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    ITALIANI E UNGHERESI A CONFRONTO - CALCIO: PARLA IL CT MARCO ROSSI

    ITALIANI E UNGHERESI A CONFRONTO - CALCIO: PARLA IL CT MARCO ROSSI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 6 maggio 2019

     

    Un convegno stimolante a Roma giovedì 16 aprile presso l’Accademia d’Ungheria, promosso dall’ambasciata magiara presso il Quirinale. Due sondaggi sull’immagine dell’Ungheria presso gli italiani e sulla popolarità dell’Unione europea. Un’ampia intervista a Marco Rossi, ex-difensore di Sampdoria, Brescia e Piacenza, da dieci mesi commissario tecnico della nazionale ungherese di calcio.

      

    Nel tardo Medioevo erano centinaia gli studenti ungheresi che frequentavano le università di Padova e di Bologna. Nella seconda metà umanistico-rinascimentale del XV secolo il re dì Ungheria Mattia Corvino e i Medici di Firenze (in particolare Lorenzo il Magnifico) avevano intessuto rapporti culturali molto stretti, tanto è vero che la biblioteca del sovrano magiaro comprendeva diversi codici miniati preziosi in buona parte di matrice fiorentina. Nella Rivoluzione del 1848/49 i soldati lodigiani e veneti di stanza a Budapest avevano salutato con gioia la rivolta anti-asburgica ungherese, mentre nel 1859/60 centinaia di volontari ungheresi combatterono al fianco di Garibaldi nella II Guerra d’Indipendenza italiana. Dopo la repressione della rivolta antisovietica di Budapest dell’ottobre/novembre 1956 diverse migliaia di esuli furono accolti anche in Italia.

    Insomma: nella tradizione storica e culturale (questi erano soltanto alcuni esempi) si evidenzia un’indubbia simpatia tra i popoli ungherese e italiano. E oggi… a che punto siamo?

    Se n’è parlato ampiamente a Roma presso l’Accademia d’Ungheria giovedì 16 aprile 2019 durante un Convegno promosso dall’ambasciata presso il Quirinale.  Quale lo scopo? Quello di certificare come ai tempi nostri si guardino reciprocamente italiani e ungheresi, che cosa sappiano delle rispettive culture ed economie. Con la speranza di recuperare (se del caso) e accrescere una sintonia che nella storia già ha prodotto occasioni preziose di incontro. 

    Nella sala del borrominiano Palazzo Falconieri è stato l’ambasciatore Adám Kovács ad aprire i lavori della mattinata, sviluppatasi attraverso una prima tavola rotonda sul tema del Convegno dal titolo accattivante: “Ungheria, ti dico la mia: gli italiani raccontano l’Ungheria”. Moderati da Cesara Buonamici (giornalista del TG 5) hanno detto la loro Livio Gigliuto (Istituto demoscopico Piepoli), Marco Rossi (commissario tecnico della nazionale calcistica ungherese), Paola Tommasi (economista e giornalista), Andrea Carteny (docente di Relazioni internazionali alla ‘Sapienza’ di Roma). Faragó Csaba, dirigente degli Affari esteri della Fondazione Századvég ha da parte sua esposto i risultati più significativi di un ampio sondaggio a livello continentale sulla popolarità dell’Unione europea.

    Incominciamo con alcuni dei risultati emersi dall’indagine dell’Istituto Piepoli, effettuata il 2 aprile 2019 e incentrata  su “come l’Ungheria è vista dagli italiani”. Cinque le domande sottoposte alla valutazione degli interpellati. Dalle risposte alla prima (quali aggettivi descrivono maggiormente il popolo ungherese, possibile una risposta multipla) emerge – ha rilevato Livio Gigliuto -  come nel 39% dei casi sia stato indicato dagli italiani il carattere “determinato” dei magiari e nel 24% l’essere tale popolo “amico-alleato”. Che sarebbe “altruista” solo nell’8% delle risposte. Da notare che tra i giovani (18-34 anni) il “determinato” sale al 51%, tra le donne al 46%, nel Nord-Est e nelle Isole al 50%. Il 14% dei giovani ritiene poi gli ungheresi “altruisti”, così come il 12%  del campione del Nord-Est. Che il popolo ungherese sia apprezzato come “determinato” (in particolare da giovani e donne) suggerisce qualche considerazione sull’aspirazione di una parte consistente dell’elettorato a una politica italiana che, se del caso, sappia farsi valere in sede internazionale.

    Tra i prodotti ungheresi, solo il 5% del campione li definisce “innovativi”(e qui c’è un ampio spazio di miglioramento), mentre il 35% li reputa in primo luogo “economici”. L’Ungheria è apprezzata soprattutto sotto gli aspetti turistico (53%) e culturale (25%, giovani e donne 29%); tecnologicamente solo dal 6%( giovani 13%). Poco spazio per lo sport, considerato dal 4%.

    Il 52% del campione dichiara di avere “molta” o “abbastanza” fiducia nell’Ungheria: un dato interessante anche questo, con i giovani al 59% e le donne al 54%. Non meraviglia allora che il 58% dei rispondenti auspica una maggiore cooperazione politica con l’Ungheria (giovani: 62%, donne 61%).

    Importante da notare la presenza di una quota consistente di “non so”, più della metà per la domanda sui prodotti e quasi la metà per quella sull’immagine. Un terzo rispettivamente un quinto invece coloro che non hanno risposto alle domande sulla fiducia e sulla cooperazione politica. Resta qui evidentemente per l’ambasciata d’Ungheria in Italia un terreno molto ampio da dissodare.

    Paola Tommasi non si è detta sorpresa dal maggior favore verso l’Ungheria di giovani e di donne, perché il Paese “dà un’impressione di movimento e di crescita, derivata dalla determinazione popolare”. La giornalista ha individuato un fattore trainante nella politica per la famiglia, anche dal punto di vista economico: le  misure adottate dal governo Orbán in favore delle giovani coppie e della natalità “stimolano ad andare in Ungheria a metter su famiglia”.

    Il nuovo commissario tecnico della nazionale calcistica ungherese Marco Rossi, a proposito dei dati emersi dal sondaggio di Piepoli, ha rilevato che, se presso gli italiani lo sport ungherese è così poco conosciuto,  ciò deriva da una “percezione distorta” del fenomeno: in effetti, ad esempio nella pallanuoto, nel nuoto, nella scherma gli ungheresi si fanno molto valere. E nel calcio cercano di almeno riavvicinarsi un po’, per quanto possibile, alla grande Ungheria di Puskas, la “squadra d’oro” degli anni Cinquanta. Da notare poi che nel 2020 il Giro d’Italia partirà da Budapest e proseguirà con altre due tappe in Ungheria. Nell’intervista a margine del convegno (vedi sotto) Marco Rossi esprime poi una serie di altre considerazioni su alcuni momenti della sua vita professionale. E non solo.

    Per Andrea Carteny i rapporti tra Ungheria e Italia affondano nella storia (e ne abbiamo dato conto inizialmente). Oggi l’Europa danubiana, ha osservato, “continua ad esistere attraverso Visegrad”, un asse “perfettamente compatibile con le dinamiche di costruzione dell’Unione europea, naturale all’interno di una entità di 28 Paesi”. Carteny ha anche rilevato che in Ungheria (e in genere nei Paesi dell’Europa centrale) si ritrova “una sovrapposizione tra cultura e comunità”; e la comunità vive con fervore “anche i momenti religiosi”, pur essendo nella quotidianità a volte poco religiosa.

    Con molta attenzione i convenuti (tra i quali anche l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede Eduard Habsburg-Lothringen) hanno poi seguito l’illustrazione – ad opera di Csaba Faragó  - di dati rilevanti di un’altra indagine demoscopica, svolta dal 7 gennaio al primo marzo nei 28 Paesi dell’UE e in 7 Paesi balcanici dalla Fondazione ungherese Századvég: 35mila gli interpellati. Dall’indagine, che ha coinvolto 35mila persone, emerge che gli europei/UE non sono ottimisti sul futuro dei loro Paesi: per la metà(49%)  le prossime generazioni vivranno peggio di oggi, per meno di un quinto (18%), meglio. In Ungheria siamo però al 40% di ottimisti contro il 26%, in Italia invece gli ottimisti sono solo il 10%, i pessimisti il 59%.

    L’UE è poco popolare, ma, eventualmente posti davanti alla scelta se restare o uscire dalla stessa UE, una larga maggioranza degli elettori opterebbe per restare: il 6% nella media UE, l’85% in Ungheria, il 60% in Italia. Molto negativo il giudizio sulla gestione della crisi migratoria da parte dell’UE: in Ungheria solo il 24% di valutazioni positive, in Italia il 19%, nella media UE il 24%.

    Nell’indagine c’era una domanda molto intrigante che così suonava: “Sei d’accordo o no con il fatto che gli uomini d’affari con una notevole influenza economica e politica dovrebbero avere voce in capitolo negli affari interni degli Stati membri dell’UE attraverso le ONG e le lobby?”. Più chiaro di così... qui si tratta di Soros e delle sue creature ben foraggiate. I riscontri dispiaceranno ai ‘progressisti’: Soros e le ONG  sono assai malvisti dagli europei/UE.  Ad esempio in Ungheria risponde positivamente (sì alla voce in capitolo da parte di Soros e compagnia) il 5% degli interpellati, in Italia Soros e le ONG raccolgono il 24% dei consensi, nella media UE il 26%.

    Interessante anche un’altra domanda: “Lei ritiene che l’Europa debba proteggere la propria cultura e le proprie tradizioni cristiane o dovrebbe invece tutelare una cultura laica che vada oltre le tradizioni cristiane?”.  Anche qui la risposta è netta: nell’Europa dei 28 i favorevoli alla protezione delle  radici cristiane sono il 58%, i contrari solo il 31%.

    La seconda parte della mattinata ha visto invece attorno al tavolo Zoltán Kovács, sottosegretario e portavoce internazionale del governo ungherese, il sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture Armando Siri (Lega), i senatori Enrico Aimi (Forza Italia) e Adolfo Urso (Fratelli d’Italia). Si è parlato delle prossime elezioni europee, delle quali Zoltán Kovács rileva la grande novità: la discussione paneuropea sul problema delle migrazioni. Tanto che “piaccia o non piaccia alla sinistra, chi andrà alle urne si pronuncerà su tale questione centrale”, che “coinvolge tante altre politiche: quelle della natalità, della famiglia, economiche”. Kovács si è detto fiducioso che il 26 maggio si aprirà una nuova fase nella storia europea, con un sensibile rafforzamento della componente sovranista: perciò appare assurdo un accordo, di cui si vocifera, tra popolari e socialisti ancora prima delle elezioni.

    E’ insomma stato un Convegno ricco di spunti, che- come ha rilevato in conclusione l’ambasciatore Adám Kovács – ha permesso di confermare le affinità storiche tra Italia e Ungheria nella speranza di rapporti sempre più intensi in ambito politico, culturale, economico.

     

    INTERVISTA A MARCO ROSSI, COMMISSARIO TECNICO DELLA NAZIONALE UNGHERESE DI CALCIO

     

    A margine del Convegno sui rapporti Italia-Ungheria abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei relatori, un personaggio certamente particolare in quel contesto. Leggete qui: Torino (giovanili), Campania, Campania Puteolana, Catanzaro, Brescia (5 anni), Sampdoria, América di Città del Messico, Eintracht Francoforte, Ospedaletto, Salò. E poi quest’altra lista: Lumezzane, Pro Patria, Spezia, Scafatese, Cavese, Honved, Dunajska Streda, Ungheria.

    E’ un tipo che certo si è dato da fare, ha girato per il mondo. Come calciatore (difensore, primo elenco) da Nord a Sud dell’Italia, in Messico, in Germania. Come allenatore (secondo elenco) ancora da Nord a Sud e poi in Ungheria, Slovacchia, infine ancora Ungheria. Non ha mai avuto vita facile. Forse anche per questo non è istrionico né messianico né saputello, ma è pieno di determinazione e di buon senso. E’ così che, pur non prevedendolo, l’abbiamo intervistato.

    Si chiama Marco Rossi e di lui il nostro collega Federico Cenci si ricorda la figurina Panini con la maglia del Piacenza. Nato nella cintura metropolitana di Torino, a Druento, il 9 settembre 1964, dal 20 giugno 2018 è il primo commissario tecnico italiano della nazionale ungherese. Da ciò l’invito al Convegno di Roma, dove è stato accompagnato dalla figlia Gaia, fresca di laurea. In famiglia anche la moglie Mirella e il figlio Simone (vedi galleria fotografica al termine dell’intervista).

     

    Marco Rossi, come mai Lei è finito in Ungheria?

    Per un misto di circostanze sfortunate e fortunate insieme…

    Da dove veniva?

    Dall’Italia. Incominciando dalle giovanili del Torino, poi passando alla Puteolana, ho fatto una carriera dignitosa da calciatore a Brescia, a Genova con la Sampdoria, a Piacenza tra serie A e B. Quando ho smesso nel 2000, a distanza di qualche anno ho intrapreso la carriera di allenatore. Dal 2004 ho iniziato con la serie C, la C1 all’epoca e fino al 2012 ho allenato solo squadre di C1 e C2… niente di clamoroso. A seguito di un esonero non sono più riuscito a trovare lavoro per quasi un anno e mezzo; allora ho pensato di rivedere un amico che avevo conosciuto quando ero all’Eintracht e aveva aperto un ristorante a Budapest. Proprio lui, Pippo, mi ha messo in contatto con l’allora direttore sportivo della mitica Honvéd, un italiano, Fabio Cordella… e da cosa è nata cosa…

    Da quand’è che Lei allena in Ungheria?

    Sono commissario tecnico, ct della nazionale da luglio 2018. Dal 2012 ho allenato l’Honvéd, l’ho anche salvata dalla retrocessione nel 2015 e l’ho portata al titolo nazionale nel 2017, il primo nella bacheca della società dopo 24 anni…Poi ho allenato in Slovacchia, nei territori della minoranza ungherese, il Dunajská Streda, che ha raggiunto il miglior piazzamento nella propria storia, arrivando terzo…

    … e da lì è stato richiamato in Ungheria, stavolta come allenatore della nazionale, confrontato con una sfida molto difficile…

    Ho accettato perché ho considerato e considero un grande onore essere il ct dell’Ungheria. Storicamente Lei ricorderà…

    .. ero piccolo, ma qualcosa vagamente ricordo, perché se ne parlava in casa della Grande Ungheria, che perse i mondiali in Svizzera, battuta in finale dalla Germania per 3-2 in una partita rocambolesca, dopo che qualche giorno prima i tedeschi ne avevano subiti otto dalla stessa squadra…

    Anch’io in famiglia, da nonno Gino, qualche anno dopo, sentivo sempre parlare con ammirazione del Grande Torino e pure della Grande Ungheria, la “squadra d’oro”, la Aranycsapat, quella di Puskas, Kocsis, Hidegkuti. E’ stata una delle nazionali che, anche senza vincere titoli mondiali, ha sempre giocato con grande autorità nelle varie competizioni infilando una serie incredibile di vittorie, 32 dal 1950 alla finale di Berna del 1954. Per diversi anni ha costituito una nazionale di riferimento nel gioco del calcio. Capirà che per me l’onore è grande e la sfida gigantesca: un segno del destino…

    L’Ungheria di oggi non è quella di Puskas: la nazionale, dopo la sconfitta di Berna e la drammatica rivolta di Budapest dell’ottobre/novembre 1956 non è mai più riuscita a emergere in ambito continentale. Qualche bagliore s’è rivisto solo per l’Europeo del 2016…

    Il mio compito è quello di ricostruire almeno quel livello di fiducia che gli ungheresi avevano ritrovato in occasione del campionato europeo del 2016, in cui disputarono un ottimo girone di qualificazione, giungendo addirittura davanti al Portogallo, poi vincitore della competizione. Vorremmo gradualmente riavvicinarci a quei momenti… è chiaro che molto dipende anche dal materiale umano a disposizione.

    In che lingua colloquia con i suoi nazionali? L’ungherese è una lingua ardua…

    Generalmente in inglese, con alcuni anche in italiano e in spagnolo. Certamente l’ungherese è molto difficile per noi.

    Ci sono differenze importanti tra l’allenare in Ungheria e in Italia?

    Sono molte di meno di quanto si possa credere. Devo anche dire che in Italia non ho mai allenato né in Serie A né in Serie B, ma solo in C. In Ungheria sono stato accolto con rispetto da subito e, dopo le prime stagioni, non è mancato quell’apprezzamento che mi ha condotto alla panchina della Nazionale. A  livello di gestione del gruppo,  per quella che è la mia esperienza, posso dire che non c’è differenza: occorre saper toccare i tasti giusti con ognuno, conoscendo le differenze fra culture e personalità. Questo lo si ottiene attraverso il vissuto e la pratica.

    Intanto la ‘sua’ Ungheria il 23 marzo ha battuto i vice-campioni del mondo della Croazia per 2 a 1… Dica ancora: in Ungheria lo Stato aiuta lo sport?

    Certamente. Lo Stato promuove molto lo sport tra i giovani. Ormai in Serie A tutti i club possono disporre di impianti nuovissimi anche sotto l’aspetto tecnologico: tra l’altro c’è il biglietto elettronico dappertutto. Poi quasi tutti dispongono di accademie per il settore giovanile, campi, foresterie in centri sportivi a tutti gli effetti e di proprietà degli stessi club. Si stanno creando i presupposti per coltivare talenti… e questo è fondamentale per il futuro di un calcio senza grandi budget come quello ungherese… non sarebbe neanche equo far girare tanti soldi, il che contrasterebbe fortemente con i salari medi nel Paese…i

    Il governo dunque promuove con aiuti vari non solo la famiglia come istituto matrimoniale, ma anche come procreatrice di figli, offrendo loro la possibilità di crescere sani…

    Il governo stimola lo sport in generale già a partire dalla scuola, dove gli allievi devono conoscere tutta una serie di discipline sportive per poi sceglierne una, se la vorranno praticare a livello agonistico. Si nota ormai chiaramente come le nuove generazioni siano molto atletiche.

    Da quanto dice, Lei si sta confrontando con un’Ungheria molto viva, protesa verso il futuro…

    Sì, la sensazione è proprio questa. Io vivo a Budapest, ma è un intero Paese in movimento continuo, che cerca di migliorarsi ovviamente con le difficoltà e le contraddizioni conosciute in ogni Stato nel mondo… però quel che è certo è che l’Ungheria è un Paese che vuole progredire sotto gli aspetti…

    Non ha dunque l’impressione di vivere sotto una cappa di piombo, in una sorta di lager come non raramente si legge nei media dell’Europa occidentale…

    Per niente, assolutamente no. Il governo vuole proteggere l’Ungheria, vuole vedere chi è che chiede di entrare nel Paese. Oltretutto gli ungheresi sono un popolo rispettoso, molto molto discreto: nel momento però in cui riconoscono dei meriti, delle professionalità, li sanno certamente valorizzare senza problemi e ambiguità. 

    Secondo la Sua esperienza, come guarda all’Italia l’ungherese medio?

    Per me è attratto, affascinato dagli italiani; ama la nostra cultura…nutre simpatia…sarebbe bello se tra ungheresi e italiani aumentassero le occasioni di conoscenza e di collaborazione per incrementare un interscambio reciproco che sia fecondo.

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