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    MONS. JAVIER ECHEVARRIA SU ALVARO DEL PORTILLO E ALTRO

    MONS. JAVIER ECHEVARRIA SU ALVARO DEL PORTILLO E ALTRO– di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 27 settembre 2014

     

    Nell’ampia intervista il prelato dell’Opus Dei ripercorre alcuni momenti importanti della vita del predecessore, beatificato oggi a Madrid: dalla drammatica quotidianità degli anni della Guerra civile al ruolo avuto nel Vaticano II, dalle difficoltà incontrate nell’erezione della Prelatura all’opera intensa e concreta di apostolato negli Anni Ottanta e Novanta – Ricordati anche virtù e miracolo del successore di san Josemaría Escrivà – I rapporti tra l’Opus Dei e il franchismo

     

     

    Questa mattina a Madrid – in un rito certo affollatissimo presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi – viene proclamato beato Alvaro del Portillo, principale collaboratore e primo successore di san Josemaría Escrivà, fondatore dell’ Opus Dei. Domani, domenica 28 settembre 2014, la messa di ringraziamento – sempre nel grande Parque de Valdebebas, vicino ai campi di allenamento del Real Madrid – verrà presieduta dall’attuale prelato dell’ Opus Dei, mons. Javier Echevarría, da parte sua segretario personale del Fondatore dal 1953 alla morte e segretario generale, poi vicario generale di Alvaro del Portillo per l’intero periodo della sua prelatura, dunque fino al 1994. Abbiamo incontrato nella sede prelatizia centrale di Roma, a viale Bruno Buozzi e gli abbiamo posto alcune domande su ‘don Alvaro’, così da poter lumeggiare alcuni momenti importanti della vita del sacerdote-ingegnere nato a Madrid alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

    Monsignor Echevarría, quali aspetti legati alla personalità di mons. Alvaro Del Portillo hanno concorso in modo rilevante alla sua beatificazione da parte della Chiesa?

    In un processo di beatificazione si deve accertare che il candidato abbia vissuto in modo eroico tutte le virtù, non soltanto questa o quella. Comunque è vero che alcune possono essere specialmente caratterizzanti di una determinata persona. Nel caso di Alvaro del Portillo, io penso che siano da sottolineare la fedeltà a Dio e alla Chiesa e la generosità con cui nel corso della sua vita ha seminato la pace attorno a lui con la sua serenità, la sua bontà e la sua capacità di accoglienza, vissute sempre con fede totale e gioiosa.

    Perché potesse essere beatificato si doveva anche riconoscere che, tramite la sua intercessione, si fosse verificato un fatto miracoloso. Quale?

    In questo caso si è trattato della completa guarigione di un neonato, José Ignacio Ureta Wilson, nell’agosto 2003 a Santiago del Cile. Dopo aver subito un arresto cardiaco di mezz’ora e un’emorragia massiccia, non solo ha continuato a vivere, ma ha sperimentato un miglioramento dello stato generale. I suoi genitori pregarono con grande fede per mezzo dell’intercessione di mons. del Portillo e quando i medici pensavano che il bambino fosse morto, senza alcun trattamento ulteriore e in modo insperato, il suo cuore riprese a battere. La cosa più sorprendente del caso è che, malgrado la gravità del quadro clinico, José Ignacio oggi, undici anni dopo, conduce una vita di assoluta normalità.

    Altro fattore necessario alla beatificazione è l’esistenza di una fama chiara e consolidata di santità. C’è effettivamente o è limitata all’ambito dell’  Opus Dei?

    La sua fama di santità è molto diffusa. Pensi che a Roma ci sono giunte 13.500 relazioni scritte di favori ottenuti per sua intercessione e, come può immaginare, quelli che scrivono sono sempre una minoranza. È una manifestazione della fiducia che molti pongono in don Alvaro. Alcune di queste testimonianze riguardano guarigioni impressionanti; altre, fanno riferimento a grazie di vario tipo: ad esempio, sono molto numerose le grazie ottenute in favore della famiglia: sposi che recuperano l’armonia; nascita di figli, a volte dopo anni di attesa prima di ricorrere alla sua intercessione; riconciliazioni tra parenti; nascita di bambini sani, ecc… Mons. Del Portillo era una persona alla mano ed effettuò una costante catechesi sulla vita familiare: talvolta per questo viene spontaneo il ricorso alla sua intercessione per questioni “familiari”.

    I segni della sua fama di santità arrivano anche da molti Paesi in cui l’ Opus Dei non è presente. E non mancano, inoltre, riconoscimenti e testimonianze in questo senso di persone non cattoliche. 

    Monsignor Echevarría, riprendiamo dagli inizi: quando, come, dove e perché il giovane Alvaro del Portillo, studi di ingegneria alle spalle, conobbe don Josemaría Escrivá?

    Si sono conosciuti nella primavera del 1935 attraverso un amico comune, Manuel Perez Sanchez, che ha pensato che quel sacerdote avrebbe potuto aiutare spiritualmente il suo giovane compagno di studi. Va detto però che san Josemaría già da prima sapeva qualcosa di Alvaro e pregava per lui, perché la zia Carmen del Portillo, che dava una mano in alcune opere di beneficienza di cui lui era il cappellano, gli aveva parlato molto bene, anche con un punto di comprensibile orgoglio, di quel suo nipote, Alvaro, secondo lei molto buono e molto intelligente.

    Nel 1936, dopo l’‘Alzamiento’ nazionalista, il giovane Alvaro era a Madrid, tenuta dai ‘repubblicani’, con don Josemaría e con alcuni compagni. Mentre il futuro santo riuscì l’anno seguente a passare nella zona nazionalista, Alvaro restò a Madrid con altri compagni e passò mesi drammatici, fu anche incarcerato…

    Per la precisione, quando Alvaro è stato in carcere - dal 3 dicembre 1936 al 27 gennaio 1937- san Josemaría era ancora a Madrid. È uno dei momenti in cui Alvaro diede prova di una serenità che soltanto si può spiegare tenendo conto della sua fede: la serenità, da una parte, per non abbandonarsi alla disperazione quando - pur non avendo avuto niente a che fare con il golpe militare - soltanto per la sua condizione di cattolico praticante è stato incarcerato, con una probabilità non piccola di finire giustiziato; e, dall’altra, anche la serenità per poi perdonare quella ingiustizia e non farne un pretesto per rancori o vendette.

    Nel 1938 Alvaro volle arruolarsi nelle truppe repubblicane con lo scopo di andare al fronte. Quali erano le sue intenzioni? Ci riuscì?

    Non si trattava di scegliere tra repubblicani e nazionalisti nel senso politico, ma di uscire dalla zona dove c’era una persecuzione religiosa molto violenta. Nel corso del 1938, Alvaro ha fatto vari tentativi di lasciare quella zona. In questo modo avrebbe potuto raggiungere san Josemaría e altri membri dell’ Opus Dei, come anche sua madre, che dopo la morte del marito, nel 1937 aveva lasciato Madrid e si era trasferita a Burgos ( in zona nazionalista) con i figli più piccoli. Ma ciò che per una donna era relativamente facile non lo era affatto per un giovane in età militare come Alvaro. Perciò egli si è arruolato: ha pensato che, una volta arrivato al fronte, avrebbe potuto forse attraversarlo, se la Provvidenza l’avesse aiutato. E così è stato: il 12 ottobre 1938 è riuscito a passare inosservato il confine presso Cantalojas, un paesino della provincia di Guadalajara.

    Restiamo nell’ambito storico-politico. C’è chi ha rimproverato all’ Opus Dei di essere stata un’organizzazione molto funzionale al franchismo…

    L’Opus Dei è nata nel 1928 e si è sviluppata a partire dal 1930, dunque prima che avvenisse l’Alzamiento nacional del luglio 1936. Si deve ricordare che l’Opus Dei e il governo di una Nazione agiscono su piani diversi. Come scriveva san Josemaría, “l’unica finalità dell’Opus Dei è spirituale” e dunque “non è entrata e non entrerà mai nella politica di gruppi o partiti né è vincolata a nessuna persona o ideologia”. L’Opus Dei certamente stimola i suoi membri a essere pienamente e responsabilmente cittadini, lasciando loro la più ampia libertà di scelta politica, compatibilmente con gli orientamenti della dottrina cattolica.

    . Diversi furono i ministri legati all’Opus Dei nel periodo franchista…

    Sì, ma è anche vero che furono cooptati in governo soprattutto per la loro preparazione tecnica, e rispondendo liberamente a quella proposta. Pensi, d’altra parte, che tutti i ministri del franchismo (116 in 11 governi diversi) erano cattolici; quelli che appartenevano all’ Opus Dei si contano sulle dita delle mani. San Josemaría seppe delle loro nomine tramite i giornali e agì di conseguenza con il suo modo di operare: rispettare la loro libertà. D’altra parte, se non agiva in questo modo, non avrebbe potuto nemmeno difendere la libertà di altri suoi figli di quel momento e del futuro che la pensavano diversamente, perfino in modo opposto.

    Nessuno di questi pochi ministri era membro della Falange. Del resto, nell’ Opus Dei, accanto a alcuni simpatizzanti del franchismo (nella Spagna del dopoguerra la grande maggioranza degli spagnoli simpatizzava: bisogna vedere la storia nel suo contesto), ci sono stati altri di convinzioni antifranchiste. E alcuni di loro furono anche oggetto di campagne di stampa da parte del partito della Falange, tanto che ad esempio nel 1953 il nostro Fondatore, chiesta un’udienza a Franco, difese energicamente chi era stato attaccato sul piano personale per aver scritto un articolo critico sul governo e sul regime, come il professor Rafael Calvo Serer.

    Torniamo a don Alvaro, ormai sacerdote dal 1944: che ruolo ebbe durante il Concilio Vaticano II? Come giudicò i risultati dell’assise?

    Fu perito conciliare e segretario della commissione conciliare sulla disciplina del clero e del popolo cristiano. Inoltre, aveva lavorato già nella fase previa, a partire dal 1959, all’interno di varie commissioni propedeutiche alla preparazione del Concilio. I due libri che ha pubblicato alla fine degli Anni Sessanta, Laici e fedeli nella Chiesa e Consacrazione e missione del sacerdote, vanno letti anche come un omaggio al Concilio. Perciò in quegli stessi anni ha preso le distanze da certe proposte avanzate da alcuni che cozzavano sia contro la lettera che contro lo spirito conciliari, anche se talvolta venivano presentate, abusivamente, come applicazioni pratiche del Concilio. Lui era un uomo del Concilio Vaticano II.

    Anni difficili per don Josemaría Escrivá e per tutta l’ Opus Dei furono quelli che precedettero la decisione di papa Giovanni Paolo II di erigere nel 1982 la Prelatura dell’ Opus Dei. In quei frangenti quale fu il ruolo di don Alvaro?

    Lui era consapevole di avere in eredità, dopo la morte del fondatore nel 1975, un compito molto delicato: portare a compimento l’itinerario giuridico dell’ Opus Dei secondo la sua volontà, percorrendo la strada delle prelature personali che era stata aperta dal Concilio, impresa che ha affrontato con fede e con determinazione fino al traguardo finale. Le difficoltà non mancarono, il che è comprensibile tenuto conto della novità che tale traguardo comportava. Ci tengo ad aggiungere che prima Giovanni Paolo I e poi Giovanni Paolo II indicarono la necessità di iniziare il relativo studio.

    E’ vero che papa Paolo VI e mons. Giovanni Benelli non erano particolarmente favorevoli all’attività dell’ Opus Dei?

    Per quanto riguarda Paolo VI, non è assolutamente vero. Con Benelli il discorso è un po’ diverso: certamente, ci sono state delle incomprensioni per anni, ma poi lui ha cambiato il suo parere sul ruolo dell’ Opus Dei nella Chiesa e i rapporti sono diventati cordialissimi; pensi che fu uno dei primi ecclesiastici a venire a pregare davanti alle spoglie del fondatore, appena deceduto.

    Spesso succede che piccoli malintesi, che sono una cosa normale in qualsiasi ambito, vengano presentati all’opinione pubblica in modo esagerato, perché si considera che, se nel copione non c’è una certa dialettica tra due parti in contrasto, non ci sia interesse da parte del pubblico a seguirlo. È stato così con Benelli ed è stato così anche con altre persone, veramente poche, che in determinati momenti si sono mostrate non favorevoli nei confronti dell’ Opus Dei. Per fare un esempio, nel 1981 la Santa Sede ha consultato migliaia di vescovi sulla creazione della prelatura dell’ Opus Dei: ebbene, soltanto quindici hanno formulato delle normali obiezioni, alle quali poi comunque la Santa Sede stessa ha dato risposta.

    Da un’ottica di fede, le confesso che anche queste piccole incomprensioni sono state utili per affidarsi di più al Signore, diventare più umili (san Josemaría ci ricordava che nessuno è “una moneta d'oro che piace a tutti”) e per spiegarci meglio.

    Quali erano i rapporti tra papa Giovanni Paolo II e il Prelato dell’ Opus Dei Alvaro Del Portillo?

    Don Alvaro era più anziano di Giovanni Paolo II, ma quando si trovava davanti a lui gli veniva naturale sentirsi figlio reverente. Al tempo stesso, c’era tra i due una tale stima reciproca, una tale sintonia, anche psicologica, e una tale confidenza, che si può parlare benissimo di amicizia, e di amicizia profonda: quindi, non soltanto di apprezzamento o riverenza.

    Come si era sviluppata l’ Opus Dei alla morte nel 1994 del successore di san Josèmaria Escrivà? Si era modificata anche l’immagine pubblica?                                                                                                                        

    Tra il 1975 e il 1994, l’ Opus Dei ha cominciato le sue attività in 20 nuovi Paesi, e in molti ambienti dove era già presente si è ulteriormente sviluppata. In questi 19 anni si è passati da 60.000 a 80.000 membri. Nell’opinione pubblica, essere talvolta segno di contraddizione è fisiologico per chi si propone di seguire Cristo, ma io credo che, almeno nell’ambito cattolico, negli anni di don Alvaro l’immagine dell’ Opus Dei, anche per l’avvenuta trasformazione in Prelatura personale, sia diventata decisamente più consona ai suoi tratti autentici: senz’altro oggi l’ Opera è capita meglio che prima del 1982. . . 

    A quali attività mons. Del Portillo diede un impulso particolare da Prelato dell’ Opus Dei?

    Le priorità erano normalmente quelle indicate dal Papa, per esempio l’inizio del lavoro apostolico in Kazakistan, e sempre d’accordo con i vescovi. Poi, come le dicevo prima, ci teneva soprattutto al lavoro di evangelizzazione dei Paesi dove l’ Opus Dei era appena arrivata. Due iniziative intraprese sotto il suo impulso che mi sembrano significative sono la Pontificia Università della Santa Croce, a Roma, dove si sono formati e si formano sacerdoti di tutto il mondo, e l’ospedale Monkole, a Kinshasa, dove la professionalità e la carità vanno a braccetto per sovvenire a un grave bisogno della popolazione congolese. Ma esistono molte altre iniziative (tra le quali voglio citare ancora l’apprezzata Università Campus Bio-Medico di Roma) apostoliche, educative e sociali promosse dai fedeli dell’ Opus Dei, con l’incoraggiamento diretto di don Alvaro, negli anni in cui lui è stato il loro prelato. 

    Lei ha qualche ricordo personale molto intenso della vicinanza con mons. Alvaro Del Portillo? Può raccontarcene uno? 

    Sono tanti e sono così ricchi di significato, che non posso pretendere di sceglierne uno a titolo rappresentativo: sarebbe tradire, almeno in parte, l’immagine che ho di lui. Qualche volta mi piace ricordarlo, per esempio, nel reparto di pediatria della Clinica Università di Navarra, con bambini malati di cancro: il suo affetto, le sue attenzioni, i suoi gesti di servizio, l’invito rivolto a loro ad aiutarlo con la preghiera… In me, come in quei bambini e nei loro genitori, quelle scene hanno lasciato un’impressione molto forte.

    P.S. L’intervista appare sabato 27 settembre, in versione leggermente ridotta, in una pagina di ‘Catholica’, inserto del ‘Giornale del Popolo’ (quotidiano cattolico della Svizzera italiana) e, tradotta in inglese, nel numero di ottobre 2014 del mensile cattolico statunitense ‘Inside the Vatican’.  

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