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    AVVENIRE: PADOVA, BAMBINI, MOIA SEMPRE VIGILE - CROCI IN VETTA E CAI

    AVVENIRE: PADOVA, BAMBINI, MOIA SEMPRE VIGILE –CROCI IN VETTA E CAI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org - 27 giugno 2023

     

    La richiesta della Procura di Padova al tribunale locale di rettificare la registrazione dell’atto di nascita di bambini all’interno di una configurazione arcobaleno ha suscitato forti reazioni positive e negative. Non ci sono due mamme (o due papà). E l’ Avvenire… come ha reagito? Una vicenda inquietante ma non inaspettata in una società secolarizzata riguarda il Club Alpino Italiano (CAI) e le croci di vetta: non va minimizzata.

     

    Si può pensare che il fatto sia noto almeno a una parte dei nostri lettori. Il 19 giugno 2023 si è diffusa la notizia che la Procura di Padova aveva chiesto al tribunale locale la rettifica, in nome delle leggi vigenti (ma anche dei limiti posti in casi come questo dalla natura), dell’atto di nascita di una bambina registrata come figlia di due mamme: in sintesi deve essere cancellato il nome della ‘genitrice’ non biologica e la bambina dovrà risultare figlia di una sola mamma. Come natura comanda. Stessa rettifica, per la Procura, anche per altri 32 bambini registrati illecitamente (e consciamente) a partire dal 2017 dal sindaco patavino e piddino Sergio Giordani. Che porta responsabilità molto pesanti per quanto è accaduto.

    Inutile dire che la richiesta della Procura ha suscitato l’ira funesta del pensiero unico mediatico (PUM)- che ha prodotti articoli deliranti (vedi “il fascismo nel sangue” di Chiara Valerio sulla nota Repubblica), ha sconvolto (per così dire) anche gli altri sindaci più o meno sinistri - verginelli della legalità repubblicana - che da tanto o poco tempo violano consapevolmente la legge similmente al collega patavino, ha prodotto uno stracciamento di vesti da parte di politici della sinistra radicalchic come la nota Elly Schlein o come la ‘grande italiana’ (sic dixit in una delle sue esternazioni incomprensibili papa Francesco) Emma Bonino, di cui trascriviamo il tweet dello stesso 19 giugno, firmato insieme con il noto deputato Riccardo Magi (che il 26 giugno – in occasione della Giornata mondiale contro la droga - si è fatto ricordare alcune constatazioni brucianti . per lui - in materia da parte di Giorgia Meloni): “33 atti di nascita, dal 2017 a oggi, impugnati dalla Procura di Padova. Non 33 pezzi di carta ma 33 bambini, esseri umani. E uno è stato già annullato. Ecco cosa produce l’omofobia di Stato di questo governo e di un ministro come Piantedosi che passa sopra i corpi e i sentimenti dei bambini e delle loro famiglie per imporre un unico modello di famiglia. Come si fa ancora a sostenere che non c’è la volontà di discriminare questi bambini? E intanto alla Camera continua l’iter della legge Varchi contro la Gpa che vorrebbe addirittura incriminare i genitori. Uno scenario da film horror, in cui il governo dà la caccia a famiglie e bambini in un accanimento persecutorio. Ma i prefetti non hanno di meglio da fare? Sembra un governo dei talebani e degli ayatollah. Questo è stalking di Stato: invitiamo i genitori di questi bambini a ricorrere contro gli annullamenti, per riportare la questione davanti alla Corte Costituzionale”. Com’è premurosa oggi la Bonino verso i 33 “esseri umani”! Nel contempo però difende lo schiavismo dell’utero in affitto (e, en passant, vorrebbe perlomeno limitare l’obiezione di coscienza del personale sanitario). E poi: è forse parente di quella Emma Bonino che negli Anni Settanta si vantava (autodenunciandosi) di aver praticato non pochi aborti con strumenti rudimentali come pompe da bicicletta?

     

    E L’AVVENIRE CHE FA?

    Siamo però curiosi di scoprire come il quotidiano della Conferenza episcopale italiana ha riferito la notizia da Padova.

    Martedì 20 giugno 2023 ecco su due righe il grande titolo di apertura a pagina 7: “La procura di Padova fissa un paletto: ‘Non si può essere figli di due donne’ “. Nel primo sommario si citano i termini della richiesta della Procura. Nel secondo si legge: “La procuratrice Sanzari spiega: ‘Devo far rispettare la legge’. Ma il sindaco Giordani è convinto di avere agito bene: ora si muovano le Camere. Schlein: ‘Abbraccio lui e quelle 33 famiglie’ “. Insomma: un parere positivo e due negativi. Nell’articolo correlato di Alessia Guerrieri, si riassume quanto è accaduto, dando comunque molto maggiore spazio alle critiche verso la Procura e citando tra gli altri con somma disinvoltura la Bonino dei “33 esseri umani”. Si nota insomma un equilibrio apparente, venato però di evidenti simpatie verso i critici della richiesta.

    Il giorno dopo la pagina 6 è dedicata quasi interamente al ‘caso Padova’, che, come si legge nel grande titolo d’apertura ‘infiamma la politica’. Viene da pensare che l’Avvenire goda da spettatore delle botte da orbi in campo. Ma anche di mercoledì c’è un sommario in cui al parere positivo di Matteo Salvini sono contrapposti due pareri negativi di Ascari (M5S) e Scalfarotto (Italia viva, poi ridotto dal partito a ‘opinione personale’). L’articolo correlato di Matteo Marcelli è sostanzialmente equilibrato (apre con il ministro Luca Ciriani di Fratelli d’Italia, chiude con il collega di partito Fabio Rampelli: in mezzo diversi pareri negativi).

    Nella stessa pagina ecco poi al centro un box in neretto (dunque ben visibile e leggibile), in cui – sotto il titolo significativo: “Lo Stato non tiene conto dei figli. Noi adesso combatteremo per loro” - viene data la parola alla coppia femminile di Padova, che – secondo quanto scrive Avvenire, avrebbe “ricevuto appoggio dalla scuola paritaria cattolica” frequentata dai due bambini (un maschio e una femmina).

     

    IL TURIFERARIO GUASTALAMESSA, AL SECOLO LUCIANO MOIA, E’ SEMPRE VIGILE…

    La seconda metà della pagina presenta a sinistra (la parte normalmente meno letta) un’intervista senza asperità di Angelo Picariello a Carolina Varchi (relatrice alla Camera della norma sull’utero in affitto come reato universale). A destra ecco finalmente lui, il Turiferario Guastalamessa dei bei tempi, al secolo Luciano Moia, che da anni imperversa sul quotidiano della Cei  (di cui è caporedattore per l’inserto ‘Noi in famiglia’) con uno stile curiale, ricco di domande e considerazioni solo apparentemente innocenti e buttate là con noncuranza, dietro cui si celano (a volte malamente) le sue simpatie per una Chiesa arcobaleno. Non dubitiamo a tale proposito che il Turiferario Guastalamessa quest’anno si toglierà non poche soddisfazioni grazie al cosiddetto ‘Sinodo sulla  Sinodalità’ (roba da sbellicarsi dal ridere, se non fosse purtroppo invece una cosa seria), posto sotto l’insensata affermazione bergogliana sull’aprire processi senza poi darne valutazione (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/1130-papa-argentina-patria-mia-nefasta-ideologia-gender-non-persone.html ). Un prevedibile guazzabuglio di proposte, slegate in larga parte dall’insegnamento della Chiesa e suscettibili di accrescere ancora (se possibile) la confusione e lo sconcerto in parti consistenti del popolo cattolico. Sinodo sulla sinodalità, è prevedibile, tale da estendere de facto  a livello universale l’inquietante esperienza teutonica di secolarizzazione ecclesiale.  

    Ma torniamo alla seconda metà di pagina 6. Sulla destra (caratteri del titolo e dell’articolo più grandi rispetto a quelli dell’intervista di Picariello) ecco appunto Luciano Moia, che dà conto del suo colloquio con una pedagogista. Non una qualunque naturalmente: Alessandra Bialetti, che collabora con l’associazione ‘Tenda di Gionata’ dei cristiani lgbt, di cui Moia segue assiduamente e passionalmente l’attività. Il titolo del résumé è già eloquente e cita in sintesi le parole della Bialetti: “Al primo posto i bambini? No, qui è successo il contrario”. Evvai! “Non fa sconti Alessandra Bialetti”– annota compiaciuto Moia.  Il Nostro continua: “I diritti dei bambini non possono mai essere messi in discussione”. Domanda: per caso non è che i bambini abbiano il diritto anche di conoscere quel padre che ha collaborato in modo decisivo alla loro nascita? Quel padre che invece i critici della richiesta di Padova hanno completamente cancellato? Continua Moia: “Valutare i figli delle coppie omogenitoriali…”. Può darsi che Moia ormai fulminato sulla via dell’arcobaleno non se lo ricordi… ma non esistono i “figli” delle coppie omogenitoriali… esistono i figli del singolo genitore, non della coppia, impossibilitata per natura ad averne. Ancora Moia: “Quando i bambini ci sono, vanno assicurati loro tutti i diritti umani e civili adeguati in vista di un’armoniosa crescita psico-fisica”. Domanda: a parte il fatto che tali diritti sono assicurati anche in presenza della richiesta della Procura di Padova, non è che i bambini hanno anche il diritto a non essere ingannati sull’identità dei loro genitori? Non è che i primi colpevoli per tale situazione siano i sindaci con la vergogna delle loro registrazioni non solo illegali, ma farlocche secondo natura? E dunque, invece di prendersela con la Procura di Padova, non sarebbe più onesto semmai prendersela con il sindaco della città e con i suoi colleghi (che con somma impudenza in altre occasioni si vantano magari di essere alfieri della legalità repubblicana)?

     

    UN GRAN LAVORO FORMATIVO PRO-ARCOBALENO NELLE SCUOLE

    Più oltre annota Moia: “La maggior parte delle riserve (sulle cosiddette ‘famiglie’ arcobaleno, altra truffa linguistica per indicare un tipo di aggregazioni familiari), fa notare la pedagogista, è determinata da una scarsa conoscenza del fenomeno” (ci vien da dedurre che per la nota lobby i favorevoli alla richiesta della Procura siano dei rozzi ignoranti) “. Per fortuna, osserva Moia citando la pedagogista, “i programmi formativi ormai da anni avviati nelle scuole hanno permesso di consolidare un clima di maggiore consapevolezza del problema”. Ma bravo Moia, ma brava la pedagogista che papale papale riconosce il gran lavoro fatto in ambito scolastico, passo dopo passo, dalla lobby lgbt (aggiungiamo noi: utilizzando come pretesto anche corsi ad esempio contro il bullismo…). I due concludono alla grande, con un inno al “livello di adattamento” dei “figli delle coppie omogenitoriali” (e dagliela con la truffa linguistica, particolarmente grave su un giornale come Avvenire). Insomma la nota lobby (portatrice dell’ideologia gender definita più volte da papa Francesco come la ‘più pericolosa, nefasta” delle ideologie odierne) esiste, vive e lotta insieme con Bialetti, Moia e, de facto, con chi dentro Avvenire e dentro la Conferenza episcopale italiana permette che ciò avvenga.

    Per completezza d’informazione a proposito di Avvenire, è giusto ricordare che, sempre mercoledì 21 giugno, è centrato sulla vicenda di Padova l’editoriale sostanzialmente equilibrato (salvo che sul punto del ‘risarcimento con l’adozione speciale’) di Giuseppe Anzani, che verso la fine annota: “Ciò che ha fatto già orfano il figlio, togliendogli il padre o la madre di cui è figlio, è l’averlo di proposito fatto nascere privo di un genitore naturale. Di questo egli è vittima”.

    Inoltre possiamo segnalare sul tema in genere anche articoli d’attualità informativa di taglio diverso rispetto ai commenti missionari arcobaleno di Moia, come quello di cronaca equilibrata di Angelo Picariello del 15 marzo 2023, dal titolo: “Certificato di filiazione UE, no del Senato. ‘Si apre la strada all’omogenitorialità’ ”. O quello del 23 giugno 2023 di Giovanni Maria Del Re da Bruxelles sul rigetto da parte della Corte europea dei diritti umani dei ricorsi di coppie omogenitoriali in materia di registrazione di bambini. O anche l’ultimo di Francesco Ognibene, su Avvenire di sabato 24 giugno 2023 sulla decisione del tribunale di Milano di annullare la trascrizione dell’atto di nascita del figlio di un uomo convivente con un partner dello stesso sesso. Niente “doppio papà”, dunque, come prescrive la legge e impongono i limiti posti nel caso dalla natura.  

    Tutto considerato, pare però di concludere che – pur affiancato da editoriali o articoli a volte in parte almeno dissonanti dal suo pensiero - Moia continua a imperversare in materia più o meno come al tempo del Direttore Turiferario (che forse è in attesa di approdare a giugno 2024 nel cielo stellato di Bruxelles). Il che conferma l’attenzione benevola di Avvenire alle istanze della nota lobby. Basta del resto leggere quanto Moia stesso e altri della sua covata scrivono su ‘Noi in famiglia’.

     

    LE CROCI DI VETTA DEL CLUB ALPINO ITALIANO (CAI): UNA VICENDA DA NON MINIMIZZARE

    Leggiamo una dichiarazione di domenica 25 giugno firmata dal presidente del Club Alpino Italiano (CAI)  Antonio Martano a proposito di una vicenda inquietante, ma – considerata la secolarizzazione avanzata della nostra società – per nulla sorprendente:

    Non abbiamo mai trattato l'argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. Voglio scusarmi personalmente con il Ministro (Daniela Santanché, ministro del turismo) per l'equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto".

    Di che si tratta? In vista di un dibattito programmato per il 22 giugno 2023 presso l’Università cattolica di Milano e incentrato sul libro di Ines Millesimi “Croci di vetta in Appennino”. il 13 giugno è apparso sul portale “Lo Scarpone” del CAI un articolo di Pietro Lacasella. Che non è un membro qualunque: scrittore, è anche curatore e responsabile social del sito.

    Lacasella, sotto il titolo: “Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico installarne di nuove”, si pone subito due domande (previste per il dibattito): “La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce di vetta? Ha ancora senso innalzarne di nuove?”.

    Risposta di Lacasella alle due domande: “Probabilmente la risposta è no”.  Quali le ragioni?  “Innanzitutto perché l'Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale.

    In secondo luogo perché la montagna è un elemento paesaggistico che, per ovvie ragioni, da sempre si carica sulle spalle una gravosa valenza simbolica, capace di influenzare il pensiero collettivo: il messaggio trasmesso dai rilievi non dovrebbe più riflettere il periodo compreso tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo (arco temporale nel quale furono installate la maggior parte delle croci di vetta), ma dev'essere riadattato sulle caratteristiche e sulle necessità di un presente che non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà.

    Il 23 giugno, riferendo del Convegno, cui era presente da relatore Marco Albino Ferrari, direttore editoriale responsabile delle attività culturale del CAI, scrive Lacasella, sotto il titolo “Croci di vetta: qual è la posizione del CAI? “  

    Al convegno - cui hanno partecipato Monsignor Melchor José Sànchez de Toca y Alameda (relatore del Dicastero delle Cause dei Santi), lo scrittore Marco Albino Ferrari in rappresentanza del CAI e il professore di diritto dell'Università Cattolica Marco Valentini - si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.


    Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano. Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.

    Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne. 

    Perciò, se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall'altro si rivela anacronistico l'innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità.

    Conclusione: da quanto abbiamo riportato, appare evidente che la dichiarazione ufficiale del presidente del Cai Antonio Montani in data 25 giugno 2023, a reazione delle forti critiche all’ipotesi espresse anche da politici come Salvini e Tajani, oltre a numerosi deputati di Fratelli d’Italia, appare oggettivamente o come una metaforica bastonata a due dei principali responsabili del Cai (Lacasella e Ferrari) o come una ‘dovuta’ presa di distanza dalle loro dichiarazioni. In quest’ultimo caso… non molto rassicurante per il futuro.  

     

     

     

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