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    QUATTRO LIBRI: DIECI ANNI DOPO ELUANA, IL '68, PAPA BERGOGLIO, NUOVI MEDIA

    QUATTRO LIBRI: 10 ANNI DOPO ELUANA, IL ’68, PAPA BERGOGLIO, NUOVI MEDIA - di GIUSEPPE RUSCONI – su www.rossoporpora.org – 26 aprile 2019

     

    Alcune considerazioni su quattro libri riguardanti la vicenda di Eluana Englaro a dieci anni da quel drammatico 9 febbraio 2009, il cinquantesimo del Sessantotto, Jorge Mario Bergoglio papa politico, la galassia dei nuovi media in cui siamo immersi

     

     

    EUGENIA ROCCELLA: ELUANA NON DEVE MORIRE – LA POLITICA E IL CASO ENGLARO

     

    E’ la sera del 9 febbraio 2009. E’ un lunedì drammatico per la società italiana: quanto resisterà ancora la disabile grave Eluana Englaro - ‘addormentata’ da 17 anni dopo un incidente stradale e purtuttavia non una malata in stato terminale – alla privazione del cibo e dell’acqua, un'azione dichiarata ammissibile da una sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007 e in corso da venerdì 6 febbraio 2009? Siamo, insieme con altri amici, davanti al Senato, nella cui aula la maggioranza di centro-destra, con l'appoggio convinto del Governo Berlusconi, tenta disperatamente di approvare un disegno di legge per salvare Eluana. E’ un testo brevissimo, nato dal decreto salva-Eluana che il venerdì precedente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva rifiutato di firmare. Alle 20.30 giunge la notizia che Eluana è morta. L’aula del Senato si incendia: in un ambiente in cui si esprimono le emozioni più vere e più profonde, tra gli altri il senatore Quagliariello urla che Eluana è stata ammazzata. Fuori si piange. Sul 492 che ci riporta verso casa il clima è cupo. Battute ciniche da parte di un paio di utenti fanno esplodere la tensione: e ce n’è per tutti, specie per Giorgio Napolitano.

    Martedì 10 febbraio 2009 Avvenire, che con una parte importante della Chiesa italiana aveva condotto una lotta esemplare per salvare Eluana, pubblica un editoriale dell’allora vice-direttore Marco Tarquinio: “Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi- non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi - oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini”. Un editoriale memorabile del ‘vecchio’ Marco Tarquinio, poi – come purtroppo sappiamo – folgorato sulla via delle Pampas e convertitosi alla Chiesa del ‘politicamente corretto’ (di cui è ormai un’icona).   

    Si concludeva così tragicamente la prima, decisiva tappa, di quello che il bioeticista Maurizio Mori (uno dei protagonisti in negativo della battaglia intorno ad Eluana) così definiva in un testo del 2008: “Come Porta Pia è importante non tanto come  azione militare quanto come atto simbolico (…) così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (mediatico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana”.

    Editoriale di Tarquinio il ‘vecchio’ e constatazione tanto lucida quanto cinica di Maurizio Mori sono riportati nella ‘cronaca’ ragionata evocata da Eugenia Roccella nel suo “Eluana non deve morire – La politica e il caso Englaro” (ed. Rubbettino).

    Questo è davvero un bel libro, scritto bene, asciutto, che va all’essenziale, mettendo a nudo la sostanza della questione e delle posizioni. Un libro appassionato, non neutrale, ma onesto e rigoroso”: facciamo nostra la valutazione data dal cardinale Camillo Ruini sull’opera durante la presentazione avvenuta mercoledì 17 aprile a Roma. Un incontro a dieci anni da quei giorni drammatici, promosso dalla Fondazione “Magna Carta” e svoltosi nel salone di Palazzo Wedekind a piazza Colonna, che già in altre occasioni ha ospitato per serate di grande rilevanza (sul tema delle radici giudaico-cristiane d’Europa) lo stesso porporato insieme con Marcello Pera e l’allora cardinale Ratzinger.

    Tra i motivi che hanno spinto Eugenia Roccella a rievocare il dramma di Eluana Englaro uno è preminente: occorre ricreare oggi nel Paese quell’ampio e profondo dibattito che vi si sviluppò dieci anni fa, poiché da allora la deriva etica in materia di fine vita si è rafforzata – spesso a colpi di sentenze della magistratura - tanto che la Corte Costituzionale ha imposto al Parlamento di adeguare entro il 24 settembre prossimo il quadro normativo (vedi art. 580 del codice penale a proposito di istigazione e aiuto al suicidio) relativo al fine vita dopo l’approvazione – il 14 dicembre 2017 - da parte della moribonda maggioranza piddina della legge 219 sul testamento biologico. Se è vero che dieci anni fa Eluana morì essendo stata privata della possibilità di alimentarsi e idratarsi, è altrettanto vero che – proprio grazie al dibattito anche molto aspro suscitato nel Paese – l’opinione pubblica cambiò opinione e alla fine si ritrovò in maggioranza dalla parte della giovane donna disabile.

    Oggi, ha rilevato Gaetano Quagliariello (che con Eugenia Roccella, Carlo Giovanardi, Maurizio Gasparri, Maurizio Sacconi – allora ministro del Welfare – fu uno dei protagonisti della battaglia civile pro-vita), il clima politico è ancora meno favorevole di dieci anni fa. Da una parte diverse sentenze della Magistratura hanno puntellato la deriva etica, dall’altra in ambito politico ci si appiglia (per motivi di governabilità) a una “moratoria sui temi etici” del tutto illusoria, considerato come - “dietro il paravento dell’affermazione ‘I diritti acquisiti non si discutono’- stiano passando l’utero in affitto e l’eutanasia” a colpi di sentenze giudiziarie. La politica dovrebbe essere autonoma dalla magistratura e anzi assumere un ruolo guida in determinati contesti: purtroppo dal caso Eluana in poi capita il contrario.

    Sferzanti le parole del cardinale Ruini sull’approvazione nel 2017 della legge sul testamento biologico, “che di fatto introduce l’eutanasia”: “Per me è particolarmente triste che testate e uomini di cultura cattolici abbiano allora negato il carattere eutanasico della legge. (…) Oso sperare che ora quei cattolici non si allineino all’ordinanza della Corte Costituzionale.

    Riandando alla vicenda di Eluana, anche Maurizio Sacconi ha evidenziato che “i cattolici ‘adulti’ non ci furono favorevoli”. Eppure Eluana “era una persona viva, in stato vegetativo persistente, con tutte le funzioni vitali attive: non era in corso nessun processo di accanimento terapeutico”. Da parte sua Antonio Polito, allora direttore de Il Riformista (sinistra moderata) ha ricordato che Eluana “non era una malata terminale”: un’analisi ‘laica’ della situazione portò quel giornale a schierarsi più contro che a favore della privazione di alimentazione e idratazione che condusse ineluttabilmente Eluana alla morte.  

     

    GIOVANNI FORMICOLA: IL SESSANTOTTO-MACERIE E SPERANZA

     

    Il Sessantotto? Si è tornati a parlarne, ma forse neanche troppo, in occasione del cinquantesimo. Soprattutto non si sono avute grandi celebrazioni con trombe e tamburi da parte dei nostalgici e degli eredi di quella stagione molto controversa. Le analisi critiche invece non sono mancate (vedi anche in www.rossoporpora.org la cronaca di un convegno della Fondazione Craxi: https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/784-fondazione-craxi-fuochi-d-artificio-sul-sessantotto.html ).

    Tra i critici ruspanti merita una segnalazione Giovanni Formicola - penalista napoletano, tra i soci fondatori di ‘Alleanza Cattolica’ e anche membro del Comitato scientifico della Fondazione ‘Magna Carta’ – che è autore del pamphlet Il Sessantotto – Macerie e speranza(ed. Cantagalli). In realtà l’agile volumetto contiene due saggi: il primo sul Sessantotto ‘canonico’, il secondo – molto dettagliato – su quello che l’autore chiama “un Sessantotto in vitro”, la “Reggenza del Carnaro” di un secolo fa seguita alla conquista di Fiume da parte dei legionari dannunziani. Del resto nella pubblicistica del Sessantotto ‘canonico’ l’impresa del Vate è stata definita “surrealismo incarnato”. Fiume, che a sua volta è legata dal filo rosso della storia alla tragica esperienza cinquecentesca di Műnster (rivolta degli anabattisti), è un’esperienza che per Formicola “ha inquinato la destra e continua a inquinarla”, pur “non essendo di destra”, ma legata piuttosto alle tesi dei radicali (libertarismo) e del fascismo sociale.

    Torniamo al Sessantotto ‘canonico’, che per Formicola ha lasciato “macerie”, con le quali anche noi oggi continuiamo a confrontarci. A tale proposito si può ben dire che il Sessantotto allora più pericoloso è stato quello ideologico-politico-di matrice marxista, che ha prodotto il fenomeno terroristico ed  stato sconfitto. Ma il Sessantotto più resistente, quello purtroppo vincente, è stato l’altro, quello culturale, che – come notava Augusto Del Noce – ha portato a un “partito radicale di massa”, che ha rifiutato il legame con il diritto naturale e dal mondo della politica ha contaminato anche quello ecclesiale. Del resto, ha osservato don Nicola Bux durante un seminario sul libro di Formicola promosso da ‘Magna Carta’, c’è “una parte di mondo cattolico che nelle Università aveva acceso la miccia rivoluzionaria”: non comprendeva però che cosa fosse la Chiesa, prospettando ad esempio un “fraternalismo senza padre”, un cristianesimo trasformato in filosofia universitaria”. Negando il diritto naturale, si rischia di trasformare la Chiesa in Ong: è è questa la “vera attualità”.

    Per Giovanni Formicolail Sessantotto ha promesso la felicità grazie alla liberalizzazione dell’erotismo”. Quanto succede oggi in certi ambiti è “espressione e conseguenza del consumismo sessuale del Sessantotto”, che conduce a violenza, noia, depressione, uso della droga: “Sono i liquami dell’Occidente, non compensati dall’acqua santa”. E i figli sono considerati ormai spesso come ‘prodotti’ dal consumismo, senza più identità certa (a causa del diffondersi dell’ideologia del ‘gender’), senza ormai che a volte conoscano la madre. Il Sessantotto è divenuto dunque“superomismo istituzionalizzato”, senza limiti e dunque al di là del bene e del male, anche nelle decisioni legislative di molti Stati occidentali, tra cui l’Italia.

    Nel sottotitolo del pamphlet di Formicola si parla di “macerie e speranze”. Delle macerie si è detto. E le speranze? E’ una speranza razionale: quella che l’uomo del nostro tempo, considerati i guasti sociali comportati dall’imporsi del Sessantotto culturale, si rivolti esasperato e voglia tornare con determinazione al tempo in cui si riconosceva senza nessuna discussione che ogni bambino è figlio di una mamma e di un papà. 

     

    ARTURO DIACONALE: SANTITA’, MA POSSIAMO CONTINUARE A DIRCI CRISTIANI?

     

    Mercoledì 3 aprile è stato presentato a Roma, presso Banca Generali Private, un pamphlet dal titolo apparentemente scherzoso, invece assai serio: “Santità! Ma possiamo continuare a dirci cristiani?” (ed. Rubbettino). L’autore è una vecchia conoscenza del giornalismo italiano, Arturo Diaconale, direttore de “L’Opinione delle libertà”, già membro del Consiglio di amministrazione della RAI e anche responsabile dal 2016 della comunicazione della Lazio. Si definisce “agnostico”, anche se incoscientemente nostalgico di quel “Santo Padre che da Roma ci sei sole, luce e guida” che gli sembrava “un grido di battaglia” proclamato in musica dalle donne del suo paese d’Abruzzo nei giorni delle feste patronali. E dice di “non essere in grado di approfondire le questioni teologiche” che scuotono oggi il mondo cattolico.

    Direte: ma che c’entra allora Diaconale con la Chiesa di Bergoglio? Il fatto è che l’autore è molto interessato da un aspetto particolare del comportamento di Francesco, quello pertinente alla sua valenza politica. Sì, perché addirittura, per Diaconale, Jorge Mario Bergoglio incarna “una risposta tutta politica alla crisi della Chiesa”.  Tanto che l’autore conclude drasticamente che “Papa Bergoglio, forse perché è gesuita e sembra alle volte dire ciò che non pensa e pensare ciò che non dice, appare maggiormente impegnato più in una competizione molto terrena con il Dalai Lama sul terreno del politicamente corretto piuttosto che (impegnato) a tenere gli sguardi dei propri fedeli rivolti verso l’alto”. Può darsi che la via percorsa da Francesco “sia l’unica in grado di consentire alla Chiesa di sopravvivere”… certo è che tale percorso “produce effetti non sempre accettabili e condivisibili”. Se così è effettivamente, rileva il laico liberale Arturo Diaconale traendo spunto dalla famosa asserzione di Benedetto Croce maturata nell’estate del 1942, come possiamo continuare a dirci cristiani? I laici che “riconoscono al cristianesimo di aver impresso una svolta decisiva alla storia dell’umanità (…) incominciano ad avvertire il dubbio se la capacità rivoluzionaria della religione di Cristo riconosciuta dal grande filosofo abbia ancora slancio vitale o, passando disinvoltamente da Bergson a Berlinguer, abbia perso la spinta propulsiva per affrontare vittoriosamente le sfide del terzo millennio. In particolare quella con l’Islam radicale”.

    Il testo di Diaconale (che tra i suoi capitoli ne ha anche uno intitolato “Andare oltre. Ma dove?” e un altro dal sapore amaro posto sotto il motto “Meglio islamici che morti”) riporta in appendice due discorsi: quello, famoso, di Benedetto XVI all’Università di Regensburg (2006) e quello di papa Francesco per il conferimento del premio Carlo Magno (2016). Alla presentazione, introdotta da Andrea Petrangeli, hanno dibattuto del pamphlet di Diaconale il giornalista Alfredo Mosca, la scrittrice Alessandra Necci, il giornalista Andrea Mancia e il senatore Maurizio Gasparri. Che si è definito un “cattolico praticante molto spiazzato da questo Pontificato” e ha constatato il “venir meno di una funzione identitaria riconosciuta anche dai non credenti”.

     

    MARA MACRI’- SIMONE PASQUALI : GALASSIA MEDIA DI MASSA, SOCIALI, VERTICALI, DI NICCHIA

     

    Ecco un testo utile per i tecnici del mestiere. E, a ben guardare, anche per chi ci terrebbe a capire meglio il gran sabba mediatico che ci travolge qual tempesta irrefrenabile in questo nostro tempo. Non è un romanzo, non è una cronaca, diremmo che è una riflessione ragionata su una realtà che appare molto complessa fin dal titolo del libro: “Galassia Media di massa, sociali, verticali, di nicchia”. Con sottotitolo: “Scelta, imposizione o manipolazione? Scenari attuali e futuri di comunicazione digitale”. Gli autori sono la giornalista Mara Macrì e il documentarista Simone Pasquali; l’editore è il Centro di Documentazione giornalistica.

    Alcune domande tratte dall’introduzione, intorno alla possibilità che “le tecniche elettroniche di comunicazione, impadronendosi dell’apparato sensorio dell’uomo”, riescano a “fagocitarlo e trasformarlo”. La prima: “E’ meglio sapere dove andare e non sapere come o sapere come andare e non sapere dove?”. La seconda: “Gli organi di stampa riusciranno a sopravvivere alle mutazioni genetiche o saranno trasformati in nano calcolatori inseriti sottopelle?”. La terza: “Riusciremo a realizzare algoritmi efficienti ispirati alla biologia o alla natura, che agevolino l’uomo a trovare risposte e soluzioni per questioni scomode, senza uccidere l’etica?”

    Il saggio si sviluppa in quattro capitoli principali: “Dalla parola alle immagini” (nascita del cinema, della radio, della tv); “Tracce mediatiche” (società di massa, controllo sociale); “L’era online (internet, new economy, social network); “La scienza e l’uomo multimediale” (nanotecnologie, intelligenza artificiale, sistemi di sicurezza). Da ultimo una considerazione tratta dalla conclusione (“Uno sguardo al futuro”): “La tecnologia nasce per alleviare la fatica della vita e rendere l’esistenza degli uomini più leggera, ma è anche un’arma a doppio taglio: può aiutare l’umanità e può distruggerla. La tecnologia è neutra ma non lo sono gli esseri umani che la utilizzano”.

      

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