre confessioni cristiane), a incominciare dall’accorata denuncia di Giovanni Paolo II sia nel discorso del 10 gennaio al Corpo diplomatico che in quello del 23 febbraio ai membri della Fondazione De Gasperi, ricevuti nella Sala Clementina a conclusione del Convegno sul magistero ‘europeo’ del Papa polacco. E’ sembrato opportuno chiedere una valutazione di quanto sta succedendo a monsignor Attilio Nicora, delegato della presidenza della CEI per le questioni giuridiche e vicepresidente della Conferenza episcopale dei Paesi dell’UE (COMECE). Il sessantacinquenne vescovo varesino (già ausiliare di Milano, emerito di Verona, punta di diamante ecclesiastica nelle trattative di carattere giuridico con lo Stato italiano) chiarisce nell’intervista i punti di ambiguità della ‘Carta’ proclamata a Nizza,  ne prefigura le conseguenze, richiama l’ “eccetera” dell’allegato alla ‘Dichiarazione di Laeken’, prospetta qualche ragionevole possibilità di accordo (sempre che ci sia buona volontà d’ambo le parti), sintetizza le caratteristiche dell’approccio ‘europeo’ di Giovanni Paolo II, conclude evidenziando la forza di un’immagine simbolica (croce, libro, aratro), che racchiude quanto il Cristianesimo ha dato e - si spera - darà all’Europa.   

    All’interno dell’Europa dei Quindici, che sta riflettendo sul proprio futuro anche dal punto di vista istituzionale, da tempo si è creata una tensione non ingiustificata a proposito dei contenuti di alcuni documenti fondamentali che non pochi ritengono ispirati a una filosofia di vita piuttosto lontana da una concezione cristiana. A fine 2000, durante il vertice di Nizza, è stata proclamata una “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” insoddisfacente a tal riguardo. Eccellenza, da vicepresidente della COMECE – che riunisce gli episcopati dei Paesi dell’Unione -  Lei segue molto da vicino l’evoluzione comunitaria; qual è la Sua valutazione della ‘Carta’, un documento peraltro molto complesso?

    Credo che la ‘Carta’ vada valutata con una qualche finezza, poiché comprende aspetti certamente positivi (ad esempio divieto della pena di morte o della tortura, diritto alla privacy, ecc…) e, per altro verso, contiene invece elementi che segnalano contraddizioni o quantomeno ambiguità a proposito dei valori cristiani. La ‘Carta’ quindi andrebbe analizzata articolo per articolo e con molta attenzione in quanto talvolta è proprio soltanto attraverso l’esame delle formule adottate che si riesce a cogliere la specificità di taluni contenuti.

    Può dare qualche esempio di ambiguità presenti nel documento?

    Alludo a un fenomeno singolare. Nel testo rimangono termini e concetti giuridici che, presi per come suonano, hanno una certa consonanza con la tradizione dei grandi valori naturali, letti in chiave cristiana. Però nell’uso e nell’interpretazione odierni tali termini e concetti assumono a poco a poco altri significati, che corrispondono a una visione della realtà lontana dalla legge naturale. Pensi all’esempio della parola ‘famiglia’. Qualcuno forse non è d’accordo quando si afferma il diritto di formare una famiglia? Eppure che cosa si intenda per ‘famiglia’ non è scritto da nessuna parte nella ‘Carta’: nella nostra situazione culturale generale tale diritto si presta a letture e trasposizioni giuridiche contrastanti con i valori cristiani, anche perché la ‘Carta’ lo distingue dal diritto a sposarsi.   

    A distanza di un anno dalla proclamazione della ‘Carta’ ecco il vertice dicembrino di Laeken, con la decisione di istituire un gruppo di lavoro, detto Convenzione, che tra i suoi compiti ha quello di esaminare la possibilità di proporre una vera e propria Costituzione europea. Anche qui, nell’allegato alla “Dichiarazione” che accompagna tale nascita si dice che i cittadini europei saranno consultati sui contenuti della prevista Costituzione attraverso “organizzazioni della società civile”: e si citano tra parentesi “parti sociali, mondo degli affari, organismi non governativi, università, eccetera”. Le Chiese dovrebbero essere comprese tra gli “eccetera”. Un altro segnale che può inquietare, un  nuovo caso di discriminazione di tipo ‘laicista’?

    C’è una forte diversità di valore tra i due documenti: la ‘Carta’ è stata proclamata solennemente (anche se non come fonte giuridica immediatamente vincolante), l’allegato alla ‘Dichiarazione di Laeken’ ha un rilievo formale e sostanziale certo di minor peso. Tuttavia è indubbio che, parlando di un ‘forum’ attraverso il quale le diverse realtà della società civile dovrebbero partecipare all’elaborazione della cosiddetta Costituzione europea, colpisce il fatto che manchi un riferimento esplicito alle confessioni religiose. Che senso può avere questo? Forse il fatto è dovuto a distrazione, a una minor attenzione alle realtà religiose, dato che fin qui l’Unione europea si è occupata soprattutto di economia, finanza, socialità. Ci può essere però una ragione più inquietante, quella stessa che era emersa in sede di redazione del preambolo della ‘Carta’: la volontà precisa di non dare un rilievo di tipo pubblico al fenomeno religioso e alle istituzioni che lo esprimono, ritenendo che la dimensione religiosa abbia come suo spazio proprio soltanto quello della coscienza personale e delle attività private. 

    Tale seconda ragione è presente sia a Bruxelles che a Parigi…

    Sì. Se si vuol ricercarne le origini più remote, si deve risalire alle vicende della Rivoluzione francese e a tutta una teorizzazione della laicità che ne è derivata. Certo se questa componente avesse giocato un ruolo nell’esclusione del richiamo alle comunità religiose, il segnale diventerebbe allarmante. E occorrerebbe reagire, come ha fatto del resto il Santo Padre, in maniera molto limpida e molto decisa: questo modo di pensare la laicità è alquanto unilaterale e riduttivo e non può diventare il modello unico europeo, entrando nella Costituzione europea.  

    Alcuni dicono: oggi l’Europa de facto è scristianizzata, la maggior parte degli europei vive – quando la vive – la religione come un fatto privato. Che senso ha allora ricordare l’apporto del cristianesimo in un documento pubblico fondamentale?

    Queste affermazioni che si leggono qua e là sono sempre da prendere con doverose riserve. Intanto bisognerebbe identificare a quale Europa ci si riferisce. Ad esempio, per rimanere nell’Europa occidentale, c’è una grande differenza in materia di frequenza religiosa tra l’Italia e i Paesi scandinavi oppure, restando tra Paesi cosiddetti cattolici, tra la Spagna e il Belgio. Poi si rischia sempre di dimenticare che, quando si parla di Europa in prospettiva, si devono comprendere anche 12 nuovi Paesi. Tra loro Malta e Cipro, di modesta dimensione ma profondamente religiosi; e altri più consistenti come la Polonia, in situazione critica ma certo non scristianizzati. Resta in ogni caso vero che la dimensione religiosa vive oggi nel complesso dell’Europa un momento di particolare difficoltà; credo però che questo non possa significare l’abdicazione a una positiva presa in considerazione dei grandi valori permanenti e suscettibili di rinascite che la dimensione religiosa evidenzia. Se si dovesse applicare tale criterio ad altri aspetti positivi della realtà civile europea, resterebbe ben poco. Si veda ad esempio il valore della partecipazione democratica: se Le chiedessi che cosa pensa della partecipazione democratica oggi in Europa, credo che mi darebbe una risposta desolata, se non altro guardando alle percentuali elettorali delle elezioni europee. Se per questo noi mettessimo in dubbio che nella possibile Costituzione europea si debba affermare con forza il valore positivo della partecipazione democratica, faremmo sicuramente un’operazione culturalmente ingiustificata.   

    La controversia in corso non vede una contrapposizione netta tra il mondo d’appartenenza confessionale e quello d’appartenenza laica. Se restiamo all’Italia laici di diversa estrazione come il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il vicepresidente della Convenzione Giuliano Amato e il rappresentante del Governo nella Convenzione Gianfranco Fini hanno dichiarato più volte la necessità di richiamare nella futura Costituzione europea l’esperienza cristiana del Continente. Ad esempio il vicepresidente del Consiglio in un’intervista del 23 gennaio a ‘Telepace’ ha detto che il “fondamentalismo laico in talune circostanze è pericoloso e ottuso come il fondamentalismo religioso”, che “l’espressione ‘Europa delle cattedrali’ è valida ancora oggi” e che “non si possono liquidare la Chiesa e le Chiese tra gli ‘eccetera’”. Concetti confermati anche nell’intervista del 24 febbraio alla “Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung”. C’è allora, realisticamente, speranza che il contributo del cristianesimo all’Europa venga riconosciuto ed esplicitato ufficialmente in documenti fondamentali dell’Unione europea?

    Penso di sì, che ci sarà la volontà di trovare una soluzione che non escluda il riconoscimento dell’apporto del cristianesimo alla storia e all’attualità d’Europa. La mia impressione è che ci sia una differenza tra il clima esistente durante l’elaborazione della ‘Carta’ e quello che si delinea in queste ultime settimane. Mi pare di avvertire oggi una maggiore pacatezza nella considerazione del problema e l’emergere di alcuni segnali di attenzione, non solo in Italia. Nella stessa Francia sono stati avviati incontri, sia pure informali, tra il Governo e i vescovi francesi. Un anno fa ciò probabilmente non sarebbe stato possibile. Se nella nuova Convenzione ci sarà buona volontà da parte di tutti, non dovrebbe essere impossibile affrontare in maniera più costruttiva questa tematica, che rimane peraltro oggettivamente delicata.

    Dato (anche se non concesso) per scontato che ciò avvenga, rimarrà poi il grave problema di natura giuridica relativo e allo ‘status’ delle comunità religiose e alla trasposizione nella prassi delle norme della prevista Costituzione…

    Infatti la questione principale non è la proclamazione dei fondamenti storici dell’Europa, che pure è molto importante sotto il profilo culturale. La questione principale sarà quella, di natura giuridica, del riconoscimento del ruolo delle confessioni religiose in quanto soggetti portatori dell’esperienza religiosa. E’ soprattutto su questo che si potrà trovare qualche punto d’incontro, ad esempio nell’integrare la ‘Carta’ nell’affermazione limpida della libertà religiosa, riconoscendo che quel diritto sta in capo non solo alle singole persone ma anche alle confessioni religiose. Anche nell’individuare forme agili, ma precise e garantite, di confronto e dialogo tra l’Unione europea e almeno le principali confessioni religiose.  

    Il  III Forum della Fondazione De Gasperi, svoltosi il 22 e il 23 febbraio a Roma, era dedicato a una valutazione del magistero ‘europeo’ di Giovanni Paolo II : nel Suo intervento Lei ha ricordato l’azione di tipo pedagogico esplicata in oltre vent’anni dal Santo Padre. In che cosa è consistita essenzialmente?

    Giovanni Paolo II è certo un grande personaggio sotto il profilo politico, ma è innanzitutto un pastore, che nel suo pontificato ha svolto un’azione molto intensa di tipo pedagogico riguardo all’Europa. Il Santo Padre ha operato con la parola (oltre settecento i testi scritti). Con i gesti significativi: pensiamo ai pellegrinaggi ai grandi santuari d’Europa, alle visite apostoliche nei diversi Stati con la valorizzazione delle peculiarità di ogni popolo. Anche alla proclamazione di altri patroni d’Europa; oltre a San Benedetto, oggi abbiamo i santi Cirillo e Metodio (evangelizzatori della parte slava), le sante Caterina (senese), Brigida (svedese), Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, di origine ebraica e morta per mano nazista ad Auschwitz). Giovanni Paolo II si è sempre sforzato di ricomporre l’unità dei cristiani, ha avuto il coraggio dell’autocritica sulle pagine buie. E ha anche pagato di persona per l’Europa attraverso l’attentato del 1981, drammatico e in parte misterioso.

    Sempre nella Sua relazione Lei ha evidenziato l’importanza dell’influenza     benedettina sull’evolversi dell’Europa, riassumendola in una triade simbolica: la croce, il libro, l’aratro. Che cosa ha inteso dire con questo?

    Ho richiamato questa triade perché qualche volta i valori hanno bisogno di formule icastiche che li traducano in maniera sintetica e facilmente comprensibile, meglio se avvalorate da una certa simbologia eloquente. Croce, libro e aratro identificano non soltanto lo specifico apporto benedettino, ma possono diventare la cifra espressiva del grande apporto cristiano all’Europa. La croce: richiama la dimensione trascendente della persona umana, perché quel Crocifisso è il Figlio di Dio. E implica il riconoscimento della dignità di ogni uomo e la speranza del riscatto. Il libro: fu sempre caratteristico dell’apporto cristiano il coraggio di confrontare la fede con la ragione e con la cultura. Vedi anche l’enciclica papale “Fides et ratio”: il cristianesimo proprio in Europa ha vissuto più che ogni altra religione prima il confronto con il pensiero antico greco-ellenistico-romano, poi – drammaticamente - con la modernità. L’aratro: un termine simbolico che esprime molto bene l’idea cristiana dell’ “homo faber”, letto però alla luce della Rivelazione divina: l’uomo cioè che, dotato da Dio di libertà e di responsabilità, deve coltivare il creato. Non da padrone ma da immagine di Dio, da collaboratore di Dio ovvero rispettando il creato nella sua vocazione originaria di casa accogliente per tutti gli uomini. Un tema questo di enorme attualità.   

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