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    40.mo CONCORDATO BIS: PAROLIN, MANTOVANO, TAJANI (CON PREMESSA)

    40.MO CONCORDATO BIS: PAROLIN, MANTOVANO, TAJANI (CON PREMESSA) - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 febbraio 2024

     

    L’8 febbraio 2024 Palazzo Borromeo ha ospitato un mega-convegno a quarant’anni dalla firma degli Accordi di Villa Madama sulla revisione del Concordato. Una giornata intensa promossa dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede insieme con la Fondazione Craxi. Tavola rotonda finale con tra gli altri Parolin, Tajani, Mantovano. In premessa le considerazioni del cardinale Segretario di Stato su Israele e Gaza e una dura (e controversa) nota dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede

     

    PREMESSA: IL CARDINALE PAROLIN E l’AMBASCIATA DI ISRAELE PRESSO LA SANTA SEDE

    Prima di approfondire i contenuti del mega-convegno dell’8 febbraio 2024 a quarant’anni dalla revisione del Concordato non possiamo passare sotto silenzio la nota di biasimo che l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede ha indirizzato al cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin per alcune sue considerazioni sulla situazione a Gaza fatte martedì 13 febbraio 2024 all’uscita dal tradizionale incontro bilaterale per l’anniversario dei Patti Lateranensi.

    Rispondendo a chi gli chiedeva un parere sulla ‘proporzionalità’ della reazione israeliana al feroce attacco di Hamas del 7 ottobre (una ‘proporzionalità messa in dubbio dal ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, oltre che da molti altri leaders politici a livello internazionale), il cardinale Parolin ha risposto così:

    “La Santa Sede l’ha detto fin dall’inizio: da una parte, una condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre, e qui lo ribadisco; una condanna netta e senza riserve di ogni tipo di antisemitismo, e qui lo ribadisco. Ma nello stesso tempo anche una richiesta perché il diritto alla difesa di Israele che è stato invocato per giustificare questa operazione sia proporzionato e certamente con 30 mila morti non lo è”.

    Aggiungendo: “Una soluzione al conflitto sembra al momento lontana, ma bisogna non perdere la speranza. Diceva Sant’Agostino che la speranza poggia sullo sdegno e sul coraggio; credo che tutti siamo sdegnati per quanto sta succedendo, per questa carneficina, ma dobbiamo avere il coraggio di andare avanti e di non perdere la speranza perché, se perdiamo la speranza, incrociamo le braccia. Invece bisogna lottare fino in fondo e cercare di dare fin dove possibile il nostro apporto, il nostro contributo”.

    A tali considerazioni ha replicato il 14 febbraio 2024 l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede con un comunicato stampa, in cui si legge tra l’altro:

    , E’ una dichiarazione deplorevole. Giudicare la legittimità di una guerra senza tener conto di TUTTE le circostanze e i dati rilevanti porta inevitabilmente a conclusioni errate.

    . Gaza è stata trasformata da Hamas nella più grande base terroristica mai vista.

    . Gran parte del ‘progetto’ di Hamas, vale a dire la costruzione di questa infrastruttura terroristica senza precedenti, è stata attivamente sostenuto dalla popolazione civile locale.

    . Secondo i dati disponibili per ogni militante di Hamas ucciso hanno perso la vita tre civili. Tutte le vittime civili sono da piangere, ma nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze NATO e delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista.

    E’ quella dell’ambasciata di Israele presso la Santa Sede una reazione che può essere legittimamente considerata fuori luogo. Per il bersaglio scelto e per certi contenuti sconcertanti. Forse l’ambasciata israeliana pretende che il cardinale Segretario di Stato parli come il segretario generale della NATO o come la presidente della Commissione europea o come un qualsiasi ministro della difesa (spesso in stretto contatto con l’industria degli armamenti?). Sarebbe grave se ciò succedesse… suonerebbe inaccettabile per chi si ispira alla Dottrina sociale della Chiesa e anche assai blasfemo.

    Poi: Nel comunicato, per contrastare le accuse di far strage di civili, si evidenzia che la popolazione civile di Gaza sarebbe complice dei terroristi. E dunque da punire… punizione collettiva di un popolo intero condannato per i crimini di alcuni. Cari amici di Israele, vi sembra ragionevole e soprattutto umano uccidere migliaia di persone (oltre a obbligarne centinaia di migliaia ad abbandonare le loro abitazioni) per il fanatismo feroce dei militanti di Hamas? Non correte il rischio, così continuando, di alimentare la crescita dell’antisemitismo in tutto il mondo? Avete mai pensato agli occhi dei bambini palestinesi che vedono, annotano e ricorderanno per sempre (come quelli israeliani cui sono stati strappati padre, madre, fratelli)?

    Ancora. Nel comunicato si fa una comparazione macabra tra i civili morti per ogni militante ucciso a Gaza e in precedenti occasioni come le guerre condotte da forze NATO e occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan. Questo per sostenere che l’azione israeliana provoca molte meno vittime civili di quelle prodotte da interventi di forze NATO e occidentali. A parte il fatto che certe stime sono pur sempre da prendere con cautela, ci sembra proprio un bel motivo di orgoglio rivendicare di uccidere solo tre civili invece di nove o dieci per ogni militante armato. Ma come possono gli amici israeliani proporre paragoni del genere e pretendere che un cristiano (ma anche ogni persona dotata di ragione e di cuore) non ne resti sconcertato? E’ tanta l’amarezza che si prova leggendo, da amici di Israele, un comunicato del genere. E tante le domande su dove si va a finire quando una logica cinica di rappresaglia si aggiunge alla comprensibile difesa del proprio diritto a un’esistenza sicura.

    Concludiamo con una considerazione – che condividiamo - di Andrea Tornielli, apparsa nell’editoriale di ieri, 14 febbraio 2024, su ‘Vatican News’: “Per la Santa Sede la scelta di campo è sempre quella per le vittime. E dunque per gli israeliani massacrati in casa nei kibbutz mentre si accingevano a celebrare il giorno della Simchat Torah, per gli ostaggi strappati alle loro famiglie, come per i civili innocenti – un terzo dei quali bambini - uccisi dai bombardamenti a Gaza. Nessuno può definire quanto sta accadendo nella Striscia un “danno collaterale” della lotta al terrorismo. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina”.

     

    UNA GIORNATA PARTICOLARE ALL’AMBASCIATA D’ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE

    Un giovedì molto particolare quello dell’8 febbraio 2024 all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede: invitando alla riflessione su Patti Lateranensi e Concordato – a quarant’anni dalla revisione di quest’ultimo – nell’intera giornata si sono susseguiti approfondimenti a più voci, culminati nella tavola rotonda finale cui hanno dato voce tra gli altri il cardinale segretario di Stato Parolin, il ministro degli esteri Tajani, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano e la senatrice Stefania Craxi (che con la Fondazione intitolata a suo padre ha co-promosso il Convegno). Un gran lavoro in primo luogo per l’ambasciatore Di Nitto, per i collaudati suoi collaboratori, per le speranze del vivaio diplomatico, la sicurezza, le guardarobiere e i camerieri, indaffaratissimi nell’offrire agli ospiti la carica gastronomica adeguata a reggere la ventina di relazioni.

    Eh, sì… una ventina di relazioni, suddivise in tre sessioni e una tavola rotonda finale moderate successivamente da Elisa Anzaldo (Rai), Maria Elena Cavallaro (Luiss), Manuela Tulli (Ansa) e Giovanni Orsina (Luiss). Nel corso della giornata si sono richiamati gli alti e bassi delle relazioni italo-vaticane evocando i tentativi di riforma dell’ottocentesca Legge delle Guarentigie (1871, regolò per 58 anni i rapporti italo-vaticani), i Patti Lateranensi del 1929, le discussioni sull’argomento in seno all’Assemblea Costituente, genesi, sviluppo e concretizzazione dell’Accordo di Villa Madama del 1984 (revisione del Concordato), alcune problematiche odierne nei rapporti Stato-Chiesa. Un fiume di considerazioni di cui non daremo riscontro esaustivo… ma almeno qualche sapore cercheremo di farvelo gustare!

    Al saluto dell’ambasciatore Francesco Di Nitto è seguito quello di chi oggi presiede la Fondazione Craxi, Margherita Boniver (già ministro e sottosegretario), che non ha mancato di rivendicare con orgoglio i meriti del presidente del Consiglio e segretario socialista: “Bettino Craxi ha lavorato incessantemente per l’interesse nazionale…. Un anno dopo l’ingresso a Palazzo Chigi ha firmato il nuovo Concordato, dopo lunghissimi dibattiti finiti nel nulla”.

    PRIMA SESSIONE DALL’UNITA’ AI PATTI LATERANENSI

    Della sessione inaugurale, posta sotto il titolo “Stato e Chiesa dall’Unità d’Italia ai Patti del ’29 “, proponiamo dapprima il succo delle riflessioni di Francesco Bonini, che l’ha animata con Paolo Valvo e Giorgio Feliciani (ambedue Cattolica di Milano). Secondo il rettore della Lumsa, il là alla revisione della vigente Legge delle Guarentigie è venuto dall’occupazione da parte dello Stato italiano di Palazzo Venezia, fino a poco prima sede della legazione austro-ungarica presso il Vaticano. Accadde il primo novembre 1916 con la “presa di possesso” da parte del ministro delle Finanze Filippo Meda, “a titolo di rivendicazione e di giusta rappresaglia” contro Vienna. Il fatto è che con tale gesto si veniva a ledere anche “il diritto di legazione attiva e passiva” presso la Santa Sede, che protesta pubblicamente. Il timore Oltretevere era che l’occupazione di Palazzo Venezia (richiesta a gran voce dal mondo massonico, guidato dall’ex-sindaco di Roma e Gran Maestro del Grande Oriente Ernesto Nathan) potesse indurre l’Italia a espropriare altri palazzi vaticani. In una lettera del 31 ottobre 1916 l’attivissimo laico cattolico Giuseppe Toniolo chiede che si risolva finalmente la ‘questione romana’ (in sintesi: “indipendenza giuridica della Santa Sede”) con “una revisione della Legge delle Guarentigie, da tramutarsi in atto bilaterale, dal carattere non più di legge interna e irrevocabile, ma internazionale. Un atto internazionale, non perché intervenga una potenza straniera, ma perché comporta il riconoscimento della sovranità della Santa Sede”.  

    Accadrà quasi 13 anni dopo, con la firma dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, comprendenti un Trattato (con annessa Convenzione finanziaria, con cui l’Italia ‘risarcisce’ con 750 milioni di lire e con un ‘consolidato’ di un miliardo la Santa Sede, meno di quanto ci si aspettava in virtù dei contenuti economici della Legge delle Guarentigie)) e un Concordato. Li sottoscrissero il segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri e il cavaliere Benito Mussolini: convenivano ad ambedue le parti, come ha evidenziato Paolo Valvo, che inizialmente ha illustrato altri tentativi post-bellici di sollevare la ‘questione romana’ in sede di conferenza di pace di Parigi del 1919 (cardinale belga Mercier – delegazione statunitense). Con Pio XI (papa dal 1922 alla morte nel 1939) la Santa Sede perseguì nell’azione diplomatica una politica concordataria, ritenendola la migliore (nel senso di ‘salvare il salvabile’) soprattutto in presenza di regimi totalitari (non riuscì con l’Unione Sovietica, riuscì invece con il Reich nazista, pur se con esiti molto controversi). Non meraviglia allora la volontà vaticana di una revisione della Legge sulle Guarentigie per giungere a un Concordato con l’Italia: Francesco Pacelli, negoziatore principe della Santa Sede, fu ricevuto 139 volte tra il 1926 e il 1929 da Pio XI, cui sottopose una ventina di bozze del previsto atto di conciliazione. Si è chiesto Paolo Valvo perché la Santa Sede concedesse tanto credito a Mussolini: “Per diffidenza verso il sistema liberale, per paura dell’avanzata del socialismo, perché Mussolini non esibiva pregiudiziali antireligiose”. Inoltre non si può negare l’importanza per la Santa Sede dell’articolo 43 del Concordato, che contiene una clausola di salvaguardia per l’Azione Cattolica e il rinnovo del divieto per ecclesiastici religiosi di “iscriversi e militare in qualsiasi partito politico” (un divieto che si trasformò spesso in vantaggio nella vita quotidiana).

    Giorgio Feliciani si è invece soffermato sui contenuti di Trattato e Concordato. Per il primo ha evidenziato il fatto che esso “assicura alla Santa Sede una condizione di fatto e di diritto di assoluta indipendenza in modo stabile”. Fondamentale l’articolo 1, in cui si stabilisce che (come già nello Statuto Albertino) “la religione cattolica, apostolica, romana è la sola religione dello Stato” . Da notare anche, tra gli altri, l’articolo 24 nel cui primo comma la Santa Sede “dichiara di voler rimanere estranea alle competizioni temporali degli Stati a meno che i contendenti non richiedano un suo intervento”. E nel secondo l’Italia garantisce che “la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile”. Riguardo ai contenuti del Concordato del 1929 Feliciani ha ricordato in particolare il riconoscimento dei giorni festivi della Chiesa, quello degli effetti civili del matrimonio religioso, l’insegnamento religioso anche nelle scuole medie, la presenza di cappellani nelle Forze Armate, Roma come città sacra. Il Trattato, ha concluso il relatore, ha retto bene; il Concordato fino al 1984, anno in cui è stato liberato da “residui giurisdizionalisti e confessionisti”.

    SECONDA SESSIONE DALLA COSTITUENTE AGLI ANNI DEL CENTROSINISTRA E DEL CONCILIO

    Alla seconda sessione, posta sotto il titolo “La Costituzione del 1948 e i tentativi di riforma dei Patti Lateranensi”, hanno contribuito Paolo Pombeni (Bologna), Giovanni Guzzetta (Tor Vergata), Agostino Giovagnoli (Cattolica di Milano), Alberto Melloni (Modena e Reggio Emilia). Anche qui qualche spunto. Per Paolo Pombeni tra i deputati della Costituente prevaleva di gran lunga la convinzione che la pax religiosa conseguita con i Patti Lateranensi non doveva essere turbata. Un’opinione che con la Dc condivideva anche il partito comunista di Togliatti (tra l’altro timoroso che la Chiesa potesse sollevare una questione di legittimità costituzionale in presenza di formulazioni che ignorassero o modificassero i Patti Lateranensi e sotterraneamente speranzoso di poter continuare a collaborare con la Dc come ai tempi del Comitato di Liberazione nazionale). Due i relatori per la nuova Costituzione, il cattolico Giuseppe Dossetti e il massone Mario Cevolotto. E molti gli interventi nel dibattito, tra cui quello di Aldo Moro, “che vedeva negli Accordi del 1929 un ‘unicum’ per difendere la ‘bilateralità’ di Stato e Chiesa” con la conseguenza che “rinunciare al Concordato del 1929 significherebbe rinunciare alla pace religiosa in Italia”. Alla fine della discussione sono stati approvati gli articoli 7 e 8 della nuova Costituzione, in vigore dal primo gennaio 1948. All’articolo 7 si legge: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. E all’articolo 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

    Tra le altre relazioni della seconda sessione particolarmente interessante quella di Agostino Giovagnoli, che si è occupato dell’applicazione nel Secondo dopoguerra del pluralismo religioso. Per diverso tempo, ha detto Giovagnoli, l’articolo 8 della Costituzione è stato largamente disapplicato, dato che de facto si è continuato ad agire sulla falsariga della circolare del 1935 di Buffarini Guidi (sottosegretario all’Interno) che bandiva il culto pentecostale. Si deve comprendere che la libertà religiosa è inseparabile dal pieno riconoscimento della libertà religiosa. Lo si è capito in sostanza solo ai tempi del Vaticano II, con una Dc che da un decennio aveva perso la maggioranza assoluta e dunque era costretta ad aprirsi agli alleati politici (“Non possiamo più governare da soli”, era la tesi di De Gasperi che già nel 1948 aveva costituito un governo politicamente plurale) con conseguenze positive a medio termine anche sul riconoscimento del pluralismo religioso. Buona parte del mondo cattolico, ha evidenziato Giovagnoli, non digerì subito la svolta (ad esempio – ha ricordato il relatore successivo Alberto Melloni - per il cardinale Ottaviani ancora nel marzo 1953 la Chiesa doveva richiedere la libertà religiosa là dov’era minoranza, ma là dov’era maggioranza era preciso compito dell’autorità civile proteggerla, dandole una condizione di privilegio). Ci volle il Concilio perché il passo fosse compiuto, come annotò il teologo valdese Valdo Vinay.

    TERZA SESSIONE SUGLI ACCORDI DI VILLA MADAMA DEL 1984 SULLA REVISIONE DEL CONCORDATO

    La terza sessione è stata incentrata sugli accordi di Palazzo Madama, sottoscritti il 18 febbraio 1984 dal cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli e dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Protagonisti alcuni dei negoziatori di allora, in prima fila Gennaro Acquaviva (consigliere politico di Craxi, negoziò direttamente con mons. Silvestrini, non ancora cardinale) e Francesco Margiotta Broglio (pure negoziatore per lo Stato italiano). Acquaviva ha rievocato una reazione di Craxi a proposito della stesura della revisione del Concordato: “Non affamate i preti perché senza di loro gli italiani non sanno dove andare”, che fa il paio con l’altra citazione craxiana celebre, quel “Peppino, perdonaci!” che Craxi, volgendosi verso il Garibaldi del quadro retrostante, disse a Margiotta Broglio e a Giuliano Amato (allora sottosegretario, illustre assente a Palazzo Borromeo… ma non fa meraviglia!). Tra gli altri relatori Benedetto Ippolito (Roma Tre) ha proposto le sue considerazioni sulla nuova idea di laicità emersa dalla revisione del Concordato, Giorgio Sacerdoti (Bocconi) sulle nuove intese con le altre confessioni religiose, l’arcivescovo Giuseppe Baturi (segretario generale della Cei) sul ruolo “determinante” assunto dalla Conferenza episcopale italiana “nella formulazione e scrittura delle norme sui beni e sugli enti ecclesiastici “. Frutto della revisione del 1984 è l’8 per mille, “radicale cambiamento del sistema di finanziamento della Chiesa emerso nell’ultima fase della trattativa”. Tra i ‘padri’ dell’idea ci furono, oltre allo stesso Craxi, Margiotta, Amato e Giulio Tremonti, che è intervenuto a conclusione di questa terza sessione: Il nodo era superare le congrue ma allo stesso tempo evitare il blocco dei soldi alla Chiesa. Per questo scegliemmo di lavorare sull'Irpef, la regina delle imposte, ma con un nuovo meccanismo”. Tra le novità del Concordato bis si sono ricordate nella sessione la rinuncia alla considerazione del cattolicesimo come “sola religione dello Stato italiano”, la riformulazione dell’articolo 1 (“La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese”), la  cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso e il diritto per la Chiesa cattolica di “istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado”, che, ottenendo la parità, si sarebbero viste assicurata “piena libertà”: ai loro alunni sarebbe stato garantito “un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato”. Inoltre l’Italia avrebbe continuato a garantire l’insegnamento della religione cattolica “nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.

    TAVOLA ROTONDA FINALE: OLTRE IL CONCORDATO

    Dopo la firma della dichiarazione di intenti italo-vaticana per il trasferimento dell’Ospedale Bambin Gesù entro il 2030 nella sede dell’ex-ospedale Forlanini (firmatari: il cardinale Parolin e il sottosegretario Mantovano) si è sviluppata la tavola rotonda finale, intitolata “Oltre il Concordato”, moderata da Giovanni Orsina e animata da Parolin, Tajani, Mantovano, Stefania Craxi e la giudice costituzionale Serenella Sciarrone Alibrandi. Per la figlia del premier socialista “l’eredità di quella stagione di accordi di libertà va oggi raccolta e reinterpretata, su scala più ampia e globale. Lo spirito di quella stagione che ha dato buoni frutti può rappresentare un punto di riferimento per un presente incerto, per un tempo inquieto e senza pace, per rilanciare un'azione condivisa nella società all'insegna della crescita del cittadino. Non c'è pace tra i popoli senza il Papa, non c'è pace tra i popoli e nei popoli se non c'è pace tra gli Stati, ma anche se non c'è pace tra le religioni e nelle religioni, che restano una fonte inesauribile di saggezza e cultura, antidoti contro ogni deriva". Il Concordato bis resta anche un bell’esempio di come “promuovere con i fatti e non con le parole il pluralismo religioso”. Un tema quest’ultimo su cui ha insistito Sciarrone Alibrandi.

    DALL’INTERVENTO DI PIETRO PAROLIN: UN ACCORDO CHE HA RETTO BENE, 8 PER MILLE, PACE, POVERI, IMMIGRAZIONE, FAMIGLIA

    . Trascorsi ormai quattro decenni, si può affermare a ragion veduta che le soluzioni adottate nel nuovo Accordo per la disciplina delle materie di comune interesse, le tradizionali res mixtae, hanno retto molto bene alla prova del tempo, anche grazie ai successivi interventi bilaterali di attuazione e integrazione.

    . Tali interventi hanno consentito il fruttuoso dispiegarsi di quella “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” che rappresenta uno dei capisaldi dell’Accordo del 1984 (cf. art. 1) e più in generale dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia. Questo impegno, col richiamo al principio della distinzione degli ordini fissato nell’art. 7 della Costituzione, “esprime e ha promosso al tempo stesso una peculiare forma di laicità, non ostile e conflittuale, ma amichevole e collaborativa, … E non si può fare a meno di osservare come, grazie ad essa, sia eccellente lo stato dei rapporti nella collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, con vantaggio per i singoli e l’intera comunità nazionale”[1].

    . In questo quadro, è possibile delineare alcune priorità da tenere in conto per il futuro sviluppo delle relazioni tra Santa Sede e Repubblica italiana.

    . Riguardo alle materie concordatarie, la presenza fra noi del Prof. Tremonti, considerato l’inventore o comunque uno dei coautori dell’importante riforma del sistema introdotta a seguito dell’Accordo del 1984, e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio O Mantovano, che fra le sue molte incombenze segue da vicino anche queste materie, rende opportuno in questa circostanza richiamare l’attenzione in particolare sul tema del finanziamento della Chiesa.

    . Sono note le ragioni ideali e le esigenze pratiche che hanno portato all’introduzione di un sistema che consente ai contribuenti la possibilità di destinare una quota pari all’8 per mille del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) o allo Stato o alla Chiesa e alle altre confessioni religiose per le quali è previsto. Considerate le molteplici ricadute positive e i risultati virtuosi che si sono potuti conseguire nel corso di questi primi decenni di attuazione, l’esigenza oggi avvertita come prioritaria è quella di lavorare insieme per favorire un ulteriore consolidamento e un corretto sviluppo del sistema. A tal fine, mi limito da un lato a sottolineare l’impegno della Chiesa nell’utilizzare le somme derivanti dall’8 per mille nel segno di una concreta solidarietà a favore della collettività nazionale e di una adeguata trasparenza; dall’altro lato, ad auspicare che gli interventi relativi a questo ambito così delicato possano continuare a realizzarsi secondo quel canone di bilateralità e quello stile di dialogo che ne assicurano la condivisione e la tenuta nel tempo.

    . In una prospettiva di più largo respiro, viene in rilievo anzitutto il tema della pace, rispetto al quale l’impegno umanitario rappresenta per la Santa Sede la stella polare e una priorità irrinunciabile. Di fronte al moltiplicarsi degli scenari di guerra, dall’Ucraina alla Palestina e Israele, e alle disumane sofferenze che ne derivano per interi popoli, oggi più che mai siamo chiamati a una rinnovata assunzione di responsabilità e a un comune impegno nella ricerca di soluzioni giuste e realistiche per mettere fine ai conflitti. Come ha ricordato di recente Papa Francesco, è venuto il tempo di dire seriamente “no” alla guerra, di affermare che non le guerre sono giuste, ma che solo la pace è giusta: una pace stabile e duratura, non costruita sull’equilibrio pericolante della deterrenza, ma sulla fraternità che ci accomuna. … La pace è possibile, se veramente voluta!” (discorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, 14 giugno 2023)

    . Lo stesso spirito di solidarietà e di vicinanza che proviamo verso i popoli provati dalle guerre deve animare il nostro impegno verso le persone migranti e verso le persone economicamente e socialmente più svantaggiate. 

    . L’urgenza del tema dell’immigrazione e la gravità delle sue ricadute non consentono atteggiamenti di rimozione o disimpegno, né tantomeno possono giustificare misure parziali e riduttive, che finiscono per risultare fatalmente inadeguate. Sembrano piuttosto possibili, anzi necessari, interventi in grado di garantire anzitutto il rispetto e la salvaguardia della dignità della persona, insieme alla giusta tutela delle comunità locali e delle esigenze di sicurezza.

    . Considerazioni analoghe possono valere per quanto riguarda il sostegno alle persone economicamente e socialmente più svantaggiate, da realizzare anzitutto attraverso adeguate politiche per il lavoro, condizione necessaria per poter costruire un’esistenza dignitosa e libera. Su entrambi questi temi, immigrazione e lavoro, può svilupparsi fruttuosamente il dialogo fra Chiesa e Stato e possono realizzarsi forme di collaborazione preziose per il bene comune, animate da uno spirito di doverosa e fattiva solidarietà.

    . Al centro della nostra attenzione rimane poi il tema decisivo della famiglia. Sul punto, credo sia condivisa la consapevolezza della necessità di rafforzare questa cellula fondamentale della società e soprattutto di contrastare il triste fenomeno della denatalità. Una società che non genera figli è una società ripiegata su se stessa, che soffre la mancanza di ragioni ideali e di condizioni pratiche per aprirsi al futuro con fiducia e generosità. Si tratta di un fenomeno preoccupante, che richiede una seria riflessione circa le ragioni profonde e i possibili rimedi a una tendenza che deve essere invertita, anzitutto con adeguate politiche di sostegno.

    DALL’INTERVENTO DI ANTONIO TAJANI: RAPPORTI BILATERALI ECCELLENTI, DIFESA CRISTIANI NEL MONDO, PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’

    . (celebrazione anniversario Patti Lateranensi) Un’occasione preziosa per riaffermare, al più alto livello, l’eccellente stato delle relazioni bilaterali tra Italia e Santa Sede.

    . La revisione del Concordato del 1984 ha permesso di aggiornare il quadro di riferimento per i rapporti tra Italia e Santa Sede, alla luce dei cambiamenti intervenuti nella società italiana.

    . La creazione di un quadro giuridico per la tutela della libertà di religione e del pluralismo confessionale nella società italiana è un elemento chiave per tutte le comunità dei credenti presenti in Italia.

    . E’ un elemento fondamentale che costituisce un quadro valoriale all’interno del quale collocare l’azione internazionale dell’Italia, tesa a salvaguardare nel mondo il principio di libertà di religione e credo anche attraverso la tutela delle comunità di cristiani.

    . Il Concordato è anche un elemento fondamentale per armonizzare la specificità del rapporto tra Italia e Santa Sede con gli obblighi che discendono dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea.

    . Credo che in questo ci possa guidare un elemento che accomuna i principi fondamentali dell’Unione europea con quelli della Dottrina sociale della Chiesa: il principio di sussidiarietà.

    . I principi che informano il quadro di relazioni Italia –Santa Sede delineato dal Concordato sono anche un volano per una piena e continua collaborazione tra l’Italia e la Chiesa cattolica anche a livello internazionale, nel perseguimento del bene comune.

    DALL’INTERVENTO DI ALFREDO MANTOVANO: I TEMPI SONO CAMBIATI…MA NON BISOGNA SUBIRE RASSEGNATI LA PRESSIONE DI UE E GIUDICI. ICI/IMU, SCUOLE PARITARIE. OCCORRE COLLABORARE MAGGIORMENTE PER ESSERE PIU’ INCISIVI, ANCHE IN MATERIA ETICA

    . Il titolo di quest’ultima sessione del convegno invita a guardare al futuro, tenendo conto dell’Accordo di revisione sottoscritto 40 anni fa, ma tenendo conto anche - non potrebbe esse diversamente - di ciò che è cambiato nei quattro decenni trascorsi. È cambiato tanto: i mutamenti avvenuti giustificherebbero un secondo convegno, ricco e articolato come quello che stiamo concludendo. Mi limito, per stare nei tempi, ad accennare a qualche importante modifica di ordine strutturale, che influisce nella dinamica delle relazioni fra Chiesa cattolica e Repubblica italiana, e che fa chiedere quali nuove declinazioni debbano conoscere queste relazioni, nella cornice concordataria. 40 anni fa per un verso la normazione di fonte europea non aveva l’incidenza e la cogenza che ha adesso (…)

    . Per non restare nel generico, mi spiego con qualche esempio concreto. È noto che la Commissione Europea, e poi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, hanno statuito che le rette pagate per la frequenza delle scuole paritarie, o per l’accoglienza in foresterie ecclesiastiche, sarebbero in molti casi assimilabili a corrispettivi, che renderebbero commerciali le attività svolte. Il caso classico è quello dell’ICI, prima, e dell’IMU, oggi. Le autorità europee hanno ritenuto che, se le attività di scuole e foresterie che percepiscono rette “non simboliche” devono considerarsi commerciali,

    esse devono soggiacere alle regole del mercato, inclusa quella che vieta allo Stato di avvantaggiare determinati operatori economici rispetto ad altri. È il c.d. divieto di aiuto di Stato, previsto dall’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Per questa via, le esenzioni da ICI e IMU accordate dalla legislazione italiana alle scuole paritarie e alle foresterie ecclesiastiche sono state ritenute aiuti di Stato, e quindi vietati dal diritto dell’Unione Europea. È il caso deciso dalla sentenza Montessori (Corte di giustizia, Grande Sezione, 6 novembre 2018, cause riunite da C 622/16 P a C 624/16 P). Rispetto a tali decisioni - che, lo ripeto, sono di organi dell’Unione Europea - il governo Stato Italiano, come i governi degli altri Stati membri, una volta che ha partecipato ai procedimenti, assiste come spettatore, in una posizione di soggezione, per il solo fatto di appartenere all’Unione Europea.

    . E anzi, l’Italia è chiamata a dare attuazione alla sentenza, per effetto di un ordine emesso dalla Commissione per il recupero di importi corrispondenti alle esenzioni ICI accordate agli enti non commerciali dal 2006 al 2011 (dec. 2023/2103 del 6 ottobre 2023). Dovrà farlo a pena di pesanti sanzioni da parte dell’Ue. Ora, il governo sta lavorando con la Commissione per esentare quanto meno i soggetti ricadenti al di sotto della soglia degli aiuti de minimis, ma qualche attività dovrà obbligatoriamente esser svolta, seppure ingiusta nella sostanza e nella forma: in alcuni casi sono passati quasi vent’anni dalle esenzioni che si vogliono far recuperare, e qualche diocesi sta ponendo in vendita propri immobili, anche di pregio, per pagare gli arretrati ICI. Cade sotto la voce “ce lo chiede l’Europa”.

    . È sufficiente? No, perché ci si è messa pure la Corte di Cassazione italiana. Un punto fermo della sentenza della Corte di Giustizia prima ricordata era che, per il regime IMU successivo al 2012 l’esenzione IMU per gli enti non commerciali non costituiva aiuto di Stato. Si era consolidata l’interpretazione che per le scuole paritarie l’esenzione spettasse tutte le volte in cui la retta percepita fosse inferiore al costo medio per studente, cioè all’importo medio che l’istruzione di uno studente in un certo ciclo scolastico costa allo Stato quando il ragazzo frequenta la scuola statale. Era un criterio razionale e conforme al principio di sussidiarietà: poiché le scuole paritarie svolgono nella sostanza una funzione pubblica, permettono un risparmio di spesa pubblica, poiché sollevano il sistema dell’istruzione statale da un impegno economico che altrimenti grava sulla finanza pubblica; correlativamente, del contributo in natura delle scuole paritarie si deve tener conto quando si richiedono le imposte, riducendole o azzerandole a seconda dei casi. La Corte di Cassazione (ord. n. 35123/2022) ha ritenuto questo criterio non sufficiente ad assicurare il carattere non commerciale della scuola paritaria, e con esso la spettanza dell’esenzione IMU. Dunque, un intervento giurisprudenziale, non governabile dall’autorità politica,

    rimette in discussione l’equilibrio raggiunto. Naturalmente siamo al lavoro, ma la questione è particolarmente complessa. La voce “i giudici hanno sempre ragione”, pure nelle materie che a loro non competono, ha da tempo scarso appeal in Italia (spero qualche appeal non residui in segmenti ecclesiali).

    . La proposta che mi permetto di avanzare è di condividere questa complessità, cresciuta nei 40 anni che abbiamo alle spalle: il che vuol dire anzitutto promuovere una comune riflessione su come nasce, e su come si sviluppa questa tipologia di controversie, e quindi su come affrontarle fin dal loro sorgere. Vanno compiuti comuni passi culturali, prima ancora che giuridici: per es., guardando alle decisioni che maturano in sede europea in un’ottica non già di acquiescenza, quasi fossero ineluttabili e indiscutibili, bensì di positiva dialettica. Questo governo lo sta facendo fin dal proprio insediamento, come conferma la modifica degli ordini del giorno dei consigli europei, spesso chiesta e ottenuta dall’Italia, con l’inserimento di materie che parevano affidate alla trattazione esclusiva da parte delle burocrazie. Lo possiamo fare insieme per le voci di comune interesse..

    . Ovviamente non vale soltanto per le materie economiche, o finanziarie, o monetarie; la considerazione della non ineluttabilità delle scelte delle burocrazie comunitarie e giudiziarie vale - anche e soprattutto - per le opzioni eticamente sensibili. Perché mai sul fine vita l’ultima frontiera su cui attestarsi dovrebbe essere la trasposizione in legge della sentenza della Corte costituzionale del 2019? Perché non sottoporre il percorso argomentativo di quella sentenza a necessario vaglio critico, per cogliere le anomalie che non pochi commentatori vi hanno rilevato? Da conservatore, sono interessato a quanto il passato ci regala solo se ha una proiezione positiva nel futuro: il conservatore non è il gestore di un museo, e non sotterra i talenti ricevuti per timore di perderli. Per questo sono convinto che il modello concordatario italiano abbia un futuro, e possa continuare a ispirare altri ordinamenti, se il dialogo istituzionale che lo ha animato in questi quattro decenni viene declinato in concreto riferendosi alla complessità nel frattempo maturata.

    . Senza trascurare, ovviamente, la felice singolarità di un accordo che, più che un trattato fra due Stati, è la descrizione di un modus (cum)vivendi fra lo Stato italiano e una confessione religiosa. Non una confessione qualsiasi, ma una fede senza la quale l’Italia non sarebbe come è. Un modus vivendi non fra cittadini di Stati differenti, o fra comunità distinte sul medesimo territorio, ma fra persone che condividono l’appartenenza alla Nazione italiana e la professione della fede in Cristo.

    . Mi sono limitato a nodi di ordine strutturale e giuridico. Ci sarebbero poi questioni di enorme rilievo sociale - penso per tutte all’approccio verso le migrazioni e al crollo demografico -, che pure esigono riflessioni comuni e di prospettiva. Ma di questo magari parleremo in un altro convegno.

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