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    IL RABBINO CAPO DI SEGNI E IL CARDINALE KOCH SULLA 'NOSTRA AETATE'

    IL RABBINO CAPO DI SEGNI E IL CARDINALE KOCH SULLA ‘NOSTRA AETATE’ – di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org – 11 dicembre 2015

     

    Intervista al Rabbino Capo di Roma e ampi stralci della relazione del card. Kurt Koch tenuta all’Urbaniana per il  Convegno sui 50 anni della Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’, promosso dall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dalla Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo – L’importante conferenza-stampa vaticana di giovedì 10 dicembre

     

     

    La Dichiarazione ‘Nostra Aetate’ -approvata da 2221 padri conciliari (contro 88) e promulgata il 28 ottobre 1965 – è stata al centro il 2 dicembre di una mattinata di riflessione presso l’Università urbaniana, organizzata dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dalla Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Introdotto dall’ambasciatore Zion Evrony (che ha evidenziato come la Dichiarazione conciliare costituisca il primo passo di un cammino da proseguire sia per quanto riguarda i rapporti religiosi ebraico-cristiani che quelli politici riguardanti le relazioni tra Santa Sede e Israele), il Convegno ha ospitato un ampio intervento del professor Raymond Cohen (Università ebraica di Gerusalemme), che ha evidenziato da una parte l’importanza della Nostra Aetate per un “dialogo fraterno” e dall’altra ha rilevato lo sforzo intenso delle autorità israeliane per una convivenza pacifica tra le varie anime della società. Il rabbino Abraham Cooper ha illustrato la mostra – promossa dal Centro Simon Wiesenthal in collaborazione con l’Unesco – intitolata “Un popolo, un libro, una terra: i 3500 anni di relazioni tra il popolo ebraico e la Terra Santa”, mentre il Gabriel Coen Duo ha suonato due composizioni popolari ebraiche. Di seguito invece evidenziamo il pensiero di altri due relatori: il Rabbino Capo di Roma e il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Riccardo Di Segni ha risposto volentieri ad alcune nostre domande su qualche passo del suo intervento. Dell’ampia relazione del porporato svizzero-tedesco riportiamo invece i brani secondo noi più significativi..Infine alcune annotazioni sull’importante conferenza-stampa (avvenuta giovedì 10 dicembre in Sala Stampa vaticana) di presentazione del nuovo Documento della Commissione per i rapporti con l’ebraismo.

     

    RICCARDO DI SEGNI SU NOSTRA AETATE, VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA E MISERICORDIA

    Signor Rabbino Capo, intervenendo al Convegno del 2 dicembre sulla ‘Nostra Aetate’ presso l’Urbaniana (promosso dall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani), Lei ha rilevato che nella storia della dichiarazione conciliare (pubblicata il 28 ottobre del 1965) si ritrova una sorta di “paradosso”: essa, pur costituendo un “cambiamento epocale” nelle relazioni ebraico-cristiane  “ha entusiasmato molti, ma molti di più ne ha delusi”. Che cosa ha inteso dire con tale asserzione? Il documento aveva dei difetti non minimi?

    “Difetti” dipende dai punti di vista. Da parte di osservatori del mondo ebraico il documento conteneva una quantità di elementi problematici che solo in parte sono stati chiariti nella evoluzione successiva.

    Lei ha citato, tra alcune reazioni di perplessità del mondo ebraico, un passo (contenuto nel volume “Le chiese cristiane e l’ebraismo 1942 -1982) riguardante il Suo predecessore rabbino capo di Roma Elio Toaff (peraltro noto anche per la sua amicizia con Giovanni Paolo II e per gli stimoli dati al dialogo interreligioso). Sulla ‘Nostra Aetate’ Toaff rilevò che “gli ebrei avrebbero potuto giudicare quelle parole solo se ad esse fossero seguiti i fatti”. Una cautela eccessiva quella di Toaff?

    Il quel momento, “a caldo”, rav Toaff interpretava l’antica diffidenza e prudenza del mondo ebraico sostenuta anche dalle notizie della lenta gestazione del documento. Le vicende successive avrebbero fatto diventare rav Toaff l’icona dell’incontro, a dimostrazione che certi fatti, da lui attesi, si erano realizzati.

    In ogni caso il “cambiamento”, se “epocale”, si fonda su fatti di notevole importanza… Ne può citare alcuni? 

    La visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, il suo viaggio in Israele, il riconoscimento dello Stato d’Israele, la produzione di documenti, e in generale il mutato clima di relazioni.

    Perché, secondo Lei, è importante la visita di papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma il prossimo 17 gennaio?

    Prima di tutto come segno di continuità. Poi per l’urgenza del momento che richiama le religioni a responsabilità rispetto al mondo. 

    La visita di papa Francesco cade durante l’Anno giubilare straordinario dedicato alla Misericordia. Secondo Lei la Misericordia su che cosa si fonda per essere vera?   

    L’indissolubilità dalla giustizia.

     

    DALLA RELAZIONE DEL CARDINALE KURT KOCH PRESSO L’UNIVERSITA’ URBANIANA (2 DICEMBRE 2015)

     

    . LA “SVOLTA EPOCALE” DELLA ‘NOSTRA AETATE’. Nell’ambito delle relazioni tra cattolici ed ebrei, la commemorazione di oggi ha il carattere di un piccolo Giubileo e noi abbiamo ottimi motivi di celebrarlo. ‘Nostra Aetate’ segna infatti una svolta epocale nel rapporto tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Questa svolta è iniziata in realtà in modo discreto, pressoché inosservata dall’opinione pubblica, con il colloquio avvenuto tra il santo papa Giovanni XXIII e lo storico ebraico Jules Isaak il 13 giugno 1960, quando Isaak presentò al Papa una riflessione con l’urgente richiesta di promuovere una nuova visione dei rapporti tra la Chiesa e l’ebraismo. Dopo solo pochi mesi da questo incontro, papa Giovanni XXIII assegnava il compito di preparare, per il Concilio, una Dichiarazione sul popolo ebraico, affidandone l’incarico al cardinale gesuita tedesco Augustin Bea, presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani. Il cardinale Bea riconobbe subito l’importanza fondamentale di una simile Dichiarazione e già allora notò che essa avrebbe fatto parte dei grandi temi “per i quali la cosiddetta opinione pubblica mostra un grandissimo interesse”, giungendo così alla conclusione che “molti avranno un parere positivo o negativo sul Concilio in base all’approvazione o disapprovazione di questo documento”. Ciò che allora intuì il cardinale Bea con senso profetico si è ripetutamente confermato nel corso degli ultimi cinquant’anni. ‘Nostra Aetate’ è certamente il testo più breve del Concilio, ma è un testo molto importante, che ha cambiato la storia. (…)

    . LO SVILUPPO DELLA ‘NOSTRA AETATE’. Poiché, conformemente al compito affidato da papa Giovanni XXIII, nella prima bozza veniva trattato solo l’ebraismo, soprattutto i padri conciliari che vivevano in Medio Oriente chiesero che si facesse riferimento anche all’islam ed in seguito altri suggerirono di prendere in considerazione tutte le religioni non cristiane. La Dichiarazione originaria sul popolo ebraico fu dunque inserita, alla fine, come quarto articolo nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Tuttavia il quarto articolo rappresenta non soltanto il punto di partenza, ma il cardine stesso di tutta la Dichiarazione conciliare. La sua grande importanza risiede nel fatto che, per la prima volta nella storia, un Concilio ecumenico si esprimeva in modo così esplicito e positivo sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. 

    . I PREGRESSI STORICI DELLA ‘NOSTRA AETATE’. La Dichiarazione conciliare naturalmente non va considerata come isolata, perché anche altri importanti sviluppi ne hanno preparato il terreno. Tra questi va ricordata l’ Emergency Conference sull’antisemitismo tenutasi nell’agosto del 1947 a Seelisberg (NdR: comune svizzero nel canton Uri, a ottocento metri sul Lago dei Quattro Cantoni), nella quale gli oltre 60 partecipanti, ebrei e cristiani appartenenti ad altre confessioni, avevano indicato come obiettivo quello di eliminare alla radice il fenomeno dell’antisemitismo. Le prospettive là tracciate per un nuovo rapporto tra ebrei e cristiani, conosciute come ‘I dieci punti di Seelisberg’, trovarono accoglienza anche nella Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’. 

    . CRISTIANI E OPPOSIZIONE NON COSI’ CHIARA E INCISIVA AL NAZISMO. Quanto appena detto dimostra che uno dei motivi determinanti che hanno condotto alla stesura di ‘Nostra Aetate’ è la rielaborazione storica della Shoah. (…) Davanti a questo terrificante apice dell’odio antisemita, noi cristiani abbiamo ottimi motivi per domandarci come mai l’opposizione cristiana alla sconfinata e inumana brutalità delle persecuzioni di stampo ideologico e razzista perpetrate contro gli ebrei durante il nazionalsocialismo, non abbia avuto quella chiarezza e quell’impatto che era lecito e doveroso aspettarsi. E noi cristiani dobbiamo onestamente deplorare il fatto che soltanto a seguito dell’inaudito crimine della Shoah sia avvenuto un reale cambiamento di pensiero, un cambiamento di pensiero che ha trovato espressione, da un lato, nella cosiddetta ‘teologia cristiana del dopo Auschwitz’, nelle sue diverse varianti e, dall’altro lato, nella chiara condanna dell’antisemitismo presente in ‘Nostra Aetate’. A cinquant’anni di distanza (…) papa Francesco lancia ripetutamente ai cristiani, proprio in un’epoca in cui emergono nuove ondate di antisemitismo, l’inequivocabile messaggio secondo cui è impossibile essere al contempo cristiani ed antisemiti. 

    . LA STORIA COMPLESSA DELLE RELAZIONI EBRAICO-CRISTIANE.  La Chiesa cristiana ha dovuto confrontarsi in maniera critico-costruttiva con la storia delle sue relazioni con l’ebraismo e riconoscere apertamente che questa storia è una storia molto complessa, che si è mossa in dall’inizio tra vicinanza e distanza, tra fratellanza ed estraneità, tra amore e odio e che, già dai primi tempi, è stata segnata da conflitti, così come ha fatto osservare l’allora cardinale Joseph Ratzinger (…): “La Chiesa è stata considerata da sua madre come figlia snaturata, mentre i cristiani hanno considerato la loro madre come cieca e ostinata”. Questa immagine ci ricorda che i conflitti tra ebrei e cristiani assomigliavano all’inizio a dispute familiari. Ma quando, progressivamente, la consapevolezza di appartenere alla stessa famiglia di Dio è andata perdendosi, le relazioni tra cristiani ed ebrei hanno iniziato a peggiorare considerevolmente. All’interno del cristianesimo si è giunti a quell’atteggiamento antigiudaico che ha gravato pesantemente sui rapporti cristiano-ebraici, soprattutto a causa del modo cristiano di vedere gli ebrei come uccisori di Dio e l’ebraismo come una religione ormai superata con la venuta di Gesù Cristo. 

    . CON L’EBRAISMO RELAZIONE UNICA E PARTICOLARE. Il Concilio indica che la Chiesa ha con l’ebraismo una relazione unica e particolare, che non ha con nessun’altra religione. Anche se il quarto articolo della ‘Nostra Aetate’ si iscrive all’interno del quadro più ampio delle relazioni tra la Chiesa e le religioni non cristiane, il Concilio è ben consapevole del fatto che per noi cristiani l’ebraismo non può essere meramente considerato come una delle tante religioni non cristiane e che la relazione tra cristianesimo ed ebraismo non può essere semplicemente trattata come una particolare variante del dialogo interreligioso, ignorando così la sua specificità inconfondibile. La specificità di questa relazione consiste nel fatto che la Chiesa cristiana non potrebbe comprendere se stessa senza far riferimento all’ebraismo. (…)

    . APPROFONDIRE LA DIMENSIONE TEOLOGICA DEL DIALOGO. Nostra Aetate’ è il primo documento ufficiale della Chiesa cattolica che definisce positivamente, da una prospettiva teologica, il suo rapporto con l’ebraismo. Dopo cinquant’anni è tempo di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. Ed è sicuramente un fatto positivo il fatto che tra i rabbini si moltiplichino le voci che ritengono il tempo maturo per farlo. Il chiarimento di queste questioni teologiche non può naturalmente essere un obiettivo in sé, ma vuole far sì che ebrei e cristiani, in maniera più intensa e credibile, diventino una benedizione gli uni per gli altri ed. insieme, diventino una benedizione per il mondo nel nostro tempo, ‘nostra aetate’.

     

    UNA DICHIARAZIONE DI  25 RABBINI ORTODOSSI: “Il CRISTIANESIMO NON E’ UN INCIDENTE NE’ UN ERRORE, BENSI’ L’ESITO DOVUTO ALLA VOLONTA’ DIVINA E DONO ALLE NAZIONI”

     

    Giovedì 10 dicembre 2015 presso la Sala Stampa vaticana è stato presentato il Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo in occasione del 50.mo anniversario della ‘Nostra Aetate’, un’ampia riflessione su questioni teologiche attinenti alle relazioni tra cattolicesimo ed ebraismo. Come ha rilevato il card. Kurt Koch, il documento intende “fornire uno spunto ed un impulso per ulteriori discussioni teologiche”.

     

    Dell’intervento del card. Koch evidenziamo in particolare, riprese dal documento, le seguenti affermazioni: “La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù” e “Solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito ‘dialogo interreligioso’ in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intrareligioso’ o ‘intra-familiare’ sui generis”. Altra citazione dal documento: “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza”. Si deve evidenziare anche un passo riguardante “l’evangelizzazione degli ebrei”. Ha detto qui il porporato svizzero-tedesco, citando il Documento: “La Chiesa deve comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, un maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del  mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei”. Certo “i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono però farlo con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah”.

     

    Rispondendo a una nostra domanda, il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani ha citato alcuni ‘temi controversi’ nelle relazioni ebraico-cristiane, che però non hanno arrecato o non arrecano alle stesse ‘un danno permanente’: la preghiera del Venerdì Santo, il Carmelo ad Auschwitz, il caso della rimessa della scomunica al vescovo lefebvriano e negazionista Williamson, la sempre controversa beatificazione di Pio XII (“anche all’interno del mondo ebraico”).

     

    Alla conferenza-stampa hanno partecipato, da parte ebraica, un rabbino molto conosciuto come David Rosen e il dottor Edward Kessler (fondatore del Woolf Institute di Cambridge). Rosen ha tra l’altro citato una Dichiarazione del 3 dicembre sul cristianesimo, già firmata da 25 rabbini ortodossi di tendenza ‘liberale’ (14 di Israele, 4 statunitensi, gli altri europei), che contiene anche un’affermazione di portata storica: “Come Maimonide e Yeduhah Halevi riconosciamo che il  cristianesimo non è un incidente né un errore, bensì l’esito dovuto alla volontà divina e dono alle nazioni”. Proseguendo, si legge ancora: “Separando ebraismo e cristianesimo, Dio ha voluto una separazione fra interlocutori con importanti differenze teologiche, non una separazione tra nemici”.

     

    Rispondendo a un’altra nostra domanda a proposito dell’espressione di Giovanni Paolo II “fratelli maggiori” riferita agli ebrei, Rosen ha annotato che, onde evitare eventuali interpretazioni errate, lui preferirebbe connotare il popolo ebraico come “genitore nella fede”. A Edward Kessler invece l’espressione non dispiace, anche perché fratellanza indica vicinanza e intimità di rapporti, sfida e forza: ebraismo e cristianesimo sono “correlati intimamente e tuttavia separati”.

     

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