Ricerca

    BERNARDITO AUZA: MOMENTO GRAVE, ONU DECIDA CON CORAGGIO

     

    BERNARDITO AUZA: MOMENTO GRAVE, ONU DECIDA CON CORAGGIO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 4 dicembre 2014

     

    Intervista a tutto campo con il nuovo Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU – “Ad Haiti ho imparato a vivere nella precarietà” – Mi ha detto un diplomatico africano: “Gli europei ci hanno portato Dio, ora ci chiedono di abbandonarlo” – I Paesi piccoli facciano sentire di più la propria voce – Grande apprezzamento per l’ “Aiuto alla Chiesa che soffre”

    Nato nelle Filippine, a Talibon, il cinquantacinquenne arcivescovo Bernardito Auza è stato inviato nel 1985 a Roma, dove ha frequentato la Pontificia Accademia Ecclesiastica (scuola per i futuri diplomatici) e ha conseguito la laurea in Teologia e la licenza in Diritto canonico. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, ha prestato servizio in Madagascar, Bulgaria e Albania prima di essere richiamato a Roma nel 1998 in Segreteria di Stato, nella Sezione per i Rapporti con gli Stati. Dal 2006 al 2008 è stato inviato presso la Missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York.  A luglio 2008 la consacrazione episcopale in San Pietro, quale arcivescovo titolare di Suacia e la partenza come Nunzio apostolico per Haiti, “dove – aveva detto nell’omelia l’allora Segretario di Stato cardinale Bertone – sarai apostolo di unità e comunione, riconciliazione e pace”.  Le cose, come sappiamo andarono diversamente dal previsto a causa delle terribili calamità abbattutesi in breve tempo sul Paese caraibico. Il primo luglio del 2014 è stato nominato Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e quindici giorni dopo anche presso l’Organizzazione degli Stati Americani.  Volentieri, pur preso dai tanti e grandi impegni che comporta il suo status diplomatico, mons. Auza ha risposto alle nostre domande sull’esperienza di Haiti e sui suoi primi mesi di servizio come Osservatore permanente presso l’ONU, organizzazione molto discussa e da riformare, ma pur sempre rispondente di per sé a un’idea positiva del futuro dell’umanità.

     

    Monsignor Auza, che cosa ha provato, quale è stata la Sua prima reazione quando Le è stato comunicato che sarebbe divenuto Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite? 

    La mia prima reazione è stata quella di accogliere la volontà del Santo Padre nell’obbedienza totale, anche nel caso in cui essa non fosse coincisa con la mia preferenza lavorativa nell’ambito del servizio in cui vorrei impegnarmi.  Del resto, quando ho deciso di diventare sacerdote, ero consapevole di aver preso anche la decisione di obbedire la volontà del mio Vescovo in particolare e dei Superiori ecclesiastici in genere. Tutto quello che ho fatto come sacerdote,  l’ho fatto perché mi è stato dato da fare. Sono venuto a Roma per studi perché il mio Vescovo aveva deciso così, e con lo stesso spirito ho accolto volentieri tutte le nomine che ho avuto in questi 24 anni di servizio della Santa Sede, compresa quest’ultima. L’accettazione della nomina è stata “addolcita” anche dal fatto che avevo già un’idea del tipo di missione che mi attendeva a New York, perché durante i sette anni e mezzo di lavoro presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato avevo avuto a che fare con organismi e questioni multilaterali e avevo lavorato presso questa medesima Missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York dal luglio 2006 fino alla mia nomina a Nunzio Apostolico in Haiti nel maggio 2008.

     

     Ecco… Haiti: diventando Osservatore permanente, Lei ha lasciato Haiti. Che bilancio umano e spirituale può fare sui Suoi anni nell’isola, travagliati da tante calamità naturali? 

    Sono stati sei anni difficili ad Haiti per le grandi calamità, in particolare per il terremoto del 12 gennaio 2010 e per l’epidemia di colera nel Paese, per l’estrema povertà e per la persistente instabilità istituzionale. Ma sono stati per me anche una grande opportunità per  impegnarmi in ogni tipo di lavoro umanitario e spirituale e nei progetti di ricostruzione. La povertà materiale mi ha insegnato ad accontentarmi di poco. A causa della scarsità o dell’assenza di tanti servizi di base, come l’acqua corrente e l’elettricità, ho imparato a vivere nella precarietà. In quanto sacerdote, credo di aver imparato tante cose dalla Chiesa locale. Ho cercato di recarmi anche nelle comunità e nei villaggi più remoti per amministrare i sacramenti e per esprimere la vicinanza del Santo Padre ai più lontani, in tutti i sensi, e portare la sua parola di conforto a quelli che soffrono.

     

    Che immagine si era fatta dell’ONU durante i Suoi anni in giro per il mondo (e anche a Roma)? Tale immagine è stata confermata in questi primi mesi da Osservatore permanente? 

    Ho avuto contatti con numerose agenzie onusiane nel mio giro per il mondo e da lontano seguivo abbastanza le attività delle Nazioni Unite anche prima di lavorare nella Segreteria di Stato ed a New York. Ne avevo tratto l’idea di un’istituzione internazionale con la missione primaria di scongiurare nuove guerre e promuovere i diritti umani. In gran parte, ciò coincide con quello che si fa oggi all’ONU.

     

    L’ONU tra non pochi cattolici nel mondo ha un’immagine non molto positiva: le si rimprovera di non saper evitare le guerre, di non saper fermare gli aggressori, di non saper difendere gli aggrediti. Inoltre, per un altro aspetto, Le si rimprovera di non valorizzare sempre nel modo dovuto i diritti umani fondamentali e di promuovere negli ultimi tempi sempre più spesso i cosiddetti ‘nuovi diritti’. Può dire qualcosa a tale proposito? 

    La constatazione che l’ONU sia venuta meno nella sua missione primaria di evitare conflitti e promuovere la pace trova, purtroppo, giustificazioni nel degrado della situazione mondiale, nel risorgere di vecchi conflitti, nella persistenza di conflitti odierni e nell’emergere di nuove forme di brutalità e di disprezzo spaventoso dei diritti umani fondamentali e del diritto umanitario. L’incapacità dell’ONU di agire di fronte alle barbarie nel nord dell’Iraq ne è un esempio. Occorre tuttavia riconoscere che le Missioni di pace dell’ONU in diverse zone di conflitti e di instabilità fanno onore all’istituzione ed a tutti i suoi membri e sostenitori. Purtroppo, l’ONU -o più precisamente alcuni dei suoi membri potenti che hanno obiettivi ben precisi- si lancia anche nella promozione dei cosiddetti “nuovi diritti” e ne impone “l’osservanza” agli altri. Non di rado, le Missioni Permanenti di Paesi poveri o piccoli Paesi non partecipano alle trattative sulle Risoluzioni e su altri documenti dell’ONU, perché non hanno personale sufficiente o, dicono alcune, si sentono intimidite da certi membri potenti e ricchi. Vorrei proprio che fossero più presenti nei negoziati per far sentire la propria voce e far conoscere e difendere i propri valori.

     

    Venendo ad alcuni Suoi interventi pronunciati in questi primi mesi, il 29 ottobre ne ha fatto uno sui diritti umani, evidenziando tra l’altro l’importanza della libertà religiosa, spesso violata in tanti Paesi del mondo come evidenziato anche dal recente Rapporto in materia dell’ ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’. Ci tolga qui una curiosità prima di rispondere alla domanda: Lei conosce bene l’Aiuto alla Chiesa che soffre, poiché ne è stato un borsista. Ci dice qualcosa in più? 

    Ho conosciuto l’ ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ quando venni a Roma nel 1986 per la mia laurea in Teologia. Il mio Vescovo mi aveva inviato a Roma senza alcuna borsa di studio, dicendomi solo di preparare una richiesta diretta all’ ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’, che mi rispose in modo affermativo. Dovevo prepararmi per insegnare nel nostro Seminario (Tagbilaran, Filippine). Nel 1987 mi fu detto di entrare nella Pontificia Accademia Ecclesiastica. L’Aiuto decise allora di non continuare più la borsa di studio. Ma, dietro l’insistenza dell’allora Presidente dell’Accademia, l’ ‘Aiuto’ mi ha sostenuto fino alla mia laurea in Teologia ed alla Licenza in Diritto Canonico nel 1990. Gliene sarò sempre profondamente grato. Ho avuto dei rapporti di lavoro molto intensi con la benemerita Fondazione Pontificia quando lavoravo nelle Nunziature in Bulgaria, Albania e, soprattutto, quando ero Nunzio Apostolico ad Haiti. L’ ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ è tra i sostenitori più importanti della Chiesa haitiana. Sono rimasto molto colpito dalla dedizione e dalla spiritualità dell’insieme del suo staff.

     

    Torniamo alla domanda sulla libertà religiosa… 

    È paradossale: da una parte non dovremmo più parlare della libertà religiosa con tanta insistenza e frequenza, giacché si tratta di un diritto umano universale, inalienabile e fondamentale; dall’altra, si tratta di uno dei diritti più violati e disprezzati nei nostri tempi. Come ha detto il Santo Padre, ci sono molto più martiri oggi che nei primi secoli prima dell’Editto di Milano. Le violazioni contro il diritto alla libertà religiosa non si manifestano solo nel martirio, man anche in diverse forme di discriminazioni. Per la Santa Sede, è doveroso denunciare queste violazioni chiunque siano le vittime, che siano cristiani, musulmani, ebrei ecc. I miei interventi presso le diverse istanze presso l’ONU sono anche una risposta all’accorato appello che il Santo Padre rivolge a tutti, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze a favore dei cristiani perseguitati e di tutti i perseguitati a causa della loro religione e della loro fede.

     

    In un altro intervento, del 23 ottobre, Lei ha affrontato il tema della lotta alla povertà nel mondo, utilizzando anche una metafora particolare: “Casi concreti di povertà ci dicono che la marea crescente non sempre solleva tutte le imbarcazioni; spesso solleva solo gli yacht, mantiene a galla solo poche barche, ne spazza via molte e fa affondare tutte le altre” .  Che cosa intendeva dire con questo esempio? 

    Mi domandavo come esprimere la realtà di un sistema o di un modello economico che, mentre indubbiamente genera ricchezza, produce anche un divario sempre più grande tra ricchi e poveri. Si pensi che il “valore economico” dell’uomo più ricco del mondo oggi equivale al “valore economico” dei 156 milioni di individui nella parte più bassa della scala economica. Pensavo che dire che i ricchi diventano più ricchi ed i poveri più poveri non fosse più sufficiente per catturare l’attenzione e fosse ormai insufficiente per esprimere una realtà economica divenuta sempre più complessa. Con l’espressione utilizzata volevo innanzitutto mettere in discussione l’idea che una situazione economica favorevole (la marea crescente) favorisca la situazione economica di tutti (le imbarcazioni). In realtà, i benefici derivanti da una situazione economica (anche da quella favorevole, e tanto meno da quella depressa) non sono né uguali né equi per tutti e non giungono a tutti. Anzi, inevitabilmente, ne risultano disuguaglianze ed emarginazioni sempre più palesi. Quelli già in possesso di grandi ricchezze (gli yacht) guadagnano molto di più (sono ben sollevati dalla marea crescente) e così via, di modo che i più poveri che hanno meno risorse (finanziarie ed umane come skills e know-how, o anche conoscenze ed agganci politici) e che non ne hanno sono progressivamente emarginati e spazzati via dal sistema (le imbarcazioni spazzate via ed affondate nonostante la marea crescente). Qui è doveroso l’intervento delle autorità competenti nazionali ed internazionali per regolare e mitigare gli effetti nefasti di un tale sistema economico. Un modello economico che pensa solo a trarre il massimo profitto, anche licenziando operai o violando i loro diritti, non potrà mai contribuire alla pace né promuovere uno sviluppo sostenibile. Non si può chiedere un sistema economico con benefici sempre uguali per tutti, perché non esisterebbe. Ma dobbiamo favorire un sistema solidale che promuova una distribuzione più equa dei benefici.

     

    Nella Relazione finale ( Relatio Synodi ) del recente Sinodo straordinario sulla famiglia, al punto 56 si legge: “E’ del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia (NdR: questione delle ‘unioni’ omosessuali) e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso”. E’ questa una situazione di cui anche Lei è a conoscenza nella Sua attività diplomatica? Che cosa si può fare da parte dell’ONU per evitare che si registri da parte dell’uno o dell’altro Stato occidentale il ricatto economico in materia di cosiddetti ‘nuovi diritti’ verso i Paesi in via di sviluppo? 

    Il Rappresentante permanente di un Paese africano mi ha detto: “Gli europei ci hanno portato Dio; ora ci chiedono di abbandonarlo.” Quando un diplomatico di un povero o piccolo Paese afferma di sentirsi “intimidito” da Paesi ricchi e potenti che premono per l’’accettazione dei cosiddetti “nuovi diritti”, vengono in mente pressioni e condizioni non scritte connesse agli aiuti internazionali. Non di rado, pressioni e “condizionalità” non sono espresse esplicitamente nei documenti. Sono esercitate da agenzie, da commissioni o da individui che, mandati a monitorare l’osservanza di Convenzioni, le interpretano in modo ideologico e politico. Ancor più preoccupante quando tali agenzie o individui esigono da Paesi piccoli e poveri l’applicazione di certe Risoluzioni che in realità non vincolano nessuno.

     

    A volte si sente dire: l’Onu è un organismo inutile e andrebbe abolito. Che cosa può osservare Lei a tale proposito? L’ONU è realisticamente riformabile nei suoi meccanismi decisionali? Se sì, in quale direzione? 

    Credo che l’ONU resti ancora il custode degli ideali di pace e di fratellanza di tutti i popoli. Avrà i suoi difetti piccoli e grandi, ma rimane l’istanza internazionale della quale tutti i Paesi del mondo sono membri, e resta una tribuna valida per discutere i problemi che affliggono la famiglia umana e la famiglia delle Nazioni. Il tema della riforma dell’ONU è sempre di grande attualità, specie per la riforma del Consiglio di Sicurezza, che si può considerare chiave di volta di una vera riforma del sistema ONU.

    Infine, le quattro visite rese da tre Papi all’ONU –Paolo VI il 4 ottobre 1965, Giovanni Paolo II il 2 ottobre 1979 ed il 5 ottobre 1995,  e Benedetto XVI il 18 aprile 2008 – hanno avuto anche come finalità, come disse Paolo VI, di “una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione”, di manifestare la nostra convinzione che l’ONU “rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale”. Credo che queste parole del Beato Paolo VI si rivelino più profetiche che mai, nel momento in cui l’umanità si trova in un tempo di grandi incertezze. La gravità del momento chiama l’ONU a prendere decisioni coraggiose.

    P.S. L’intervista appare, tradotta in inglese, nel numero di dicembre 2014 del mensile cattolico statunitense ‘Inside the Vatican’. 

    Ricerca