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    CARD. KOCH SU VISITA SINAGOGA, ORTODOSSI, LUTERANI E ANGLICANI

    CARD. KOCH SU VISITA SINAGOGA, ORTODOSSI, LUTERANI E ANGLICANI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23 gennaio 2016

     

    Con il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani e della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo facciamo un bilancio della recente visita di papa Francesco in Sinagoga (con alcuni problemi che restano sul tappeto) e il punto sullo stato del dialogo ecumenico con ortodossi, luterani e anglicani. Nuova grande e difficile sfida in ambito ecumenico è quella antropologica, su matrimonio e questioni bioetiche, dominata dalla questione del ‘gender’.

     

     

    Il sessantacinquenne cardinale Kurt Koch è ormai da oltre un lustro presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e anche della Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo. Avendo il porporato elvetico seguito da vicino in tale veste anche la recente visita papale in Sinagoga, gli abbiamo chiesto alcune considerazioni sui momenti più interessanti della visita e su alcuni punti che restano ancora da chiarire nei rapporti ebraico-cristiani. L’imminenza della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ha poi offerto l’occasione per una valutazione dello stato del dialogo con le diverse confessioni. Il vescovo emerito di Basilea ha risposto con la consueta e cordiale schiettezza svizzero-tedesca alle nostre domande, poste inizialmente a proposito della visita di papa Francesco alla Comunità ebraica di Roma, insediatasi in città circa 2200 anni fa…  

    Eminenza, pochi giorni fa, domenica pomeriggio 17 gennaio, papa Francesco ha compiuto la sua prima visita al Tempio Maggiore di Roma. Lei era seduto in tribuna, a sinistra del Papa, accanto al suo predecessore cardinale Kasper: ha potuto così seguire molto da vicino lo sviluppo della visita. Il momento che Le è parso più intenso? 

    Il saluto del Santo Padre ai sopravvissuti della Shoah: la razzia nazista del 16 ottobre 1943 al Ghetto di Roma con la conseguente deportazione ad Auschwitz di oltre mille persone è un fatto storico che giustamente non è stato dimenticato e ogni anno viene ricordato con commozione dalla Comunità ebraica. E’ stato molto toccante l’atteggiamento di papa Francesco verso i sopravvissuti, ha ‘parlato’ il linguaggio del cuore e del rispetto, della riverenza verso queste persone.

    E il momento più importante? 

    Il discorso di papa Francesco e il suo concentrarsi sulla dimensione religiosa del rapporto tra la Chiesa cattolica e il mondo ebraico. Ha evidenziato l’importanza della Dichiarazione conciliare del 1965 ‘Nostra Aetate’ sui nuovi rapporti anche con l’ebraismo; ha ricordato le visite di Benedetto XVI nel 2010 e, soprattutto, quella di Giovanni Paolo II nel 1986. Il Papa ha insistito anche sulla volontà di approfondire i rapporti con la Comunità ebraica di Roma, presente nella città già prima dell’arrivo del Cristianesimo…

    Gli ebrei sono a Roma da 2200 anni… Per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo, sono recenti due documenti di grande importanza: le riflessioni molto ‘aperte’ della Commissione ad hoc e il documento sottoscritto da una cinquantina di Rabbini ortodossi di tutto il mondo che affermano che la Chiesa cattolica è parte del piano della salvezza divina. Si discute ancora molto su alcuni punti particolari: ad esempio da parte ebraica si vorrebbe che la Chiesa cattolica riconoscesse l’inscindibile legame tra ebrei e terra di Israele…il tema è emerso con grande forza nel discorso (molto applaudito) della presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello e anche in un passo non casuale dell’intervento del Rabbino capo Riccardo Di Segni… 

    La nostra Commissione ha un nome preciso: “per i rapporti religiosi” con l’ebraismo. Dunque tutto ciò che riguarda diplomazia e politica è di responsabilità della Segreteria di Stato vaticana. Nella visione teologica è chiaro che la promessa agli ebrei della terra di Israele è una promessa biblica; d’altra parte Israele è uno Stato come gli altri. Perciò una critica puntuale alla politica dello Stato di Israele non può subito essere tacciata di antisemitismo. Se è legittimo fare una critica puntuale a uno Stato come la Svizzera o come l’Italia, anche lo Stato di Israele deve poterla accogliere, come deve essere per uno Stato democratico. La Santa Sede riconosce lo Stato di Israele e nel contempo ha sempre dichiarato che una risoluzione del conflitto israelo-palestinese necessita la costituzione di due Stati.

    Un altro punto su cui si discute ancora è quello che riguarda la “conversione” degli ebrei da parte cattolica. Una ‘conversione’ che l’ultimo documento della Commissione ad hoc non ritiene perseguibile… 

    L’ebraismo per noi non è una religione come le altre non cristiane. Abbiamo un rapporto speciale con l’ebraismo: come ha detto Giovanni Paolo II nella sua visita in Sinagoga, “La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo qual modo è ‘intrinseca’ alla nostra religione”.  Anche papa Francesco ha rilevato che “tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo”. In questo senso non abbiamo un compito missionario come con le altre religioni, dato che riconosciamo l’irrevocabilità dell’alleanza di Dio con il popolo di Israele. Il problema teologico resta nel senso che non è facile conciliare l’irrevocabilità dell’alleanza del popolo ebraico con Dio e la nostra convinzione che con la venuta di Gesù Cristo si è verificato nella storia qualcosa di nuovo, di fondamentale, di cui è necessario tener conto. Non sono convinto che fin qui si sia trovata sull’argomento una soluzione soddisfacente per ambo le parti.

    Su un altro punto delle relazioni ebraico-cristiane affiorano ogni tanto delle schermaglie: gli ebrei sono o non sono i nostri “fratelli maggiori”? Come Lei sa, l’espressione - usata da Giovanni Paolo II nella sua visita del 1986 ed evitata da Benedetto XVI nel 2010 - è stata ripresa due volte da papa Francesco nel suo intervento di domenica scorsa. Il Rabbino capo Di Segni (un’altra singolarità: è stato chiamato ‘dottor Di Segni’ dal Papa e non ‘signor Rabbino capo’ come era stato con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) aveva espresso più volte negli ultimi anni la sua insoddisfazione per la locuzione ‘fratelli maggiori’, considerato che nella Bibbia – basti pensare a Esaù con Giacobbe e al ‘fratello maggiore’ della parabola del ‘figliol prodigo’- essi appaiono come dei ‘perdenti’…. 

    Giovanni Paolo II, utilizzando l’espressione ‘fratelli maggiori’, aveva di certo intenzioni buone… voleva dire che sono i primi! Però è anche vero che i ‘fratelli maggiori’ nella Bibbia sono un problema (ride)... In questo senso comprendo le remore ebraiche riguardo alla locuzione e preferisco quella di “padri nella fede” utilizzata da Benedetto XVI. Penso sia meglio.

     

    ORTODOSSI: LE LORO DIVISIONI INTERNE SONO UN PO' UN PROBLEMA PER NOI

    Rivolgiamo ora l’attenzione verso il dialogo con gli ortodossi, cioè con la confessione cristiana con cui ci dovrebbero essere meno problemi sulla concordanza di contenuti teologici. Eppure… passano gli anni e non si vedono, almeno apparentemente, grandi sviluppi concreti nel cammino ecumenico con loro… 

    Abbiamo avuto grandi problemi nel passato. Nella riunione plenaria di Ravenna del 2007 abbiamo potuto però fare un grande passo avanti: ci si è accordati su un documento in cui si dichiarava che la Chiesa ha bisogno di un protos, un ‘primo’, a livello locale, regionale, universale. De facto con ciò si riconosceva che anche a livello universale è necessario un primato. Sono però sorti dopo dei problemi. A Ravenna si era deciso di elaborare uno studio storico approfondito sulla prassi del primato del vescovo di Roma nel primo millennio: uno studio bellissimo, che però all’inizio della plenaria di Vienna nel 2010 è stato rifiutato dagli ortodossi. Allora si è deciso di elaborare un nuovo studio sul tema “Primato e sinodalità”: abbiamo preparato per tre anni il testo e l’abbiamo presentato nel 2014 alla riunione di Amman, ma anche lì gli ortodossi l’hanno respinto. Ne abbiamo elaborato uno ulteriore, la cui bozza è stata finita nello scorso settembre: sarà sottoposta alla nuova plenaria di settembre 2016. 

    A giugno di quest’anno dovrebbe aprirsi a Istanbul (data e luogo però sono ancora incerti) il grande sinodo panortodosso, convocato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo… 

    Spero proprio che si possa svolgere come stabilito, perché in effetti il grande problema che incontriamo nella nostra Commissione sono le tensioni che esistono non tanto tra cattolici e ortodossi quanto tra gli ortodossi stessi. Se gli ortodossi riuscissero a crearsi un maggiore consenso interno, sarebbe un grande vantaggio anche per il nostro dialogo ecumenico. In questo senso prego ogni giorno perché il sinodo panortodosso abbia luogo e porti gli ortodossi a una più grande unità.

     

    INCONTRO FRANCESCO-KIRILL? SIAMO AL SEMAFORO GIALLO 

    Il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è quasi di casa, se così si può dire, in Vaticano. Prima Alessio II, poi Kirill, da patriarchi di Mosca e di tutte le Russie, invece non hanno mai incontrato il Papa, sebbene si prospetti da tempo tale possibilità. Si è prefigurata come sede di un possibile incontro Vienna, anche Budapest, un terreno possibilmente ‘neutro’. Tante le visite di cardinali a Mosca e metropoliti a Roma. Si sta finalmente sviluppando qualcosa di concreto per l’incontro al vertice? 

    E’ chiaro che papa Francesco desidera ardentemente tale incontro. L’ha ribadito anche nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Turchia, il primo dicembre 2014. Ha riferito di aver trasmesso a Kirill il suo desiderio: “Io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo”. Anche Kirill penso desideri l'incontro. Ora il semaforo non è più rosso, ma giallo.

     

    LUTERANI: PASSI AVANTI CON BUONA VOLONTA'

    Veniamo al dialogo con i luterani, che sono in procinto di commemorare i 500 anni della Riforma. Ci sono progressi nel dialogo con loro? 

    Sì, anche se i tempi in quest’ambito sono sempre piuttosto lunghi. Dopo la firma ad Augsburg, il 31 ottobre 1999, da parte della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (una delle cause della separazione di mezzo millennio fa), si è creato un clima nuovo e promettente. Da parte mia, poco dopo il mio arrivo a Roma nel 2010, ho fatto la proposta di un passo avanti nel dialogo con i luterani: bisognava preparare una Dichiarazione comune su Chiesa, Eucarestia e ministero. Alcuni l’hanno accolta: i luterani in Finlandia lavorano su questa proposta, così come negli Stati Uniti è già stato prodotto un nuovo documento da parte dei preposti al dialogo ecumenico, un bel testo che dobbiamo approfondire…

    Tra gli argomenti è compresa anche l’intercomunione? 

    No, in primo piano si evidenziano le tematiche teologiche: che cos’è la Chiesa, che cosa intendiamo per Eucarestia e per ministero. La dimensione principale del documento è quella sacramentale. A livello ecumenico internazionale si sta intanto discutendo del Battesimo e delle sue conseguenze ecclesiali, una materia molto delicata e importante.

    Avete già preparato qualcosa di concreto per i 500 anni della Riforma protestante? 

    Il nostro Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e la Federazione  luterana mondiale hanno elaborato congiuntamente un “Libro delle preghiere comuni”, strumento con materiali che possono essere adattati alle tradizioni liturgiche e musicali delle singole Chiese locali. Ciò ha fatto seguito alla stesura di un rapporto da parte della commissione internazionale cattolico-luterana sull’unità nel 2013, intitolato “Dal conflitto alla comunione”, in cui si ripercorrono storicamente gli anni della Riforma. Stiamo anche preparando la commemorazione a livello mondiale che avrà luogo a ottobre 2016 a Lund, in Svezia. A tale proposito è molto significativo che i luterani abbiano voluto che l’invito alla commemorazione venisse da loro e dai cattolici insieme.

     

    LO SCISMA PROTESTANTE E' STATO IL FALLIMENTO DELLA RIFORMA LUTERANA

    Che cosa pensa il cardinale Kurt Koch della figura di Martin Lutero? 

    Lutero è in primo luogo un credente cristiano che ha postulato un necessario rinnovamento della Chiesa, ma senza rottura, senza creare nuove Chiese. Ciò è molto importante per me. In questo senso il grande teologo luterano ed ecumenista Wolfhart Pannenberg disse una volta che l’esistenza di nuove Chiese luterane non è il successo, ma il fallimento della Riforma, il cui compimento si sarebbe avuto con il ristabilirsi dell’unità. E’ anche molto significativo che i luterani hanno voluto che la commemorazione mondiale della Riforma avvenisse nel 2016, poiché nel 1515-16 Lutero era ancora cattolico.

    Lutero ha scritto anche delle pagine di rara violenza antisemita, specie in un suo testo del 1543, propugnando tra l’altro “la distruzione delle sinagoghe col fuoco”… 

    Pagine orribili, che un po’ prefigurano quanto sarebbe successo alcuni secoli dopo. Pagine di cui ci si deve pentire…

    Le ragioni secondo Lei di tale odio di Lutero verso gli ebrei? 

    Tento una spiegazione personale. Credo che Lutero, convinto che gli ebrei non si sarebbero convertiti al cattolicesimo, non abbia capito e sia restato molto deluso per il fatto che essi non siano entrati nella nuova Chiesa da lui fondata, un nuovo Cristianesimo, un Cristianesimo rinnovato.

     

    ANGLICANI: IMPORTANTE CHE SIA STATA EVITATA LA ROTTURA

    Passiamo ai rapporti ecumenici con gli anglicani. Da poco si è conclusa in Inghilterra la riunione dei  primati delle 38 province anglicane, convocati dall’arcivescovo di Canterbury per discutere dell’atteggiamento di chi, nella Comunione anglicana, ha sdoganato anche a livello di gerarchia l’omosessualità. I cinque giorni di dibattito si sono conclusi con la sospensione per tre anni della Chiesa episcopale statunitense che già qualche anno fa aveva ordinato un vescovo dichiaratamente gay. Eminenza, che cosa ha pensato quando Le è giunta la notizia? 

    Per prima cosa sono contento che non ci sia stata una rottura: sarebbe stato un controsenso nel tempo della ricerca ecumenica dell’unità. La sospensione è a tempo. Per quanto riguarda gli anglicani, anche per loro nel 2016 c’è un anniversario importante: ricorrono i cinquant’anni dalla prima visita in Vaticano, per incontrare Paolo VI, dell’arcivescovo Ramsey. All’incontro è seguita poi l’istituzione del Centro anglicano e della rappresentanza personale dell’arcivescovo di Canterbury presso il Papa.

    Riprendiamo l’argomento in discussione nella recente riunione anglicana… 

    Qui bisogna osservare che le forti divisioni sul tema della famiglia, del matrimonio, della vita toccano buona parte dell’ambito ecumenico. Oggi si sono accresciute di molto le tensioni di carattere antropologico dentro molte Chiese e tra alcune Chiese. E’ uno sviluppo nuovo e molto preoccupante. Negli Anni Settanta-Ottanta il leit-motiv dell’ecumenismo era: “La fede divide, l’azione unisce”. Oggi dobbiamo dire il contrario.

     

    LA GRANDE SFIDA ANTROPOLOGICA FONDAMENTALE OGGI PER IL DIALOGO ECUMENICO

    Dunque è l’azione che divide di più… 

    Se negli scorsi decenni abbiamo approfondito con buona volontà e pazienza i contenuti della fede, sono però sorte negli ultimi anni tensioni nuove a livello etico e bioetico, attorno ai temi dell’aborto, dell’eutanasia, delle tecniche biomediche, di fecondazione artificiale e di tutto ciò che tocca la tematica della famiglia sotto la copertura della parola-chiave gender. Questa è una grande sfida: nel dialogo ecumenico dobbiamo approfondire anche le tematiche etiche, che nascondono gravi differenze a livello antropologico. Direi anzi per concludere che oggi la sfida principale nell’ambito ecumenico è ritrovare una comune antropologia cristiana.

    P.S. L’intervista, in originale su www.rossoporpora.org, appare in forma cartacea e un po’ ridotta nell’inserto ‘Catholica’ del ‘Giornale del Popolo’ (quotidiano cattolico della Svizzera italiana) di sabato 23 gennaio 2016. In versione cartacea inglese l’intervista appare nel prossimo numero del mensile cattolico statunitense ‘Inside the Vatican’. 

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