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    INTERVISTA AL PATRIARCA BECHARA RAI SU ABU DHABI E DINTORNI

    INTERVISTA AL PATRIARCA BECHARA RAI SU ABU DHABI E DINTORNI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 12 febbraio 2019

     

    Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca maronita, ha risposto da Bkerké alle nostre domande su alcune possibili conseguenze concrete del viaggio apostolico di papa Francesco a Abu Dhabi e in particolare della firma della ‘Dichiarazione congiunta’ islamo-cristiana. Nell’ultima parte dell’intervista di scena invece il Libano con i suoi fragili equilibri da salvaguardare. 

    Nato il 25 febbraio del 1940 il cardinale patriarca maronita Béchara Boutros Raï è ben conosciuto dai lettori di www.rossoporpora.org che ne possono ritrovare interviste e interventi nel corso degli ultimi dieci anni, a partire dall’intervista rilasciataci nel luglio 2008 da vescovo di Byblos ( https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/69-intervista-sul-libano-a-bechara-rai-vescovo-di-byblos.html ) e passando ad esempio da un’altra molto significativa del 2013 (https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/274-bechara-rai-no-a-intervento-in-siria-strategia-perversa-in-libano-inverno-arabo.html ). All’inizio di febbraio il patriarca ha partecipato alla Conferenza internazionale interreligiosa di Abu Dhabi sulla fratellanza umana e dunque ha anche accompagnato papa Francesco nel suo viaggio apostolico negli Emirati Arabi Uniti (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/843-papa-abu-dhabi-certo-un-evento-storico-per-il-mondo-islamico.html ). Ritornato a Bkerké - la sede del patriarcato maronita a una ventina di chilometri a nord-est di Beirut - gli abbiamo posto alcune domande su quanto avvenuto negli Emirati Arabi Uniti e sulle possibili conseguenze della ‘Dichiarazione congiunta’ firmata da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahamad al- Tayeb. Con la consueta e generosa disponibilità ci ha così risposto…

    Signor Patriarca, Lei è reduce da Abu Dhabi, dove papa Francesco dal 3 al 5 febbraio ha effettuato il suo ventisettesimo viaggio apostolico, il primo nella Penisola arabica culla dell’Islam. Il viaggio ha confermato e soddisfatto le Sue aspettative?

    Il viaggio apostolico di papa Francesco a Abu Dhabi ha oltrepassato le previsioni più rosee grazie all’accoglienza eccezionale nel Palazzo presidenziale, all’incontro amabile e affettuoso con le autorità politiche e con il Grande Imam di al-Azhar Ahamad al-Tayeb, alla firma della ‘Dichiarazione congiunta sulla Fratellanza umana’, all’incontro del Papa con il Consiglio dei Dotti musulmani e infine all’affollatissima Messa del Santo Padre alla quale hanno assistito cristiani venuti da diversi Paesi del Golfo. Io personalmente non ho contribuito alla preparazione del viagio. Però ero ufficialmente invitato alla Conferenza internazionale sulla Fratellanza umana, tenutasi dal 3 al 5 febbraio per un intervento sul tema “Fratellanza umana: sfide e opportunità” ed ero anche invitato alla cerimonia della firma della ‘Dichiarazione congiunta’.

    Che cosa ha evidenziato nel Suo intervento alla Conferenza?

    Ho evidenziato l’importanza della religione come fonte di pace verso Dio e verso se stessi, al fine di aprirsi poi verso gli altri. I popoli hanno diritto di vivere in pace e in sicurezza in nome dell’umana fratellanza.

    Qual è secondo Lei l’elemento più importante emerso dal viaggio apostolico?

    Ho già risposto prima citando gli aspetti oggettivamente rilevanti. In ordine di importanza direi il viaggio in un Paese musulmano del Golfo, insieme con la firma della ‘Dichiarazione congiunta sulla fratellanza umana per la pace’.

    Secondo Lei qual è o quali sono i punti fondamentali della ‘Dichiarazione congiunta’?

    Tanti i punti rilevanti nella ‘Dichiarazione’: il valore della pace, la libertà di credenza, la cultura della tolleranza come rispetto vicendevole e del dialogo, la sostituzione del concetto di minoranza con quello di cittadinanza, la protezione dei luoghi di culto, dei diritti della donna e di quelli dei bambini, l’assistenza alle persone in situazione precaria, infine la promozione delle relazioni tra Oriente e Occidente.

    E’ stato un viaggio negli Emirati Arabi Uniti: quant’è rappresentativo questo Paese del mondo musulmano? Del mondo arabo?

    Gli Emirati Arabi Uniti costituiscono una forza rappresentativa a livello politico, economico e unitario del mondo musulmano. Oltre ad accogliere milioni di impiegati e lavoratori da diversi Paesi, culture, etnie e religioni.

    La ‘Dichiarazione congiunta’ è stata firmata dal Papa e dal Grande Imam di al-Azhar, che Lei conosce da tempo. Quanto è rappresentativo al-Tayeb del mondo musulmano sunnita? Quanto è apprezzato dal mondo musulmano sciita?

    Il Grande Imam di al-Azhar è un’alta istanza religiosa per i sunniti. Ma non lo è altrettanto per gli sciiti, che hanno le loro proprie istanze. Però Ahamad al-Tayeb gode comunque da parte loro di un rispetto e di una considerazione per quello che rappresenta.

    Quanto è credibile il Grande Imam nelle affermazioni riportate nella ‘Dichiarazione’? Avrà secondo Lei la forza di renderle concrete nel mondo musulmano, nel mondo arabo?

    Il Grande Imam è certamente credibile quanto alla sua persona e alla sua sincera volontà di realizzare un’apertura multidimensionale. Specie riguardo ai contenuti della ‘Dichiarazione’. Quanto al rendere concrete tali affermazioni nel  mondo musulmano e arabo, ciò non dipende solo da lui e dalla sua forza morale. Io penso che nel mondo sunnita il Grande Imam avrà un influsso importante per concretizzare le affermazioni della ‘Dichiarazione’. Bisogna però prendere in considerazione l’opposizione dei radicali, fondamentalisti, integralisti, nonché le difficoltà politiche che forse sorgeranno per l’una o per l’altra ragione.

    Quali conseguenze secondo Lei potrà avere realisticamente la ‘Dichiarazione nel mondo musulmano? Nel mondo arabo? Per i cristiani del Medio Oriente? Potrà avere riflessi anche sul conflitto israelo-palestinese?

    Le conseguenze che potrà avere la ‘Dichiarazione’ saranno secondo me molto positive: avvicinerà la vita in comune tra cristiani e musulmani, susciterà rispetto vicendevole e fiducia, creerà una cultura comune, rinsalderà i legami di convivenza nei Paesi medio-orientali, contribuirà alla stabilità sociale e al ristabilimento della pace, incoraggerà i cristiani a rimanere nelle loro terre nazionali d’origine, ridurrà il numero e l’impatto dei discorsi religiosi musulmani fanatici nei riguardi dei cristiani. Non penso che avrà conseguenze anche sul conflitto israelo-palestinese, perché gli ebrei d’Israele sono chiusi a qualsiasi soluzione nella questione palestinese. Credo che ritengano che la ‘Dichiarazione’ non li concerne; anzi essi fomentano le divergenze, non le intese.

    Lei è stato l’anno scorso anche in Arabia Saudita: pensa che la ‘Dichiarazione’ possa cambiare qualcosa in meglio per la libertà di culto e per la libertà religiosa anche lì?

    Si nota una certa apertura in Arabia Saudita verso la libertà di culto. Il culto cristiano in pubblico era rigidamente vietato, adesso non più. Due mesi fa il Vicario apostolico ha celebrato la Prima Comunione per 300 bambini; ha celebrato anche la festa di San Marone l’8 febbraio corrente nella sala dell’ambasciata libanese a Riyad in presenza di 500 persone. Ho inviato per l’occasione un messaggio orale all’Assemblea con un ringraziamento alle Autorità saudite per aver permesso questa celebrazione. Quindi ritengo che la ‘Dichiarazione’ darà nuovi impulsi all’ ‘apertura’.

     

    LIBANO: PESO DI HEZBOLLAH E RICONCILIAZIONE TRA I CRISTIANI

    Concludiamo con il Libano. Nelle elezioni del maggio 2018 lo schieramento guidato da Hezbollah e comprendente anche una parte dei cristiani maroniti (la parte del generale Aoun) ha ottenuto la maggioranza dei seggi. Lei giudica questo un fatto positivo per il progresso del Paese e per i cristiani nel loro insieme oppure un evento potenzialmente pericoloso e negativo per l’unità del Paese e per i cristiani?

    L’influsso di Hezbollah è notevole a livello politico per l’unicità della voce sciita. Il partito Amal presieduto da Nabih Berri, presidente del parlamento da 29 anni, è in piena sintonia e collaborazione con Hezbollah. La voce politica degli sciiti diventa più forte per il sostegno dato dagli alleati cristiani. Non possiamo parlare di ‘maggioranza dei seggi’, ma piuttosto di unità di voce e di strategia sciita, perché secondo la legge elettorale e il sistema politico libanese c’è una quota di seggi per gli sciiti, come per altri. Per esempio sui 128 deputati del Parlamento, i cristiani maroniti hanno diritto a 34 seggi, che variano nella loro composizione interna a dipendenza della forza dei partiti rappresentati o di candidati singoli. Il numero di 34 è però fisso. Noi auspichiamo e agiamo per l’unità della visione politica dei cristiani, a cominciare da quella dei maroniti, così da poter contribuire all’unità interna del Libano. Questo ruolo unificatore lo possono assumere solo i cristiani, perché i sunniti e gli sciiti vivono in un certo conflitto, riconducibile ai loro rispettivi collegamenti con l’Arabia Saudita e con l’Iran.

    Quale peso concreto per l’unità dei cristiani e la governabilità del Paese può avere la recente riconciliazione pubblica – auspice proprio Lei – tra i leader cristiani Frangie (filo siriano) e Geagea (Forze libanesi, anti-siriane)? Nel 2011 c’era già stata una riconciliazione pubblica tra il generale Michel Aoun (ora presidente della Repubblica) e Amin Gemayel: a quel tempo si erano avute ricadute concrete e positive?

    Certo l’unità dei leader cristiani crea la stabilità e la riconciliazione nelle file dei cristiani divisi proprio a causa loro; e apre la strada al dialogo sulle questioni nazionali. Il che è stato fatto e si fa oggigiorno. Come dicevo, l’unità politica dei cristiani condiziona l’unità del Paese non solo per l’influsso concreto che ha a diverso livelli, ma anche perché gli altri non possono farlo a causa del conflitto sunnita-sciita.

     

    SEPARARE LA RISOLUZIONE DELLA CRISI SIRIANA DAL RIENTRO DEI RIFUGIATI – UNA QUESTIONE ANCHE DI SOPRAVVIVENZA DELL’IDENTITA’ CULTURALE

    La grande massa dei rifugiati siriani nel Libano, che si aggiungono ai 500 mila palestinesi che da decenni sono nel Paese dei cedri, crea enormi problemi alla popolazione libanese. Che cosa può osservare a tale proposito? Ci sono prospettive realistiche di un miglioramento della situazione? Quali?

    Il numero dei rifugiati siriani e palestinesi sorpassa la metà dell’intera popolazione libanese (su 4 milioni, più di 2 milioni), su una superficie di soli 10.000 kmq, già con una densità di 600 persone per kmq. Si tratta quindi di un pesante e pericoloso fardello economico, sociale, politico, demografico, culturale e securitario.

    Occorre che la Comunità internazionale faciliti e incoraggi i profughi siriani a rientrare nella loro patria, le cui zone in sicurezza sorpassano di gran lunga la superficie del Libano. Occorre quindi separare la soluzione politica in Siria da quella del ritorno dei rifugiati. I rifugiati palestinesi aspettano nei campi la soluzione politica già da 71 anni e si dubita che ciò possa avvenire. Intendo riferirmi alla creazione di uno Stato Palestinese accanto a quello d’Israele con il conseguente ritorno dei rifugiati alle loro terre di origine.

    Non possiamo sacrificare il Libano per aiutare i rifugiati oltre misura. Da parte nostra abbiamo concretizzato il nostro dovere di accoglienza. Ora occorre incoraggiare i rifugiati siriani a rientrare in patria per salvaguardare i loro diritti civili, continuare la loro storia e proteggere e promuovere la loro cultura. Altrimenti assistiamo a due guerre: la prima ha distrutto le pietre, la seconda distruggerà l’identità culturale.

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