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    PAPA, 1982/SANGUE ALLA SINAGOGA, S.IPPOLITO/PIZZABALLA, UNGHERIA

    PAPA, 1982/SANGUE ALLA SINAGOGA, S.IPPOLITO/PIZZABALLA, UNGHERIA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 4 ottobre 2022

    Un evento storico, di grande drammaticità, l’Angelus papale del 2 ottobre sulla guerra in Ucraina. Il ricordo dell’attentato del 9 ottobre 1982 alla Sinagoga di Roma in una mostra multimediale presentata in Senato il 3 ottobre, con Boschi, Riccardo Di Segni, Dureghello. Il patriarca di Gerusalemme padre Pizzaballa a Sant’Ippolito, dov’è stato benedetto l’organo restaurato. I tifosi della Lazio e l’Ungheria…

    PAPA FRANCESCO: UN ANGELUS ANGOSCIATO SULLE ORME DI BENEDETTO XV

    Domenica 2 ottobre (festa degli Angeli Custodi) papa Francesco ha voluto dedicare l’Angelus – in cui di norma propone una meditazione sul Vangelo del giorno – alla guerra in Ucraina. Era accaduto già una volta nel 2013 in relazione alla guerra di Siria. In precedenza non erano mancati continui riferimenti al conflitto in corso tra Mosca e Kiev (appoggiata anche militarmente da Stati Uniti, Nato, Paesi UE) nei dopo-Angelus e nella conclusione delle Udienze generali del mercoledì (vedi in particolare i veri e propri Appelli del 23 febbraio e del 24 agosto).

    Stavolta il Papa ha inteso dare ulteriore risalto alle sue denunce ricorrenti, facendone argomento principale della sua preghiera pubblica domenicale e rivolgendosi direttamente ai capi degli Stati coinvolti, i presidenti Putin (Federazione Russa) e Zelenskji (Ucraina), oltre che ai governanti di tutto il mondo implicati più o meno pesantemente nell’osceno sviluppo degli eventi bellici.

    Nella storia l’appello di domenica 2 ottobre evoca almeno parzialmente, seppure in contesti diversi, la “Lettera del Santo Padre Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti”, inviata il primo agosto 1917, a poco più di tre anni dallo scoppio delle ostilità. Della lettera riproduciamo qui qualche passo significativo:

    Sul tramontare del primo anno di guerra Noi, rivolgendo ad Essi le più vive esortazioni, indicammo anche la via da seguire per giungere ad una pace stabile e dignitosa per tutti. Purtroppo, l'appello Nostro non fu ascoltato: la guerra proseguì accanita per altri due anni con tutti i suoi orrori: si inasprì e si estese anzi per terra, per mare, e perfino nell'aria; donde sulle città inermi, sui quieti villaggi, sui loro abitatori innocenti scesero la desolazione e la morte. Ed ora nessuno può immaginare quanto si moltiplicherebbero e quanto si aggraverebbero i comuni mali, se altri mesi ancora, o peggio se altri anni si aggiungessero al triennio sanguinoso. Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l'Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all'abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio?

    In sì angoscioso stato di cose, dinanzi a così grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, né per suggerimento od interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune dei fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l'opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell'umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le sorti delle Nazioni

    Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che Voi avete l'assoluto dovere di procurare. Vi inspiri il Signore decisioni conformi alla Sua santissima volontà, e faccia che Voi, meritandovi il plauso dell'età presente, vi assicuriate altresì presso le venture generazioni il nome di pacificatori.

    Noi intanto, fervidamente unendoci nella preghiera e nella penitenza con tutte le anime fedeli che sospirano la pace, vi imploriamo dal Divino Spirito lume e consiglio.

    Vennero poi, in particolare i solenni appelli per la pace di Pio XII (24 agosto 1939: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”), Giovanni XXIII (che influì positivamente sulla crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica per i missili a Cuba), Giovanni Paolo II per le due guerre in Iraq (senza esito positivo, con le conseguenze di cui soffriamo ancora oggi).

    Difficile prevedere (ma non si può essere purtroppo molto ottimisti) quale sarà la sorte dell’appello di domenica 2 ottobre di papa Francesco. Intanto lo riproduciamo integralmente:

    L’andamento della guerra in Ucraina è diventato talmente grave, devastante e minaccioso, da suscitare grande preoccupazione. Per questo oggi vorrei dedicarvi l’intera riflessione prima dell’Angelus. Infatti, questa terribile e inconcepibile ferita dell’umanità, anziché rimarginarsi, continua a sanguinare sempre di più, rischiando di allargarsi.

    Mi affliggono i fiumi di sangue e di lacrime versati in questi mesi. Mi addolorano le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie e minacciano con il freddo e la fame vasti territori. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai! È angosciante che il mondo stia imparando la geografia dell’Ucraina attraverso nomi come Bucha, Irpin, Mariupol, Izium, Zaporizhzhia e altre località, che sono diventate luoghi di sofferenze e paure indescrivibili. E che dire del fatto che l’umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica? È assurdo.

    Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni.

    Deploro vivamente la grave situazione creatasi negli ultimi giorni, con ulteriori azioni contrarie ai principi del diritto internazionale. Essa, infatti, aumenta il rischio di un’escalation nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale.

    Il mio appello si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace. A tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo. Per favore, facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace, non quella inquinata della guerra, che è una pazzia!

    Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!

    Confidiamo nella misericordia di Dio, che può cambiare i cuori, e nell’intercessione materna della Regina della pace, nel momento in cui si eleva la Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei, spiritualmente uniti ai fedeli radunati presso il suo Santuario e in tante parti del mondo.

    Qualche considerazione: il punto fondamentale dell’appello sta nella richiesta di porre fine subito alla “spirale di violenza e di morte”. Lo faccia prima di tutto Putin, ma anche Zelenskji dimostri di essere aperto a soluzioni serie di pace. In tale direzione agiscano anche “i protagonisti della vita internazionale” (allusione alla Nato?) e “i responsabili politici delle Nazioni”: basta escalation e dunque basta armi inviate a Kiev! Si intraprendano invece immediate iniziative di pace.

    A quest’ultimo proposito l’appello è indirizzato certo anche ai governi dei Paesi dell’Ue e in particolar modo a quelli che si sono dimostrati molto zelanti nell’incrementare (obbedendo qual soldatini agli ordini esteri) la presenza militare occidentale in Ucraina, come il governo Draghi. Vedremo se il prossimo governo italiano vorrà e soprattutto riuscirà a porsi con decisione come alfiere di forti iniziative di pace.

    Nell’appello il Papa distingue chiaramente tra aggressore e aggredito, evidenziando le gravi responsabilità del primo riguardo agli orrori della guerra e alle violazioni del diritto internazionale.

    A tale proposito giova comunque ricordare che i Protocolli di Minsk del 2014, perfezionati nel 2015 e aggiornati nel 2019 prevedevano tra l’altro una maggiore autonomia per alcune aree russofone delle regioni di Donetsk e di Lugansk: una richiesta che l’Ucraina non ha mai voluto soddisfare. E’ una richiesta questa che si ritrova anche nelle parole del Papa, quando dice: Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni.


    ROMA: A 40 ANNI DALL’ATTENTATO ALLA SINAGOGA DI ROMA – UNA CONFERENZA-STAMPA IN SENATO CON BOSCHI, RICCARDO DI SEGNI E DUREGHELLO E UN RICORDO PERSONALE

    Il 9 ottobre 2022 saranno passati quarant’anni dall’attentato alla Sinagoga di Roma in cui perse la vita il piccolo (due anni) Stefano Gaj Taché. Trentasette furono i feriti, molti gravi, colpiti dalle schegge delle tre bombe lanciate e dalle raffiche di mitra sparate da cinque attentatori di origine palestinese probabilmente legati al gruppo di al-Fatah di Abu Nidal. Si deve subito rilevare che né mandanti né esecutori del vile agguato sono mai stati ufficialmente identificati con precisione.   

    Per mantenere viva la memoria dell’atto atroce, nella speranza un giorno di poter chiudere con certezze indagini condotte in modo dubbioso per presumibili interessi geopolitici da parte dei governanti italiani dell’epoca, la Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna, l’Associazione B’nai B’rith e la Presidenza del Consiglio – insieme con la Comunità ebraica di Roma – hanno promosso una mostra multimediale che sarà aperta al pubblico proprio domenica 9 ottobre presso le Terme di Diocleziano (martedì-domenica, 11-18), fino all’11 novembre. Inoltre è stato prodotto un podcast di 140 minuti suddivisi in quattro puntate (“Schegge nell’anima”) e Rai Storia trametterà sabato 8 ottobre (con repliche domenica 9) il documentario “Attacco alla Sinagoga”.

    Il tutto è stato presentato in una conferenza-stampa  -organizzata lunedì 3 ottobre a Palazzo Madama, nella sala Caduti di Nassirya - aperta da una serie di saluti istituzionali.

    Subito Maria Elena Boschi (deputata di Italia Viva) ha evidenziato come la sede parlamentare scelta per l’evento vuol evidenziare che Stefano Gaj Taché era un bambino italiano prima ancora che bambino ebreo. Non è scontato neanche oggi che tutti la pensino così.. Del resto non si possono non ricordare “i ritardi colpevoli delle nostre istituzioni” nella ricerca della verità sull’attentato. Spesso sui social si legge, a proposito della memoria di Shoah o di altre persecuzioni razziali contro gli ebrei: “Ma perché, a tanti anni di distanza, parlare ancora di queste cose?” Purtroppo ha concluso Maria Elena Boschi, nonostante le tante testimonianze pubbliche e il gran lavoro fatto nelle scuole, c’è ancora un tratto di percorso da fare.

    Da parte sua Riccardo Di Segni (Rabbino capo di Roma) ha rilevato che l’attentato del 9 ottobre 1982 è giunto al culmine di una campagna feroce di odio anti-ebraico, scatenata dagli avvenimenti del giugno precedente, quando Israele invase il Libano per annientare la guerriglia palestinese. Rievochiamo alcuni momenti particolarmente importanti di quei mesi di odio crescente. A Roma a giugno una bara vuota fu depositata davanti alla Sinagoga da alcuni manifestanti di un corteo sindacale Cgil-Cisl.Ui. ln agosto fu assassinato il presidente libanese eletto, Bashir Gemayel e un’atroce vendetta si consumò a settembre da parte delle forze falangiste alleate di Israele nei campi profughi di Sabra e Chatila. Nello stesso settembre Yasser Arafat (capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina) fu ricevuto con tutti gli onori dal presidente Sandro Pertini e da papa Giovanni Paolo II. Così, in un clima sempre più avvelenato, si giunse al 9 ottobre, “un giorno drammatico, molto triste”. In quei momenti la Comunità ebraica si sentì “ferita, tradita, abbandonata dalle istituzioni”. Ma in questi anni la ferita profonda si è rimarginata solo parzialmente. Ancora oggi non si sa la verità dei fatti (nomi di esecutori, dei mandanti) poiché probabilmente da parte delle istituzioni si decise di dare copertura ai responsabili.

    Infine- per quanto riguarda i saluti istituzionali - Ruth Dureghello (presidente della Comunità ebraica di Roma) ha osservato come, anche se ciò viene spesso taciuto, l’ostilità di certuni contro gli ebrei deriva dall’esistenza stessa dello stato di Israele, che invece si vorrebbe cancellare. E anche a tale proposito, nonostante i significativi interventi dei presidenti Napolitano e Mattarella, non si è fatto molto per sradicare tale pregiudizio.

    Dopo l’illustrazione della mostra e dei prodotti multimediali previsti per ricordare l’evento, la conferenza-stampa è stata chiusa da Gadiel Gaj Taché (fratello di Stefano), che – ferito gravemente nell’attentato e poi ‘recuperato’ con lungo e doloroso travaglio – ha voluto testimoniare in un libro bello e commovente quanto successo: “Il silenzio che urla”, casa editrice Giuntina.

    Per parte nostra ci permettiamo di condividere un ricordo personale. In quegli anni insegnavamo lingua e letteratura italiana al Liceo svizzero di Roma. Sabato 9 ottobre 1982 verso mezzogiorno eravamo a casa. Ascoltata la notizia alla radio, siamo saliti sul ‘62’ e siamo scesi a largo Argentina.  Arrivati sul luogo, era forse passata un’ora… già da piazza Costaguti il Ghetto era ‘blindato’ dalla polizia e sorvegliato da residenti. Ci hanno fatto entrare, essendo noi amici della famiglia Segrè. Nell’aria dolore e disperazione che si andava rapidamente tramutando in rabbia. Soprattutto vedevamo gruppetti di giovani che percorrevano il Ghetto imprecando contro i palestinesi e i politici italiani- Pertini compreso - cui si rimproverava aspramente di aver stretto la mano ad Arafat. Solo Spadolini (allora presidente del Consiglio) fu applaudito, così come Pannella, da sempre in politica estera amico di Israele. Il sindaco di Roma Ugo Vetere (Pci) fu travolto dalle proteste, indirizzate in gran parte contro la sinistra colpevole di connivenza con il terrorismo palestinese e contro i democristiani, considerati complici della stessa sinistra. A un certo momento ci accorgemmo che da più parti si invocava un corteo in direzione della sede dell’Olp in zona Nomentano. Il corteo – gonfio di indignazione - partì effettivamente … poi apprendemmo che gli fu impedito di raggiungere l’obiettivo. Ritornammo a  casa… ma quelle ore drammatiche non le abbiamo mai dimenticate.

    PADRE PIZZABALLA, PATRIARCA LATINO DI GERUSALEMME, A SANT’IPPOLITO

    Chi ci segue sa che ogni tanto ci occupiamo di quanto succede nella parrocchia che frequentiamo, quella romana di Sant’Ippolito a piazza Bologna (vedi ad esempio: https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/1060-roma-sant-ippolito-bilancio-2021-e-passato-un-altro-anno.html ). Domenica 2 ottobre la messa di mezzogiorno è stata presieduta dal patriarca latino di Gerusalemme, padre Pierbattista Pizzaballa. Non un puro caso, considerato come l’ex-collaboratore parrocchiale don Filippo Morlacchi sia ormai da quattro anni a Gerusalemme (vedi  https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/807-parla-don-filippo-morlacchi-da-roma-a-gerusalemme.html) e come oggi tra i sacerdoti ci sia anche padre Ibrahim Shomali, già cancelliere del Patriarcato. Con padre Pizzaballa hanno concelebrato, oltre ai presbiteri della parrocchia, diversi studenti del Patriarcato, iscritti alle Università Pontificie (come lo stesso padre Ibrahim).

    C’è dell’altro: la santa messa è incominciata con la benedizione dell’organo (Anni Trenta, ma ampliato negli Anni Cinquanta), restaurato da Giuseppe Ronzani. L’effetto si è constatato subito, dato che il coro – splendidamente diretto da Micol Fontana – ha saputo cogliere pienamente la novità, con grande vantaggio della compartecipazione al rito. Del resto lo stesso patriarca ha ricordato di essere stato anche lui organista (come lo è pure don Morlacchi).

    Chiusasi con la supplica alla Beata Vergine di Pompei, la celebrazione è stata caratterizzata pure dall’omelia di padre Pizzaballa, che – prendendo spunto dalla pagina di Vangelo del giorno– ha voluto ricordare che il Patriarcato latino di Gerusalemme è come il granello di senape, il seme che sembra morto e invece dona la vita. La Chiesa a Gerusalemme, pur numericamente molto ridotta, non è una presenza insignificante poiché dà corpo a tante opere scolastiche e sanitarie, di cui tutti – indipendentemente dal loro credo – possono usufruire: “E’ un modo per mostrare agli islamici  e anche agli ebrei che vogliamo incontrare l’altro in modo positivo”. Non è così scontato, poiché il Divisore è sempre all’opera. Il conflitto israelo-palestinese prosegue anche se se ne parla poco e le tensioni interreligiose sono sempre pronte a riaccendersi: “Noi però diamo voce alla speranza, che è figlia della fede”.

    CURIOSITA’ CALCISTICA MA NON SOLO:  PUSKAS CHIAMA, OLIMPICO RISPONDE

    Nel precedente ‘Rossoporpora’ abbiamo evidenziato come, in occasione della partita di calcio Ungheria-Italia di lunedì 26 settembre 2022 il gran pubblico dell’arena Puskas abbia accompagnato (applaudendola ritmicamente) l’esecuzione dell’Inno di Mameli (cosa che capita molto raramente, se capita, negli altri stadi europei). Ebbene, domenica, attorno al 30.mo del primo tempo dell’incontro Lazio-Spezia, dalla Curva Nord e anche da altri settori dello Stadio Olimpico si è levato il canto “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest”, considerato non solo da Viktor Orban l’inno più bello che ricorda l’insurrezione ungherese del 1956… Puskas chiama, Olimpico risponde.

     

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