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    LIBANO: UN APPELLO VIBRANTE - RAVASI E L'OCCHIO PER OCCHIO

    LIBANO: UN APPELLO VIBRANTE  – RAVASI E L’OCCHIO PER OCCHIO –  di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 novembre 2023

     

    Letto domenica 19 novembre 2023 (Giornata mondiale dei poveri) in tutte le chiese libanesi un appello severo e accorato che mette in luce le insopportabili disfunzioni nella gestione politico-amministrativa dell’ex-Svizzera mediorientale – Il cardinal Ravasi e l’occhio per occhio in un programma televisivo de La 7: malumore ebraico.

    Non mancano neanche in questi giorni gli argomenti su cui riflettere, a partire dallo spettacolo delirante di ipocrisia fornito da tanti media audiovisivi e di carta stampata e da non pochi ‘artisti’ e influencer in riferimento all’ennesimo atroce assassinio, quello della ventiduenne Giulia Cecchettin da parte del coetaneo ed ex-fidanzato Filippo Turetta. Una trista spettacolarizzazione (con un’oscena insistenza su particolari morbosi) di un delitto che non fa altro che destabilizzare ulteriormente tanti giovani, rendendoli ancor più del consueto schiavi della società delle emozioni (a scapito di quella della ragione). Ma passiamo al Libano.

    Domenica 19 novembre 2023 – in occasione della Giornata mondiale dei poveri - in tutte le chiese e le istituzioni cattoliche del Libano è stato letto un appello firmato dal Consiglio dei patriarchi e vescovi cattolici del Paese. E’ un appello molto particolare, poiché illumina crudamente l’odierna realtà libanese, caratterizzata da una povertà incrementata fino a divenire ormai condizione largamente maggioritaria in quella che qualche decennio fa era considerata la “Svizzera del Medio Oriente”. Da tempo ormai la situazione politica ed economica a Beirut e dintorni non fa che peggiorare e il conflitto in Terrasanta accresce i rischi di un coinvolgimento catastrofico del Paese in una guerra che non sente sua (e che già percepisce ai confini con Israele dove le scaramucce volute da Hezbollah e le dure risposte israeliane hanno provocato nelle ultime settimane decine di morti, la sospensione di ogni attività economica  -specie agricola - e un esodo consistente dalla cittadina di Rmeich e da alcuni villaggi cristiani vicini. Il nunzio apostolico Paolo Borgia ha consegnato nei giorni scorsi un aiuto in denaro alla popolazione)

    Da ottobre 2022 non c’è un presidente della Repubblica e nemmeno un primo ministro se non a interim, Nagib Mikati. L’amministrazione pubblica è bloccata, l’economia langue, l’inflazione è alle stelle. I salari erosi fino all’ultimo centesimo. Da recenti stime, con circa 4 milioni di libanesi convivono quasi due milioni di rifugiati (per un quarto palestinesi presenti già dal 1948, per il resto siriani in fuga dalla loro patria travolta dalla guerra civile).

    In tale contesto le Chiese libanesi cattoliche di rito orientale si sono dichiarate neutrali in riferimento al conflitto in Terrasanta, pur simpatizzando pacificamente con il popolo palestinese. Nell’omelia della messa celebrata il 22 ottobre 2023 nella chiesa del Collegio Maronita di Roma, il patriarca e cardinale Béchara Raï (presenti gli ambasciatori di Francia, Giordania, Palestina e Lega araba presso la Santa Sede) ha evidenziato, sposando pienamente la linea vaticana, che “l’unica soluzione praticabile è quella dei due Stati, col mantenimento di uno statuto speciale per Gerusalemme”.

    Veniamo a qualche stralcio dell’Appello – vibrante - letto domenica scorsa e elaborato a inizio novembre, nel corso della 56.ma sessione ordinaria dei patriarchi e vescovi cattolici del Libano, presieduta da Béchara Raï.

    “(Il nostro) è il grido dei dimenticati, degli abbandonati e dei marginalizzati, quelli che vengono trascurati mentre il loro numero in Libano aumenta giorno dopo giorno. Questo grido è quello dei poveri bisognosi di denaro, pane e vestiti; è il grido dei malati che muoiono nelle loro case incapaci di sostenere i costi del trattamento. È il grido delle persone con esigenze speciali a causa dell'incapacità dei centri specializzati di servirli. È il grido dei nuovi poveri che sono caduti dalla classe media a quella povera e sono costretti a svolgere piccoli lavori multipli per guadagnare il loro pane quotidiano. È il grido dei pensionati e di coloro che sono privati di stipendi, e dei bambini privati di scuola e istruzione. È il grido di centinaia di migliaia di persone di diverse età, regioni e religioni che sono state condannate alla povertà e alla disperazione.

    Questo grido è il grido degli impiegati, degli insegnanti, degli infermieri, degli operatori sociali, degli assistenti medici, del personale militare e delle forze di sicurezza che svolgono ogni giorno un compito meraviglioso con quelli più bisognosi, in condizioni di lavoro dure che non si addicono alla dignità umana a causa della negligenza, dell'inattività e della corruzione degli ufficiali statali.

    Questo grido è il grido di coloro che sono responsabili delle istituzioni: presidi delle scuole, capi delle associazioni umanitarie e sociali, capi dei centri sanitari e delle case di cura per anziani, e servitori della carità gratuito. È il grido di quegli uomini e donne impegnati nei confronti dei più deboli, coinvolti nel vortice ininterrotto delle crisi, per servire i cittadini libanesi mentre lo Stato li priva delle loro meriti, anzi piuttosto li combatte”.

    Segue un forte e severo richiamo ai responsabili politico-amministrativi: Ricordiamo ai responsabili nello Stato che ogni essere umano gode di diritti fondamentali, specialmente il diritto di vivere in dignità, diritto all’ istruzione, al lavoro e alla salute. Questi diritti sono sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata da molti Paesi, incluso il Libano. Lo Stato è quindi obbligato a adempiere ai suoi doveri e a non permettere che questi diritti vengano violati quotidianamente in Libano. La crisi che attraversa il nostro Paese e le perturbazioni regionali non possono giustificare l'ignorare di questi diritti fondamentali come se fosse normale. Questa situazione è inaccettabile e condannabile."

    Pertanto, voi funzionari dello Stato libanese, sappiate che le associazioni civili, educative, mediche e sociali di varie affiliazioni non sono più in grado di portare avanti la loro missione da sole mentre lo Stato libanese come partner-chiave abbandona il suo ruolo e la sua responsabilità. Queste istituzioni hanno servito il popolo libanese lungo tutta la sua storia in tutta la sua diversità, ma il vostro trascurare le condanna a una lenta morte. Così facendo, distruggete ciò che i nostri antenati hanno impiegato secoli a costruire, sacrificando la generazione attuale e annientando il futuro. Se queste istituzioni e associazioni chiudono le loro porte, chi si prenderà cura dei disabili, si occuperà dei malati, educherà i bambini e soddisferà le esigenze delle categorie più bisognose in Libano nei prossimi anni? Ancora una volta, vi diciamo: non possiamo più accettare l'inaccettabile e continuare in questo modo. Ne abbiamo avuto abbastanza!

    Infine: Rivolgiamo questo appello anche all'opinione pubblica libanese e ai libanesi sparsi nei cinque continenti per unirsi a noi nel portare avanti la causa di coloro che non hanno nulla. Rivolgiamo inoltre questo appello alle organizzazioni non governative interessate all'assistenza umanitaria globale, per sollevare il popolo libanese dalla povertà affinché possa riacquistare la sua dignità e compiere la sua missione nel suo ambiente orientale.

    Affidiamo questo grido alle cure di Maria nostra Madre, Signora dei Poveri, sperando che raggiunga tutte le coscienze e i cuori, e porti frutto in amore e giustizia, glorificando “Dio Amore" (1 Giovanni 4:8).

     

    IL CARDINAL RAVASI E L’OCCHIO PER OCCHIO: UNA REAZIONE EBRAICA

    Sintonizzandosi in prima serata del sabato e della domenica su La 7, si incappa in un programma intitolato “In Altre Parole” (scritto con le maiuscole). Domenica 19 novembre l’ospite principale era il cardinale biblista Gianfranco Ravasi. Dopo una serie di considerazioni che ci sono parse ragionevoli sul caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, il porporato è stato interpellato da Roberto Vecchioni sul perché – si è chiesto il cantautore - solo il cristianesimo tra le religioni chieda di perdonare il nemico. Nella risposta il porporato – presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura – ha citato due passi biblici tratti dal libro della Genesi (4, 24) e dal libro dell’Esodo (21,23-24) per ricordare la “legge del taglione” contenuta nell’Antico Testamento. Il tutto nel contesto della “grande tragedia della guerra in Terrasanta”.

    Per chiarezza riproduciamo i passi biblici citati, incominciando da Esodo 21, 23-24. Si sta parlando della legislazione sociale di Israele e di uomini che litigano e urtano una donna incinta tanto da farla abortire: “Ma se ci sarà stato danno, allora pagherai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, piaga per piaga”. Ha rilevato il cardinal Ravasi che “per i cristiani” la norma “è estremamente negativa” e del resto è stata criticata anche da Gesù. E’ la norma chiamata “legge del taglione”, E’ una norma che comunque “tutto sommato è anche giusta”, poiché prescrive “proporzionalità” nella reazione.

    Per quanto riguarda Genesi 4, 24 ecco l’altro passo citato. Si sta parlando della discendenza di Caino, di cui è parte un certo Lamech: “Lamech disse alle mogli: Ada e Zilla, udite la mia voce: mogli di Lamech, ascoltate il mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia ferita e un giovane per un mio livido: Caino sarà vendicato sette volte, ma Lamech settantasette”. Qui, ha evidenziato Ravasi, “siamo alla logica della vendetta totale: non è più la legge del taglione”. Suggerisce il conduttore Massimo Gramellini un’attualizzazione di quelle parole riferendosi “alla reazione di Israele a Gaza”, una postilla che il cardinale approva: “Eh… certo”.

    Le osservazioni di Ravasi non sono piaciute per niente a Marco Cassuto Morselli (presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane, vedi anche ad esempio https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/1038-una-lettura-ebraica-dei-vangeli-spunti-di-riflessione.html ) e a Emanuele Pace (consigliere della Comunità ebraica di Roma), che – in un articolo a quattro mani – le definiscono “molto stonate”.

    Rilevano in particolare Morselli e Pace che il brano tratto dal libro dell’Esodo “non va inteso alla lettera”. Come “sa bene chi conosce la tradizione ebraica”, Infatti “l’occhio per occhio” significa “il valore di un occhio per la perdita di un occhio”: in sintesi “si tratta di dover risarcire il danno arrecato a seconda della sua gravità”. Risarcire, non strappare l’occhio all’autore dell’aggressione. Come spiegano bene i versetti successivi (Esodo, 26-27): “Se un uomo colpisce l’occhio del suo schiavo e lo rovina o l’occhio della sua schiava e lo rovina, li manderà in libertà in compenso dell’occhio; e se fa cadere un dente del suo schiavo o della sua schiava, li manderà in libertà in compenso del dente”.

    A proposito della “ancora più spiacevole citazione” delle parole di Lamech, che invocava per chi lo avesse ucciso “una pena settantasette volte più dura”, Morselli e Pace osservano che nell’intervista “si lasciava intendere allo spettatore che Israele nella guerra di Gaza stia seguendo Lamech come se questi costituisse un modello di comportamento nella tradizione ebraica: ma non esiste una ‘legge di Lamech’ “.

    Per Morselli e Pace insomma “la contrapposizione da parte cattolica tra un ebraismo caratterizzato da una legge dura e un cristianesimo con una legge misericordiosa fa parte di una rappresentazione del rapporto tra le due religioni che pensavamo superato dopo il Concilio Vaticano II e gli insegnamenti degli ultimi pontefici”. Perciò, “in un momento delicato come questo, in cui l’esistenza stessa di Israele è in pericolo, ci sembra che interventi di questo tipo non abbiamo altra conseguenza che quella di diffondere ulteriormente sentimenti di antigiudaismo”.

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