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    STORIA DIMENTICATA/GAETA: SANGUE SVIZZERO A DIFESA DEL RE BORBONE

    STORIA DIMENTICATA/GAETA: SANGUE SVIZZERO A DIFESA DEL RE BORBONE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 dicembre 2019

     

    Conferenza di Daniele Iadicicco al Circolo svizzero di Roma sul pesante tributo che i mercenari svizzeri al servizio dei Borboni pagarono nell’assedio di Gaeta. L’introduzione del professor Giuseppe Moesch, che ha evidenziato tra l’altro la presenza attiva elvetica in un Regno – quello delle Due Sicilie -. tutt’altro che retrogrado nell’Europa del XVIII e XIX secolo.

     

    Di Svizzeri e di servizio mercenario. Nei suoi Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino al 1749 lo storico Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del Serenissimo Duca di Modena) connota gli Svizzeri come “mercenari, venali, avari, incostanti, facili a tumultuare, villani ignoranti”.

    Nel 1798 esce a Palermo un libretto anonimo (probabilmente di un ufficiale svizzero) dal titolo “Risposta a varie imputazioni che si danno dagli scrittori e specialmente dal Muratori agli Svizzeri”. In quel documento raro si riporta un aneddoto assai illuminante: “E’ celebre la risposta data dal colonnello Gallatin ad un ministro di Francia, il quale allorché il colonnello sollecitava le paghe accumulate, aveva detto: ‘Se Sua Maestà avesse tutto il denaro che ha dato agli Svizzeri potrebbe lastricare una strada da Parigi a Basilea’.”. Rispose Gallatin: “Ma se Sua Maestà potesse unire in un fiume tutto il sangue sparso dagli Svizzera per la Francia, potrebbe poi tornare navigando da Basilea a Parigi”.

    Abbiamo ritrovato l’aneddoto – che dice già tutto sul dibattito sviluppatosi in Svizzera con particolare veemenza soprattutto negli anni attorno alle Rivoluzioni del 1848 – in un testo storicamente preziosissimo come “L’Italia e la Svizzera – Relazioni culturali nel Settecento e nell’Ottocento” di Lavinia Mazzucchetti e Adelaide Lohner (edito da Ulrico Hoepli nel febbraio 1943 a Milano, traduzione e rielaborazione di un testo in lingua tedesca pubblicato da Benziger, Einsiedeln-Zurigo). L’aneddoto è poi stato ripreso anche nel primo volume dell’opera di Tindaro Gatani sui rapporti italo-svizzeri attraverso i secoli (1987, Federazione Colonie libere italiane in Svizzera).

    Soldi e sangue. Tra il XV e il XIX secolo furono diverse centinaia di migliaia gli svizzeri che prestarono servizio militare presso le potenze europee, piccole e grandi: un fenomeno di notevole importanza nella storia della Confederazione e originato in primo luogo da gravi ragioni di carattere economico (miseria e fame imperversavano a quel tempo in molti Cantoni elvetici, per i quali i proventi derivati dal servizio mercenario erano un balsamo ben gradito).

    Lodati dal Machiavelli (XII capitolo de “Il Principe”) come “armatissimi e liberissimi”, disprezzati da Voltaire (illuminista, ma anche razzista e antisemita) come dei “barbares, dont la guerre est l’unique métier. Et qui vendent leur sang à qui le veut payer”, gli Svizzeri  mercenari suscitano a metà dell’Ottocento anche le ire dell’esule Giuseppe Mazzini – fondatore della Giovane Italia - che, dopo i fatti luttuosi di Napoli e Perugia (in cui reparti svizzeri avevano represso rivolte liberali), scrive indignato al Consiglio federale: “Les ennemis qu’à chacun de nos tentatives nous rencontrons les premiers, sont des Suisses. Ce sont des Suisses qui garnissent les forts de la ville de Naples; ce sont des Suisses qui ont marché contre des hommes qui demandaient, il y a quelques mois, presque pacifiquement, dans les Etats du Pape, quelques riforme administratives…. (…) Ces hommes (…) ne connaissent pas ceux qu’il vont servir; ils ignorent les crimes auxquels il vont prêter main-forte. Ils ne savent pas que le mépris des peuples libre et la malédiction d‘un peuple asservi accompagnent chacun de leurs pas…ils tomberont un jour, comme leurs frères de la Bastille en France, loin de leur patrie, loin de leur mères chéries….

    Nuovi arruolamenti furono vietati dalla Dieta federale nello stesso 1848, ma per giungere alla soppressione del servizio militare mercenario (con la sola eccezione della Guardia Svizzera Pontificia) si dovette attendere fino al 1859.

    Soldi e sangue. Sangue come il 6 maggio 1527, quando – durante il Sacco di Roma - per proteggere la vita di papa Clemente VII morirono 147 delle 189 guardie svizzere al suo servizio (il sacrificio è ricordato ogni anno nel ‘Giuramento’). Sangue come nell’agosto del 1792, quando 300 Svizzeri caddero alle Tuileries per difendere Luigi XVI dagli assalti rivoluzionari (in loro memoria sorse nel 1821, ideato dallo scultore Thorwaldsen, il famoso Leone morente di Lucerna).

    Sangue però anche tra le file di altri Svizzeri che, invece, vollero contribuire personalmente ai moti risorgimentali italiani, stimolati dai molti esuli che avevano trovato rifugio nella Confederazione. E’ così che nel 1848 una colonna di volontari ticinesi (guidati da Natale Vicari e Francesco Simonetta) raggiunge subito Milano dopo lo scoppio dell’insurrezione. Il generale Arcioni soccorre Brescia con 750 uomini. La compagnia guidata da Johannes Debrunner si illustra nella difesa di Venezia. Nelle settimane successive giungono nell’Italia settentrionale anche decine di uomini agli ordini di Johann Christian Ott e di Constant Borgeaud. Una figura femminile di particolare spessore è quella di Giulia Calame (figlia di un notaio di Courtelary), che si era innamorata e aveva sposato Gustavo Modena, mazziniano della prima ora e si era distinta per il soccorso ai feriti anche nella difesa della Repubblica Romana (accompagnò l’agonia del giovane poeta Goffredo Mameli).

    Di Svizzeri e di servizio mercenario. L’occasione per rievocare l’argomento e inquadrarlo storicamente ci è stata offerta dall’interessante conferenza che, per il ciclo “I dialoghi del mercoledì’ il Circolo svizzero di Roma ha organizzato il 4 dicembre. Presso lo Hotel Victoria di via Campania, come di consueto, Daniele Iadicicco – vicepresidente del Centro studi storici archivistici di Formia e presidente dell’Associazione culturale Terraurunca – si è soffermato in particolare sul duro prezzo pagato dalle truppe mercenarie svizzere nella battaglia di Mola e nella difesa di Gaeta assediata dai piemontesi (1860-61), ultimo atto del Regno delle Due Sicilie.

     

    GIUSEPPE MOESCH: LE VIRTU’ DEL REGNO DELLE DUE SICILIE – IL CONTRIBUTO DEGLI SVIZZERI

    La conferenza è stata introdotta da Giuseppe Moesch, uno svizzero-napoletano già docente di economia applicata presso l’Università di Salerno. Moesch (che, si noti, è un membro storico e ardente del Partito repubblicano italiano) ha subito evidenziato come il Regno delle Due Sicilie ‘liberato’ dai Piemontesi non fosse “un postaccio”, ma uno degli Stati più avanzati dell’Europa del tempo, insieme con l’Inghilterra. A certificarlo una serie di primati continentali. Ne citiamo alcuni: primo Albergo dei poveri (1751), prima cattedra di economia al mondo (Napoli, 1754), prima accademia di architettura (1762), primo cimitero per i poveri (1762), prima cattedra di astronomia (Napoli, 1775), primo codice marittimo del mondo (1781), prima profilassi antitubercolosi (1782), prima fabbrica di navi in Italia (Castellamare di Stabia, 1783)… e poi ancora prima ferrovia italiana (Napoli-Portici, 1839), prima illuminazione a gas (dopo Londra e Parigi, 1839), prima fabbrica di locomotive (Pietrarsa, 1841)…

    Dopo aver sottolineato la “spoliazione” del Regno delle Due Sicilie operata dai Piemontesi – se ne parla poco nei libri di storia, ma “la storia d’Italia l’hanno scritta i vincitori” – Giuseppe Moesch ha aperto una parentesi di notevole interesse sull’emigrazione svizzera nel Meridione: “Gli Svizzeri erano ben presenti ad esempio nell’industria, nelle banche, nella ristorazione, nell’ospitalità oltre che nei corpi militari, grazie alla loro riconosciuta professionalità”. Qualche nome: Jean-Jacques Egg (cotonificio a Piedimonte); le famiglie Wenner, Vonwiller, Meyer, Züblin nel Salernitano (cotonifici); i Caflisch nella pasticceria (anche in Sicilia); la Banca del turgoviese Moericoffre a Napoli. Accanto a loro i soldati del Re Borbone.

     

    DANIELE IADICICCO: I REGGIMENTI SVIZZERI AL SERVIZIO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE - QUASI CENTO MORTI NELL'ASSEDIO DI GAETA

    Se da Roma si scende lungo la costa verso Napoli, si incontrano a circa metà strada il Circeo e Terracina, più avanti Sperlonga, poi ci si imbatte in uno dei paesaggi più belli d’Italia ed ecco Gaeta (annunciata dalla spiaggia di Serapo e magari dall’ottima pizza dello stabilimento Miramare) con la sua fortezza. Subito dopo c’è Formia, dove la Svizzera è presente nel nome dell’ospedale: “Dono svizzero”, in ricordo dei fondi raccolti nella colletta nazionale elvetica del Secondo dopoguerra e destinati alla città del Basso Lazio, frutto ciò dell’attivismo in particolare del dottor Carlo Zuber e di Alberto H. Wirth, anche fondatore nel 1946 della Scuola Svizzera di Roma.

    Formia (una volta Mola di Gaeta) e Gaeta furono teatro dell’ultima resistenza borbonica all’avanzata piemontese. Quando Carlo di Borbone conquistò Napoli nel 1734 – ha ricordato Daniele Iadicicco – già aveva con lui il Reggimento svizzero Niederist (dal nome del comandante): una “vera garanzia di fedeltà e dunque di stabilità personale per il sovrano”. I soldati erano sotto contratto per quattro anni (rinnovabili), i comandanti per 20. Gli ufficiali erano tutti svizzeri, gli ordini erano in tedesco, la giustizia militare era quella nativa. Sulla bandiera da un lato lo stemma del Regno delle Due Sicilie, dall’altro l’insegna della Confederazione Elvetica con lo stemma del Cantone d’origine.

    Dopo le vicissitudini di fine XVIII e inizio XIX secolo i corpi militari svizzeri vennero ricostituiti definitivamente nel 1825 sotto Ferdinando II di Borbone. Dalle ‘capitolazioni’ (accordi) con alcuni Cantoni nascono quattro Reggimenti (1825, 1826, 1827, 1829). Ogni Reggimento si componeva di 2 battaglioni con 6 compagnie: una di granatieri, una di cacciatori, quattro di fucilieri e in più una sezione di artiglieria e una banda musicale. In totale gli Svizzeri mercenari a Napoli raggiunsero le 7500 unità nel periodo di massima presenza.

    Come già annotato più sopra, il duro e risolutivo intervento dei Reggimenti svizzeri nel maggio 1848 contro gli insorti ‘liberali’ nel centro di Napoli provocò grande emozione nella Svizzera che parteggiava per le rivoluzioni anti-assolutistiche. La Dieta federale decise perciò di chiudere i centri di reclutamento in Svizzera. Ne rimasero però aperti diversi nei pressi della frontiera, per cui l’arruolamento continuò. Nel 1859 però il servizio mercenario fu soppresso: la Svizzera privò della nazionalità i Reggimenti e decretò la soppressione dell’emblema confederale sulla bandiera. Ciò, ha osservato Daniele Iadicicco, provocò tra l’altro la “rivolta delle bandiere”, con scontri interni ai Reggimenti. Una parte dei soldati, non volendo servire se non sotto bandiera svizzera, si imbarcò per Marsiglia grazie anche ai buoni uffici del console Oscar Meuricoffre. Altri restarono e si integrarono nei nuovi Battaglioni Carabinieri esteri sotto il comando del colonnello elvetico Von Mechel.

    Nel 1860 l’avanzata da sud delle truppe garibaldine consigliò al nuovo Re Francesco II (che aveva sposato Maria Sofia di Baviera, sorella dell’imperatrice Sissi) di lasciare Napoli (6 settembre- la città fu così preservata dai combattimenti) rifugiandosi a Gaeta. Fallita una controffensiva borbonica sul Volturno e sul Garigliano, costretta alla resa Capua, giunte in Campania dal Molise anche le truppe sabaude (con alla testa Vittorio Emanuele II, il cerchio si strinse anche sulla città-fortezza. L’offensiva era ormai guidata dall’esercito piemontese, dopo che nell’incontro di Teano del 26 ottobre Garibaldi si era sottomesso a Casa Savoia.

    Il 4 novembre ci fu la battaglia di Mola di Gaeta (oggi Formia), bombardata per sei ore dal mare, in cui caddero tra gli altri gli svizzeri Enrico Fevot, Casamiro Brunner, Giorgio Iollo, Giovanni Marenel, Giuseppe Telles, Giuseppe Waldmayer, Enrico Wile, Giuseppe Fessel: una targa è stata posta quest’anno, nella ricorrenza, in ricordo dei morti, durante le tre ‘Giornate commemorative dei ‘Caduti dimenticati’ dell’assedio di Gaeta”.

    Tale assedio durò cento giorni e si concluse con la resa della città il 13 febbraio 1861. Il mattino successivo Francesco II e Maria Sofia di Baviera si imbarcarono per l’esilio su una nave francese con destinazione Roma. Per l’esito dell’assedio fu di capitale importanza l’utilizzo di cannoni nuovi, detti ‘cannoni rigati’, che distruggevano le fortificazioni sopra il terreno: i piemontesi ne schieravano 66 (oltre a 180 cannoni a lunga gittata), i borbonici solo quattro (oltre a 300 di vecchio tipo). Durante l’assedio molti i morti tra soldati e popolazione civile. Difficile avere dati precisi. Iadicicco ha potuto consultare i registri dei soli morti in ospedale: su trecento morti, quasi un terzo erano svizzeri, a giudicare dai cognomi. Tra loro di sicuro un certo Hanno di Roenerjarg  sepolto nella chiesa di San Giovanni a Mare (la famiglia ha recuperato il cuore e l’ha portato in patria), il cappellano don Andrea Eichholzer (confessore della regina Maria Sofia), Ferdinando Cartier di due anni e mezzo, figlio dell’alfiere dei Veterani svizzeri.

    Era questa una pagina di ‘storia dimenticata’ che studiosi di Gaeta e di Formia hanno voluto fosse riesumata. Così facendo, essi hanno reso e rendono un buon servizio alla verità e alla completezza di ciò che accadde negli anni del Risorgimento italiano soprattutto nel Meridione. Oggi conosciamo qualcosa di più di fatti di guerra (con un forte coinvolgimento di svizzeri) che la storia ufficiale – spesso per ragioni ideologiche – ha preferito obliare. Non è cosa banale.  

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